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DIZIONARIO TEOLOGICO

Ultimo Aggiornamento: 21/08/2013 17:56
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21/08/2013 17:30
 
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Obbedienza. (inizio)

Consiste nella volontà di osservare le leggi e i comandi o nell'accettare come vere le asserzioni che vengono dall'autorità. Solo Dio ha l'autorità suprema e assoluta. Gli esseri umani (per es., i genitori verso i loro figli, lo Stato verso i cittadini, i pastori della Chiesa verso i fedeli) partecipano dell'autorità divina in grado vario e limitato. Per compiere la volontà del Padre, Cristo si fece « obbediente fino alla morte » (Fil 2,8; cf Eb 5,8), lasciandoci l'esempio perfetto di obbedienza amorosa (Gv 15,10). Radicalmente opposta alla disobbedienza che è peccato, la fede significa obbedienza a Dio e ai comandamenti divini (Mt 7,21; Rm 1,5; 16,26). All'interno della Chiesa, tutti professano un'obbedienza rispettosa al papa e ai vescovi, in quanto la natura della sottomissione è in rapporto col grado dell'autorità esercitata (LG 25, 27). Coloro che sono legati dal voto di obbedienza nella vita religiosa devono un'obbedienza particolare ai loro superiori e alla regola del loro istituto religioso (PC 14; CIC 573, 590, 598, 601, 618). I presbiteri diocesani praticano un'obbedienza speciale ai loro vescovi (PO 15; CIC 273). Cf Autorità; Magistero; Vita religiosa.

 

Occasionalismo. (inizio)

Una filosofia che nega l'attività causale di tutte le cose create. Dio è l'unica causa di tutto ciò che succede; non esistono vere cause seconde. Anticipato in un certo senso da alcuni Musulmani e altri pensatori medievali, l'occasionalismo classico sorse come risposta al problema sollevato dal dualismo di René Descartes (Cartesio: 1596‑1650): Come può la mente esercitare un influsso causale sulla materia? L'occasionalismo di Arnold Geulincx (1624‑1669) e specialmente quello di Nicola Malebranche (1638‑1715) negarono semplicemente qualsiasi causalità. Le cose create, compresa la mente umana, non agiscono: forniscono soltanto l'« occasione » per gli innumerevoli interventi di Dio. In teologia, le tendenze occasionaliste hanno alle volte negato la genuina causalità sacramentale, riducendo i sacramenti a puri « pretesti » per l'elargizione della grazia di Dio. Cf Causalità; Creazione.

 

Oikoumene (Gr. « la terra abitata »). (inizio)

Il mondo abitato, o l'Impero romano che si diceva (esagerando) corrispondesse al mondo intero (cf Lc 2,1). Coloro che parlavano del Mediterraneo (Lat. « in mezzo alla terra ») come del centro del mondo consideravano i paesi di cultura greca come l'oikoumène, ossia come l'intero mondo civilizzato. Così, l'aggettivo « ecumenico » venne a significare « universale » in espressioni come « Concilio ecumenico ». A partire dal VI secolo, il patriarca di Costantinopoli venne chiamato « Patriarca Ecumenico » nel senso che gode di un primato sui cristiani bizantini. Cf Autocefalo; Concili ecumenici; Ecumenismo.

 

Olocausto (Gr. « qualcosa che viene interamente bruciato »). (inizio)

Sacrificio dell'AT in cui la vittima veniva interamente consumata dal fuoco. Si riteneva che Dio si manifestava nel fuoco (Es 3,2; 19,18; 1 Re 18,36‑39). Dal lato dell'uomo, col fuoco si veniva a simboleggiare che gli offerenti non tenevano nulla per sé. I Profeti e altri hanno insistito nel dire che simili sacrifici erano superficiali o addirittura vani se non erano accompagnati da una giusta relazione con Dio e col prossimo (Is 1,11; Ger 7,21‑26; Sal 51,18‑19; Mc 12,33). Secondo il NT, l'obbedienza sacrificale di Cristo ha portato a compimento e ha superato tutti gli olocausti (Eb 10,1‑10). Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la parola « Olocausto » è stata applicata ai sei milioni di Ebrei massacrati dai Nazisti nell'intento di sterminare l'intera razza ebraica. Cf Giudaismo; Sacrificio.

 

Omega. Cf Punto omega. (inizio)

 

Omei (Gr. « simile »). (inizio)

Un gruppo di Ariani con a capo il vescovo Acacio di Cesarea (morto nel 366 circa), i quali cercavano di fare da mediatori tra i Semi‑Ariani e coloro che accettavano il Concilio Niceno I. Con l'appoggio dell'imperatore Costanzo, la loro formula (« il Figlio simile in tutto al Padre secondo le Scritture ») fu avallata nel Concilio di Sirmio (359). In seguito, la formula ridotta « simile al Padre » cadde non appena morì l'imperatore. Cf Arianesimo; Concilio di Nicea I; Omooùsios; Semi‑Arianesimo.

 

Omelia (Gr. « compagnia », « conversazione »). (inizio)

Originariamente, era una riflessione sulla Sacra Scrittura durante il culto cristiano. Questa usanza proveniva da una pratica del genere nelle sinagoghe ebraiche (cf Lc 4,16‑22; At 13,15). Il termine venne poi a indicare i sermoni rivolti dai vescovi al loro gregge. Omeliario si chiama un libro che raccoglie le omelie dei Padri da leggersi durante la Liturgia delle Ore. Nell'uso corrente, si intende per omelia il sermone tenuto nell'Eucaristia dopo il vangelo e che vuol favorire lo sviluppo della fede e della vita cristiana spiegando i testi scritturistici che sono stati appena letti. Nelle domeniche e nelle feste importanti, non si dovrebbe mai omettere l'omelia; è raccomandata anche nelle messe in settimana, specialmente in Avvento e Quaresima (SC 24, 52; CIC 767). Nella Messa, l'omelia è tenuta di solito dal vescovo, dal presbitero o dal diacono. Siccome Cristo è presente non solo nei sacramenti, ma anche nella Parola di Dio (DV 24; SC 7), il Vaticano II raccomanda le omelie. Esse richiedono una familiarità profonda con la Scrittura e sono di stimolo all'ascolto della Parola di Dio. Cf Bibbia; Predicazione; Teologia pastorale.

 

Omiletica. (inizio)

Il settore della teologia pastorale dedicato all'arte e alla scienza di una predicazione efficace. Cf Teologia pastorale.

 

Omooùsios (Gr. « della stessa sostanza », « consostanziale »). (inizio)

Termine che si riferisce a Cristo e che fu inserito nel Simbolo dal Concilio di Nicea per combattere l'Arianesimo. Sebbene prima fosse stato usato in un senso sospetto o addirittura eretico dagli Gnostici e da altri, questo termine a Nicea espresse l'identità di natura del Padre e del Figlio, implicando una corrispondente uguaglianza in dignità. Seguirono cinquanta anni di dispute. Sant'Atanasio (circa 296‑373) in Oriente, sant'Ilario di Poitiers (circa 315‑367) in Occidente, furono i campioni dell'omooùsios, mentre oppositori come Basilio di Ancira (oggi: Ankara) e Giorgio di Laodicea vi aggiunsero una « i » e sostennero che Cristo era omoioùsios, cioè, simile nella sostanza al Padre. Cf Arianesimo; Concilio Costantinopolitano I; Concilio di Nicea I.

 

Onnipotenza (Lat. « che può tutto »). (inizio)

Attributo secondo cui Dio è potenza infinita (2 Cor 6,18; Ap 1,8; 4,8). Nelle professioni di fede, l'onnipotenza è di solito « appropriata », ossia attribuita a Dio Padre, pure essendo onnipotenti anche le altre due Persone divine (cf DS 29, 75, 164, 169, 173, 441 e 449; FCC 0.510, 6.009, 6.012, 6.016). Il mistero del male è stato spesso addotto come obiezione contro l'esistenza di un Dio che è onnipotente, bontà infinita e onnisciente. L'onnipotenza non significa che Dio può fare ciò che è logicamente impossibile (per es., fare un cerchio quadrato) o fare ciò che è opposto agli altri attributi divini. Cf Albigeismo; Appropriazione; Attributi divini; Dualismo; Mistero del male; Pantocràtor; Teodicea.

 

Onnipresenza (Lat. « presenza dovunque »). (inizio)

Attributo secondo cui Dio è presente dovunque (Sal 139,7‑12; At 17,24‑28). Mentre è presente dovunque come fonte creatrice di tutte le cose, Dio è presente anche in vari altri modi; per es., attraverso le persone umane, la Bibbia, il culto comunitario e i sacramenti (SC 7). Cf Creazione; Panteismo; Transostanziazione.

 

Ontologia (Gr. « studio dell'essere »). (inizio)

Lo studio delle verità necessarie degli esseri in quanto esseri esistenti. Introdotto nell'uso comune da Christian Wolff (1679‑1754), il termine « ontologia » è spesso sinonimo di « metafisica ». Cf Causalità; Filosofia; Metafisica.

 

Ontologico. (inizio)

Cf Argomento ontologico.

 

Ontologismo. (inizio)

È una epistemologia del XIX secolo sostenuta da molti pensatori cattolici in Belgio, Francia e Italia. Essi affermavano che noi abbiamo una conoscenza di Dio immediata e innata. Il termine fu usato per la prima volta da Vincenzo Gioberti (1801‑1852) nella sua opera: Introduzione allo studio della filosofia (1840). Gli ontologisti ritenevano, e in parte era vero, di essere nella linea di Platone (427‑347 a.C.), di sant'Agostino di Ippona (354‑430), di sant'Anselmo di Aosta (circa 1033‑1109) e di san Bonaventura (1221‑1274). Però, parlavano inadeguatamente del ruolo della percezione dei sensi e della natura limitata della nostra conoscenza di Dio in questa vita (cf Gv 1,38; 1 Gv 3,2). Nel 1861, il Vaticano condannò come ambigue parecchie proposizioni dell'ontologismo (cf DS 2841‑2847; FCC 1.034‑1.037). Nell'affermare che una qualche presenza previa di Dio nella nostra conoscenza è la condizione logica per qualsiasi conoscenza ulteriore, i tomisti trascendentali come Bernard Lonergan (1904‑1984) e Karl Rahner (1904‑1984) hanno difeso, in una forma modificata, una intuizione fondamentale dell'ontologismo. Cf Agostinianismo; Argomento ontologico; Epistemologia; Visione beatifica.

 

Opere buone(inizio)

Azioni che sono ispirate dalla fede e dallo Spirito Santo. Tra di esse, vi sono: la preghiera, il digiuno, l'elemosina, la protezione dei deboli, la visita ai malati, l'edificazione del prossimo, l'insegnamento e la pratica dell'ospitalità (Mt 8,12; Rm 12,1-15,13; Gc 1,26-2,17). Cf Fede e opere.

 

Opzione fondamentale (Lat. « scelta di fondo »). (inizio)

Orientamento generale di vita, o decisione particolare e molto seria che determina per il bene o per il male l'essenziale della nostra situazione morale e religiosa. Le riflessioni sull'opzione fondamentale si sono sviluppate come reazione ad un legalismo che considerava gli atti morali isolatamente dall'intero contesto della vita e della crescita di uno. Cf Conversione; Libertà; Persona; Peccato; Teologia morale.

 

Opzione per i poveri. (inizio)

Questo comportamento di vita ecclesiale è stato reso popolare dai teologi della liberazione. L'opzione per i poveri stimola i cristiani a lavorare in modo speciale per effettuare la giustizia sociale a favore di quei tanti milioni di esseri umani che non hanno cibo sufficiente, sono privi di casa, di assistenza medica, di educazione, di lavoro e di altri diritti umani fondamentali. Questo tema fu trattato dai vescovi dell'America Latina fin dal loro secondo Sinodo generale tenutosi a Medellín (Colombia) nel 1968. Nella Enciclica Sollicituido rei socialis del 1987, Giovanni Paolo II ha esortato tutti alla solidarietà e all'amore preferenziale per i poveri mediante attività concrete a livello locale (42, 43, 47). Questo interesse speciale a favore degli sfruttati, degli indifesi e degli emarginati trae la sua ispirazione dai profeti dell'AT (per es., Is 1,10‑20) e dal messaggio e dalla condotta di Gesù (Lc 6,20; 16,19‑31; 17,11‑19). Sia nell'AT che nel NT, Dio manifesta un amore preferenziale, anche se non esclusivo, per i poveri. In un modo speciale, la presenza e l'attività di Dio si rivelano nei poveri. Il Concilio Vaticano II ha invitato tutti i cristiani, specialmente quelli dei paesi ricchi, a esercitare maggiore giustizia e amore nel promuovere la causa dei poveri (GS 69, 88). Cf Anawim; Beatitudini; Dottrina sociale; Povertà; Teologia della liberazione.

 

Ordinario. (inizio)

Con questo nome, si intendono: il vescovo di una diocesi (« l'ordinario del luogo »), il suo vicario generale e i vicari episcopali designati dal vescovo, tutti coloro che esercitano una giurisdizione normale nella diocesi e che hanno qualche responsabilità importante in questa chiesa particolare (CIC 134, 368). Nel caso di istituti religiosi clericali, i superiori maggiori (per es., il provinciale o capo di una provincia) esercita la giurisdizione « ordinaria » sui suoi sudditi. Cf Chierico; Chiesa locale; Clero; Diocesi; Giurisdizione; Vescovo.

 

Ordinazione. (inizio)

È la cerimonia liturgica con cui i candidati diventano diaconi, presbiteri (sacerdoti) o vescovi. Al termine della liturgia della Parola e prima che cominci quella eucaristica, il sacramento dell'Ordine viene conferito con l'imposizione delle mani e la recita della formula prescritta. L'ordinazione prosegue col conferimento della stola al diacono e della pianeta al presbitero. Ad entrambi è presentato il libro dei Vangeli, mentre il sacerdote riceve anche il calice e la patena. Dopo l'ordinazione, il vescovo riceve l'anello, la mitra e il pastorale e siede sul trono come segno della sua autorità di magistero. Cf Diacono; Insediamento; Ordine; Presbitero; Sacerdoti; Vescovo.

 

Ordine. (inizio)

È il sacramento che conferisce un « carattere » speciale e rende chi lo riceve partecipe del sacerdozio ministeriale di Cristo nell'insegnamento, nel governo della Chiesa e nella celebrazione del culto. Comprende tre gradi: i vescovi, i presbiteri e i diaconi. In ognuno di questi casi, il rito dell'ordinazione mette in evidenza che il candidato è stato chiamato e scelto; viene invocato lo Spirito Santo per gli esercizi effettivi del nuovo ministero; e, oltre a varie preghiere, avviene un'imposizione delle mani da parte del vescovo ordinante. Gli Anglicani, i Cattolici e gli Ortodossi ritengono l'Ordine di istituzione divina, per cui gli ordinati rappresentano Cristo in certi ministeri che non possono compiere i non ordinati. Cf Carattere; Clero; Diacono; Ministero; Ordinazione; Presbitero; Sacramenti; Unzione; Vescovo.

 

Orientali. (inizio)

Cf Chiese orientali; Ortodossi orientali; Teologia orientale.

 

 

Origenismo. (inizio)

Le teorie e la scuola il cui pensiero si ispira a Origene di Alessandria (circa 185 ‑ circa 254). Egli sviluppò un'ermeneutica biblica in termini di sensi della Scrittura letterale, morale e allegorico. Come primo grande teologo sistematico del cristianesimo, Origene fece uso di immagini (partendo dalla realtà sensibile per simboleggiare il mondo spirituale invisibile) e sottolineò la nostra deificazione mediante la grazia. Il suo amore per l'allegoria, e, ancora di più, le sue tesi circa la salvezza finale di tutti (= apocatàstasi), la preesistenza delle anime umane (compresa quella di Cristo) e un'apparente subordinazione del Figlio al Padre incontrarono una continua critica e opposizione. Alla fine l'imperatore Giustiniano I fece condannare l'origenismo in un sinodo nel 543 e poi nel Concilio Costantinopolitano II nel 553 (cf DS 298, 353, 403‑411, 433, 519; FCC 0.008, 3.002, 3.027, 4.030). Tuttavia non è ancora chiaro fino a che punto abbia sbagliato, sino a che punto stesse semplicemente indagando su una varietà di teorie e sino a che punto certe false visuali siano state ascritte a lui dopo la sua morte. È difficile pronunciarsi, in quanto le sue opere sono state in gran parte distrutte. Un giudizio sereno su Origene deve tener conto che vari Padri della Chiesa sono stati grandi suoi ammiratori, come sant'Atanasio di Alessandria (circa 296‑373), san Basilio Magno (circa 330‑379) e san Gregorio Nazianzeno (329‑389). Cf Allegoria; Apocatàstasi; Ermeneutica; Esegesi; Platonismo; Sensi della Scrittura; Teologia alessandrina.

 

Originale. (inizio)

Cf Giustizia originale; Peccato originale

 

 

Ortodossia (Gr. « retta credenza »). (inizio)

Credenza e insegnamento riconosciuti dalla Chiesa come veramente basati sull'autorivelazione divina in Gesù Cristo. L'AT usava vari criteri per distinguere i veri dai falsi profeti (Dt 13,1‑7; 18,21‑22; Ger 23,9‑40; 28,9.15‑17; cf Mt 7,15‑20). San Paolo, nelle sue Lettere, si mostra grandemente intento a conservare la rivelazione genuina e la dottrina che egli e altri hanno trasmesso (Rm 16,17; 1 Cor 11,2; 15,1‑11; Gal 1,6‑9). Altri libri successivi del NT riflettono un impegno simile per un insegnamento consono e fedele alla rivelazione originale (1 Tm 1,3‑11; 6,2‑5; 2 Tm 1,13‑14; 4,3; Tt 1,9; 2,1; Gd 3). Il termine « ortodossia » entrò a far parte del vocabolario della Chiesa durante le grandi controversie trinitarie e cristologiche dei secoli III, IV e V. In Oriente, questo termine venne usato per designare le Chiese unite a Costantinopoli e a Roma, in quanto distinte dalla Chiesa nestoriana e da quella monofisita. Quando la crisi iconoclasta ebbe fine nell'842, fu stabilita in Oriente una Festa della Ortodossia nella prima domenica di Quaresima. Nel Synodikon, o sommario di sinodi che viene letto in quel giorno, una litania di maestri e santi ortodossi è letta in contrapposizione ad una lista di eretici anatematizzati. L'etimologia popolare che collega « ortodossia » con « retto culto » indica come la liturgia garantisca la verità e la vitalità dell'insegnamento nelle Chiese d'Oriente. Cf Deposito della fede; Dogma; Chiese Orientali; Eresia; Eterodosso; Iconoclasmo; Monofisismo; Nestorianesimo; Ortodossi Orientali; Professione di fede; Tradizione.

 

Ortodossi orientali. (inizio)

Un termine moderno per designare quelle Chiese Orientali che hanno rifiutato il Concilio di Calcedonia (451) ritenendolo non conforme a san Cirillo di Alessandria (morto nel 444) e una resa al duofisismo (Gr. « due nature ») nestoriano. Queste Chiese accettano i primi tre concili ecumenici, a differenza degli altri Ortodossi che accettano i primi sette. Le Chiese ortodosse sono autocefale, ma riconoscono il patriarca di Costantinopoli come simbolo di unità. Gli Ortodossi Orientali sono anch'essi autocefali, ma non hanno questo punto di unità. Cf Autocefalo; Chiese Orientali; Concilio di Calcedonia; Concilio Costantinopolitano I; Concilio di Efeso; Concilio di Nicea I; Monofisismo; Nestorianesimo; Sette Concili ecumenici (I).

 

Ortoprassi (Gr. « retto comportamento »). (inizio)

Attività autocritica che mira a « fare la verità » (Gv 3,21; cf Gal 5,6), a praticare il discepolato cristiano e a trasformare la società umana. A partire dagli anni '60, questo termine fu reso popolare da Johann Baptist Metz (nato nel 1928), da Nikos Nissiotis (morto nel 1986), dal Consiglio Ecumenico delle Chiese e dalla teologia della liberazione. L'ortoprassi trae la sua ispirazione dalla predicazione di Gesù sul Regno di Dio e dalla sua condotta che lo condusse fino alla morte. L'ortoprassi porta alla preghiera e al culto pubblico ed è alimentata da essi. L'autentica ortoprassi rende credibile l'ortodossia, e la vera ortodossia, a sua volta, è manifestata nell'ortoprassi. Da una parte, un'ortodossia puramente formale non è migliore di una conformità verbale a un sistema di affermazioni dottrinali. D'altra parte, un'enfasi unilaterale sull'ortoprassi può deteriorarsi in un puro attivismo staccato dalla fede e dal culto cristiano. Cf Comunità di base; Pluralismo; Prassi; Ortodossia; Scuola di Francoforte; Teologia femminista; Teologia della liberazione; Teologia nera; Teologia politica.

 

Ossessione diabolica. (inizio)

Il comportamento frenetico, violento od osceno di persone che sono sotto il controllo di forze demoniache. Il NT, ma non il Vangelo di Giovanni, parla di ossessi liberati dalla forza salvifica di Cristo (Mc 1,23‑28; 5,1‑20; Lc 11,14‑20; At 19,13‑16). La tradizione cristiana ha ammesso la reale possibilità di ossessione diabolica. Nello stesso tempo, però, molti casi si possono spiegare come disturbi psichici più che schiavitù letterale del demonio. Un caso famoso fu quello del gesuita Jean‑Joseph Surin (1600‑1665), il quale volle esorcizzare un convento di Orsoline e cadde in uno stato patologico che fu interpretato da molti come ossessione diabolica. Cf Demoni; Diavolo; Esorcismo.

 

Ottoeco (Gr. « Oktòikos »: otto toni). (inizio)

È un libro liturgico della Chiesa greca per gli uffici propri del ciclo mobile dalla prima domenica dopo Pentecoste (che nella Chiesa greca è il Giorno di tutti i Santi) alla prima domenica del periodo pre‑quaresimale. Abbraccia ciò che la liturgia latina chiama « Tempo Ordinario » dell'anno liturgico, ed è usato col Triòdion fino a quando viene sostituito interamente da quest'ultimo per la Domenica delle Palme e la Settimana Santa. Il nome Ottoeco si riferisce alla scala dei suoi otto toni: nella prima settimana dopo Pentecoste, è usato il primo tono; il secondo nella seconda settimana, e così via. Mediante questa ripetizione, un ciclo di otto settimane con cinquantasei propri, uno per ogni giorno della settimana in ognuno degli otto toni, regola una buona parte dell'anno liturgico. Usato originariamente solo nelle domeniche (Piccolo Ottoeco), esso venne poi esteso a comprendere i giorni della settimana in quello che fu chiamato il Grande Ottoeco, o Paraklitikì. Cf Pentikostàrion; Triòdion.

 

Ousìa (Gr. « sostanza », « essenza »). (inizio)

Termine usato nel I Concilio di Nicea (325) per indicare l'unica natura divina posseduta dal Padre e dal Figlio (DS 125‑126; FCC 0.503‑0.504). Il Concilio Costantinopolitano I (381) affermò la divinità dello Spirito Santo (DS 150‑151; FCC 4.019). Che le tre Persone divine possiedano la stessa « ousìa » fu esplicitato dal Concilio Costantinopolitano III (553) (DS 421; FCC 0.509). In Latino, ousìa viene tradotto non solo con « essentia » (« essenza »), ma anche con « substantia » (« sostanza »), termine che è troppo facilmente associato con una parola greca che indica « persona » (hypòstasis). Cf Concilio Costantinopolitano I; Concilio Costantinopolitano II; Concilio Costantinopolitano III; Concilio di Nicea I; Ipostasi; Omooùsios; Persona.

 

    Oxford. Cf Movimento di Oxford. (inizio)  

 

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VENENDO PORTAMI...I LIBRI, SOPRATTUTTO LE PERGAMENE.... 2Ti m. 4,13
 
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