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CANTICO SPIRITUALE (s.Giovanni della Croce)

Ultimo Aggiornamento: 02/08/2013 18:38
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02/08/2013 18:29
 
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Annotazione per la strofa seguente
STROFA 18
1. In questo stato di fidanzamento spirituale l’anima si avvede delle sue doti straordinarie e delle sue grandi ricchezze; si rende altresì conto di non possederle e goderle come vorrebbe, perché si trova ancora nella carne. Soffre quindi spesso e intensamente, soprattutto quando ne ha più viva coscienza. Si rende conto, infatti, di trovarsi nel corpo come un gran signore in carcere, sottoposto a mille miserie: vede che l’hanno spogliato dei suoi regni ed escluso dall’esercizio del suo potere e delle sue ricchezze, e che non gli è concesso, di tutti i suoi beni, che un misero vitto; tutti possono facilmente immaginare il suo stato d’animo, soprattutto per il fatto che anche i suoi domestici non gli sono soggetti come dovrebbero, anzi, a ogni occasione, i suoi servi e i suoi schiavi gli si scagliano contro senza alcun rispetto, fin quasi a togliergli il boccone dal piatto. La stessa cosa accade all’anima. Difatti, quando Di le concede la grazia di gustare un assaggio dei beni e delle ricchezze preparato per lei, subito insorge nella parte sensitiva un servo cattivo dell’appetito, oppure uno schiavo, cioè un moto disordinato, o altre ribellioni di questa parte inferiore, per impedirle quel bene.
2. In tale stato l’anima ha l’impressione di trovarsi in terra nemica, schiavizzata tra estranei e quasi morta tra i morti, ben sperimentando quanto il profeta Baruc lascia intendere quando lamenta tale disgrazia nella cattività di Giacobbe: Perché, Israele, perché ti trovi in terra nemica e invecchi in terra straniera? Perché ti contamini con i cadaveri e sei annoverato tra coloro che scendono negli inferi? (Bar 3,10-11). Anche Geremia, provando in sé questo misero stato patito dall’anima a causa della schiavitù del corpo, rivolgendosi a Israele dice in senso spirituale: Israele è forse un servo o uno schiavo di nascita perché è divenuto una preda? Contro di lui ruggiscono i leoni (Ger 2,14-15), ecc. Qui per leoni intende gli appetiti e le ribellioni, a cui si accennava, di questo re tiranno, cioè della sensualità. L’anima, per mostrare quale molestia ne riceva e quanto desideri che questo regno della sensualità, con tutti i suoi eserciti e tutte le sue molestie, abbia ora fine o le si sottometta del tutto, alzando lo sguardo verso lo Sposo come a colui che deve operare tutto questo, e apostrofando questi moti e ribellioni, pronuncia la strofa seguente:
O ninfe di Giudea!
Intanto che tra i fiori e nei roseti
l’ambra i suoi aromi emana,
nei sobborghi restate,
toccar le nostre soglie non vogliate.
SPIEGAZIONE
3. È la sposa che parla in questa strofa. Vedendo la sua parte superiore e spirituale arricchita di doni tanto preziosi e colmata di delizie così benefiche, desidera conservare, in modo sicuro e permanente, quel possesso che lo Sposo le ha concesso, come si è visto nelle strofe precedenti. Ma la sua parte inferiore, ossia la sensualità, potrebbe impedire questo favore divino e di fatto ostacola e disturba il possesso di un bene così grande. Per questo motivo la sposa chiede alle potenze e ai sensi della parte inferiore che si acquietino e cessino le loro operazioni e gli stimoli; chiede, altresì, che non vadano oltre i confini del loro ambito, quello della sensitività, turbando e gettando inquietudine nella parte superiore e spirituale dell’anima, in modo da non impedirle, neppure con il più piccolo moto, il bene e la soavità di cui gode. Difatti, se i moti della parte sensitiva e le potenze entrano in azione, mentre lo spirito gode, quanto più sono attivi e vivaci tanto più lo molestano e lo turbano. Dice, dunque, così: O ninfe di Giudea!
4. Chiama Giudea la parte inferiore dell’anima, quella sensitiva. La chiama Giudea perché è debole, carnale e di per sé cieca, come il popolo ebraico. Chiama ninfe tutte le immaginazioni, le fantasie, i moti e gli affetti di questa parte inferiore. Le chiama tutte ninfe perché come le ninfe con il loro affetto e le loro grazie attirano a sé gli amanti, così le operazioni e i moti della sensualità cercano in maniera piacevole e insistente di attirare a sé la volontà della parte razionale, per distoglierla dalle realtà interiori verso gli oggetti esteriori che esse ricercano e desiderano; nello stesso tempo sommuovono anche l’intelletto, attirandolo perché si sposi e si unisca a loro agendo in modo vile, nel tentativo di conformare e unire la parte razionale con quella sensitiva. L’anima, dunque, dice: oh!, voi, operazioni e moti sensuali, intanto che tra i fiori e nei roseti…
5. I fiori, come ho detto, sono le virtù dell’anima; i roseti le sue potenze: memoria, intelletto e volontà, che racchiudono in sé e coltivano fiori di pensieri divini e atti di amore, oltre le suddette virtù. Fintanto che in queste virtù e potenze della mia anima, ecc., l’ambra i suoi aromi emana.
6. L’ambra rappresenta qui lo Spirito divino dello Sposo che dimora nell’anima. Quest’ambra divina emana aromi tra i fiori e nei roseti, quando si spande e si comunica, in modo dolcissimo, nelle facoltà e nelle virtù dell’anima, donandole attraverso di esse profumi di soavità divina. Ora, mentre questo Spirito divino colma la mia anima di soavità spirituale, nei sobborghi restate.
7. Nei sobborghi della Giudea, che, come ho detto, è la parte inferiore o sensitiva dell’anima; e i suoi sobborghi sono i sensi interni, come la memoria, la fantasia e l’immaginazione, ove s’imprimono e si conservano le forme, le immagini e i fantasmi degli oggetti, per mezzo dei quali la sensualità muove i suoi appetiti e le sue brame. Queste forme, ecc., sono quelle che qui chiama ninfe; finché esse sono quiete e assopite, anche gli appetiti dormono. Esse penetrano nei sobborghi dei sensi interni attraverso le porte dei sensi esterni, cioè l’udito, la vista, l’olfatto, ecc., così che possiamo chiamare sobborghi tutte le facoltà e i sensi, sia interni che esterni, della parte sensitiva; si chiamano sobborghi perché sono i quartieri situati fuori delle mura della città. Difatti ciò che viene chiamato città nell’anima è la sua parte più interna, cioè quella razionale, che ha la capacità di comunicare con Dio e le cui operazioni sono contrarie a quelle della sensualità. Vi è, però, un collegamento naturale tra gli abitanti di questi sobborghi della parte sensitiva, le ninfe di cui ho parlato, e la parte superiore, la città, in modo che quanto si fa nella parte inferiore ordinariamente si avverte in quella più interna, richiamandone l’attenzione e distraendola nel suo rapporto spirituale con Dio. Per questo l’anima chiede loro di restare nei sobborghi, cioè di starsene quietamente nei loro sensi interni ed esterni. Toccar le nostre soglie non vogliate.
8. Cioè non toccate la parte superiore nemmeno con moti primi. I moti primi dell’anima, infatti, sono la porta d’ingresso e la soglia attraverso cui vi si penetra dentro, e quando questi primi moti arrivano fino alla ragione, hanno già varcato la soglia. Ma se questi moti primi restano ciò che sono, allora toccano solo la soglia o bussano alla porta. Ciò avviene quando la parte sensitiva attacca la ragione con qualche atto disordinato. Ecco perché l’anima non solo desidera che questi moti non la tocchino, ma che non si debba dare spazio neppure alle considerazioni che non conducono alla quiete e al bene di cui essa gode.
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Stretta è la porta e angusta la Via che conduce alla Vita (Mt 7,14)
 
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