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CAMMINO DI PERFEZIONE (s.Teresa d'Avila)

Ultimo Aggiornamento: 03/08/2013 09:06
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03/08/2013 08:56
 
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CAPITOLO 56 (32)
Parla di ciò che il Signore dona dopo che ci siamo abbandonati alla sua volontà.
1. Quanto più grande è la risolutezza dell’anima – di compiere opere che non sono soltanto parole di convenienza –, tanto più il Signore l’avvicina a sé e la eleva su tutte le cose di quaggiù e sopra se stessa per prepararla a ricevere grazie sublimi, giacché non finisce mai di pagare in questa vita tale dono. Lo stima tanto che noi non sappiamo più che cosa chiedergli, e Sua Maestà non si stanca mai di dare. Non contento infatti di aver fatto dell’anima una cosa sola con lui, per averla ormai trasformata in sé, comincia a compiacersene, a scoprirle segreti, godendo che capisca quanto ha guadagnato e che sappia qualcosa di quanto le ha riservato; infine, le fa perdere a poco a poco i sensi esterni, perché nulla le sia d’impedimento. Questo è il rapimento. E comincia allora a trattarla con tanta amicizia che non solo le restituisce la sua volontà, ma le dà, insieme, la propria, compiacendosi, ora che la tratta con tanta amicizia, di far sì che comandino a turno – come si dice – e di adempiere le sue richieste, come ella adempie ciò ch’egli le comanda di fare; solo ch’egli opera molto meglio perché, essendo onnipotente, può ciò che vuole e non smette mai di volere.
2. Invece l’anima, poveretta, nonostante voglia, molte volte non può fare quel che vorrebbe; anzi, non può far nulla senza un dono di Dio. Resta tanto più debitrice quanto più serve, e spesso tormentata dal vedersi soggetta a tanti inconvenienti, ostacoli e legami che comporta lo stare nel carcere di questo nostro corpo, perché vorrebbe pagare almeno qualcosa del suo debito. Ma è molto sciocca a tormentarsi; infatti, se anche facesse tutto quello che dipende da lei, che cosa possiamo pagare noi che non abbiamo nulla da dare se non lo abbiamo ricevuto? Non possiamo fare altro che riconoscerci incapaci e compiere perfettamente quanto possiamo la rinuncia alla nostra volontà. Come ho detto, ho lasciato scritto in un altro libro come dev’essere questa orazione e cosa debba fare l’anima fino a quando non vi è pervenuta. Ho anche spiegato molto diffusamente ciò che l’anima sente in questo stato e come si riconosca l’intervento di Dio. Per questo motivo, basta ora solo accennare ad alcuni elementi dell’orazione per farvi comprendere come si debba recitare il Pater noster.
3. Voglio darvi soltanto un avviso: non pensate d’arrivare a questo stato in virtù dei vostri sforzi e del vostro zelo; sarebbe inutile: se prima avevate devozione, ora cadreste nella freddezza. Dovete solo, con la semplicità e l’umiltà che ottiene tutto, dire: fiat voluntas tua.
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