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PENSIERI SULL'AMORE DI DIO (s.Teresa d'Avila)

Ultimo Aggiornamento: 03/08/2013 16:10
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03/08/2013 16:07
 
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CAPITOLO 6

Dice come i vantaggi di questa unione d’amore superino tutti i desideri della sposa. Parla della sospensione delle potenze e di come alcune anime in poco tempo arrivino a questa orazione così elevata.
Il Re m’introdusse nella cella del vino e ordinò in me la carità (Ct 2,4).

1. Mentre la sposa sta ormai riposando all’ombra così ardentemente e giustamente desiderata, cosa le resta cui aspirare se non di godere sempre di quel bene? Ma se ad un’anima giunta a questo stato sembra che non ci sia più nulla da desiderare, al nostro divino Re resta ancora molto da donare. Egli, anzi, non vorrebbe fare altro che elargire i suoi doni, se trovasse anime disposte. Ve l’ho già detto molte volte, figlie mie, e vorrei che non ve ne dimenticaste mai: il Signore non si accontenta di commisurare i suoi doni ai nostri modesti desideri. L’ho sperimentato io stessa: quando un’anima comincia a chiedere qualcosa al Signore, intende solo chiedergli quanto crede di poter sopportare. Ma il Signore le concede di meritare e di soffrire alquanto per lui. Poi Sua Maestà, volendola premiare del poco che l’anima ha deciso di fare per lui, accresce le sue forze e le invia tante prove, persecuzioni e malattie, che la povera anima non sa più cosa fare.
2. Proprio a me è accaduto tutto questo quando ero molto giovane e dicevo qualche volta: Oh, Signore, io non vorrei tanto! Ma Sua Maestà mi dava così gran forza e pazienza che ancora oggi mi meraviglio di aver potuto sopportare tutto quello che soffrivo. Ora non cambierei quelle sofferenze per tutto l’oro del mondo. La sposa dice: Il Re m’introdusse. Come soddisfa questo nome: Re potente, che non ha alcuno sopra di sé e il cui regno non avrà mai fine! All’anima che si trova in questo stato certamente non manca la fede per capire molto della grandezza di questo Re, giacché arrivare a conoscere come egli è, riesce impossibile in questa vita mortale.
3. Dice che l’introdusse nella cella del vino e ordinò in lei la carità. Queste parole mi fanno pensare a quanto sublime sia la grandezza di questa grazia. Infatti, si può bere di più o di meno, passare da un vino buono ad un altro migliore, inebriare e ubriacare molto o poco una persona. Così è delle grazie del Signore, il quale a uno dà poco vino di devozione, a un altro di più, a un terzo aumenta la misura in modo tale da cominciare a trarlo fuori di sé, dalla sua sensualità e da tutte le cose della terra. Ad alcuni concede grande fervore nel suo servizio, ad altri impeti, ad altri una così ardente carità verso il prossimo che, trasportati da essa, non sentono più le dure tribolazioni che qui devono sopportare. Ora, quel che dice la sposa indica molte cose unite insieme. La introduce nella cella, affinché vi si possa arricchire senza limite. Sembra che il Re non voglia tralasciare di darle nulla, ma farle bere quanto vuole, così che s’inebri pienamente, assaporando tutti questi vini racchiusi nella sua cantina. Goda pure di tali gioie; ammiri le sue grandezze; non tema di perdere la vita nel bere tanto da superare il limite che comporta la debolezza naturale; muoia in questo paradiso di delizie! Beata morte quella che fa vivere così! Ed è proprio quel che avviene, perché sono talmente grandi le meraviglie che l’anima conosce, senza sapere come riesca a comprenderle, che resta fuori di sé, cosa che le viene rivelato con le parole: Ordinò in me la carità.
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