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CANTICO SPIRITUALE (s.Giovanni della Croce)

Ultimo Aggiornamento: 02/08/2013 18:38
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02/08/2013 18:35
 
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Annotazione per la strofa seguente
STROFA 32
1. Grande è il potere e la tenacia dell’amore se conquista e lega lo stesso Dio. Beata l’anima che ama, poiché tiene prigioniero Dio, disposto a fare tutto ciò che essa desidera! La natura di Dio, infatti, è tale che, se lo si prende per amore e con il bene, gli si fa fare ciò che si vuole. Diversamente non c’è parola né potere, per quanto forti, che valgano su di lui, mentre invece, per amore, lo si tiene legato con un solo capello. L’anima sa tutto questo e sa pure che Dio le ha concesso favori al di là dei suoi meriti tanto da elevarla a un amore così sublime, arricchendola di doni e virtù molto preziose. In questa strofa essa attribuisce tutto ciò al suo Amato, dicendo:
Guardandomi, i tuoi occhi
lor grazia m’infondean;
per questo più m’amavi,
per questo meritavan
gli occhi miei adorar quanto vedean.
SPIEGAZIONE
2. È proprio dell’amore perfetto non voler accettare né prendere nulla per sé, ma attribuire tutto all’Amato e nulla a se stesso. Se questa è la legge persino dell’amore umano, quanto più lo è dell’amore di Dio, come logica vuole! Nelle due strofe precedenti la sposa sembrava attribuirsi qualche merito. Diceva, per esempio, che avrebbe intrecciato insieme con lo Sposo le ghirlande e che le avrebbero legate con un suo capello, cosa di non poca importanza e valore; si gloriava, inoltre, che lo Sposo si era lasciato catturare da un suo capello e ferire da uno dei suoi occhi, e anche in questo sembrava attribuirsi un grande merito. Ora, nella presente strofa, vuole spiegare le sue intenzioni e dissipare ogni possibile fraintendimento: essa, in verità, si preoccupa e teme che le venga attribuito qualche valore o merito, sottraendo così a Dio ciò che gli è dovuto e che essa vuole dargli. Attribuendo tutto a lui e, nello stesso tempo, ringraziandolo per ogni cosa, dice che il motivo per cui egli si è lasciato catturare da un solo capello del suo amore e ferire dall’occhio della sua fede è perché si è degnato di guardarla con amore, rendendola graziosa e gradevole ai suoi occhi. Per questa grazia e per questo valore da lui ricevuti, essa ha meritato il suo amore e ha potuto adorare il suo Amato in modo a lui gradito e compiere opere degne della sua grazia e del suo amore. Ecco il verso: Guardandomi, i tuoi occhi.
3. Cioè mi guardavi con una speciale tenerezza d’amore. Ho già detto, infatti, che lo sguardo di Dio è amore. Lor grazia m’infondean.
4. Gli occhi dello Sposo significano, qui, la sua divinità misericordiosa. Quando egli si china sull’anima con misericordia, imprime e infonde in essa il suo amore e la sua grazia; allora la rende talmente bella e la eleva tanto, da farla partecipe della natura divina (2Pt 1,4). Alla vista di questa dignità e altezza a cui Dio l’ha sollevata, l’anima dice: per questo più m’amavi.
5. Mi amavi molto; non di un amore semplice, ma di un amore raddoppiato, cioè per due motivi o titoli. Ecco perché in questo verso l’anima lascia capire le due ragioni dell’amore che lo Sposo nutre per lei: non solo l’ha amata quando si è lasciato catturare da uno dei suoi capelli, ma soprattutto perché si è visto ferito da uno dei suoi occhi. In questo verso l’anima espone il motivo per cui egli l’ha amata così profondamente: lo Sposo si è degnato di guardarla e, guardandola, l’ha colmata di grazie e l’ha resa degna delle sue compiacenze. Egli le ha accordato amore a motivo di uno dei suoi capelli e ha informato di carità la fede simboleggiata dal suo occhio. L’anima, dunque, dice: per questo più m’amavi. Quando Dio concede all’anima la sua grazia, la rende degna e capace del suo amore. Ciò equivale a dire: poiché avevi posto in me la tua grazia, cioè doni degni del tuo amore, per questo più mi amavi, per questo mi concedevi ancora più grazia. Ciò è quanto afferma san Giovanni: Noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia (Gv 1,16), il che vuol significare che Dio aggiunge nuove grazie alle prime, perché senza la sua grazia non si può meritare la grazia.
6. Per comprendere questa verità, occorre notare che Dio non ama nulla al di fuori di sé, come non nutre per creatura alcuna un amore che sia inferiore a se stesso. Ama tutto per sé, ragion per cui l’amore è il fine per cui ama. Ecco perché non ama le cose create per se stesse. Questo è il motivo per cui quando Dio ama un’anima, in un certo modo la mette in se stesso, la rende uguale a sé, così che ama l’anima in se stesso e con sé, con lo stesso amore con cui egli si ama. Perciò, per ogni opera che compie in Dio, l’anima, una volta arricchita di questa grazia così elevata, merita l’amore di Dio e Dio stesso. Quindi aggiunge subito: per questo meritavan…
7. Cioè: in virtù di questo favore e di questa grazia che gli occhi della tua misericordia mi hanno fatto quando mi guardavano, rendendomi gradita ai tuoi occhi e degno di essere vista, meritarono gli occhi miei adorar quanto vedean.
8. Ciò vuol dire: o mio Sposo, le potenze della mia anima – che sono gli occhi con i quali puoi essere visto da me – meritarono di essere elevate per guardarti, mentre prima per la miseria delle povere operazioni e della stessa natura erano decadute e degradate. Infatti per l’anima poter contemplare Dio significa agire con la grazia di Dio. Così le potenze dell’anima meritarono di adorarlo, perché adoravano con la grazia del loro Dio, in cui ogni azione è meritoria. Adoravano, quindi, illuminate ed elevate dalla sua grazia e dai suoi favori, quanto in lui già vedevano, ma che prima non scorgevano, a motivo della loro cecità e bassezza. Cos’era, dunque, ciò che vedevano? Vedevano in Dio la grandezza delle virtù, l’abbondanza della soavità, la bontà immensa, l’amore e la misericordia, i benefici innumerevoli ricevuti da lui, sia quando l’anima era in stato di grazia sia quando non lo era. Tutto questo meritarono di adorare lodevolmente gli occhi dell’anima, perché pieni di grazia e graditi allo Sposo. Al contrario, prima non meritavano di adorare e vedere tutto questo, anzi non erano neppure degni di pensare a Dio; grande infatti è la rozzezza e la cecità dell’anima priva della sua grazia.
9. A questo proposito vi sarebbe molto da dire e molto da rammaricarsi nel vedere quanto sia lontana l’anima dal compiere ciò che dovrebbe, quando non è illuminata dall’amore di Dio. Dovrebbe, infatti, riconoscere questi e altri innumerevoli favori, sia temporali sia spirituali, che ha ricevuto e riceve continuamente da lui, e dovrebbe adorare e servire Dio con tutte le sue forze. Invece non solo non lo fa, ma non merita neppure di guardarlo e di conoscerlo, né di rendersene conto. A tal punto arriva la miseria di coloro che vivono, o meglio, giacciono morti nel peccato.
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