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CAMMINO DI PERFEZIONE (s.Teresa d'Avila)

Ultimo Aggiornamento: 03/08/2013 09:06
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03/08/2013 08:50
 
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CAPITOLO 40 (24)
Tratta dell’orazione vocale e dice come si abbini a quella mentale.
1. È evidente, come ho detto, che dobbiamo sapere quello che diciamo. Non devono poter dire di noi che parliamo senza essere coscienti delle nostre parole, salvo che basti, a nostro avviso, seguire l’abitudine, contentandoci solo di pronunciare le parole. Se basti o no, non è affar mio; lo diranno i dotti e lo diranno alle persone che, per aver ricevuto luce da Dio, andranno a chiederglielo. Per coloro che non appartengono al nostro stato, non mi pronuncio. Ciò che io vorrei che noi facessimo, figlie mie, è non contentarci solo di questo. Quando, infatti, dico «credo», mi sembra giusto e doveroso che sappia ciò che credo; e quando dico «Padre nostro», l’amore esige che io comprenda chi sia questo Padre. E inoltre che cerchiamo di vedere chi sia il Maestro che ci ha insegnato tale preghiera.
2. Se volessimo obiettare che basta sapere, una volta per sempre, chi è il Maestro, e che non c’è motivo di ricordarvelo, potreste altrettanto affermare che basta dire l’orazione una volta nella vita. Vi è molta differenza fra maestro e maestro. E se anche per quelli che ci danno insegnamenti quaggiù è molto grave non ricordarcene, a maggior ragione si deve dire dei maestri dell’anima ai quali, se siamo dei buoni discepoli, è impossibile non portar loro amore, onorarli e ricordarli spesso. Come allora dimenticarsi di un tale Maestro qual è colui che ci ha insegnato questa preghiera e con tanto amore e desiderio di giovarci? Dio non voglia che non ci ricordiamo di lui recitandola; anche se non [ci ricordiamo] sempre, a causa della nostra debolezza, almeno spesso.
3. Anzitutto voi sapete che questo celeste Maestro c’insegna a pregare in solitudine, come egli sempre faceva quando pregava e non perché ne avesse bisogno, ma per impartire un insegnamento a noi.
4. Già si è detto che non si può parlare nello stesso tempo con Dio e con il mondo, mentre altro non fanno quelli che recitano preghiere e al tempo stesso ascoltano quanto si dice intorno, o si soffermano a pensare a ciò che viene loro in mente, senza preoccuparsi d’altro. Si sa che non è cosa buona fare così. Ciò che noi possiamo fare è cercare la solitudine. Piaccia a Dio che ciò basti – ripeto – per comprendere con chi stiamo e quali siano le risposte del Signore alle nostre domande. Credete forse che egli taccia? Anche se non lo udiamo, parla chiaramente al cuore, quando è il cuore a pregarlo. È bene, una volta ammesso che dobbiamo essere in solitudine, considerare che a ciascuna di noi il Signore ha insegnato e continua ad insegnare quest’orazione, e il Maestro non è mai così lontano dal discepolo d’aver bisogno d’alzare la voce, anzi gli è molto vicino. Io vorrei che voi foste convinte di questa verità, che per ben recitare il Pater noster dovete restare presso il Maestro che ve l’ha insegnato.
5. Direte che già questo è meditare e che voi non potete né volete fare altro che pregare vocalmente. E avete una qualche ragione. Ma io vi dichiaro, in verità, che non so come si possa separare l’orazione mentale dalla vocale, se si vuol fare bene quella vocale, sapendo chi sia colui al quale parliamo. Ed è anche un dovere cercare di pregare con attenzione. Piaccia a Dio che con questi mezzi si riesca a recitare bene il Pater noster e che non si finisca, nel dirlo, col pensare a cose del tutto fuori luogo. Io l’ho provato varie volte: e il miglior rimedio che trovo di fronte alla distrazione è tener fisso il pensiero su colui al quale rivolgo le parole. Pertanto, abbiate pazienza, come è necessario per essere monache e anche, come mi sembra, per pregare da buoni cristiani.
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