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LA NUBE DELLA "NON-CONOSCENZA"

Ultimo Aggiornamento: 07/09/2013 13:03
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07/09/2013 12:38
 
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CAPITOLO 63
Le facoltà dell’anima in generale.
La memoria, in particolare, è la facoltà principale
che racchiude in sé tutte le altre

La memoria è una facoltà che, di per sé, propriamente parlando e in certo qual senso, non opera mai. La ragione e la volontà, invece, sono due facoltà operative, e così pure l’immaginazione e la sensibilità. Tutte queste quattro facoltà e le loro opere, sono contenute e comprese nella memoria. E non si può dire in alcun modo che la memoria opera, a meno di considerare come un’azione il fatto che essa contenga e comprenda le altre facoltà.
Alcune facoltà dell’anima le chiamo principali, altre invece secondarie. E questo non perché l’anima sia divisibile (il che è impossibile), ma perché tutte le cose su cui le facoltà operano, si possono benissimo dividere e distinguere in principali, quali le realtà spirituali, e secondarie, quali le realtà materiali. Le due facoltà principali operative, la ragione e la volontà, operano spiritualmente all’interno di se stesse, su oggetti del tutto immateriali, senza alcun aiuto da parte delle altre due facoltà secondarie. L’immaginazione e la sensibilità operano fisicamente su oggetti del tutto materiali, sia che siano presenti nel corpo o meno, facendo uso dei sensi. Ma per mezzo loro, senza l’aiuto della ragione e della volontà, l’anima non arriverebbe mai a conoscere i caratteri e le qualità morali delle creature corporee, né la ragione della loro esistenza e della loro creazione.
Per questo motivo chiamo facoltà principali la ragione e la volontà: perché operano spiritualmente, senza alcuna traccia di materialità. Chiamo invece secondarie l’immaginazione e la sensibilità, perché operano nel corpo e con gli strumenti del corpo, quali sono i nostri cinque sensi. Definisco, infine, la memoria come facoltà principale, perché contiene spiritualmente in sé non solo tutte le altre facoltà, ma anche tutte le cose su cui esse operano. Puoi vederlo tu stesso per esperienza.
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07/09/2013 12:39
 
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CAPITOLO 64
Le altre due facoltà principali sono la ragione e la volontà;
il loro operato prima e dopo il peccato

La ragione è la facoltà con la quale distinguiamo il male dal bene, il male dal peggio, il bene dal meglio, il peggio dal pessimo, il meglio dall’ottimo. Prima che l’uomo peccasse, la ragione era in grado di fare tutto questo per natura. Ma ora è così accecata dal peccato originale, che non può farlo se non è illuminata dalla grazia. E sia la ragione stessa che l’oggetto su cui opera, sono entrambi compresi e contenuti nella memoria.
La volontà è la facoltà con la quale scegliamo il bene (una volta che è stato stabilito dalla ragione) e con la quale amiamo Dio, desideriamo Dio, e infine, con piena adesione e immensa gioia, riposiamo in Dio. Prima che l’uomo peccasse, la volontà non poteva sbagliare nel scegliere o nell’amare o nel fare qualsiasi altra cosa di sua competenza, perché allora era in grado per natura di gustare ogni cosa nella sua vera realtà. Ma ora non può più farlo, se non con l’unzione della grazia. Spesso, infatti, a causa della corruzione del peccato originale, la volontà gusta come buona una cosa assolutamente cattiva che ha solo l’apparenza del bene. E sia la volontà che quanto ne costituisce l’oggetto, sono contenuti e compresi nella memoria.

CAPITOLO 65
La prima facoltà secondaria è l’immaginazione;
il suo operato e la sua obbedienza alla ragione, prima e dopo il peccato

L’immaginazione è la facoltà con la quale raffiguriamo tutte le immagini delle cose presenti o assenti. Sia l’immaginazione che l’oggetto su cui opera, sono entrambi contenuti nella memoria. Prima che l’uomo peccasse, l’immaginazione era così obbediente alla ragione, di cui è in certo senso la serva, che non le forniva mai immagini contraffatte di creature materiali, né immagini fantastiche di creature spirituali. Ma ora non è così.
Se non è ricondotta dalla luce della grazia a obbedire alla ragione, essa non cesserà mai, sia nel sonno che nella veglia, di rappresentare diverse immagini contraffatte delle creature materiali, oppure qualche allucinazione, che non è altro che la rappresentazione materiale di una cosa spirituale, ovvero la rappresentazione spirituale di una cosa materiale. E tutto ciò è sempre fittizio e falso, e parente prossimo dell’errore.
La disobbedienza dell’immaginazione si può chiaramente rilevare nelle preghiere di coloro che solo da poco hanno lasciato il mondo per volgersi alla vita di devozione. Verrà senza dubbio il tempo in cui l’immaginazione sarà in gran parte ricondotta dalla luce della grazia a obbedire alla ragione, dopo la costante meditazione sulle cose spirituali, come la propria miseria, la passione e la bontà di nostro Signore, e così via. Ma finché non si perverrà a questo stadio, non sarà possibile in alcun modo rigettare la sorprendente varietà di pensieri, fantasticherie e immagini che vengono suscitate e impresse nella mente dalla sola luce e curiosità dell’immaginazione.
Questa disobbedienza è la pena connessa al peccato originale.
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07/09/2013 12:48
 
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CAPITOLO 66
L’altra facoltà secondaria è la sensibilità; il suo operato
e la sua obbedienza alla volontà, prima e dopo il peccato

La sensibilità è la facoltà dell’anima che concerne e governa i sensi, attraverso i quali conosciamo e sentiamo materialmente tutte le creature corporee, piacevoli o fastidiose che siano. Essa ha due funzioni: una si occupa delle esigenze del corpo, e l’altra soddisfa le bramosie dei sensi. È questa stessa facoltà che si lamenta quando il nostro corpo viene a mancare del necessario, e che ci spinge, nel rispondere ai nostri bisogni, a prendere più del necessario per alimentare e incoraggiare le nostre voglie. Si lamenta della mancanza di cose o creature piacevoli, ed è tutta felice e appagata della loro presenza. Si lamenta della presenza di cose o creature fastidiose, e si compiace vivamente della loro assenza: Sia questa facoltà che l’oggetto su cui opera, sono entrambi contenuti nella memoria.
Prima che l’uomo peccasse, la sensibilità era così obbediente alla volontà, di cui è in certo senso la serva, che non le forniva mai piaceri o dispiaceri disordinati verso creature materiali, né contraffazioni spirituali di piaceri o dispiaceri, prodotti nei sensi da qualche nemico spirituale.
Ma ora non è così. Se non è ricondotta dalla grazia a obbedire alla volontà, così da soffrire con umiltà e moderazione la pena del peccato originale — avvertita nell’assenza dei piaceri necessari e nella presenza dei dispiaceri così salutari per lei —; se non è quindi in grado di dominare le sue voglie alla presenza dei piaceri, e il suo avido godimento in assenza dei dispiaceri, allora la sensibilità andrà ad avvoltolarsi, misera e lasciva, come un porco nel fango, nelle ricchezze di questo mondo e nella corruzione della carne, tanto che tutta la nostra vita sarà bestiale e carnale, piuttosto che umana o spirituale.
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07/09/2013 12:48
 
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CAPITOLO 67
Chi non conosce le facoltà dell’anima e la maniera con cui operano, può essere tratto in inganno con tutta facilità quando si tratta di capire parole e attività spirituali; come l’anima è resa un dio nella grazia

E dunque, amico spirituale, puoi ben vedere in che misera condizione siamo caduti a causa del peccato. Che c’è da meravigliarsi, allora, della nostra cecità e della facilità con cui restiamo ingannati nel comprendere parole e operazioni spirituali? Quest’illusione è frequente in particolar modo in quanti di noi non conoscono ancora le facoltà dell’anima e la maniera con cui operano.
Ogni volta che la tua memoria è occupata da qualche oggetto materiale, fosse anche per uno scopo nobilissimo, tu sei, tuttavia, al di sotto di te stesso in questa occupazione, e al di fuori della tua anima. E ogniqualvolta ti accorgi che la tua memoria, nell’intento di condurti alla conoscenza di te stesso in vista della perfezione, è tutta presa dalle sottigliezze riguardanti le facoltà dell’anima e le loro operazioni sulle realtà spirituali, come nel caso di vizi o virtù, tuoi o di qualche altra creatura spirituale simile a te per natura, allora tu sei dentro di te e a livello con te stesso. Ma ogniqualvolta senti che la tua memoria non è impegnata in nessun oggetto materiale o spirituale, ma è tutta presa dalla sostanza stessa di Dio, e da lui solo, come avviene, a esempio, se si mette in pratica il lavoro indicato in questo libro, allora tu sei al di sopra di te stesso, e al di sotto di Dio.
Tu sei al di sopra di te stesso, perché sei riuscito ad arrivare per grazia là dove non avresti mai potuto arrivare per natura: essere unito a Dio in spirito, in amore e in armonia di volontà. Ma resti al di sotto di Dio, anche se a questo punto si può dire che in certo senso tu e Dio non siete più due, ma uno solo in spirito; e chiunque sperimenta la perfezione di quest’opera, a causa di tale unità lo si potrà chiamare a buon diritto «Dio», come attesta la bibbia stessa. Tu però resti al di sotto di lui. Egli, infatti, è Dio per natura e dall’eternità. Tu invece una volta non esistevi nemmeno; e in seguito, quando egli con la sua potenza e il suo amore ti fece diventare qualcosa, tu non esitasti a renderti meno di niente con il peccato. E ora, per la sua misericordia e senza alcun merito da parte tua, sei reso un dio nella grazia, e sei unito inseparabilmente a Dio in spirito, in questa vita e nella beatitudine celeste senza fine. Così, anche se tu sei una sola cosa con lui nella grazia, tuttavia sei infinitamente al di sotto di lui per natura.
Ecco, amico spirituale: da qui puoi comprendere, almeno in parte, come chi non conosce le facoltà della propria anima e la maniera in cui operano, può essere tratto in inganno con tutta facilità, quando si tratta di capire parole scritte con intendimento spirituale. E con questo puoi anche comprendere, almeno in parte, il motivo per cui non mi sono arrischiato a chiederti di mostrare apertamente il tuo desiderio a Dio; al contrario, ti ho invitato, quasi fosse un gioco per ragazzi, a fare di tutto per nasconderlo e occultarlo. E l’ho fatto per paura che tu comprendessi in senso materiale quel che invece era inteso in senso spirituale.
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07/09/2013 12:49
 
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CAPITOLO 68
«In nessun posto» materialmente, significa «dappertutto» spiritualmente; il nostro uomo esteriore chiama «niente» il lavoro di cui parla questo libro

Allo stesso modo va inteso l’invito che un altro ti potrebbe rivolgere, di raccogliere le tue facoltà e i tuoi sensi nell’intimo di te stesso e di adorare Dio dentro di te. Quantunque questo sia certamente del tutto giusto e vero, e nessuno potrebbe dire cosa più assennata, se ben la si comprende, io invece per paura che tu abbia a intendere in maniera fisica, e quindi sbagliata, queste parole, non ti dico assolutamente di far così.
Questo è quanto voglio da te: che tu non sia in alcun modo dentro di te. E di conseguenza, voglio che tu non sia nemmeno fuori di te stesso, né sopra, né dietro, né da una parte, né dall’altra. «Ma allora», mi dirai, «dove devo stare? A quanto pare, da nessuna parte!» Ebbene, sì, hai pienamente ragione: è così che ti voglio. Perché quando non sei in nessun posto materialmente, sei dappertutto spiritualmente.
Pertanto sta’ ben attento, perché il tuo lavoro spirituale non sia ancorato a nessun posto materiale. In questo caso, dovunque si trovi l’oggetto su cui stai coscientemente applicando la tua intelligenza, è proprio lì che ti trovi in spirito, in modo così vero e reale come il tuo corpo si trova nel luogo dove tu sei materialmente. E anche se i tuoi sensi non vi possono trovar nulla di cui nutrirsi, perché secondo loro tu non stai facendo assolutamente niente — proprio così! —, continua a fare questo «niente», se non altro per amore di Dio. Perciò, non smettere in alcun modo, ma lavora alacremente in questo «niente», con desiderio sempre vigilante e volontà ferma di possedere Dio, che nessun uomo può conoscere. Ti dico, in verità, che preferirei essere in questo «nessun posto» fisicamente, a lottare con questo cieco «niente», piuttosto che essere un signore così potente da poter essere fisicamente dappertutto, se solo lo volessi, intento a godere allegramente di tutto come fa un padrone con le proprie cose.
Lascia perdere questo «dappertutto» e questo «tutto», in cambio di questo «nessun posto» e di questo «niente». Che importa se le tue facoltà intellettuali non riescono a scandagliare questo «niente»? Io lo amo ancor di più! È una cosa così eccelsa in se stessa, che non la si può comprendere in alcun modo. Questo «niente» è più facile sentirlo per esperienza che vederlo, perché è completamente cieco e oscuro agli occhi di coloro che solo da poco si son messi a guardarlo.
Ma a voler parlare più correttamente, l’anima che ne fa esperienza è accecata dalla sovrabbondanza di luce spirituale, piuttosto che dall’oscurità o dall’assenza di luce fisica. Chi è che allora lo chiama «niente»? Il nostro uomo esteriore, di certo, e non quello interiore. Il nostro uomo interiore lo chiama «tutto», perché per mezzo suo impara a conoscere la ragione di tutte le realtà, materiali e spirituali, senza considerare in particolare ogni singola cosa in se stessa.
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07/09/2013 12:49
 
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CAPITOLO 69
La sensibilità dell’uomo cambia meravigliosamente nell’esperienza spirituale di questo «niente» prodotto «in nessun posto».

Quando un uomo fa l’esperienza spirituale di questo «niente» in «nessun posto», la sua sensibilità subisce delle mutazioni sorprendenti. Non appena comincia a posarvi lo sguardo, egli trova che tutti i peccati personali che ha commesso nel corpo e nello spirito fin dalla nascita, vi sono segretamente dipinti sopra a tinte fosche. E per quanto cerchi di distogliere la propria attenzione, i suoi peccati gli appaiono sempre dinanzi agli occhi, finché, dopo molto lavoro estenuante, molti sospiri dolorosi e molte lacrime amare, non li abbia in gran parte cancellati.
In un simile travaglio interiore talvolta gli sembra di star a osservare l’inferno, perché ormai dispera di pervenire, attraverso questa sofferenza, alla perfezione del riposo spirituale. Molti sono quelli che giungono fino a questo punto nel loro cammino spirituale, ma poi, siccome sentono che la loro sofferenza è troppo grande e che non ricevono alcun conforto, tornano indietro a considerare le cose materiali. E cercano delle consolazioni mondane ed esteriori per compensare quelle spirituali che a quel punto non hanno ancora meritato, ma che avrebbero senz’altro ottenuto se avessero perseverato.
Chi invece persevera, prova di tanto in tanto un certo qual conforto e ha una certa qual speranza, di perfezione, perché comincia a sentire e a vedere che, con l’aiuto della grazia, molti dei suoi peccati personali commessi in passato vengono in gran parte cancellati. Nonostante tutto, si sente ancora immerso nella sofferenza, ma ora pensa che un bel giorno questa svanirà, perché va diminuendo sempre più. Pertanto, quel «niente» non lo chiama più inferno, ma purgatorio. A volte non vi trova scritto sopra alcun peccato particolare, ma in quei momenti gli sembra che il peccato sia come un blocco massiccio di cui non sa assolutamente nulla, se non che si tratta, in fondo, di se stesso. Allora quel «niente» lo si può chiamare come la radice e la pena del peccato originale.
A volte crede di essere in paradiso o in cielo, per via delle svariate e meravigliose dolcezze, e delle innumerevoli consolazioni, gioie e virtù benedette che vi può trovare. Altre volte, infine, gli sembra che quel «niente» sia Dio stesso; tale è la pace e il riposo che vi trova.
Sì, pensi pure quello che vuole: troverà sempre la nube della non-conoscenza tra sé e Dio.
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07/09/2013 12:49
 
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CAPITOLO 70
Come cominciamo a giungere più prontamente alla conoscenza delle realtà spirituali se mettiamo a tacere i nostri sensi, così cominciamo a giungere più prontamente alla suprema conoscenza di Dio, per quel tanto che è possibile avere per grazia su questa terra, se facciamo a meno delle nostre facoltà spirituali.

Perciò lavora alacremente in questo «niente» e in questo «nessun posto», e lascia da parte i tuoi sensi e la loro maniera di operare: in verità ti dico che questo tipo di lavoro non lo si può nemmeno concepire per mezzo di essi.
Con gli occhi puoi solo farti un’idea apparente di una determinata cosa, è cioè se è lunga o larga, grande o piccola, quadrata o rotonda, vicina o lontana, colorata o meno. E con le orecchie puoi solo coglierne il rumore o il suono; con il naso, la puzza o il profumo. Con il gusto puoi sapere se è acre o dolce, conservata sotto sale o fresca, amara o gradevole; con il tatto, se è calda o fredda, dura o tenera, soffice o ruvida. Ma, a dire il vero, queste qualità e questi attributi non li possiede né Dio, né alcun’altra cosa spirituale. Perciò, lascia da parte i tuoi sensi, e non lavorare con essi né all’interno né all’esterno di te stesso.
Si sbagliano di grosso e operano contro l’ordine naturale delle cose, quanti vogliono diventare contemplativi, e quindi operatori spirituali nel più intimo di se stessi, e nonostante questo pensano di dover vedere o sentire o annusare o gustare o tastare le realtà spirituali in visioni esterne o interne al loro essere. Per natura i sensi sono ordinati in tal modo che gli uomini possono aver conoscenza, per mezzo di essi, di tutte le cose materiali ed esteriori; ma non possono certo giungere alla conoscenza delle realtà spirituali, se si servono dei sensi.
Nella misura in cui ne riconosciamo i limiti, i sensi possono arricchire la nostra conoscenza. Per esempio, quando leggiamo o sentiamo parlare di certe cose, e ci rendiamo conto che i nostri sensi non sono assolutamente in grado di darci informazioni sulle loro qualità e sui loro attributi, allora possiamo veramente esser certi che si tratta di realtà spirituali e non materiali.
Sotto un profilo spirituale, avviene allo stesso modo per quel che riguarda le nostre facoltà intellettuali, allorché ci sforziamo di conoscere Dio stesso. Per quanto grande possa essere la conoscenza e la comprensione di tutte le cose spirituali create, l’uomo non può mai giungere per mezzo dell’intelligenza alla conoscenza di una realtà spirituale non creata, qual è Dio stesso. Ma se riconosce il suo limite, allora sì che può giungere a una simile conoscenza. Quanto infatti limita l’intelligenza umana, non è altro che Dio, e lui solo. Ecco perché s. Dionigi disse: «La più perfetta conoscenza di Dio si ottiene con la non-conoscenza».
In verità, chiunque farà passare i libri di Dionigi, troverà che le sue parole confermano chiaramente tutto quanto io ho detto o dirò ancora, dall’inizio di questo libro fino alla fine. Altrimenti non lo citerei nemmeno a questo punto, né lui né nessun altro dottore. Una volta gli uomini ritenevano di fare un atto di umiltà nel non dir niente di propria testa che non fosse sorretto da citazioni scritturali o dotte. Ma ora questa pratica è diventata un mezzo per mettere in mostra la propria abilità ed erudizione. A te tutto ciò non servirebbe a niente, ed è per questo che me ne astengo. Chi ha orecchie per intendere, intenda; e chi si sente mosso a credere, creda: non c’è altra alternativa.
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07/09/2013 12:50
 
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CAPITOLO 71
Alcuni riescono ad avere l’esperienza della contemplazione perfetta solo nell’estasi,
altri invece quando vogliono e nelle normali condizioni di vita spirituale

Certi ritengono la contemplazione una materia così difficile e pericolosa che, affermano, non vi si può arrivare senza aver fatto in precedenza una gran mole di lavoro e una fatica enorme. Dicono, inoltre, che la si ottiene raramente, e solo in un momento d’estasi. A costoro voglio rispondere, misero come sono, dicendo che tutto dipende dalla volontà e dal beneplacito di Dio, oltre che dalla capacità e predisposizione dell’anima in ordine alla grazia della contemplazione e del lavoro spirituale di cui sto parlando.
Indubbiamente ci sono alcuni che senza una lunga e impegnativa preparazione spirituale non vi possono arrivare. E quand’anche giungano alla pienezza della contemplazione, tutto ciò non capita che raramente, e grazie a una chiamata tutta particolare da parte di nostro Signore: è quella che noi chiamiamo «estasi».
Ci sono altri, però, che hanno l’animo così sensibile all’azione della grazia, e hanno una tale familiarità con Dio durante la contemplazione, che possono immergervisi quando vogliono e nelle normali condizioni di vita: si trovino seduti o in cammino, in piedi o in ginocchio. E in tutto questo tempo rimangono nel pieno possesso delle loro facoltà fisiche e spirituali, e possono farne uso, se lo desiderano; naturalmente incontrano delle difficoltà, ma niente affatto eccessive o insormontabili.
Prototipo degli uni è Mosè; degli altri Aronne, il sacerdote del Tempio. Infatti la grazia della contemplazione è raffigurata nell’Antico Testamento dall’Arca dell’Alleanza, e i contemplativi sono raffigurati da coloro che più dovevano occuparsi dell’Arca, come la storia ci insegna.
Ed è perfettamente corretto paragonare questa grazia e questo lavoro all’Arca, perché come l’Arca conteneva tutti i gioielli e le reliquie del Tempio, così questo piccolo atto d’amore diretto verso la nube della non-conoscenza contiene dentro di sé tutte le virtù dell’anima umana, che è il tempio spirituale di Dio.
Mosè, prima ancora di poter vedere l’Arca e di sapere in qual modo doveva essere fatta, salì con lungo sforzo e grande fatica fin sulla cima del monte, e restò lì a lavorare in una nube per sei giorni, aspettando il settimo giorno perché Dio acconsentisse a mostrargli la maniera di costruire l’Arca. Il lungo lavoro di Mosè e la sua visione tardiva, stanno a indicare coloro che non riescono ad arrivare alla perfezione di questa opera spirituale, senza un previo lavoro lungo e faticoso. E anche se vi arrivano, ciò capita loro raramente, e solo se Dio acconsente a dischiudere il loro cuore all’estasi contemplativa.
Ma quello che Mosè poteva vedere solo in rarissime occasioni, e dopo un lungo sforzo e una grande fatica, Aronne l’aveva sempre a sua disposizione, in virtù del proprio ufficio, dal momento che poteva vedere l’Arca nel Tempio al di là del velo, ogniqualvolta voleva entrarvi. Aronne sta a indicare tutti coloro di cui ho parlato prima, i quali in base alla loro penetrazione spirituale e all’assistenza della grazia, possono pervenire alla meta della contemplazione perfetta tutte le volte che lo vogliono.
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07/09/2013 12:50
 
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CAPITOLO 72
Il contemplativo non può giudicare un altro in base alla sua esperienza

Da tutto questo puoi ben capire che l’uomo a cui è dato di giungere alla contemplazione perfetta e di farne esperienza, ma solo dopo un enorme lavoro e in rare occasioni, può facilmente cadere in errore se si mette a parlare, a pensare o a dar giudizi sugli altri uomini in base alla sua esperienza personale, perché ritiene che anch’essi non vi possano giungere che raramente e dopo un enorme lavoro. Allo stesso modo, l’uomo in grado di contemplare quando vuole, può facilmente cadere in errore se giudica gli altri prendendo come metro se stesso e dicendo che anch’essi sono in grado di contemplare quando vogliono. Lascia perdere tutto questo: no, non è certamente così che si deve ragionare.
Infatti, quando a Dio piace e se lui vuole, può darsi che quelli che in un primo momento raggiungono la contemplazione solo di rado, e dopo un enorme lavoro, in seguito possano arrivarci quando vogliono e tutte le volte che a loro piace. Un esempio a questo proposito l’abbiamo ancora in Mosè, il quale dapprima non poteva vedere la forma dell’Arca se non raramente e dopo un enorme lavoro, là sul monte; ma in seguito era in grado di vederla nella valle tutte le volte che lo voleva.

CAPITOLO 73
A somiglianza di Mosè, Bezaleel e Aronne, che si occuparono dell’Arca dell’Alleanza, simbolo della contemplazione, noi arriviamo in tre maniere diverse a questa grazia della contemplazione

Secondo l’Antico Testamento, i tre uomini che più si occuparono dell’Arca furono Mosè, Bezaleel e Aronne. Mosè imparò da nostro Signore, là sul monte, come doveva essere fatta. Bezaleel la realizzò e la costruì nella valle, seguendo il modello che era stato mostrato sul monte. Aronne, infine, ebbe il compito di custodirla nel tempio, e poteva vederla e toccarla tutte le volte che lo voleva.
Questi tre esempi ci indicano le tre diverse maniere con cui giungiamo alla grazia della contemplazione.
A volte vi arriviamo solo per grazia, e allora siamo simili a Mosè, il quale, nonostante la difficile salita e il duro lavoro sul monte, non poteva vedere l’Arca se non raramente, solo quando a nostro Signore piaceva mostrargliela, e non come ricompensa per tutto il suo lavoro.
Altre volte vi arriviamo in forza della nostra stessa penetrazione spirituale, con l’aiuto e l’assistenza della grazia, e allora siamo simili a Bezaleel, il quale non era in grado di vedere l’Arca prima ancora di averla fatta con le sue stesse mani, seguendo il modello mostrato a Mosè sul monte.
Infine, noi vi arriviamo grazie all’insegnamento di qualcun altro, e allora siamo simili ad Aronne, il quale aveva l’incarico di custodire l’Arca che Bezaleel aveva precedentemente realizzato e costruito con le sue stesse mani; egli aveva altresì la facoltà di vederla e toccarla tutte le volte che lo voleva.
Vedi, amico spirituale, per quanto il linguaggio sia infantile e improprio, in questo lavoro io faccio la parte di Bezaleel, anche se sono una creatura miserabile e assolutamente indegna di insegnare agli altri: ecco quindi che io costruisco e depongo in qualche modo nelle tue mani questa specie di arca spirituale. Ma se vuoi diventare un Aronne, devi lavorare ancor meglio di me, e in maniera più eccelsa; ciò significa che non devi mai smettere un momento di attendere alla contemplazione, per il tuo bene e anche per il mio. Fa’ come ti dico, te ne prego, per l’amore di Dio onnipotente. E dal momento che siamo tutt’e due chiamati da Dio a diventare contemplativi, ti scongiuro, per l’amore di Dio, di colmare da parte tua quel che manca in me.
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07/09/2013 12:51
 
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CAPITOLO 74
Un’anima particolarmente portata a fare questo lavoro non può leggere o parlare o sentire qualcun altro leggere o parlare del contenuto di questo libro, senza provare una vera e propria consonanza con il fine a cui tende questo stesso lavoro; vi si ripete la raccomandazione del prologo

Se ti sembra che questa maniera di lavorare non sia adatta alle tue disposizioni spirituali e fisiche, puoi pure metterla da parte e, in seguito al consiglio di un buon padre spirituale, prenderne un’altra in tutta sicurezza e senza alcun biasimo.
In tal caso ti pregò di scusarmi, perché avrei voluto esserti di aiuto con questo scritto dettatomi dalla mia semplice scienza: questa, e non altra, era la mia intenzione. Pertanto, leggi questo libro da cima a fondo per due o tre volte, e più lo leggerai, meglio è, perché sarai in grado di comprenderlo sempre di più. E così una frase che magari ti era assolutamente incomprensibile alla prima o alla seconda lettura, poco dopo ti sembrerà facilissima.
Sì, mi sembra impossibile che un’anima particolarmente portata a un simile lavoro possa leggere o parlare, o sentire qualcun altro leggere o parlare di questo argomento, senza provare subito dentro di sé una vera e propria consonanza con il fine a cui tende l’insegnamento che ti ho trasmesso. Se dunque hai l’impressione che questo lavoro ti fa del bene, ringrazia Dio di tutto cuore e, per l’amore di Dio, prega per me.
Fa’ come ti dico! E ti prego, per l’amore di Dio, di non far vedere a nessuno questo libro, a meno che si tratti di qualcuno che sia adatto alla contemplazione, secondo quanto tu stesso puoi trovare più indietro, là dove ho spiegato quali uomini debbano intraprendere questo lavoro e quando debbano cominciarlo.
Se fai vedere il libro a una persona del genere, allora ti prego di raccomandarle di spendere tutto il tempo necessario per esaminarlo fino in fondo. Vi può essere, magari, qualche argomento, all’inizio come in mezzo, lasciato in sospeso e non completamente sviluppato là dove si trova. Ma se non è trattato compiutamente in quel posto, lo sarà più avanti o comunque alla fine.
Così, se uno dovesse prendere in esame solamente una parte e non l’altra, potrebbe facilmente cadere in errore: ecco perché ti prego di fare come ti dico. E se c’è una particolare questione che, secondo te, andrebbe trattata in modo più chiaro, fammi sapere qual è, e anche la tua opinione in proposito; da parte mia farò di tutto per spiegarmi con più completezza e secondo il mio limitato sapere.
Non è stato affatto nelle mie intenzioni che i ciarloni, gli adulatori, i falsi modesti, i pettegoli o i maldicenti è ogni sorta di mettimale vedessero questo libro. Non è per essi che ho scritto. Per questo vorrei che ne facessero a meno loro e anche tutti quegli uomini, dotti o ignoranti, che sono semplicemente curiosi. Se fossero anche buone persone, eccellenti nella vita attiva, questo libro non fa per loro.
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07/09/2013 12:51
 
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CAPITOLO 75
Alcuni segni attraverso i quali possiamo sapere
con certezza se siamo chiamati da Dio al lavoro della contemplazione

Non tutti quelli che leggono, o sentono leggere o parlare di questo libro, e che leggendolo o ascoltandone la lettura lo ritengono una cosa buona e piacevole, sono per ciò stesso chiamati da Dio a intraprendere il lavoro contemplativo, per il semplice fatto di provare dentro di sé una piacevole sensazione durante una lettura di tal genere.
Può darsi benissimo che questo stimolo interiore provenga dalla curiosità dell’intelligenza naturale, piuttosto che da una chiamata della grazia.
Ma se vogliono verificare l’origine di questo impulso, possono farlo a questo modo, se sono d’accordo. Per prima cosa facciano un serio esame, per vedere se in precedenza hanno fatto tutto il possibile per prepararsi convenientemente alla purificazione della loro coscienza, secondo il giudizio della santa chiesa e d’accordo con il proprio direttore spirituale. Se le cose stanno così, tanto meglio. Ma se vogliono conoscere con più esattezza le proprie disposizioni d’animo, osservino attentamente se quest’impulso richiama sempre più la loro attenzione, tanto da diventare più abituale di ogni altra devozione spirituale. E se giungono alla convinzione che non c’è cosa che essi facciano, materiale o spirituale, che riceva un’adeguata approvazione da parte della loro coscienza, senza che questo piccolo segreto slancio d’amore non stia a capo, in senso spirituale, di tutto il loro operato; se questa, dunque, è la loro sensazione, allora è segno che sono realmente chiamati da Dio alla contemplazione, altrimenti no.
Non intendo dire che quest’impulso deve durare per sempre e riempire in continuazione la mente di quelli che son chiamati al lavoro contemplativo. No, non è affatto cosa. In un giovane contemplativo ancora alle prime armi, questa reale sensazione viene spesso a mancare per una serie di motivi.
Talvolta questo si verifica perché egli non abbia ad assumere un atteggiamento di sufficienza, o a pensare che sia in gran parte in suo potere di avere questa grazia quando e come gli pare. Un pensiero di tal genere sarebbe segno di orgoglio. Ora, quando la sensazione della grazia viene a mancare, è sempre l’orgoglio la causa prima; non tanto l’orgoglio che effettivamente c’è, ma quello che potrebbe esserci, se non venisse meno la percezione della grazia. Ecco perché è facile trovare dei giovani stolti che ritengono Dio loro nemico, quando invece è lui il loro miglior amico.
A volte la grazia della contemplazione viene meno a motivo della poca cura con cui gli uomini vi corrispondono: in tal caso essi sentono immediatamente una pena acutissima e straziante, che li divora come un cancro.
Altre volte nostro Signore ritarda questa sensazione di grazia secondo un piano prestabilito, perché vuole, in tal modo, che essa cresca e venga apprezzata maggiormente: è quel che capita quando una cosa, da lungo tempo smarrita, viene infine ritrovata. Questo è uno dei segni più importanti e più sicuri che uno possa avere per conoscere se è chiamato o meno alla contemplazione: se sa che, dopo un ritardo di tal genere e una lunga inattività nel lavoro della contemplazione, improvvisamente quella sensazione ritorna, come di fatto avviene, senza far ricorso a nessun mezzo. Allora egli possiede dentro di sé un fervore ancor più intenso e una passione ancor più viva nei riguardi della contemplazione, di quanto non abbia mai avuto prima. A tal punto che spesso, io credo, la gioia per il ritrovamento di quello slancio d’amore è ancor più grande del dolore per la sua perdita. Se capita così, è senz’altro segno autentico e inconfondibile che Dio chiama a diventare contemplativi, quale che sia la propria vita presente o passata.
Non è, infatti, quello che sei, né quello che sei stato, ciò che Dio vede con i suoi occhi misericordiosi, bensì ciò che tu potresti essere. E s. Gregorio afferma che «tutti i desideri santi crescono quando vengono dilazionati; ma se svaniscono in attesa della loro realizzazione, allora non erano nemmeno desideri santi». Chi sente sempre di meno la gioia di ritrovare o riscoprire, sotto forme nuove e impreviste, i vecchi desideri del cuore, può star certo che, anche se questi sono desideri naturali di bene, tuttavia desideri santi non lo sono mai stati.
Di questo santo desiderio parla s. Agostino, quando dice che «tutta la vita di un buon cristiano non è altro che un santo desiderio».
Addio, amico spirituale, ricevi la benedizione di Dio e la mia. E prego Dio onnipotente perché la vera pace, il buon consiglio, il conforto spirituale in Dio e l’abbondanza della sua grazia, siano sempre con te e con tutti quelli che lo amano su questa terra. Amen.



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07/09/2013 12:52
 
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LETTERA SULLA PREGHIERA
A Pistle of Preier


1. [Ci si deve introdurre nell’orazione con il convincimento che si morirà non appena sarà terminata la preghiera. Questo pensiero suscita un salutare timore].

Amico spirituale in Dio, poiché mi hai chiesto come devi regolare il cuore nel tempo della preghiera, cerco di risponderti meglio che posso. Quando cominci la tua preghiera, lunga o breve non importa, è sommamente utile per te, a mio modesto avviso, convincerti interiormente, senza finzione alcuna, che morirai non appena avrai finito di pregare, e che più breve sarà la tua preghiera, più vicina sarà la tua fine. E non pensare che un simile atteggiamento sia pura finzione; eccone la prova. Nessuno a questo mondo si azzarderebbe ad affermare il contrario, cioè che tu vivrai senz’altro anche dopo aver finito di pregare. Perciò fa’ pure come ti ho detto, senza timore.
Se ascolterai il mio consiglio, ti accorgerai che la consapevolezza generale della tua miseria, unita a quella più particolare della brevità di tempo rimasto per emendarti, produrrà dentro di te un senso genuino di timore. Questa convinzione penetrerà fin nell’intimo del tuo essere, a meno che, Dio non voglia, tu ti metta a blandire con lusinghe e allettamenti di ogni tipo, gli impulsi e i desideri superficiali del cuore, così da ingannarlo con menzogne e false promesse di una vita prolungata oltre il tempo della preghiera.
Anche se in realtà è facile che tu viva più a lungo, faresti male ad assecondare questo pensiero prima di cominciare a pregare: se vi fai affidamento, inganni te stesso. Infatti la verità sulla tua vita è nascosta in Dio solo; a te non resta che accettare ciecamente la sua volontà: non puoi neanche esser certo di vivere un solo istante, la durata d’un batter di ciglio, o ancor meno.
Se dunque vuoi pregare con saggezza, secondo l’ammonimento del profeta nel salmo: «Psallite sapienter», cerca di suscitare dentro di te, fin dall’inizio, questo genuino senso di timore. Infatti, lo stesso profeta dice in un altro salmo: «Initium sapientiae est timor Domini; L’inizio della sapienza è il timore del Signore».

2. [Al timore va fatto seguire un altro atteggiamento dello spirito: la speranza. Dio accoglierà la preghiera in totale riparazione dei peccati].

La tua preghiera, però, non può basarsi solo sul timore: potresti facilmente cadere nella disperazione.
A quel primo pensiero bisogna quindi aggiungerne un altro. Devi credere fermamente che: se, per la grazia di Dio, sarai riuscito a giungere al termine della tua preghiera pronunciando parole con voce chiara e distinta, o comunque se avrai fatto tutto il possibile da parte tua, nel caso dovesse sopraggiungere la morte mentre stai pregando, Dio accetterà la tua preghiera, come completa riparazione per tutti gli atti di trascuratezza della tua vita, dall’inizio fino a quel momento.
Naturalmente do per scontato che tu abbia già fatto debita ammenda della tua vita e l’abbia quindi passata al vaglio della tua coscienza, con una regolare confessione secondo la disciplina della santa chiesa. Una preghiera fatta a questo modo, per quanto possa essere breve, sarà allora ben accetta a Dio e servirà alla tua completa salvezza, se mai dovessi morire pregando, o ad accrescere la tua perfezione, se invece dovessi restare ancora in vita.
Tale è la bontà di Dio il quale, secondo la parola del profeta, non abbandona nessuno di quanti si affidano a lui con cuore sincero e con il desiderio di convertirsi. La conversione presenta due aspetti complementari: la rinuncia al male e il compimento del bene. Per far ciò non c’è mezzo migliore dell’attività spirituale di quei due pensieri di cui ho appena parlato. Infatti, che c’è di più efficace del timore della morte, per estirpare dalla vita di un uomo la propensione per il peccato? E che cosa può infondere nell’anima maggior fervore nel compiere il bene, se non una viva speranza nella bontà misericordiosa di Dio, proprio come suggerisce il secondo pensiero?
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07/09/2013 12:52
 
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3. [La devozione, suscitata dal timore e dalla speranza, è superiore a qualunque pratica ascetica].

Quando proverai nel tuo intimo il senso della speranza, unito a quello di un giusto timore, sarà come se tu avessi un solido bastone cui appoggiarti in tutte le tue azioni di bene. Grazie a questo bastone, potrai scalare con sicurezza l’alto monte della perfezione e giungere così ad amare Dio in maniera perfetta. All’inizio, però, ci saranno ancora molte imperfezioni nella tua maniera di agire, come vedrai più avanti.
Le tue considerazioni generali sulla bontà misericordiosa di Dio, ma ancor più l’esperienza personale che ne farai, quando Dio accetterà, come ti ho già detto, un atto religioso così breve e insignificante a totale riparazione di tutto il tempo in cui ti sei dimenticato di lui, produrranno senz’altro dentro di te un grande slancio d’amore verso Dio che è così buono e misericordioso nei tuoi confronti. Ti accorgerai, nel tempo della preghiera, di aver fatto dei passi avanti in forza del bastone di speranza, se appunto avrai saputo usarlo bene secondo quanto ti ho insegnato. L’esperienza spirituale che proverai a questo punto sarà tutta racchiusa in una venerazione amorosa per Dio, originata dal timore e dallo slancio d’amore prodotto dal bastone della speranza. La venerazione, infatti, non è altro che l’unione di timore e amore, tenuti insieme dal bastone di una speranza certa.
Penso proprio che a dimostrare l’esistenza in te di queste disposizioni, sarà la devozione. Infatti, secondo s. Tommaso, il dottore, si può definire la devozione come volontà sempre pronta a compiere tutte le cose che riguardano il servizio di Dio. Ciascuno può verificare dentro di sé con quale sollecitudine la propria volontà è pronta a servire Dio. Mi pare che s. Bernardo esprima lo stesso concetto quando ci invita ad agire in tutte le cose con prontezza e con gioia. Con prontezza, per via del timore; con gioia, per via della speranza e dell’affettuosa fiducia nella misericordia di Dio.
Ti dico sinceramente che io preferirei senz’altro avere la ricompensa di chi persiste con tenacia in un simile esercizio, anche se non avesse mai praticato altre penitenze corporali all’infuori di quelle prescritte dalla santa chiesa, piuttosto che ottenere il premio di quanti, dall’inizio del mondo fino ai giorni nostri, hanno fatto ogni genere di mortificazioni senza provare però i sentimenti di cui sto parlando. Non che ci sia gran merito nel semplice fatto di possedere i due atteggiamenti del timore e della speranza. Quel che vale è l’atto di adorazione amorosa di cui queste virtù sono il miglior stimolo, almeno per quanto concerne la parte dell’uomo. È un atto che ha valore di per se stesso, e non deve essere necessariamente accompagnato da nessun’altra pratica, quale il digiuno, le veglie, il vestir di sacco e via di questo passo. A Dio onnipotente piace così com’è: basta da solo a meritare la sua ricompensa. Nessuno può sperare di ricevere il premio da Dio senza quest’atto di devozione; inoltre, è dalla sua intensità che dipende la grandezza del merito. Chi lo sente con più forza, otterrà una ricompensa maggiore; chi lo sente meno intensamente, avrà una ricompensa minore. Le altre pratiche, quali il digiuno, le veglie, il vestir di sacco, e tutte le penitenze del genere, sono meritevoli nella misura in cui aiutano a raggiungere la devozione, se no non hanno nessun valore. È invece possibile che quest’atto da solo sia pienamente sufficiente senza tutte quelle penitenze; e in effetti moltissimi riescono a possederlo con pieno merito, senza aver fatto ricorso a pratiche corporali.
Come vedi, il mio intento è quello di far sì che tu possa giudicare e apprezzare tutte le cose secondo il loro valore: le meno importanti come meno importanti, le più meritorie come tali. L’ignoranza è spesso causa di molti errori. Capita così che gli uomini stimino e apprezzino di più le mortificazioni corporali, come il digiunare, il vegliare, il vestir di sacco e altre simili, che non l’esercizio spirituale delle virtù o di quell’adorazione piena d’amore di cui ho parlato prima.
Proprio per sottolinearne l’importanza e il merito, intendo soffermarmi ancora un poco sull’argomento, così che tu possa saperne di più.
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07/09/2013 12:52
 
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4. [Il paragone dell’albero: le radici indicano il timore, il tronco e i rami la speranza, i frutti sono costituiti dall’amore casto]

L’insieme degli atti che concorrono a suscitare l’adorazione amorosa, in particolare i due pensieri del timore e della speranza, si può paragonare a un albero carico di frutti. Di quest’albero, il timore è la parte che sta sotto terra, la radice; la speranza è la parte che si eleva da terra, il tronco con i rami. In quanto stabile e sicura, la speranza è come il tronco; in quanto incita gli uomini versò opere d’amore, è simboleggiata dai rami. Invece il frutto è sempre un sentimento di amore misto a venerazione. Finché il frutto resta attaccato all’albero, conserva sempre quel verde sapore di aspro che viene dalla pianta. Ma passato un poco di tempo da quando è stato colto, e giunto a piena maturazione, perde tutto il sapore della pianta. Da nutrimento per servi qual era, prima, diventa ora un cibo degno d’un re.
È a questo punto che l’adorazione amorosa si rivela così meritevole come ho già detto. Perciò preparati a staccare il frutto dall’albero e a offrirlo, separato da tutto, all’altissimo Re dei Cieli. Allora a buona ragione sarai chiamato vero figlio di Dio, perché lo amerai di un amore casto, per quel che egli è, e non per i suoi benefici. Mi spiego meglio: gli innumerevoli benefici che Dio onnipotente nella sua bontà del tutto gratuita ha elargito a ciascuna anima in questa vita, sono motivi più che sufficienti per amarlo con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutte le forze. Supponiamo, anche se è assolutamente impossibile, che un’anima abbia la potenza, la bontà e l’intelligenza di tutti gli. angeli e i santi del cielo messi insieme, e che questi doni non li abbia ricevuti da Dio o che non abbia mai avuto modo di gustare in questa vita la sua benevolenza: quest’anima, se solo vedesse quanto è amabile Dio in se stesso, sarebbe rapita d’amore al di là delle sue forze, fino al punto che il suo cuore si spezzerebbe: tanto Dio in se stesso è bello e attraente, buono e splendido.

5. [L’amore casto ama Dio per se stesso e non per qualsivoglia altra considerazione].

Com’è meraviglioso e sublime l’amore di Dio, per parlarne! Non c’è lingua così perfetta che possa farne comprendere la minima parte, se non usando supposizioni impossibili, al di là della nostra portata. È a un simile amore che faccio riferimento quando esorto ad amare Dio di un amore casto, per quel che egli è, e non per i suoi benefici. Io, non dico (anche se sarebbe già buona cosa) di amarlo molto per i suoi benefici, e infinitamente di più per se stesso. Se dovessi esprimere in maniera più elevata cosa intendo per perfezione e merito di quella adorazione d’amore, direi così: quando uno sente nel cuore in modo tangibile la presenza di Dio così com’è in se stesso e percepisce con la ragione il raggio luminoso della luce perenne, che è poi ancora Dio, in modo da vedere e gustare quant’è degno d’amore Dio in se stesso, in quel preciso istante l’uomo si dimentica completamente di tutti i benefici e di tutte le grazie che Dio gli ha elargito durante la sua vita. E finché dura questo stato interiore, non sente e non vede altro motivo per amare Dio se non Dio stesso.
Certo, quando si parla della perfezione comune, si può ben dire che la grande bontà e benevolenza che Dio ci mostra in questa vita sono dei motivi eccellenti e assai validi per amarlo; ma se si considera l’obiettivo della massima perfezione cui è mia intenzione condurti attraverso questo scritto, devo dire che chi ama Dio in maniera perfetta ha paura di ostacolare il cammino della perfezione, e quindi non chiede altro motivo per amare Dio, una volta raggiunta la cima della perfezione, se non Dio solo. È in questo senso che io parlo di amore casto: amare Dio per se stesso, e non per i suoi benefici.
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07/09/2013 12:53
 
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6. [L’amore casto conduce alla perfezione, mentre con l’amore imperfetto si può conseguire solo la salvezza].

Per stare all’esempio che ti ho fatto, preparati a staccare il frutto dall’albero e a offrirlo, cosa com’è, al re del cielo: allora il tuo amore sarà casto. Al contrario, finché gli offrirai il frutto acerbo ancora appeso all’albero, sei proprio simile a una donna che non è casta, perché ama suo marito per i benefici che ne trae, e non per la sua persona. Considera bene il perché di questo paragone, e vedi se non sono forse questi i veri motivi per cui servi il Signore con zelo: il timore della morte, il pensiero della brevità del tempo, la speranza di ottenere il perdono della tua pigrizia spirituale. Se è così, allora il tuo frutto è ancora verde e conserva il sapore della pianta. Anche se è bene accetto a Dio, almeno in parte, non gli può piacere perfettamente, perché il tuo amore non è ancora casto.
Il tuo amore è veramente casto quando non chiedi a Dio per la vita presente né di sollevarti dalle sofferenze, né di accrescere la tua ricompensa, né di gustare la dolcezza del suo amore. Certo, ci sono dei momenti in cui fai bene ad attendere con trepidazione qualche consolazione, quasi a rinfrescare le tue facoltà spirituali per paura che vengano meno nel cammino. Al di fuori di queste circostanze, però, non devi chiedere a Dio nient’altro che lui stesso. E non star a considerare se sei nella gioia o nel dolore: a queste cose non devi far caso, dal momento che possiedi colui che ami. Questo è l’amore casto, questo l’amore perfetto.
Preparati, dunque, a staccare il frutto dall’albero; in altri termini, separa il tuo amore adorante dai pensieri di morte e di speranza che l’hanno preceduto. In tal modo potrai offrirlo a Dio così com’è in se stesso, maturo e casto, senza che sia contaminato da nessun’altra motivazione inferiore a Dio o a lui sovrapposta, foss’anche del tutto secondaria. È da Dio e da lui solo che il tuo amore deve trarre la sua origine: allora sì avrà tanto merito, come ho già detto.
In effetti, questa è una verità ben nota a tutti gli esperti in teologia e nella scienza dell’amore di Dio: l’uomo, ogni qualvolta tende a Dio nel suo cuore senza alcun intermediario, cioè senza essere stato stimolato da nessun pensiero particolare, si guadagna la vita eterna. Un’anima che ha queste disposizioni, che offre, cioè, il frutto maturo e già colto dall’albero, può innalzarsi a Dio in qualsiasi istante senza alcun mezzo e per un numero incalcolabile di volte nel giro di un’ora: merita dunque, più di quanto io non sappia descrivere, di essere elevata alla gioia, per la grazia di questo Dio che è l’artefice principale dei suoi atti d’amore. Pertanto sta’ pronto a offrire il frutto maturo e già colto dall’albero. Tuttavia chi offre a Dio in continuazione, per quel che lo consente la fragilità umana, il frutto ancora appeso all’albero, merita senz’altro la salvezza. Ma chi offre a Dio con moto spontaneo e diretto il frutto maturo e già staccato dall’albero, costui ha raggiunto la perfezione.
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07/09/2013 12:53
 
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7. [Il matrimonio spirituale fa di Dio e dell’uomo una sola cosa].

Da quanto detto precedentemente risulta che l’albero è buono; e se io ti esorto a staccarne il frutto, è in vista di una perfezione più elevata. Ecco perché lo pianto nel tuo giardino: vorrei che tu ne raccogliessi il frutto da riservare al tuo Signore.
In altre parole, vorrei che tu imparassi questo tipo di esercizio che unisce l’anima a Dio, rendendola una sola cosa con lui nell’amore e nella conformità della volontà. Come dice s. Paolo, «Qui adhaeret Deo, unus spiritus est cum illo; Chi si avvicina a Dio», come avviene con l’amore d’adorazione, «diventa un solo spirito con lui». Anche se Dio e l’uomo sono due esseri ben distinti per natura, tuttavia sono così strettamente uniti per la grazia, da formare un solo spirito, legati come sono da un unico amore e da una medesima volontà n. È in questa unione che consiste il matrimonio spirituale tra Dio e l’anima: non c’è niente, se non il peccato mortale, che sia in grado di scioglierlo, anche se l’ardore e il fervore dell’atto d’amore possono venir meno per un certo periodo.
Mentre gusta l’esperienza spirituale di questa unione, l’anima innamorata può mettersi a dire e a cantare, se vi si sente portata, queste sante parole del Cantico dei Cantici: «Dilectus meus mihi et ego illi; Il mio diletto è per me e io per lui». Ecco come si deve intendere il matrimonio spirituale: Dio per parte sua si unisce all’anima con il legame spirituale della grazia, e da parte tua l’unione si forma con il consenso amoroso nel giubilo dello spirito.

8. [Occorre esercizio per giungere all’adorazione amorosa di Dio].

Fa’ dunque quel che ti ho proposto già all’inizio: arrampicati sull’albero fino ad arrivare al frutto, cioè all’adorazione amorosa. Sarà senz’altro alla tua portata, se ti metterai a meditare con decisione sui due pensieri che ho esposto in precedenza: la morte e la speranza, senza fingere con te stesso. Perciò, sta’ bene attento al lavoro che si va facendo nella tua anima in questo frangente. Cerca più che puoi, con l’aiuto della grazia, di assumere un atteggiamento di umiltà davanti alla grandezza di Dio, così da abituarti a esprimere quest’atto di adorazione immediatamente, e in qualsiasi momento, senza l’intervento di nessun altro pensiero.
È certamente un atto di tal genere che acquista grande merito, come ho già avuto modo di dire. E quanto più il tuo frutto resterà separato dall’albero, cioè sgombro da ogni considerazione, tanto più spesso ti sgorgherà spontaneamente dal cuore in un gioioso slancio d’amore, dritto al suo scopo; e ancora migliore sarà il suo profumo e più gradito al gran Re del Cielo. E se mai dovessi sentire dolcezza e conforto nel tuo atto d’offerta, non meravigliarti: è Dio che sta dividendo il frutto e ti sta dando una porzione del tuo stesso dono. Se invece ti sembra di compiere un lavoro troppo duro, e se devi quasi tendere il tuo corpo oltre misura, nell’aridità, senza ottenere all’inizio nessun beneficio, è la prova che il frutto ancora acerbo se ne sta attaccato all’albero o è appena stato colto: ecco perché ti rimangono allegati i denti. Tuttavia questo esercizio ti è utile; non sarebbe ragionevole pretendere di gustare la dolce mandorla senza aver prima frantumato il duro guscio e masticato l’amara scorza.
Può anche darsi che i tuoi denti, vale a dire le tue facoltà spirituali, siano troppo deboli: in tal caso ti consiglio di usare qualche stratagemma, perché «l’astuzia val più della forza bruta».
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07/09/2013 12:54
 
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9. [Importanza del timore e della speranza per raggiungere la preghiera perfetta].

C’è un altro motivo per cui ho piantato quest’albero nel tuo giardino e ti raccomando di salirci sopra. È vero che Dio può fare tutto ciò che vuole; ma, a mio modesto parere, è praticamente impossibile che un uomo riesca ad arrivare alla preghiera perfetta senza i due mezzi di cui ho parlato, o altri simili. Eppure la preghiera è perfetta quando sgorga d’improvviso e va dritta al suo scopo senza alcun intermediario. Perciò ti consiglio di fare tuoi i due pensieri che ho indicato prima: non che tu li debba considerare come tua proprietà — sarebbe un atteggiamento peccaminoso —, ma sono tuoi perché Dio per sua grazia te li ha donati, servendosi di me, indegno messaggero, per trasmetterteli. Credimi: qualsiasi pensiero ti stimoli al bene, sia che provenga interiormente dal tuo angelo custode o esteriormente da un messaggero umano, non è altro che uno strumento di grazia dato da Dio stesso, da lui scelto e inviato a operare nella tua anima.
E ora voglio spiegarti per quale motivo ti consiglio quei due pensieri a preferenza di tutti gli altri.
L’uomo è un essere composto da due sostanze: corpo e anima; ha bisogno quindi di due mezzi diversi per giungere alla perfezione. Solo alla risurrezione dell’ultimo giorno i due elementi saranno uniti nell’immortalità; ma in questa vita ciascuna delle due sostanze deve giungere alla perfezione usando un mezzo appropriato. Il timore svolge questa funzione per la parte corporea, la speranza per quella spirituale. Mi sembra che così si operi in maniera corretta e adeguata. Infatti non c’è niente che sappia strappare più rapidamente il corpo da tutti gli affetti terreni, se non il timore sensibile della morte. Analogamente, non c’è niente che possa spingere con maggior speditezza e fervore l’anima di un peccatore ad amare Dio, se non la speranza certa del perdono di tutti i suoi peccati. Ecco perché ti ho raccomandato di arrampicarti sull’albero facendo uso di questi due pensieri.

10. [Conclusione].

Ma se il tuo angelo buono, parlando nell’intimo del tuo cuore, o qualche altra persona dall’esterno ti dovesse suggerire dei pensieri che, a tuo parere, sono più adeguati alle tue disposizioni, puoi utilizzarli in tutta tranquillità e lasciar da parte, senza biasimo alcuno, quelli che ti ho proposto io. Tuttavia, per il momento e finché non ne saprà di più, resto dell’opinione che questi mezzi ti saranno molto utili e non mi sembrano affatto discordanti dalle disposizioni che ho trovato in te. Se quindi scopri che ti fanno del bene, ringrazia Dio di tutto cuore; e per amore di Dio, prega per me. Non mancare di farlo, perché sono così miserabile che tu non te lo immagini nemmeno.
A questo punto mi voglio fermare: ricevi la benedizione di Dio e la mia. Leggi e rileggi questi consigli, e non dimenticarli. Mettili in pratica con coraggio, e fuggi tutto quanto ti può ostacolare o ritardare nel cammino della perfezione. Nel nome di Gesù. Amen.
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07/09/2013 12:55
 
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LETTERA SUL DISCERNIMENTO
A Pistle of Discrecioun of Stirings
[Una lettera sul discernimento degli impulsi (dell’anima)]


1. [Quale valutazione dare e quale comportamento assumere quando ci si sente spinti ad azioni eccezionali, come il silenzio, il digiuno, la solitudine, o altre simili].

Amico spirituale in Dio, auguro a te, secondo la volontà di Dio, la stessa grazia e la stessa gioia che desidero ardentemente per me.
Mi chiedi consiglio per sapere se sia meglio tacere o parlare, mangiare normalmente o digiunare in modo rigoroso, vivere con gli altri o ritirarsi in solitudine. Mi dici che sei dubbioso sulla scelta perché, come tu affermi, se da un lato diffidi del troppo parlare, del mangiare come fa abitualmente la gente e del vivere in compagnia, dall’altro temi di esagerare praticando il silenzio, l’astinenza più assoluta e una vita del tutto solitaria, dato che questi comportamenti potrebbero spingerti ad attribuirti una santità che sei ben lontano dall’avere, e ti farebbero incorrere in molti altri pericoli.
Spesse volte, ai giorni nostri, si giudicano molto sante le persone che osservano il silenzio, una rigida astinenza e che conducono vita solitaria; tuttavia simili pratiche eccezionali espongono a molti pericoli. In verità queste persone sarebbero molto sante solo nel caso in cui il loro silenzio, il loro rigoroso digiuno e la loro vita ritirata avessero come movente la grazia, perché allora le loro sofferenze verrebbero pienamente accolte e tollerate da parte della
natura. Nel caso contrario, esse si troverebbero insidiate da ogni parte da pericoli, poiché è rischioso forzare la natura umana a compiere azioni devote quali tacere o parlare, mangiare in modo normale o digiunare rigidamente, vivere in compagnia o in solitudine.
Voglio dire che si può superare l’abituale corso della natura e mutarne l’equilibrio, soltanto se si è guidati dalla grazia. E questo vale anche per azioni indifferenti in se stesse e che possono essere a un tempo buone o cattive, utili o dannose, proficue o sfavorevoli.
Se segui il tuo impulso che ti porta a compiere azioni eccezionali e ti impegni rigorosamente al silenzio, allo stretto digiuno e alla vita ritirata, ti può accadere spesso di praticare il silenzio quando è tempo di parlare, di digiunare quando è meglio mangiare e di vivere appartato quando è preferibile stare in compagnia.
Se poi ti lasci andare a parlare quando ne hai voglia, a mangiare come fanno tutti o a vivere in compagnia, forse ti capiterà talvolta di parlare quando sarebbe meglio tacere, di mangiare al posto di digiunare e di vivere fra molta gente quando, sarebbe conveniente starsene soli. Potresti così cadere facilmente in errore e in grande confusione, non solo a danno della tua anima, ma anche di quella degli altri.
Tuttavia, per evitare simili errori mi chiedi, come apprendo dalla tua lettera, due cose: anzitutto di conoscere l’opinione che ho di te e delle tue inclinazioni; e in secondo luogo, qual è il mio consiglio su questo caso specifico e su altri che potrebbero presentarsi in futuro.

2. [L’uomo giunge alla conoscenza di se stesso solo passando attraverso prove e tribolazioni. Ciò gli ottiene la corona della vita, consistente nella sapienza, nel discernimento e nella perfezione della virtù, che è la carità].

Riguardo alla prima domanda, rispondo che temo molto nel darti il mio sia pur modesto parere su questo argomento e altri simili. E ciò per due ragioni. La prima, perché non oso affidarmi al mio giudizio e affermare che sia solido e verace; la seconda, perché non mi sono ancora del tutto note le tue disposizioni interiori e la tua capacità di compiere le cose di cui parli nella lettera. Sarebbe invece opportuno che io le conoscessi bene, se debbo darti un saggio consiglio in proposito. Infatti dice l’Apostolo: «Nemo novit quae sunt hominis, nisi spiritus hominis qui in ipso est; Nessun uomo conosce quali siano le intime disposizioni di un uomo, fuorché lo spirito che è in lui».
Forse neppure tu conosci ancora completamente le tue intime inclinazioni, come le conoscerai in seguito, quando Dio te le manifesterà per mezzo delle prove, fra molte cadute e riprese.
Finora non ho mai conosciuto un peccatore che sia potuto giungere alla perfetta conoscenza di se stesso e delle sue intime inclinazioni, senza essere stato ammaestrato alla scuola di Dio, attraverso l’esperienza di molte tentazioni, con frequenti cadute e continue riprese.
Come una piccola nave raggiunge la terra ed entra nel porto dopo aver navigato, ora fra onde, marosi e tempeste, ora incontrando venti favorevoli, bonaccia tiepide aure, similmente l’inerme anima umana subisce molteplici tentazioni e prove che costituiscono il suo retaggio durante le traversie della vita (esemplificate dalle onde, dai marosi e dalle tempeste), ma è anche visitata dalla grazia e dalla bontà dello Spirito santo, e gusta numerose ispirazioni, dolcezze e consolazioni (rappresentate dai venti favorevoli e dalle tiepide aure), e può così giungere finalmente, come la nave, alla terra della stabilità e al porto della salvezza.
Qui l’uomo perviene alla chiara e vera conoscenza di se stesso e di tutte le sue intime inclinazioni.
Grazie a questa conoscenza, l’uomo se ne sta seduto tranquillamente in se stesso, come un re incoronato nel suo regno, ed è in grado di governare con forza, saggezza e bontà se stesso, i suoi pensieri e gli impulsi sia del corpo che dello spirito.
Ecco ciò che il saggio dice di quest’uomo: «Beatus vir qui suffert tentationem, quoniam cum probatus fuerit, accipiet coronam vitae, quam repromisit Deus diligentibus se; Beato l’uomo che sopporta, penando, la tentazione, perché, dopo essere stato provato, riceverà la corona della vita, promessa da Dio a coloro che lo amano».
La corona della vita può essere definita in due modi. Anzitutto come sapienza divina, pienezza di discernimento e perfezione di virtù. Queste tre qualità unite insieme possono venir chiamate corona della vita, che la grazia ci può ottenere già su questa terra.
La corona della vita può anche essere definita in altro modo, come la gioia senza fine che ogni anima fedele proverà, dopo questa vita, nella beatitudine celeste.
Naturalmente l’uomo non potrà ottenere nessuna di queste due corone, se non sarà stato prima molto provato da sofferenze e tribolazioni, come afferma il testo: «Quoniam cum probatus fuerit, accipiet coronam vitae; Poiché è stato messo alla prova, riceverà la corona della vita». In altri termini, come ho già detto, se un peccatore non è stato provato da molteplici tentazioni, ora rialzandosi, ora cadendo (cadendo per debolezza e rialzandosi in virtù della grazia), non potrà mai ricevere da Dio in questa vita la sapienza spirituale che gli permetta di raggiungere la chiara conoscenza di se stesso e delle sue inclinazioni interiori, né il pieno discernimento per consigliare e insegnare ad altri, e neppure la terza qualità, che è la perfezione della virtù: l’amore verso Dio e verso i fratelli.
Queste tre qualità: sapienza, discernimento e perfezione della virtù, costituiscono un tutt’uno e possono essere chiamate la corona della vita.

 

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07/09/2013 12:55
 
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3. [Descrizione della corona della vita, che l’uomo può conseguire sia nell’esistenza presente come in quella futura].

In una corona si trovano tre cose: l’oro è la prima, la seconda è costituita dalle pietre preziose e la terza è data dalle torrette di fiordaliso che s’innalzano sopra la testa. L’oro simboleggia la sapienza, le pietre preziose il discernimento e con le torrette di fiordaliso io intendo la perfezione della virtù.
Come l’oro circonda il capo, così con la sapienza governiamo da ogni parte il nostro lavoro spirituale. Le pietre preziose brillano agli occhi degli uomini: con il discernimento insegniamo ai nostri fratelli e consigliamo. Le torrette di fiordaliso portano due rami laterali che si stendono uno a destra e l’altro a sinistra; c’è anche un terzo ramo che s’innalza al di sopra del capo. Analogamente la virtù perfetta, cioè la carità, ha due diramazioni laterali di amore, che si espandono una a destra verso i nostri amici e una a sinistra verso i nostri nemici. C’è infine la diramazione che volge in alto verso Dio, al di sopra dell’intelletto umano. Essa rappresenta la parte più eccelsa dell’anima.
Questa è la corona della vita che si può ottenere, per mezzo della grazia, già nel tempo presente. Perciò comportati con umiltà durante la battaglia e sopporta docilmente le tentazioni fino al momento in cui la prova sarà finita. Allora potrai ricevere l’una o l’altra delle corone o ambedue: una quaggiù e l’altra lassù; infatti chi possiede già la prima in questo mondo, può essere sicurissimo di conseguire la seconda nell’altro. Sono molti coloro che la grazia sottopone quaggiù a numerose prove e ciò nonostante non arrivano mai a possedere la corona in questa vita. Però se essi continueranno a soffrire pazientemente, compiendo il volere di nostro Signore, saranno pienamente Sdegni di ricevere la corona lassù, nell’immensa beatitudine del cielo.
Se pensi sia bella la corona che può essere guadagnata quaggiù, comportati, con l’aiuto della grazia, con la maggior docilità possibile, dal momento che se paragoni questa corona a quella di lassù, è come se tu mettessi a confronto un gioiello con una miniera d’oro.
Dico tutto questo perché ti sia di consolazione e ti sostenga nella battaglia spirituale che hai intrapreso fidando in nostro Signore. Con ciò voglio inoltre mostrarti quanto tu sia ancora lontano dalla vera conoscenza delle tue inclinazioni interiori, e ammonirti a non accondiscendere precipitosamente e a non seguire gli impulsi del tuo giovane cuore verso pratiche eccezionali, impulsi che potrebbero risultare ingannevoli.

4. [Il desiderio di pratiche eccezionali va umilmente vagliato attraverso il distacco da se stessi, la preghiera e il consiglio di una guida spirituale].

Intendo in tal modo manifestarti quale opinione ho di te e delle tue inclinazioni, e rispondere così alla tua domanda.
Penso che tu sia non solo molto capace, ma anche parecchio incline a cogliere i subitanei impulsi che ti spingono a pratiche eccezionali, e ritengo che tu vi aderisca con trasporto, una volta che li hai accolti. Ma ciò è assai rischioso. Non dico che, per quanto pericolose, l’abilità e la bramosa disposizione che sono in te o in qualche altra persona che condivide il tuo orientamento, debbano essere cattive in se stesse. Non è quanto intendo affermare, e Dio non voglia che tu abbia a interpretare le mie parole in questo senso. Ti dico al contrario che si tratta di cose buone in sé e atte a portare a grande perfezione, anzi alla più alta perfezione raggiungibile in questa vita, a patto però che l’anima così disposta si impegni a umiliarsi continuamente, notte e giorno, davanti a Dio e a un saggio direttore spirituale. L’anima deve risolutamente contrapporsi a se stessa e martirizzarsi, rinunciando ai propri desideri e vincendo la propria volontà senza cedere a impulsi subitanei verso pratiche eccezionali.
Dichiarerà fermamente di non voler seguire. tali inclinazioni, per quanto possano sembrare piacevoli, nobili e sante, senza aver ricevuto la testimonianza e l’approvazione di maestri spirituali che abbiano una lunga esperienza delle vie straordinarie. Continuando a vivere in questo atteggiamento di umiltà interiore, l’anima, in forza della grazia e dell’esperienza acquisita nella battaglia spirituale contro se stessa, potrà meritare di raggiungere la corona della vita di cui ho fatto menzione precedentemente.
Mentre grande è la capacità di bene nell’anima che si trova in una simile disposizione di umiltà, altrettanto pericolosa è invece la condizione di un’anima che vuol seguire di colpo, senza prendere consiglio, le inclinazioni impulsive del cuore, facendo assegnamento sulla propria intelligenza e sulla propria volontà.
Guardati quindi, per amor di Dio, da questa capacità e da questa disposizione, se le riscontri in te. Umiliati continuamente nella preghiera, accettando gli ammaestramenti che ti vengono dati. Spezza la tua intelligenza e la tua volontà davanti agli impulsi improvvisi del cuore, e non seguirli con leggerezza, se non ti sei prima accertato della loro provenienza e della loro utilità.
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07/09/2013 12:56
 
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5. [Bisogna evitare di comportarsi come le scimmie, che agiscono solo in base a quello che vedono fare dagli altri].

Riguardo alle ispirazioni sulle quali chiedi la mia opinione e il mio consiglio, devo dirti che le considero con diffidenza, perché mi sembra si tratti di qualcosa di molto simile al comportamento delle scimmie. Si dice comunemente che la scimmia fa ciò che vede fare dagli altri. Ti prego di perdonarmi se la mia diffidenza mi dovesse indurre in errore, ma l’amore che nutro per la tua anima mi spinge a parlarti, per mia personale conoscenza, di un fratello spirituale tuo e mio, che un tempo abitava dalle tue parti. Egli si sentiva eccitato dagli stessi impulsi di rigoroso silenzio, di rigido digiuno, di vita completamente ritirata. Ma si stava comportando alla maniera di una scimmia, come mi assicurò dopo lunghe conversazioni e dopo aver esaminato se stesso e le sue ispirazioni. Mi aveva infatti riferito di aver visto un uomo del tuo paese che, come è noto a tutti, pratica sempre un rigoroso silenzio, un rigido digiuno e una vita solitaria. Certo, posso ben supporre che le ispirazioni di quell’uomo siano autentiche, frutto soltanto della grazia che egli sente per esperienza nel suo intimo, e non semplicemente perché ha visto o sentito parlare, dall’esterno, della vita ritirata di qualcuno. Se fosse questo il movente, io parlerei, a mio umile avviso, di imitazione scimmiesca.
Perciò sta’ attento e verifica bene i tuoi impulsi e la loto provenienza, per poter distinguere, quando li provi, se vengono dall’interno, come frutto della grazia, o dall’esterno, alla maniera delle scimmie. Dio solo sa questo, non io. Posso dirti tuttavia, perché tu abbia a evitare un pericolo del genere, di non fare come le scimmie. Fa’ in modo che qualsiasi impulso ti porti a tacere o a parlare, a digiunare o a mangiare, a vivere in solitudine o in compagnia, venga dal di dentro, per sovrabbondanza di amore e di devozione spirituale, e non dal di fuori, attraverso le finestre della mente umana quali sono le orecchie e gli occhi. Poiché, come dice chiaramente Geremia, da queste finestre entra la morte: «Mors intrat per fenestras».
E questo, per quanto sia poco, è sufficiente come risposta alla prima domanda che mi hai rivolto: quale sia, in altri termini, la mia opinione su di te e sugli impulsi di cui mi parli nella tua lettera.

6. [Passa a rispondere alla seconda domanda: di fronte alla scelta fra realtà opposte, regola suprema è la libertà di Cristo, non l’inclinazione naturale].

Riguardo alla seconda domanda, ossia alla richiesta di consigli in questo caso e in altri che si presentassero, io scongiuro Gesù onnipotente, chiamato a ragione l’Angelo del gran consiglio, perché, nella sua misericordia, sia lui tuo consigliere e tuo consolatore in tutte le afflizioni e in ogni tua necessità. Mi guidi con la sua sapienza, perché possa ripagare la fiducia del tuo cuore con miei ammaestramenti, per quanto semplici siano. Tu mi hai preferito a tanti altri, ignorante e misero quale sono, incapace di insegnare a te e a qualunque altra persona, per la pochezza della grazia e l’insufficienza del sapere.
Pur essendo così ignorante, devo tuttavia affermare, in risposta al tuo desiderio, che nonostante la mia poca dottrina confido in Dio, perché la sua grazia abbia a essere maestra e guida là dove i lumi naturali o la scienza vengono meno.
Sai bene anche tu che, presi nel loro insieme o considerati singolarmente, il silenzio o il parlare, il rigido digiuno o il normale nutrimento, la solitudine e la compagnia, non possono in quanto tali rappresentare il vero fine dei nostri desideri.
Per alcuni uomini però, non per tutti, si tratta di mezzi che aiutano a raggiungere il fine, quando vengono praticati con disciplina e con discernimento. Nel caso contrario, sono più di ostacolo che di aiuto.
Non ti consiglio quindi, per il momento, né di parlare molto né di far assoluto silenzio, né di mangiare abbondantemente, né di digiunare nel modo più completo, né di stare sempre in compagnia né di vivere in totale solitudine, dato che la perfezione non risiede in queste cose.
Posso però darti un consiglio che seguirai, in generale, quando proverai questi impulsi e in tutti gli altri casi analoghi. Ti avverrà talvolta di trovarti davanti al dilemma di due ispirazioni contrarie, come sono il silenzio e il conversare, il digiuno e il mangiare, la vita solitaria e quella in compagnia, il vestire comune dei cristiani e l’indossare abiti strani, tipici delle diverse e più disparate confraternite. Ricorda che queste ispirazioni, e tutte le altre che alla stessa maniera si contrappongono fra di loro, non sono in se stesse che opera della natura e dell’uomo. È per inclinazione naturale e per esigenza del tuo uomo esteriore che sei portato ora a parlare e ora a tacere, ora a mangiare e ora a digiunare, ora a vivere in compagnia e ora in solitudine, ora a vestire come tutti e ora a indossare abiti diversi.
Tu porgi ascolto a queste sollecitazioni, quando percepisci che uno di questi impulsi può esserti vantaggioso e di aiuto nel tener viva la grazia celeste che lavora in te.
Ma può anche accadere, Dio non voglia, che tu o chiunque altro, siate così ignoranti e così accecati dalle perverse tentazioni del dèmone meridiano, da impegnarvi con assurdi voti (non mi riferisco, naturalmente, ai voti solenni della nostra santa religione) a compiere quelle stranezze che, sotto apparenza di santità, consistente in una sottomissione falsamente devota, conducono in definitiva alla completa distruzione della libertà di Cristo.
La libertà di Cristo è l’abito spirituale dell’eccelsa santità che si può ottenere in questa vita o nell’altra. O, se vogliamo esprimerci con le parole di s. Paolo: «Ubi Spiritus Domini, ibi libertas; Dove c’è lo Spirito di Dio, c’è libertà».
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07/09/2013 12:56
 
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. [Fra due cose opposte, va scelta la realtà che si trova nascosta in mezzo: Dio. Ciò non può essere compiuto dalla ragione, ma dall’amore].

Quando vedi che tutte queste opere possono avere, nella loro attuazione pratica, un duplice effetto ed essere buone o cattive, ti prego, desisti dal compierle; cosa che non ti sarà difficile fare, se sarai umile. E lascia perdere la curiosa speculazione e la ricerca della tua mente intenta a comprendere quale sia la scelta migliore.
Ti consiglio di comportarti in questo modo: poni una di queste azioni da un lato e la sua contraria dal lato opposto, e scegli per te la cosa che si trova nascosta nel mezzo. Quando la possederai, essa ti permetterà di seguire o non seguire in libertà di spirito l’una o l’altra, secondo la tua inclinazione e senza alcun biasimo.
Ma ora mi chiederai quale sia questa cosa. Ti dirò che cosa penso che sia: è Dio.
È per lui che devi essere silenzioso, se devi essere silenzioso; per lui devi parlare, se devi parlare; per lui devi digiunare, se devi digiunare; per lui devi mangiare, se devi mangiare; per lui devi essere solo, se devi essere solo; per lui devi essere in compagnia, se devi essere in compagnia, e così via per tutte le altre azioni, quali che siano.
Poiché il silenzio non è Dio, né lo è il conversare; il digiunare non è Dio, né lo è il mangiare; la solitudine non è Dio, né lo è la compagnia, e neppure tutte le altre azioni suscettibili di un’azione contraria.
Egli è nascosto fra di esse e non lo si può trovare per mezzo di nessuna attività della tua anima, ma unicamente per mezzo dell’amore del tuo cuore. La ragione non può conoscerlo, il pensiero non può abbracciarlo, né l’intelletto può definirlo. Dio può però essere amato e scelto dalla volontà sinceramente amorosa del tuo cuore.
Scegli lui e sarai silenzioso parlando e parlando silenzioso, digiunerai mangiando e mangiando digiunerai, e così via per tutte le altre azioni.
Tale amorosa scelta di Dio, saggiamente compiuta nell’abbandono di ogni altra realtà e nella ricerca di lui, comporta la costante volontà di un cuore puro, capace di andare oltre alla scelta fra due azioni contrarie, quando essa si presenta e si propone come scopo supremo della nostra considerazione spirituale. Questa capacità di scelta è la migliore che si possa ottenere o apprendere in questa vita per ricercare e scoprire Dio, da parte, s’intende, di un’anima che brami essere contemplativa.
Tutto ciò che un’anima cerca in questo modo non è però visibile e non può essere compreso dall’occhio spirituale della ragione. Ma se Dio è il tuo amore e la tua sola preoccupazione, l’aspirazione più alta e il fine del tuo cuore, ti deve bastare in questa vita, anche se non vedrai niente altro di lui con gli occhi della ragione in tutto il tempo della tua esistenza terrena.
Questa cieca ferita prodotta dalla freccia acuminata di un ardente amore non fallirà mai lo scopo che è Dio, come dice egli stesso nel Libro dell’amore, quando si rivolge a un’anima appassionata e piena di amore: «Vulnerasti cor meum, soror mea, amica mea et sponsa mea; vulnerasti cor meum in uno oculorum tuorum; Hai ferito il mio cuore, sorella mia, mia diletta e mia sposa; hai ferito il mio cuore con uno dei tuoi occhi».
Due sono gli occhi dell’anima: ragione e amore.
Per mezzo della ragione possiamo comprendere quinto egli sia potente, sapiente e buono in tutte le sue creature, ma non in se stesso. Però, ogniqualvolta la ragione vien meno, allora eccita il tuo desiderio, ama, vivi e impara a esercitare l’amore, perché è per mezzo dell’amore che noi possiamo percepire Dio, trovarlo e raggiungerlo come è in se stesso.
È un occhio prodigioso questo amore, se nostro Signore ha detto di un’anima ricca di amore: «Tu hai ferito il mio cuore con uno dei tuoi occhi». Ciò significa che l’amore di cui stiamo parlando è cieco rispetto a molte cose: vede solo quell’unica cosa che cerca. Di conseguenza trova e percepisce, coglie e raggiunge lo scopo supremo a cui tende, molto più velocemente di quanto non farebbe se posasse lo sguardo su molteplici oggetti come fa la ragione, che esamina e confronta tra loro tante realtà diverse, quali il silenzio e la conversazione, il rigido digiuno e il normale nutrimento, la solitudine e la vita in società, e molte altre azioni simili, allo scopo-di stabilire quale sia la migliore.
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07/09/2013 12:57
 
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8. [Il contemplativo, sull’esempio di Maria di Betania, va oltre il bene e il meglio e sceglie sempre l’ottimo].

Sia questo il tuo modo di comportarti, te ne prego. Agisci come se tu non fossi al corrente dell’esistenza di altri mezzi (voglio dire altri mezzi stabiliti per avvicinarsi a Dio), poiché, in verità, non ne esiste un altro se vuoi essere vero contemplativo e raggiungere rapidamente il tuo scopo. Perciò prego te, e quanti si trovano nella tua stessa situazione, con le parole dell’Apostolo: «Videte vocationem vestram, et in ea vocatione qua vocati estis, state; Esaminate la vostra vocazione e a quella vocazione cui siete stati chiamati, rimanete tenacemente fedeli» in nome di Gesù.
La tua vocazione è di essere autenticamente contemplativo, seguendo l’esempio di Maria, sorella di Marta. Agisci dunque come fece Maria. Fissa come meta del tuo cuore una sola cosa: «Porro unum necessarium; Poiché una sola cosa è necessaria», e questa cosa è Dio.
È lui che tu devi possedere, lui che cerchi, lui che desideri e intendi, gustare, lui che vuoi ti tenga accanto a sé. Non è dunque il silenzio che t’importa, né il parlare, il rigido digiuno o il nutrimento comune, la solitudine o il vivere in compagnia.
È bene talvolta praticare il silenzio, ma in quello stesso momento si farebbe meglio a parlare, e per contro, è bene parlare, ma il silenzio in quell’istante sarebbe migliore, e così via per tutte le altre azioni, come il digiunare, il nutrirsi, il vivere solitari o in compagnia.
A volte, infatti, una di queste azioni è buona, ma la sua contraria può essere preferibile; però nessuna di esse è la migliore in assoluto. Lascia che sia bene tutto ciò è che bene, e meglio tutto ciò che è meglio, perché ambedue verranno meno e avranno una fine.
Scegli con Maria, tuo modello, l’ottima parte che non verrà mai meno. «Maria — inquit Optimus — optimam partem elegit, quae non auferetur ab ea». L’Ottimo è Gesù onnipotente, il quale disse che Maria, a esempio di tutte le anime contemplative, aveva scelto l’ottima parte che non le sarebbe mai stata tolta. Ti prego, dunque, di tralasciare, come fece Maria, il bene e il meglio, per scegliere l’ottima parte. Non ti curare di queste cose: il silenzio e il parlare, il digiuno e il mangiare, la solitudine e la compagnia, e altre azioni del genere; non è su di esse che devi fissare la tua attenzione.
Tu non sai quale sia il loro significato e ti scongiuro di non cercare di conoscerlo. Se in qualche momento ti capiterà di pensarci o di parlarne, rifletti allora e di’ che si tratta di cosa troppo elevata e degna di tanta perfezione il sapere come parlare o tacere, in qual modo digiunare o nutrirsi, come vivere soli o in compagnia, e che sarebbe pura follia e sciocca presunzione da parte di un misero mortale quale sei tu, l’immischiarsi in una perfezione così grande.
Infatti possiamo sempre, ogni volta che lo vogliamo, parlare o tacere, mangiare o digiunare, essere solitari o in compagnia, perché queste azioni sono proprie della natura; ma conoscere il giusto modo di compierle è soltanto merito della grazia.
Senza dubbio non si può ottenere tale grazia con qualche semplice mezzo quale può essere l’assoluto silenzio, il rigido digiuno o l’abitare in solitudine cui tu accenni: tali azioni nascono dal di fuori, in seguito all’aver udito o visto persone che hanno compiuto simili opere eccezionali. Per ottenere una grazia del genere, è necessario che tu sia istruito interiormente da Dio, dopo aver a lungo riposto in lui il tuo desiderio e tutto l’amore del tuo cuore. Devi inoltre allontanare completamente dalla tua anima ogni considerazione spirituale o qualunque altro punto di vista inferiore a Dio, anche se tutte queste cose che ti ordino di evitare, possono parere agli occhi di qualcuno mezzi lodevoli per raggiungere Dio.
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07/09/2013 12:57
 
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9. [Il vero criterio di ogni discernimento è il devoto impulso di un incessante amore, che induce sempre a scegliere Dio].

Lascia che gli uomini dicano quello che vogliono. Tu, però, agisci secondo il mio consiglio: l’esperienza testimonierà in mio favore.
A colui che vuole conseguire rapidamente il proprio fine spirituale basta un solo mezzo e non gli occorre altro: egli deve rivolgere consapevolmente il proprio pensiero soltanto verso la Bontà divina, con un devoto impulso di incessante amore. E questo perché l’unico mezzo per raggiungere Dio è Dio stesso.
Se conserverai gelosamente l’impulso d’amore che la grazia ti fa sentire nel cuore e non disperderai il tuo sguardo spirituale, sarà questo stesso amore che ti indicherà quando dovrai parlare e quando tacere, e ti assisterà infondendoti discernimento e assicurandoti di non sbagliare durante tutta la tua vita. Esso ti insegnerà interiormente quando dovrai intraprendere o abbandonare le suddette azioni proprie della nostra natura umana, e lo farà con grande e supremo discernimento.
Se per virtù della grazia potrai fare di quest’amore un’abitudine di vita e tenerlo in costante esercizio, allora, quando ti sarà necessario e utile parlare, mangiare in modo normale, rimanere in compagnia o compiere qualsiasi altra azione abituale per un cristiano o propria della natura umana, esso ti spingerà molto soavemente a parlare e a fare qualunque altra cosa del genere.
Ma se non segui l’impulso dell’amore, esso ti colpirà in modo doloroso, come se tu fossi ferito al cuore, e ti farà soffrire e non ti darà riposo fino a quando non lo asseconderai.
Allo stesso modo, se stai parlando mentre ti è più utile tacere, o se stai facendo qualunque altra azione cui abbiamo accennato, mentre sarebbe più conveniente per te fare il contrario: come vivere in solitudine invece che in società, digiunare invece di nutrirsi normalmente, e altre azioni che si possono considerare di eccezionale santità, sarà l’impulso dell’amore che ti spingerà a compierle.
Per mezzo dell’esperienza di questo cieco impulso d’amore per Dio, un’anima contemplativa raggiunge la grazia del discernimento che le insegna a parlare o a praticare il silenzio, a mangiare o a digiunare, a vivere in compagnia o a ritirarsi in solitudine, e così via, e ciò in tempo molto più breve che se compisse quelle azioni straordinarie di cui tu parli, obbedendo cioè agli impulsi della mente umana e alla sua volontà interiore, o comportandosi in modo da imitare le azioni esteriori di qualsiasi altro uomo.
Dal momento che tali azioni forzate dipendono dagli impulsi della natura e non hanno il tocco della grazia, procurano un eccessivo dolore, privo di ogni utilità spirituale. Se si tratta però di anime religiose o di persone cui simili opere sono state ingiunte a titolo di penitenza, allora si che sono benefiche, e il profitto che ne deriva nasce esclusivamente dall’obbedienza e non dallo sforzo di un’azione esteriore che risulterà sempre penosa per tutti. Al contrario, lo struggente desiderio di voler amare Dio costituisce la grande e suprema tranquillità, la vera pace spirituale e la primizia del riposo senza fine.
Perciò parla quando vuoi e smetti quando vuoi, mangia quando vuoi e digiuna quando vuoi, sta’ in compagnia quando vuoi e vivi in solitudine quando vuoi, purché Dio e la grazia siano tua guida.
Digiuni chi intende digiunare, viva solitario chi lo vuole, pratichi il silenzio chi lo desidera, ma, da parte tua, mantieniti fedele a Dio che non inganna. Tutto il resto può ingannarti: il silenzio e il parlare, la solitudine e la compagnia, il digiuno e il mangiare.
Se senti dire di qualcuno che parla o di qualcuno che osserva il silenzio, di qualcuno che si nutre normalmente o di qualcuno che digiuna, di qualcuno che ama la compagnia oppure vive solitario, pensa e afferma pure, se vuoi, che si tratta di persone ben consapevoli di ciò che fanno, a meno che non ti risulti il contrario. Ma evita di scimmiottare la condotta di queste persone: non saresti in grado di farlo per ora, e forse non hai nemmeno le loro stesse inclinazioni. Guardati perciò dall’agire secondo le attitudini degli altri e agisci secondo le tue, se riesci a conoscere quali siano. E fino a che non sei in grado di conoscerle, attieniti al consiglio degli uomini che conoscono le proprie inclinazioni, senza per questo imitarli nel loro comportamento. Solo i consigli di queste persone ti possono essere utili in simili casi.
Ritengo che quanto ho esposto sia sufficiente come risposta alla tua lettera.
La grazia di Dio sia sempre con te, nel nome di Gesù. Amen.


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07/09/2013 12:58
 
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LETTERA DI DIREZIONE SPIRITUALE

The book of priue counseling
[Il libro del consiglio privato]


[Prologo]

Amico spirituale in Dio, questo scritto ha come tema le occupazioni interiori che più si confanno, a mio parere, alle tue intime disposizioni; perciò questa volta mi rivolgo a te in particolare, e non a tutti quanti dovessero venire a conoscenza della mia lettera. Se avessi intenzione di scrivere per tutti, dovrei per forza di cose trattare un argomento di carattere generale. Ma siccome ora sto scrivendo per te in particolare, mi limiterò a quelle cose che mi sembrano più convenienti nel tuo caso e meglio rispondenti al tuo stato attuale. Se altri si troveranno nelle tue stesse disposizioni d’animo e trarranno profitto da questo mio scritto, meglio così; ne avrò veramente piacere. Tuttavia, in questo momento al centro della mia attenzione ci sta unicamente la tua situazione personale, per quel tanto che riesco a intuirla. È dunque a te, e a tutti quanti si trovano nelle tue stesse condizioni, che io rivolgo i miei consigli.

1. [La preghiera contemplativa è la nuda e oscura percezione dell’essere di Dio come scaturigine del nostro essere, considerato non in modo discorsivo, ma intuitivo].

Quando vuoi raccoglierti nel profondo del tuo essere, non preoccuparti di quel che farai dopo. Lascia da parte tutti i pensieri, buoni o cattivi che siano; e cerca di non pregare con la bocca, a meno che ti senta portato a farlo. In tal caso, non darti pensiero per la quantità delle parole da usare e non dare importanza al nome o al significato da attribuire alla tua preghiera: si tratti di orazione, salmo, inno o antifona, o di qualsiasi altra preghiera, comunitaria o personale, mentale (formulata cioè interiormente nel pensiero) o vocale (pronunciata all’esterno con parole), per te fa lo stesso.
Fa’ in modo che non rimanga niente nella tua mente se non questa sola occupazione: un nudo anelito di raggiungere Dio. Nudo, perché non deve essere rivestito da alcun pensiero particolare su come Dio è in se stesso o nelle sue opere: importa solo il fatto che egli è quel che è. Cerca di considerare Dio in questa maniera, te ne prego, e non voler fare altrimenti. Non continuare a indagare sul suo conto con sottili ricerche dell’intelletto. Questa fede sia il fondamento del tuo lavoro.
Questo nudo anelito, che poggia saldamente su una fede sincera, lo devi concepire e sentir dentro come un semplice riconoscimento e una cieca accettazione del tuo stesso essere. È come se dicessi a Dio nel tuo intimo: «Quel che sono, o Signore, io te lo offro. Non intendo considerare nessuna qualità del tuo essere, ma solo il fatto che tu sei quel che sei, e niente più».
Quest’umile oscurità deve riflettersi anche sul tuo essere e occupare in pieno la tua mente. Non metterti a pensare a te stesso più di quanto tu non debba fare con Dio, così da diventare una sola cosa con lui in spirito, senza dispersione né distinzione. Infatti, è lui il tuo essere, e in lui sei quel che sei: non solo perché egli è la causa e l’essere di tutte le cose, ma anche perché costituisce la causa e l’essere del tuo stesso essere. Perciò in questo lavoro pensa a Dio esattamente come pensi a te stesso, e a te stesso come pensi a Dio: egli è quel che è, e tu sei quel che sei. In questo modo il tuo pensiero non resterà disperso e diviso, ma unificato in lui che è il tutto.
È necessario però salvaguardare sempre questa differenza tra te e lui: egli è il tuo essere, ma tu non sei il suo. Tutte le cose sono in lui quanto alla causa e all’essere, ed egli è in tutte le cose causa ed essere; ma quanto a lui, è solo in se stesso che trova la propria causa e il proprio essere. E come non c’è niente che possa essere senza di lui, così anch’egli non può essere senza di sé. Egli è l’essere di se stesso e di tutte le cose. E proprio in quanto è distinto da tutte le altre cose, costituisce l’essere di se stesso e di tutte le cose. Inoltre, siccome è uno in tutte le cose e tutte ritrovano la loro unità in lui, è lui l’essere di tutte le cose e tutte sussistono in lui.
Allo stesso modo, tu sarai unito a Dio nella grazia, senza distinzione, sia con l’intelletto che con il cuore, purché tralasci tutte quelle astruse ricerche sulle varie qualità del tuo cieco essere e del suo. Se la tua mente sarà spoglia e i tuoi sensi purificati, sentirai nella tua nudità, per il tocco della grazia, di essere nutrito in segreto da Dio, così com’è; ma ciò avverrà solo in parte e nell’oscurità, come si conviene su questa terra, così che il tuo ardente desiderio crescerà sempre di più. Quindi alza gli occhi senza paura e di’ al tuo Signore, a parole o nel profondo del tuo cuore: «Quel che sono, o Signore, io te lo offro, perché tu non sei altro da me».
E pensa in maniera nuda, semplice e piana che tu sei quel che sei, senza aggiungere altre analisi o considerazioni.
Non bisogna esser nati maestri per pregare a questo modo: a me sembra alla portata anche del più ignorante tra gli uomini, perché presuppone un grado minimo di intelligenza comune a tutti. Perciò mi stupisco veramente e mi vien quasi da ridere, se non provassi anche un senso di amarezza, quando mi capita di sentire gli apprezzamenti di certe persone a proposito di quanto ho scritto a te e a altri (bada bene che non si tratta di gente ignorante o poco istruita, ma di studiosi e uomini di cultura!). Costoro affermano che i miei scritti sono così elevati e difficili da leggere, così astrusi e complicati, che a malapena riescono a capirli i più istruiti o più intelligenti.
A quanti fanno simili discorsi rispondo che hanno ben motivo di lagnarsi e meritano di essere derisi, in spirito di misericordia, e severamente rimproverati da Dio e da quelli che lo amano: infatti la loro avidità di sapere e il desiderio smodato di conoscere, li rendono ciechi. Non sto parlando di qualche persona soltanto, ma in genere di quasi tutti gli uomini del nostro tempo, salvo uno o due in ogni distretto, scelti in maniera speciale da Dio. Con la loro mentalità inquisitiva, non possono pretendere di capire il senso genuino di questo facile esercizio, attraverso il quale anche il più ignorante degli uomini può unirsi a Dio in carità perfetta, per mezzo di un’umiltà piena d’amore. Essi invece, immersi nella cecità più completa, non ci capiscono un bel niente, come un bambino fermo all’ABC non può afferrare la dotta esposizione di un docente universitario. E sempre perché sono ciechi, considerano a torto come dottrina squisitamente sottile, quest’insegnamento così semplice; che se uno lo guardasse da vicino, si accorgerebbe che è solo una facile lezione tenuta da un ignorante. Non è forse stupido e beota chi non ha coscienza del proprio essere, chi non è capace, cioè, di pensare e sentire non tanto quel che è, ma il fatto stesso di essere? Infatti è manifestamente naturale per la mucca più ignorante o per la bestia più irragionevole (se mai fosse possibile, ma non lo è, far distinzioni tra gli animali in base al loro grado di intelligenza) avere coscienza del proprio essere. Tanto più deve essere naturale per l’uomo, che è dotato di ragione in maniera eminente e al di sopra degli altri animali, avere la consapevolezza e la coscienza del proprio essere.
Perciò scendi nel punto più basso della tua intelligenza (alcuni lo ritengono, per esperienza fatta, il punto più eccelso) e considera nella maniera più semplice (secondo certi, la più saggia) non ciò che sei, ma solo il fatto che tu sei. Pensare a quello che sei, con tutte le caratteristiche proprie della tua natura, presuppone da parte tua una dose non indifferente di acume e di cultura, e richiede ricerche approfondite sulle tue facoltà.
Questo lavoro l’hai già fatto parecchie volte con l’aiuto della grazia, cosicché ora sai, anche se solo parzialmente e per quel tanto che a mio parere ti può servire per il momento, quello che sei: un essere umano, per natura, e un miserabile, ripugnante e puzzolente, per il peccato. Come sai bene tutto questo! E forse troppe volte ti metti a pensare a tutte le sozzure che accompagnano la tua miseria. Vergogna! Lasciale stare, te ne prego. Non rivoltarle più, per non doverne sentire il fetore. Al contrario, per pensare al fatto che tu sei, non ci vuole grande scienza o spiccata intelligenza: basta la tua ignoranza e la tua semplicità.

 

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07/09/2013 12:59
 
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2. [È necessario raggiungere il punto più eccelso dello spirito e offrire il proprio essere a Dio, che ci guarisce dalle piaghe del male].

Quindi ti prego di non far altro in questo frangente, se non pensare al semplice fatto che tu sei così come sei: non importa quanto tu sia immondo o miserabile. Naturalmente, do per scontato che tu abbia già fatto debita ammenda di tutti i tuoi peccati, in particolare e in generale, secondo le giuste regole stabilite dalla santa chiesa. Altrimenti, né tu né nessun altro potete pretendere di avere il mio consenso nell’affrontare con tanta impudenza un simile lavoro. Ma se tu senti in coscienza di aver fatto tutto il possibile, allora puoi pure intraprendere questo lavoro. E anche se ti senti ancora così vile e miserabile da considerare il tuo io come un peso, e da non sapere nemmeno tu che cosa fare di te stesso, allora segui le mie indicazioni..
Prendi il buon Dio così com’è nella sua grande misericordia, e ponilo, proprio come se fosse un balsamo, su quell’essere malato che è il tuo io. O per dirla in altri termini, leva in alto il tuo io, malato com’è, e con il desiderio cerca di toccare Dio così com’è, buono e dispensatore di grazie. Chi arriva a toccarlo, ne riceve salute eterna, come testimonia la donna del vangelo, quando dice: «Si tetigero vel fimbriam vestimenti eius, salva ero; Se solo arriverò a toccare il lembo del suo mantello, sarò guarita». A maggior ragione tu sarai sanato dalla tua malattia a questo meraviglioso contatto celeste con il suo stesso essere: bada bene, con il suo stesso io. Allora, avvicinati a lui con decisione e usa quel medicamento. Eleva il tuo essere, malato com’è, verso il buon Dio così com’è in se stesso, senza fare particolari considerazioni o disquisizioni su nessuna delle qualità proprie del tuo essere o di quello di Dio: che si tratti di purezza o miseria, grazia o natura, divinità o umanità, poco importa. Per il momento basta che tu offra con gioia e in trepidazione d’amore, questo sguardo cieco sul tuo essere, nudo com’è, perché sia strettamente unito in grazia e spirito all’essere prezioso di Dio, cosa com’è in se stesso, né più né meno.
È vero, le tue facoltà sempre inquiete ed errabonde non troveranno alimento in questa maniera d’agire; perciò si lamenteranno con te e insisteranno perché tu tralasci questo lavoro e ti metta invece a fare qualcosa che possa soddisfare la loro curiosità. A sentir loro, tu non stai facendo niente di valido: d’altra parte non riescono a capir niente del tuo lavoro. Eppure io lo amo ancor di più, perché questo è un segno che esso è manifestamente superiore alla loro attività. Infatti, perché non dovrei preferirlo, quando non c’è nessun altro lavoro che possa fare io o che possano compiere i miei sensi esterni e interni sotto lo stimolo della curiosità, che sia in grado di condurmi così vicino a Dio e così lontano dal mondo, come invece è capace di fare questa nuda coscienza di me stesso e la semplice offerta del mio cieco essere?
Perciò, anche se le tue facoltà non trovano alcun alimento nel tuo modo di agire, e quindi cercano di distoglierti da quel che vai facendo, bada di non abbandonare il tuo lavoro per causa loro; al contrario, tienile sottomesse. E non tornare ad alimentarle, anche se dovessero diventar furiose. Quando permetti alle tue facoltà di divagare in sottili disquisizioni e approfondite ricerche sulle qualità del tuo essere, è come se tu tornassi indietro a nutrirle. Tali riflessioni, anche se sono del tutto buone e proficue, tuttavia, in confronto all’offerta della cieca coscienza del tuo essere, non servono ad altro che a dissiparti e a distrarti dall’unità perfetta che dovrebbe regnare tra Dio e la tua anima.
Pertanto resta aggrappato al punto più eccelso del tuo spirito, cioè alla coscienza del tuo stesso essere; e non tornare indietro per niente al mondo, per quanto possa sembrare buono e santo l’oggetto a cui vorrebbero trascinarti le tue facoltà.

3. [L’offerta del proprio essere, compiuta in purezza di spirito, chiede il silenzio delle nostre facoltà discorsive].

Segui il consiglio e l’insegnamento che Salomone diede a suo figlio: «Honora Dominum de tua substantia, et de primitiis frugum tuarum da pauperibus; et impiebuntur horrea tua saturitate, et vino torcularia tua redundabunt; Onora il Signore con la tua sostanza e da’ nutrimento ai poveri con le primizie dei tuoi frutti: allora i tuoi granai saranno ricolmi, i tuoi tini traboccheranno di vino». Queste parole Salomone le disse a suo figlio in senso letterale, ma è come se avesse voluto farti comprendere in senso figurato quel che sto per dirti a nome suo: amico spirituale in Dio, vedi se hai lasciato perdere tutte le attività discorsive delle tue facoltà naturali, e rendi a Dio, tuo Signore, un culto perfetto con la tua sostanza. Offri a lui in tutta semplicità tutto te stesso, tutto quel che sei e così come sei, come un tutt’uno e non in frammenti: in altri termini, senza considerare in dettaglio quello che sei. A questo modo, il tuo sguardo non resterà disperso e la tua coscienza non perderà il suo candore, niente potrà impedirti di essere uno con il tuo Dio in purezza di spirito.
«E da’ nutrimento ai poveri con le primizie dei tuoi frutti», cioè con il meglio delle qualità spirituali e corporali che sono cresciute con te dal momento della tua creazione fino a oggi. Chiamo frutti, tutti quei doni di natura e di grazia che Dio ti ha elargito. Con essi sei tenuto a nutrire e a sfamare in questa vita, nel corpo e nello spirito, tutti i tuoi fratelli e sorelle secondo natura e, secondo la grazia, proprio come devi fare con te stesso.
È il primo di questi doni che io chiamo «le primizie dei tuoi frutti». In ciascuna creatura il primo dono è semplicemente quello dell’essere. È vero che le qualità dell’essere sono così intimamente legate all’essere stesso da non potersene separare; tuttavia, siccome dipendono dall’essere, si può dire con certezza che è questo il primo dei tuoi doni. Quindi le primizie dei tuoi frutti sono costituite dal semplice fatto che tu sei. In effetti, se frantumerai il tuo cuore in molteplici considerazioni sulle complesse, qualità e sulle splendide caratteristiche dell’essere umano, che è la più nobile di tutte le creature, troverai che il punto focale a cui mira ogni tua considerazione, quale che essa sia, è sempre il tuo essere, nudo e semplice.
Ogniqualvolta ti metterai a meditare e ti sentirai spronato ad amare e lodare il Signore tuo Dio, non solo per il dono dell’essere, ma anche per la nobiltà del tuo essere, come attesteranno le eccelse qualità che avrai riscontrato in te, sarà come se tu dicessi in cuor tuo: «Io sono, so e sento che io sono; e non solo che io sono, ma che sono così, così, così e così». In questo modo farai passare una dopo l’altra tutte le qualità del tuo essere. E poi, se vuoi fare ancora meglio, riuniscile tutte in un sol fascio e di’ così: «Il mio essere e il mio modo di essere, secondo natura e secondo la grazia, tutto ciò io l’ho ricevuto da te, Signore, ed è il tuo stesso essere. Io lo offro tutto a te, innanzitutto per lodarti, e poi per venire in aiuto di tutti i miei fratelli nella fede, e infine per me stesso». Puoi così notare come il punto focale di ogni tua considerazione deve consistere sostanzialmente nella visione nuda e nella coscienza cieca del tuo stesso essere. Quindi è semplicemente il tuo essere a costituire le primizie dei tuoi frutti.
Ma anche se il tuo essere è il primo dei tuoi frutti e tutti gli altri dipendono da lui, al momento attuale non conviene rivestire questa considerazione e ammantarla di tutte le sue varie qualità e caratteristiche (che nel nostro caso sono i frutti), sulle quali hai già fatta tutte le tue elucubrazioni in precedenza.
Per ora basta che onori Dio in maniera completa con tutta la tua sostanza e offra a lui il tuo essere nudo, cioè le tue primizie, in un continuo sacrificio di lode a Dio, per te e per tutti gli uomini, come carità comanda. Non rivestirlo, dunque, di nessuna qualità o particolarità propria del tuo essere o dell’essere di qualcun altro, quasi che con queste considerazioni tu volessi sopperire ai bisogni, promuovere il bene e accrescere la perfezione del tuo stesso io o del tuo prossimo.
Lascia stare: un simile atteggiamento non gioverebbe affatto in questo caso. Invece è molto più consona alle tue necessità, più efficace per il tuo avanzamento e la perfezione tua e degli altri, questa meditazione cieca e generale, fatta nella purezza dello spirito, che non qualsiasi altra considerazione particolare, per quanto possa apparire santa.
La verità delle mie parole è confermata dalla testimonianza delle Scritture, dall’esempio di Cristo e dalla perspicacia della ragione. Tutti, gli uomini furono perduti in Adamo, poiché egli si staccò dall’amore che lo legava a Dio. E ora, tutti gli uomini che testimoniano con i fatti, secondo la loro specifica vocazione, la volontà di essere salvati, lo sono e lo saranno solo in virtù della passione di Cristo. Egli offrì se stesso come sacrificio più vero, tutto se stesso e non solo in parte; e per tutti gli uomini, non per qualcuno in particolare, ma per tutti in generale, senza distinzione. Analogamente, chi offre se stesso in sacrificio reale e perfetto per il bene di tutti, fa tutto il possibile per unire a Dio tutti gli uomini nella stessa maniera reale con cui egli è unito a Dio. Nessuno ha amore più grande di chi si sacrifica per tutti i fratelli e le sorelle secondo la carne o secondo lo spirito. Poiché l’anima è più preziosa del corpo, è meglio unire l’anima a Dio (che ne è la vita), con il pane celeste della carità, piuttosto che unire il corpo all’anima (che ne è la vita), nutrendolo con qualsiasi cibo materiale. Quest’ultima attività è buona in se stessa, ma senza l’altra è quanto mai incompleta. Se si uniscono entrambe, va già meglio; ma la prima da sola, è l’ottimo. La seconda da sola non è in grado di meritare la salvezza; mentre la prima, anche se viene a mancare completamente quell’altra, non solo merita la salvezza, ma conduce alla perfezione più alta.
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07/09/2013 12:59
 
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4. [Per praticare la preghiera contemplativa, non sono necessarie riflessioni particolari sul proprio essere o sull’essere di Dio].

Se vuoi avanzare nella perfezione, non c’è bisogno che torni indietro a dare alimento alle tue facoltà, riflettendo sulle qualità del tuo essere, così da nutrire e colmare il tuo cuore di dolci, amorosi sentimenti nei riguardi di Dio e delle cose spirituali. Non è neanche necessario che ti metta a saziare la tua intelligenza con la saggezza spirituale di sante meditazioni, alla ricerca della conoscenza di Dio. Se resterai saldamente aggrappato, per quel che te lo consentirà la grazia, al punto più eccelso del tuo spirito senza demordere un attimo, offrendo a Dio la coscienza nuda e cieca del tuo essere (in altri termini, le primizie dei tuoi frutti), puoi star certo che la seconda parte dell’insegnamento di Salomone si realizzerà compiutamente, così come ha promesso. Ti accorgerai allora dell’inutilità di tutte le affannose ricerche e analisi, cui ti spingevano le tue facoltà intellettuali, sulle varie qualità del tuo essere e anche su quelle dell’essere di Dio.
Tieni bene in mente questa osservazione: in questo lavoro le qualità dell’essere di Dio le devi considerare alla stessa stregua delle tue. Non c’è nome, sentimento o considerazione che meglio si accordi all’eterno, che è Dio, di quanto si possa avere, vedere o sentire nella considerazione cieca e amorosa di questa parola: È. Tutti gli altri attributi: buono, oppure bello, dolce, misericordioso, giusto, saggio, onnisciente, potente, onnipotente Signore; o ancora: intelligenza, sapienza, potenza, forza, amore, carità; e qualsiasi altro termine tu voglia usare nei riguardi di Dio; sono tutti nascosti e condensati in questa piccolissima parola: È. Infatti, avere tutte queste qualità, per Dio vuol dire semplicemente essere. E se anche accumuli centomila espressioni di tenerezza come: buono, bello, e altre simili, non ti allontani da questa parolina: È. Se le pronunci tutte insieme, non aggiungi niente; e non togli niente, se non ne dici neanche una.
Perciò resta cieco nella contemplazione amorosa dell’essere di Dio, proprio come nella nuda considerazione del tuo essere, senza estenuare le tue facoltà in ricerche dettate dalla curiosità, sugli attributi di Dio o sulle qualità del tuo essere. Ma, cacciata lontano ogni speculazione, da’ onore a Dio con tutta la tua sostanza, offrendo tutto quel che sei e così come sei, a lui che è così come è. Perché lui da solo, come tale e senza nient’altro, è la beata essenza di se stesso, e anche la tua. In questo modo adorerai Dio (ed è davvero meraviglioso!) in comunione con lui stesso, perché quello che tu sei, viene da lui ed è lui stesso. Anche se tu hai avuto un inizio, quando la tua sostanza è stata creata dal niente, in lui il tuo essere è sempre esistito fin dall’eternità e non avrà mai fine, proprio come il suo stesso essere. Per questo io grido e ripeto incessantemente: onora Dio con la tua sostanza, distribuisci a tutti gli uomini le primizie dei tuoi frutti.
«Allora i tuoi granai saranno ricolmi». In altri termini i tuoi sentimenti spirituali saranno ricolmi d’amore e di una vita virtuosa in Dio, che è il tuo fondamento e la purezza stessa del tuo spirito. «E i tuoi tini traboccheranno di vino». Come a dire che i tuoi sensi interni, le facoltà spirituali, che hai l’abitudine di estenuare e torchiare con svariate meditazioni, pedanti ricerche e sottili ragionamenti sulla conoscenza di Dio e del tuo essere, sui suoi attributi e sulle tue qualità, traboccheranno di vino; Nella bibbia il vino sta a indicare, in senso mistico e vero, la saggezza spirituale nel contemplare con verità e nel gustare in maniera eccelsa la divinità.
Questi doni li otterrai all’improvviso, per intervento della grazia e del tuo semplice desiderio, senza nessuna occupazione o fatica da parte tua. Ti arriveranno per mezzo del ministero degli angeli e risulteranno dal cieco esercizio d’amore. Tutti gli angeli sanno come servirli in maniera speciale, proprio come l’ancella con la sua signora.

5. [In quest’opera. la suprema Sapienza si unisce all’anima umana. Gli effetti che ne derivano, colti in una lettura spirituale di Proverbi].

Questo lavoro così lieve e delizioso, consiste essenzialmente nel fatto che la suprema saggezza della divinità scende, in virtù della grazia, nell’anima umana per unirla a sé e fare una sola cosa con essa nelle arti spirituali e nella prudenza dello spirito. Il saggio Salomone lo raccomanda caldamente e ne fa l’elogio esclamando: «Beatus homo qui invenit sapientiam et qui affluit prudentia; melior est acquisitio eius negotiatione argenti et auri; primi et purissimi fructus eius… Custodi, fili mi, legem atque consilium et erit vita animae tuae et gratia faucibus tuis. Tunc ambulabis fiducialiter in vita tua et pes tuus non impinget. Si dormieris, non timebis: quiesces et suavis erit somnus tuus. Ne paveas repentino terrore et irruentes tibi potentias impiorùm; quia Dominus erit in latere tuo et custodiet pedem tuum ne capiaris».
Ecco come si devono intendere queste parole. «Beato l’uomo che ha trovato questa. sapienza» unificante e che nel suo lavoro spirituale usa in abbondanza l’accortezza amorosa e la prudenza di spirito, offrendo a Dio la cieca coscienza del proprio essere, e tralasciando completamente ogni dotta disquisizione e ogni capacità speculativa naturale. L’aver ottenuto la saggezza spirituale attraverso questo semplice esercizio, «è meglio che non l’aver acquistato oro e argento». Per oro e argento si intendono, in senso morale, tutte le altre conoscenze naturali e spirituali che possiamo ottenere con i nostri studi, oppure esercitando le nostre facoltà su noi stessi, sulle realtà a noi inferiori, o su quelle al nostro livello, analizzando, cioè, le qualità proprie di Dio e delle creature.
Salomone spiega il motivo, per cui questa saggezza è superiore, quando dice: «Primi et purissimi fructus eius», in altre parole: «I suoi frutti sono i più precoci e i più puri». Non c’è da meravigliarsi, perché il frutto di questo lavoro non è altro che la suprema saggezza spirituale. Questa si sprigiona, libera e improvvisa, dalle profondità dello spirito, lungi da ogni forma o immagine mentale, senza che la si possa coartare o far rientrare nel campo dell’intelligenza naturale. Qualsiasi attività dell’intelletto umano, per quanto possa essere ingegnosa o santa, al suo confronto non si può che definire follia, irreale fantasia e frutto di immaginazione. Ed è tanto lontana dallo splendore del sole spirituale, vale a dire dalla verità assoluta, quanto la pallida luce di un chiaro di luna in una notte di nebbia in pieno inverno è assai distante dal bagliore di un raggio di sole nel più radioso meriggio d’estate.
E il testo così prosegue: «Figlio mio, conserva questa legge e questo consiglio»; nella saggezza si adempiono in maniera vera e perfetta tutti i comandamenti e i consigli dell’Antico e del Nuovo Testamento, senza volerne sottolineare qualcuno in particolare. Altrimenti come si potrebbe dire che questo metodo di lavoro è una legge, se non dovesse contenere dentro di sé tutte le ramificazioni e i frutti della legge? Se lo si osserva con verità, ci si accorge che il fondamento e la forza di questo lavoro risiedono nel dono glorioso dell’amore, nel quale, secondo l’insegnamento dell’apostolo, si trova riassunta tutta la legge: «Plenitudo legis est dilectio; La pienezza della legge è l’amore».
Salomone aggiunge che questa legge d’amore e questo consiglio di vita, se tu li osserverai, anzitutto saranno «vita per la tua anima», che si esprimerà in una tenerezza d’amore per il tuo Dio; e poi «grazia per le tue guance», a profitto dei tuoi fratelli in Cristo, ai quali darai i più veri insegnamenti e sarai d’esempio comportandoti con la massima dignità nella tua forma di vita. Da questi due precetti, uno che opera all’interno, l’altro all’esterno, dipende tutta la legge e i profeti, come dice Cristo stesso: «In his enim duobus mandatis tota lex pendet et prophetae: scilicet in dilectione Dei et proximi». Perciò, quando sarai stato reso perfetto nel tuo lavoro, sia interiormente che esteriormente, «te ne andrai sicuro», fondato come sei sulla grazia, che è la guida del tuo cammino spirituale, offrendo con amore il tuo essere nudo e cieco all’essere beato del tuo Dio: il tuo essere e il suo diventano una cosa sola per la grazia, pur restando distinti per natura.
«E il piede» del tuo amore «non inciamperà». In altri termini, quando proverai l’esperienza di questo lavoro spirituale in continuità di spirito, non ti lascerai più fuorviare, né tornerai sui tuoi passi con tanta facilità, come fai ora che sei all’inizio, per via di tutte le sottili problematiche e disquisizioni prodotte dalle tue facoltà. Oppure si può interpretare in altro modo: il piede del tuo amore non incespicherà e non inciamperà in nessuna delle immagini sollevate dalle tue irrequiete attività mentali.
In questo lavoro, come ho già avuto modo di dire, bisogna abbandonare completamente ogni ricerca speculativa delle nostre facoltà mentali, tanto da non conservarne neppure il ricordo. In caso contrario, potrebbero facilmente derivare in questa vita delle false immaginazioni o pericolose illusioni che danneggerebbero la nuda percezione del tuo cieco essere e ti distoglierebbero da un lavoro così importante.
Se ti viene alla mente il pensiero di qualche oggetto particolare — tranne quello del tuo essere nudo e cieco, che è, in fondo, il pensiero del tuo Dio, e il tuo unico scopo — eccoti distolto dal tuo lavoro, ricacciato indietro a operare con le furbizie e le sottigliezze delle tue facoltà; eccoti disperso e separato, te e la tua mente, sia dal tuo stesso essere che da Dio. Perciò cerca di rimanere raccolto e indiviso più che puoi, in virtù della grazia e della tua abilità nel perseverare in questo lavoro spirituale. È proprio nella considerazione cieca del tuo nudo essere, unito a Dio come ti ho già detto, che tu farai tutto quello che dovrai fare: mangiare e bere, dormire e vegliare, andare e restare, parlare e rimanere in silenzio, dormire e alzarti, stare in piedi e inginocchiarti, correre e cavalcare, lavorare e riposare.
Ogni giorno dovrai offrire a Dio il tuo essere nudo, perché questa è l’offerta più preziosa che tu gli possa presentare. E sarà la parte principale delle tue occupazioni, attive o contemplative non importa. Infatti, come dice Salomone in questo brano: «Se ti addormenterai» in questa cieca considerazione, lungi da ogni rumore o turbamento suscitato dal nemico spirituale, dal mondo ingannevole e dalla fragilità della carne, «non temerai alcun pericolo», né alcuna macchinazione del demonio. Perché mai? Perché in questo lavoro il demonio resta totalmente confuso e viene reso cieco: si trova in una penosa ignoranza e diventa pazzo dalla voglia di sapere quello che stai facendo. Ma a te non importa, perché «tu riposerai tranquillo» in questa unione amorosa di Dio con la tua anima.
«Sarà dolce il tuo sonno» perché vi troverai cibo spirituale e vigore interiore, sia per il tuo corpo che per il tuo spirito. Come indica ancora. Salomone un po’ più avanti: «Universae carni sanitas est; Questo lavoro dà salute a tutte le debolezze e le malattie della carne». E ha ragione di dire così, perché la carne cominciò a patire le malattie e la corruzione proprio quando l’anima smise di fare questo lavoro. Quindi la carne ritornerà ancora in piena salute, quando l’anima si rialzerà e riprenderà il medesimo lavoro per grazia di Gesù, che ne è il principale artefice. Perché si realizzi tutto questo, puoi solo confidare nella misericordia di Gesù e nella tua adesione d’amore. Perciò, unendo la mia voce a quella di Salomone in questo brano, ti prego di rimanere fedele a questo lavoro e di innalzare a Dio il tuo consenso d’amore senza fermarti, nella trepidazione della carità.
«Et ne paveas repentino terrore et irruentes tibi potentias impiorum». Non lasciarti sorprendere e non perdere la tua tranquillità se il diavolo verrà (e di certo verrà!) a spaventarti all’improvviso, battendo e picchiando con forza sui muri della casa in cui stai riposando, e così pure se metterà in movimento i suoi alleati più potenti perché ti attacchino di sorpresa, senza alcun preavviso. Sta’ ben attento a quanto ti dico, tu che vuoi intraprendere seriamente questo lavoro: ti accadrà di vedere o sentire, fiutare, gustare o udire in maniera reale delle cose strane che il diavolo provocherà esteriormente in uno o l’altro dei tuoi sensi, con il solo scopo di trascinarti giù dall’elevatezza del tuo prezioso lavoro. Perciò «abbi cura del tuo cuore» durante la prova e confida con ardente fede nell’amore di nostro Signore.
«Quia Dominus erit a latere tuo, et custodiet pedem tuum ne capiaris»: «Perché il Signore sarà al tuo fianco» sempre pronto ad aiutarti, «e custodirà il tuo piede», cioè il cammino ascendente del tuo amore che ti porta a Dio, «perché non abbia a cadere nei lacci» e nei tranelli dei tuoi nemici: il diavolo e i suoi fautori, il mondo e la carne. Ma ora, guarda, amico mio: nostro Signore, bersaglio del nostro amore, ci soccorrerà con potenza, saggezza e bontà; perché egli prende le difese di tutti quanti, mossi da una fiducia amorosa nei suoi confronti, rinunciano completamente a difendersi da soli.
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07/09/2013 13:00
 
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6. [Nel nobile e amoroso nulla dell’uomo si rivela l’alto e santo tutto di Dio, secondo l’insegnamento biblico. Polemica contro i detrattori della contemplazione].

Ma dove trovare un’anima del genere, così liberamente fissata e fondata nella fede, resa così totalmente umile nell’annientamento di sé, guidata e nutrita con tanto ardore dall’amore per nostro Signore? Un’anima che conosca e gusti la potenza infinita di Dio, la sua insondabile saggezza e la sua gloriosa bontà? Essa sa che Dio è uno in tutte le cose e tutte sussistono in lui; e vede che se non cede a lui, per amor suo, tutto quel che ha ricevuto da lui, in lui e per lui, non potrà mai raggiungere la vera umiltà nel totale annientamento di sé.
È solo attraverso il nobile annientamento di sé in vera umiltà e l’esaltazione di Dio come il tutto in carità perfetta, che l’anima ottiene di possedere Dio: completamente immersa nell’amore per lui, in uno stato di pieno e definitivo abbandono di sé, l’anima si considera un niente, o ancor meno, se mai fosse possibile. Allora Dio nella sua potenza, saggezza e bontà verrà a soccorrerla, la proteggerà e la difenderà da tutti i suoi nemici, del corpo e dello spirito, senza che essa si debba premunire o preoccuparsi di avvisarlo o fare qualsiasi altro sforzo da parte sua.
Lasciate da parte le vostre obiezioni umane, voi tutti che siete umili solo a metà. Non venite a dire con i vostri ragionamenti insipienti che quando si abbandona così completamente, per umiltà,, la guardia di se stessi, sempre se si è mossi dalla grazia, è perché si vuol tentare Dio: in realtà avete paura di non riuscire ad attuare un abbandono così totale, e fate bene a pensarlo. Ritenetevi soddisfatti della parte che vi spetta: basta da sola a ottenere la salvezza delle vostre anime chiamate alla vita attiva. Ma lasciate i contemplativi soli nella loro audacia! Non turbatevi e non meravigliatevi delle loro parole o delle loro azioni, anche se alla vostra ragione sembrano passare il limite del comune buon senso.
Vergogna! Quante volte avete letto e sentito questa dottrina, eppure non vi avete mai prestato fede né dato credito. È un punto che tutti i Padri antichi hanno trattato e ci hanno insegnato, un punto che contiene il fiore è il frutto di tutte le Scritture. Oppure siete ciechi e non riuscite a vedere con gli occhi della fede quel che leggete o sentite; o ancora, siete inconsciamente stuzzicati da una certa qual invidia, se non volete ammettere che ai vostri fratelli possa capitare un bene così grande, per il solo fatto che voi ne siete privi. Vi conviene stare allerta, perché il nemico è scaltro: ha in animo di far sì che voi prestiate fede più alle vostre facoltà intellettuali che all’insegnamento tradizionale dei santi Padri, o al lavoro della grazia e alla volontà di Dio.
Quante volte avete letto, e quante volte avete sentito da persone sante, sagge e degne di fede, che non appena nacque Beniamino, sua madre Rachele morì. Per Beniamino si intende la contemplazione, per Rachele, la ragione. Non appena l’anima riceve il tocco della vera contemplazione, come succede nel nobile annientamento di sé e nell’esaltazione di Dio come il tutto, avviene davvero che la ragione dell’uomo muore. E siccome l’avete letto così spesso, e non da un solo autore o due, ma da parecchi, e tutti santi e degni di stima, perché non ci credete? E se ci credete, perché osate indagare con la vostra ragione frugando tra le parole e gli atti di Beniamino?
Beniamino rappresenta tutti coloro che, nell’estasi d’amore, sono rapiti al di sopra del loro spirito, secondo la parola del profeta: «Ibi Beniamin adolescentulus in mentis excessu… Lì il fanciullo Beniamino nel trasporto dello spirito…». Cercate dunque di non essere come quelle donne malvagie che uccidono i loro neonati. Perciò fate bene attenzione, e non levate la punta della vostra lancia presuntuosa contro la potenza, l’intelligenza e la volontà di nostro Signore, fidando nella vostra abilità: ciechi e inesperti come siete, potreste far ricadere Beniamino, proprio mentre pensate sia giusto il momento di sostenerlo nel suo trasporto.
Quando la santa chiesa era ancora agli inizi, nel periodo delle persecuzioni, quanti fedeli, e di tutte le condizioni sociali, furono meravigliosamente raggiunti dal tocco improvviso della grazia così che, immediatamente e senz’altra previa preparazione, gli artigiani abbandonando i loro strumenti, gli scolari le loro tavolette, tutti correvano, senza pensarci su due volte, al martirio con i santi. Se è successo così allora, perché non credere che Dio ancor oggi, in tempo di pace, possa e voglia toccare, con uguale subitaneità, diverse anime con la grazia della contemplazione, e che lo faccia realmente?
Sono convinto che agirà proprio così con i suoi eletti, in modo del tutto gratuito; perché alla fine vuol manifestarsi per quel che è, e riempire di stupore il mondo intero. L’anima che si annulla per amore e che esalta il suo Dio come il tutto, sarà protetta, per la grazia, da tutti i nemici spirituali e materiali che cercheranno di abbatterla: e questo avverrà senza il minimo sforzo o fatica da parte sua, ma solo in virtù della bontà di Dio. È nell’ordine stesso della ragione divina che egli si prenda cura di tutti quanti, conquistati dall’amore per lui, dimenticano di salvaguardare la loro persona. Quindi non c’è da meravigliarsi se essi restano miracolosamente protetti: sono diventati totalmente umili nell’audacia e nel vigore del loro amore.
Chi non osa agire così, ma critica questo comportamento, ha un demonio dentro al petto che gli porta via la confidenza amorosa che dovrebbe avere verso Dio, e la benevolenza nei riguardi dei suoi fratelli; oppure non è ancora perfettamente umile come dovrebbe essere, ammettendo che egli voglia puntare alla vera vita contemplativa.
Perciò non restare confuso, se devi umiliarti a tal punto davanti al tuo Signore e dormire nella cieca considerazione di Dio così com’è, malgrado tutto il baccano di questo mondo cattivo, gli inganni del diavolo e la fragilità della carne. «Nostro Signore sarà lì pronto ad aiutarti e preserverà il tuo piede perché tu non cada nei lacci».
È giusto paragonare questo lavoro a un sonno. Quando si dorme, i sensi sospendono la loro attività, cosa che il corpo possa riposare in pace e ricuperare appieno le sue forze naturali. Allo stesso modo, nel sonno spirituale di cui stiamo parlando, le continue, assurde ricerche alimentate dalle nostre facoltà intellettuali sregolate, e le fantasticherie della nostra immaginazione, vengano imbrigliate e completamente annientate. Così l’anima beata può dormire un sonno tranquillo e riposare nell’amorosa contemplazione di Dio così com’è, ridando forza e vigore alla sua natura spirituale.
Perciò metti a freno le tue facoltà quando offri a Dio la percezione nuda e cieca del tuo essere. Bada bene, come ho già detto più volte, che questa percezione sia nuda, non rivestita di nessuna qualità del tuo essere. Altrimenti, se la ammanti di considerazioni sulla dignità del tuo essere o su qualsiasi condizione propria dell’uomo o di un’altra creatura, dai subito alimento alle tue facoltà, fornisci loro l’occasione e la forza di dissiparti in cose di ogni genere, così che alla fine ti ritrovi distratto dal tuo lavoro senza accorgertene. Stai bene attento a questo inganno, te ne prego.
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07/09/2013 13:01
 
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7. [La contemplazione è perfezione nell’amore. A questo si ispirano tutti gli scritti dell’autore].

Ma forse, stimolato dalle tue facoltà curiose, che non capiscono niente di quel che vai facendo, ti metti a vagliare attentamente il tuo lavoro: ti meravigli del modo in cui procede e lo consideri con sospetto. Non ti devi stupire di tutto questo; finora sei stato fin troppo abile nell’usare le tue facoltà, per sperare di capire qualcosa di un simile lavoro.
E forse vai chiedendoti interiormente se sia un lavoro che piace a Dio oppure no; e in caso affermativo, come possa piacergli così tanto, secondo quanto io vado sostenendo. Ti rispondo subito: la tua è una domanda posta da un’intelligenza inquieta, che non vuole in alcun modo lasciarti andare avanti con il tuo lavoro, se prima non è stata soddisfatta la sua curiosità con qualche valida argomentazione. Perciò non voglio esserti di ostacolo; tuttavia, rendendomi in un certo senso simile a te, darò soddisfazione alla tua ragione orgogliosa, in modo che poi tu sia come me e segua i miei consigli, senza porre limiti alla tua umiltà. Infatti, come afferma s. Bernardo, l’umiltà perfetta non conosce limiti. Tu poni dei limiti alla tua umiltà quando ti rifiuti di seguire i consigli del tuo direttore spirituale perché non collimano con le tue vedute.
Ecco, avrai capito che io ho la pretesa di essere il tuo direttore spirituale! Faccio sul serio, e intendo esserlo appieno. È l’amore che mi spinge a tanto, ne sono convinto; e non una certa attitudine che io posso riscontrare in me per via dell’elevatezza della mia dottrina, o del mio lavoro, o del mio genere di vita. Dio corregga quel che va corretto, perché egli conosce con pienezza, mentre io solo in parte.
Ma ora voglio soddisfare la tua ragione orgogliosa, facendo l’elogio di questo lavoro. In verità, se l’anima che vi si dedica avesse lingua per esprimere quel che prova, tutti i grandi dottori della cristianità resterebbero stupiti dalla saggezza racchiusa in un simile lavoro. Sì, in confronto a essa, tutta la loro dottrina apparirebbe come pura follia. Pertanto non meravigliarti se non riesco a esprimere la sublimità di questo lavoro con la mia lingua rozza e carnale. Dio non voglia che esso venga profanato e deformato dai patetici sforzi di una lingua grossolana come la mia. No, non può accadere, e di certo non avverrà; Dio mi impedisca anche solo di desiderarlo.
Tutto ciò che si dice, è pur sempre un parlare di questo lavoro, e non ancora questo lavoro. Tuttavia, se anche non possiamo esprimerlo a parole, accontentiamoci di parlarne a confusione delle intelligenze orgogliose, in particolare della tua: è questo l’unico motivo, o almeno l’occasione, per continuare il mio discorso in questo momento. Innanzitutto voglio domandarti in che cosa consista la perfezione dell’anima umana e quali siano le proprietà tipiche della perfezione. Rispondo io al tuo posto: tale perfezione non è altro che l’unità realizzata tra Dio e l’anima in carità perfetta. Questa perfezione è così elevata e pura in se stessa, così al di sopra dell’umana comprensione, che non la si può conoscere o percepire in se stessa. Ma dove si possono realmente vedere e percepire le proprietà tipiche di questa perfezione, lì molto probabilmente si trova in pienezza la sua stessa essenza. Bisogna quindi conoscere per prima cosa le proprietà di questa perfezione, per poter affermare che questo esercizio spirituale supera per eccellenza tutti gli altri.
Le proprietà tipiche della perfezione, quelle che deve avere ogni anima perfetta, sono le virtù. Ora, se consideri con attenzione quel che succede nella tua anima e contemporaneamente esamini le proprietà e le caratteristiche di ciascuna virtù in particolare, troverai che in questo lavoro sono comprese in maniera chiara e perfetta tutte le virtù: non c’è bisogno di forzare il loro significato o di alterare il loro scopo. Non intendo parlare qui di nessuna virtù in particolare, non ne val la pena; se vuoi, puoi vedere la trattazione che ne ho fatto in diversi punti dei miei scritti.
Infatti questo lavoro, concepito nel giusto senso, non è altro che l’adorazione amorosa e il frutto colto dall’albero di cui ho parlato nella breve lettera sulla preghiera; è questa la nube della non-conoscenza; questo, il segreto amore offerto in purezza di spirito; è l’Arca
dell’Alleanza; è la teologia di Dionigi, la sua saggezza, il suo tesoro nascosto, la sua oscurità luminosa e la sua scienza ignorante. È questo lavoro che ti pone nel silenzio, sia di pensieri che di parole; è questo lavoro che rende breve la nostra preghiera; è in questo lavoro che puoi imparare ad abbandonare il mondo e a disprezzarlo.
Ma c’è di più! È in questo lavoro che puoi imparare ad abbandonare e disprezzare il tuo stesso io, secondo l’insegnamento di Cristo nel vangelo: «Si quis vult post me venire, abneget semetipsum et tollat crucem suam et sequatur me; Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua».
Ed è come se dicesse alla tua intelligenza, riguardo all’argomento che stiamo trattando: «Chiunque vuol venire», umilmente, non con me, ma «dietro di me», alla beatitudine del cielo o al monte della perfezione… Cristo, infatti, ci ha preceduti per natura; noi, invece, veniamo dopo di lui per la grazia. La sua natura vale più della grazia, e la grazia vale più della nostra natura. E con questo egli vuol farci comprendere appieno che per noi è assolutamente impossibile seguirlo sul monte della perfezione, giusto il caso del nostro lavoro, se non siamo mossi e guidati dalla grazia.
Tutto ciò è quanto mai vero. Cerca di convincerti di questo, tu e tutti quelli che, nelle tue stesse condizioni, dovessero leggere o sentire questo mio scritto: anche se ti esorto a intraprendere il lavoro in tutta semplicità e ardimento, tuttavia mi rendo conto, e non ho paura di sbagliare, che è Dio Onnipotente, con la sua grazia, a metterti in movimento. È sempre lui l’artefice principale, che si serva di altri strumenti o meno. E tu, al pari di quanti si trovano nelle tue stesse condizioni, non puoi far altro che acconsentire e subire la sua azione. Naturalmente, il tuo consenso e la tua accettazione passiva durante questo lavoro, presuppongono una disposizione interiore e un’attitudine che devono essere realizzati da te in purezza di spirito e costituire la tua degna offerta al re del cielo. È quanto imparerai tu stesso per esperienza, attraverso la luce interiore del tuo spirito.
Siccome Dio nella sua bontà smuove e tocca ciascuna anima in modo diverso, a volte per mezzo di intermediari, altre volte senza, chi oserebbe affermare che Dio non può servirsi di questo mio scritto per smuovere te, e con te tutti quanti dovessero leggerlo o sentirlo, contentandosi di prendere me, nonostante la mia indegnità, come suo intermediario? In ogni caso, sia fatta la sua santa volontà, ciò che a lui piace e come a lui piace. Per conto mio, penso che possa benissimo accadere quanto ho prospettato prima; sarà il lavoro stesso, una volta messo in pratica, ad attestarne la veridicità.
Perciò, ti prego, preparati a ricevere questa grazia del tuo Signore, e ascolta le sue parole: «Se qualcuno vuol venire dietro di me», nel senso già detto, «rinneghi se stesso…». E come può un uomo, dico io, rinnegare se stesso e il mondo, e disprezzarli entrambi, in misura maggiore di quanto possa essere il rifiuto di considerare le qualità proprie dell’uno e dell’altro?
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07/09/2013 13:01
 
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8. [Attraverso la dimenticanza del proprio essere si percepisce l’essere di Dio. Questa totale spogliazione è causa di grande sofferenza].

Sta’ pur certo di questo: anche se ti ho detto di dimenticare tutto, tranne la cieca coscienza del tuo nudo essere, tuttavia io vorrei — era questa la mia intenzione fin dall’inizio — che tu dimenticassi anche la coscienza del tuo stesso essere, per restare con la sola coscienza dell’essere di Dio. È per questa ragione che ti ho dimostrato all’inizio come Dio sia l’essere del tuo essere. Ma dal momento che le tue impressioni spirituali si rivelavano ancora rudimentali, mi sembrava che tu non fossi in grado di elevarti tutt’a un tratto alla percezione spirituale dell’essere di Dio. Allora, perché tu potessi arrivarci passo passo, ti avevo raccomandato di rosicchiare la nuda coscienza del tuo essere fino al momento in cui, dopo lunga perseveranza in questo segreto lavoro spirituale, saresti stato capace di sentire Dio in maniera più elevata.
E infatti durante la contemplazione il tuo unico scopo e desiderio deve essere quello di percepire Dio. Se quindi all’inizio ti ho esortato ad avvolgere e rivestire la percezione di Dio in quella del tuo essere, è per via della tua inesperienza e del tuo spirito ancora rude. Ma poi, reso più saggio da un assiduo esercizio compiuto nella purezza del tuo spirito, ti dovrai denudare, spogliare e svestirti completamente di ogni coscienza di te stesso, per essere rivestito, in virtù della grazia, della coscienza di Dio in quanto tale. Questa è la vera condizione per chi vuol amare in modo perfetto: deve spogliarsi totalmente del proprio io per amore della cosa che gli sta a cuore; e non deve permettere né sopportare di essere rivestito d’altro che della sola cosa che è oggetto del suo amore; inoltre, deve restarvi avvolto non per un po’ di tempo soltanto, ma per sempre, fino a dimenticare il suo io in maniera completa e definitiva.
In questo modo opera l’amore, e nessuno può saperlo all’infuori di chi ne fa esperienza. È quanto ci insegna nostro Signore quando dice: «Chi vuol amarmi, rinneghi se stesso», come a dire: Si spogli di se stesso, chi vuol essere davvero rivestito di me, che sono l’ampia veste dell’amore, dell’amore eterno e senza fine. Perciò, tutte le volte che, osservando il tuo lavoro, ti accorgerai di avere ancora la percezione di te stesso, e non del tuo Dio, dovrai dolertene sinceramente e bramare dal pro fondo del cuore di avere la percezione di Dio. E cercherai, senza mai stancarti, di sbarazzarti sempre di più della percezione dolorosa e della deplorevole coscienza del tuo nudo essere, e coverai dentro di te l’ardente desiderio di fuggire dal tuo io, quasi fosse un serpente velenoso. Allora sì che rinnegherai te stesso e disprezzerai il tuo io con piena determinazione, proprio come ti ha comandato il tuo Signore.
Avrai dunque dentro di te quest’unico, struggente desiderio: non di non essere — sarebbe pazzia e disprezzo nei confronti di Dio —, ma di perdere completamente la consapevolezza e la coscienza del tuo io, il che è assolutamente necessario se si vuole gustare perfettamente l’amore di Dio qui su questa terra. A questo punto ti accorgerai di non riuscire in alcun modo a realizzare il tuo proposito, perché, nonostante la tua concentrazione, sarai sempre accompagnato e seguito nel tuo lavoro dalla nuda coscienza del tuo cieco essere, salvo rari, brevissimi momenti in cui Dio ti concederà di gustarlo in abbondanza d’amore. E come all’inizio le qualità del tuo essere si frapponevano fra te e il tuo io, così ora la nuda coscienza del tuo cieco essere peserà su di te e si insinuerà tra te e il tuo Dio. Allora ti sembrerà di avere un fardello troppo pesante e penoso da portare; in verità, sarà proprio così. E che Gesù ti aiuti in quel momento, perché ne avrai veramente bisogno.
Tutte le sofferenze che ci possono essere, non sono niente al suo confronto: tu ora sarai una croce per te stesso. Ma è esattamente questo il lavoro e la strada per arrivare a nostro Signore, secondo le sue stesse parole: per prima cosa «prenda la sua croce», nella macerazione del suo io, e poi «mi segua», nella beatitudine o sul monte della perfezione, gustando la dolcezza del mio amore e facendo la divina esperienza del mio io.
Di qui puoi vedere come sia bene per te struggerti dal dolore nel desiderio di perdere la coscienza del tuo essere, e dover portare penosamente il fardello del tuo io come una croce, prima di essere unito a Dio nella percezione spirituale del suo essere: si tratta della carità perfetta.
E puoi anche renderti conto, almeno in parte e nella misura in cui la grazia ti ha toccato e segnato spiritualmente, della dignità sovreminente di questo lavoro nei confronti di tutti gli altri.
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07/09/2013 13:02
 
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9. [Si giunge alla contemplazione per mezzo della porta della devozione, che consiste nel meditare soprattutto sulla passione di Cristo].

Ma, dimmi, come potresti arrivare alla contemplazione mediante l’uso delle tue facoltà intellettuali? Non ci arriveresti mai, né con delle belle considerazioni, né con ragionamenti sottili e complicati, né con l’attività dell’immaginazione, né riflettendo sulla tua misera vita, e nemmeno meditando sulla passione di Cristo o sulle gioie del cielo, sulla Madonna, o gli angeli e i santi, o sulle qualità e gli attributi più strani, o in generale sulle caratteristiche proprie del tuo essere o di quello di Dio. Di certo farei meglio ad avere quella nuda, cieca coscienza di me stesso di cui ho parlato prima. Nota quanto dico: la coscienza non delle mie azioni, ma di me stesso. Molti confondono le proprie azioni con se stessi, ma a torto: un conto sono io che agisco, un conto sono le mie azioni; la stessa cosa vale per Dio: un conto è egli in se stesso, un conto sono le sue opere Preferirei dunque avere il cuore a pezzi dalle lacrime per il fatto di non riuscire a percepire Dio, e di dovei invece portare il penoso fardello del mio essere; e certo mi gioverebbe di più infiammare d’amore il mio desiderio e bramare ardentemente di percepire Dio così com’è, piuttosto che dedicarmi a tutte le sottili disquisizioni, le immaginazioni più straordinarie o le meditazioni più disparate, per quanto possano apparire sante o attraenti agli occhi delle tue facoltà curiose.
Ciò nonostante, queste belle meditazioni sono inizialmente il mezzo migliore che un peccatore abbia per arrivare alla percezione spirituale di se stesso e di Dio. Ancora, mi vien da pensare che è impossibile, anche se a Dio tutto è possibile, che un peccatore possa raggiungere uno stato di chiara percezione spirituale di sé e di Dio, senza aver prima considerato, attraverso l’immaginazione e la meditazione, le opere materiali compiute da lui stesso o da Dio, e senza aver pianto o gioito a seconda che caso lo richiedesse. Chi non passa per questa strada, non può sperare di entrare; perciò dovrà starsene fuori, e proprio nel momento in cui penserà di essere entrato. Molti credono di aver varcato la porta spirituale, mentre rimangono all’esterno, e vi resteranno finché non cercheranno la porta con umiltà. Alcuni la trovano facilmente e entrano prima di altri: tutto dipende dal portiere, senza alcun merito o pedaggio da parte loro.
Che dimora straordinaria, la spiritualità! Il Signore non ne è solo il portiere, ma anche la porta: è il portiere per via della sua divinità e la porta per via della sua umanità. Egli stesso dice nel vangelo: «Ego sum ostium; si quis per me intraverit, salvabitur: et sive egredietur, sive ingredietur, pascua inveniet. Qui vero non intrat per ostium, sed ascendit aliunde, ille fur est et latro». Ed è come se dicesse, in riferimento al nostro argomento: Io, che sono onnipotente per la mia divinità e che, in qualità di portiere, sono libero di aprire a chi voglio, e da qualunque via provenga, tuttavia ho voluto che ci fosse una via ordinaria e semplice, una porta aperta a tutti quanti volessero entrare, in modo che nessuno potesse scusarsi di non conoscere la strada. Ecco perché mi sono rivestito della natura comune a tutti gli uomini: mi sono adeguato a tal punto da diventare la porta con la mia umanità, e chiunque entra per mezzo mio, sarà salvo.
Entra per la porta chi medita sulla passione del Signore, chi si duole di esserne la causa con la sua malvagità e rimprovera amaramente se stesso per aver meritato tali sofferenze, senza averle però subite; costui deve allora provare pietà e compassione per il Signore che, malgrado la sua dignità, si abbassò a tanto soffrire senza averlo meritato; e poi deve elevare il cuore verso l’amore e la bontà della divinità che non disdegnò di umiliarsi fino al punto di assumere la nostra umanità debitrice della morte. Chi agisce così, entra per la porta, e sarà salvo. Che poi penetri più all’interno, contemplando l’amore e la bontà della divinità di Cristo, o che si fermi a considerare le sofferenze della sua umanità, troverà sempre alimento spirituale per la sua devozione, a sufficienza e in abbondanza, per la salute e la salvezza dell’anima, anche se in questa vita non andrà mai più in là.
Chi invece non entra per la porta, ma cerca di arrampicarsi fino alla contemplazione in qualche altro modo, per mezzo di sottili indagini, capricci della fantasia e sforzi di ogni tipo delle proprie facoltà sregolate; chi dunque fa a meno dell’entrata accessibile a tutti, cui si è accennato prima, e non segue le giuste direttive dei padri spirituali, costui, chiunque sia, è non solo un ladro della notte, ma anche un brigante del giorno. È un ladro della notte, perché cammina nell’oscurità del peccato, fidando più nella sua presunzione e nel suo personale intelletto che non nei buoni consigli di un direttore spirituale e nella facile via comune di cui si è detta. Ma è anche un brigante del giorno, perché con il pretesto di voler condurre una vita puramente spirituale, si appropria dei segni esteriori e del vocabolario della contemplazione, senza coglierne il frutto. E cosa a volte gli capita di sentire interiormente un piacevole desiderio, anche se piccolo, di avvicinarsi a Dio. Accecato da questa impressione, pensa che tutto quanto va facendo sia senz’altro buono. Invece è l’impresa più pericolosa che un giovane possa tentare, quella di seguire l’ardore del suo desiderio senza lasciarsi guidare da un direttore spirituale. E questo vale soprattutto se vuol mettersi a scalare delle vette che non solo trascendono la sua esperienza, ma sono anche al di fuori della strada semplice e comune a tutti i cristiani; quella strada che, secondo l’insegnamento di Cristo, è la porta della devozione e il mezzo più sicuro in questa vita per arrivare alla contemplazione.
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Stretta è la porta e angusta la Via che conduce alla Vita (Mt 7,14)
 
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