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LA NUBE DELLA "NON-CONOSCENZA"

Ultimo Aggiornamento: 07/09/2013 13:03
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07/09/2013 13:03
 
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13. [Bisogna passare dalla contemplazione dell’umanità di Cristo a quella della sua divinità, attraverso la pratica di una preghiera pura].

Lascia da parte, dunque, la conoscenza di Dio che si acquista con la riflessione e l’immaginazione, e se vuoi imparare come dedicarti spiritualmente alla semplice coscienza del tuo io e, di Dio, considera l’esempio che Cristo stesso ci ha dato nella sua vita.
In effetti, se non ci fosse stata perfezione più alta quaggiù del fatto di considerare e amare la sua umanità, io sono convinto che egli non sarebbe asceso al cielo prima della fine del mondo; e non avrebbe privato della sua presenza corporea quelli che su questa terra lo amano di un amore speciale. E invece c’è una perfezione più alta, accessibile all’uomo già in questa vita: è l’esperienza puramente spirituale dell’amore della sua divinità. Ecco perché Cristo disse ai suoi discepoli, rattristati dall’idea di perdere la sua presenza corporea (come in fondo capita anche a te quando devi abbandonare le tue meditazioni particolari e le sottigliezze della tua mente speculativa), che era bene per loro che se ne andasse via con il corpo: «Expedit vobis ut ego vadam; È meglio per voi che io me ne vada» col corpo. E il dotto re commenta così: «Se non venisse tolta ai nostri occhi corporei la forma della sua umanità, i nostri occhi spirituali non resterebbero fissi all’amore della sua divinità». Perciò ti dico che è bene tralasciare di tanto in tanto le ricerche delle nostre facoltà curiose, per imparare a gustare qualcosa dell’amore di Dio all’interno della tua esperienza spirituale.
A questa percezione arriverai per la strada che ti ho mostrato, aiutato dalla grazia preveniente li Dio. In altre parole, abbandonati sempre di più e senza mai stancarti, alla nuda coscienza del tuo io, offrendo in continuazione a Dio il tuo essere come l’offerta più preziosa che tu possa presentargli. Ma bada bene, come ho detto più volte, che sia una percezione nuda, altrimenti cadresti in errore.
Se dunque è nuda, all’inizio sarà per te motivo di grande sofferenza restare in questo stato, perché, lo ripeto ancora, le tue facoltà non vi troveranno alcun alimento. Non importa; se fossi al tuo posto l’amerei ancora di più. Fa’ digiunare per un po’ le tue facoltà, te ne prego, così che non trovino la soddisfazione naturale insita nel conoscere. Come è stato giustamente detto, l’uomo per natura desidera conoscere Ma in verità, è solo per la grazia che può gustare l’esperienza spirituale di Dio, quali che siano le sue capacità intellettuali o la sua scienza. Cerca perciò di aver coscienza, te ne prego, invece di conoscenza. Il sapere a volte fa cadere in errore a causa dell’orgoglio; invece questa esperienza d’amore che si ottiene nell’umiltà, non può ingannare. «Scientia inflat, caritas aedificat». La conoscenza intellettuale esige fatica, l’esperienza spirituale dona il riposo.
A questo punto puoi anche dirmi: «Di quale riposo parli? Tutto mi sembra fatica e sofferenza, non certo riposo. Quando mi metto a lavorare secondo le tue indicazioni, non trovo altro che pena e battaglia da tutte le parti. Da una parte le mie facoltà vorrebbero distogliermi dal mio lavoro, ma io non voglio; dall’altra, io vorrei aver coscienza di Dio e perdere coscienza di me stesso, ma non ci riesco. Come vedi, è battaglia da tutte le parti e grande pena: se questo è il riposo di cui parli, per conto mio è un riposo ben strano!».
Ti rispondo subito: non sei ancora avvezzo a questo lavoro, ed ecco il motivo per cui ti procura una sofferenza più grande del dovuto. Se invece tu fossi già allenato e potessi sapere per esperienza quanto profitto deriva da un simile lavoro, non vorresti lasciarlo perdere, di tua spontanea volontà, per tutto il riposo del corpo e tutte le gioie di questo mondo. Eppure devo confessare che non è esente da grandi fatiche e dolori. Ma io lo chiamo ugualmente riposo, perché l’anima non ha dubbi su cosa fare, e in più è resa certa, durante il tempo che dedica a questo lavoro, di non cadere in grave errore.
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