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CANTICO SPIRITUALE (s.Giovanni della Croce)

Ultimo Aggiornamento: 02/08/2013 18:38
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02/08/2013 18:29
 
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Annotazione per la strofa seguente
STROFA 17
1. Per una migliore comprensione della strofa seguente è opportuno ora ricordare che le assenze dell’Amato durante questo stato di fidanzamento spirituale procurano all’anima molta sofferenza, a volte una sofferenza senza confronti. Questo perché l’amore che nutre per Dio nella presente situazione è grande e forte, quindi altrettanto grande e forte è il tormento arrecatole dall’assenza dell’Amato. A ciò si aggiunga una considerevole molestia che in questo tempo prova per qualsiasi rapporto o comunicazione con le creature. Ora, poiché l’anima sperimenta con potente impulso un desiderio vivissimo dell’unione con Dio, qualsiasi ritardo le risulta insopportabilmente fastidioso, proprio come alla pietra risulterebbe violento qualsiasi ostacolo in cui incappasse o le si parasse davanti quando precipita velocemente verso il suo centro. L’anima che ha già assaporato queste dolci visite, le considera più desiderabili dell’oro e di qualsiasi bellezza (Sal 18,11). Per questo motivo, timorosa di restare priva, anche solo per un momento, di una presenza così preziosa, parlando con la propria aridità di spirito e con lo Sposo, pronuncia la strofa seguente:
Férmati, borea morto,
vieni, austro, a suscitar gli amori,
soffia pel mio giardino,
diffondine gli aromi
e pascerà l’Amato in mezzo ai fiori.
SPIEGAZIONE
2. Oltre a quanto detto nella strofa precedente, anche l’aridità di spirito impedisce all’anima di gustare la dolcezza interiore di cui ho parlato prima. Temendo questo, l’anima nella presente strofa fa due cose. Anzitutto cerca d’impedire l’aridità, sbarrandole il passo per mezzo della continua preghiera e della devozione. In secondo luogo invoca lo Spirito Santo perché allontani da lei l’aridità, mantenga e accresca in lei l’amore dello Sposo e la induca a praticare interiormente le virtù. Tutto questo serve perché il Figlio di Dio, suo Sposo, provi gioia e sempre più si compiaccia di lei, che desidera solo contentare l’Amato. Férmati, borea morto.
3. Borea è un vento molto freddo che fa seccare e appassire i fiori e le piante o, quanto meno, li fa rattrappire e richiudere su se stessi quando li investe. E poiché l’aridità spirituale e l’assenza di affetto da parte dell’Amato producono nell’anima questo stesso effetto, togliendole il gusto, il sapore e la fragranza delle virtù che stava gustando, chiama tutto questo borea morto. Dal momento che ha mortificato tutte le virtù e lo sviluppo degli affetti, l’anima esclama: Férmati, borea morto. Tali parole pronunciate dall’anima si devono intendere come un atto di orazione e di esercizio spirituale per tener lontana l’aridità. Ma poiché in questo stato le realtà sublimi che Dio comunica all’anima sono talmente interiori che l’anima non può porle in atto e gustarle unicamente con l’esercizio delle proprie facoltà, se lo Spirito dello Sposo non suscita in lei una mozione d’amore, essa lo invoca subito, dicendo: vieni, austro, a suscitar gli amori.
4. L’austro è un altro vento, comunemente detto libeccio. È piacevole, porta la pioggia, fa germogliare erbe e piante, fa sbocciare i fiori e spande i loro profumi; ha quindi effetti contrari a quelli della tramontana o borea. Questo vento simboleggia per l’anima lo Spirito Santo, che, dice, suscita gli amori. Quando questo vento divino investe l’anima, la penetra in modo tale da infiammarla tutta: l’accarezza, la ravviva, ne risveglia la volontà, conduce all’amore di Dio i suoi affetti, che erano affievoliti e sopiti. Ben si può dire, allora, che suscita gli amori dell’Amato e dell’anima. Quanto quest’ultima chiede allo Spirito Santo è espresso nel verso seguente: soffia pel mio giardino.
5. Questo giardino è l’anima stessa. Come prima ha chiamato l’anima vigna fiorita, perché i fiori delle sue virtù producono vino dal dolce sapore, così qui la chiama giardino, perché in essa sono piantati, nascono e crescono i fiori della perfezione e delle virtù. Osserviamo che qui la sposa non dice: spira nel mio giardino, ma: spira per il mio giardino, perché vi è una grande differenza tra lo spirare di Dio nell’anima e lo spirare per l’anima. Spirare nell’anima è infondervi grazie, doni e virtù. E spirare per l’anima esprime il tocco e il movimento che Dio dà alle virtù e alle perfezioni che essa già possiede, rinnovandole ed eccitandole in modo che effondano una meravigliosa fragranza e soavità nell’anima, proprio come quando, rimestando le erbe aromatiche, si spande la loro fragranza, che prima non era né si sentiva così forte. Non sempre l’anima avverte o gode effettivamente le virtù che possiede in sé, acquisite o infuse, perché, come dirò in seguito, in questa vita esse sono nell’anima come fiori in boccio, ancora chiusi, o come erbe aromatiche in un sacchetto, il cui aroma non si sente finché non ne vengono estratte e agitate.
6. A volte, però, Dio accorda tali grazie all’anima sposa. Spirando con il suo Spirito per questo suo giardino fiorito, schiude tutti i boccioli delle virtù e scopre tutte queste piante aromatiche di doni, perfezioni e ricchezze dell’anima; e, manifestandone il tesoro e l’abbondanza interiore, ne svela tutta la bellezza. Allora è meraviglioso vedere e soave sentire la ricchezza dei doni che si scopre all’anima e la bellezza di questi fiori di virtù, ormai tutti sbocciati nell’anima. Ognuno di essi, secondo le sue proprietà, le comunica la soave, inestimabile fragranza che ha in sé. Questa è l’effusione dei profumi nel giardino, di cui parla nel verso seguente: diffondine gli aromi.
7. Tali aromi, a volte, sono talmente abbondanti che l’anima ha l’impressione di essere vestita di delizie e immersa in una gloria inestimabile. Il profumo è così forte che è provato non solo dentro l’anima, ma suole riversarsi altresì all’esterno: lo sanno riconoscere coloro che ne hanno fatto esperienza. L’anima sembra a costoro come un giardino meraviglioso, pieno di delizie e di ricchezze divine. Non solo quando questi fiori di virtù sono schiusi si riesce a scorgere tutto ciò in tali anime sante, ma esse mostrano abitualmente in sé un non so che di grandezza e dignità che, negli altri, ispira venerazione e rispetto: è un effetto soprannaturale, questo, che si diffonde in loro per l’intima e familiare comunicazione con Dio. Il libro dell’Esodo (cfr. 34,30) ce ne offre un esempio. Ivi si legge che gli ebrei non potevano guardare il volto di Mosè (2Cor 3,7) per l’onore e la gloria che irradiava, dopo aver parlato faccia a faccia con Dio.
8. Lo Sposo, il Figlio di Dio, si serve del soffio dello Spirito Santo per fare nell’anima una visita amorevole e comunicarsi a lei in modo assai sublime. È a questo scopo che le invia, come fece per gli apostoli, dapprima lo Spirito Santo, suo precursore, perché gli prepari una dimora nell’anima, sua sposa: la colma di delizie, dispone a suo piacere il giardino della sua anima, vi fa sbocciare i fiori e risplendere i suoi doni; insomma, la riveste dell’insieme delle sue grazie e delle sue ricchezze. E così, con il desiderio più ardente possibile, l’anima sposa anela a tutto questo, cioè che cessi la tramontana, venga l’austro e soffi per il suo giardino, perché in questo modo ella guadagna molte cose insieme. Ottiene, infatti, di godere delle sue virtù, pervenute al punto in cui sono esercitate con la soavità dell’amore. Vi guadagna di vedere l’Amato compiacersi in mezzo a queste virtù, perché per loro tramite si comunica all’anima con un amore più intenso e le concede grazie più singolari di prima. Vi guadagna che l’Amato si compiaccia di più in lei, che si esercita nella pratica delle virtù, ed è ciò che rallegra maggiormente l’anima, cioè volere quello che piace al suo Amato. Vi guadagna, altresì, il favore di veder permanere il sapore e la soavità delle virtù. Ciò perdura nell’anima tutto il tempo in cui lo Sposo rimane in essa nel modo suddetto, mentre la sposa gli dona la soavità delle sue virtù, come essa medesima afferma nel Cantico: Mentre il re è sul suo giaciglio, cioè nell’anima, il mio alberello fiorito e odoroso spande il suo dolce profumo (Ct 1,11 Volg.). Per alberello odoroso qui s’intende l’anima stessa che con il fiore delle sue virtù spande odore di soavità per l’Amato tutto il tempo che dimora in essa attraverso questa forma di unione.
9. È molto desiderabile, dunque, questo soffio divino dello Spirito Santo; perciò ogni anima chieda che soffi per il suo giardino e si diffondano i suoi aromi. Essendo questa una cosa tanto necessaria, sorgente di tanta gloria e tanto bene per l’anima, la sposa la desiderò e la chiese nel Cantico con le stesse parole di questa strofa, dicendo: Lèvati, aquilone, e tu, austro, vieni, soffia per il mio giardino, si effondano i suoi aromi e le sue preziose spezie (Ct 4,16). Tutto questo desidera l’anima, non per il piacere e la gloria che le viene, ma perché sa che di questo si compiace il suo Sposo. Inoltre, tutto questo è preparazione e preannuncio affinché il Figlio di Dio venga a dilettarsi in lei. Perciò aggiunge subito: e pascerà l’Amato in mezzo ai fiori.
10. L’anima dà il nome di pasto a queste delizie che il Figlio di Dio mette in lei in questo periodo: nulla di più appropriato, perché il pasto o nutrimento è cosa che non solo piace, ma anche sostiene. Infatti il Figlio di Dio trova le sue delizie nelle stesse delizie dell’anima; si sostenta in essa, cioè continua a dimorare in essa, come in un luogo profondamente piacevole, perché l’anima si delizia davvero di lui. Ciò è quanto ha voluto dirci egli stesso per bocca di Salomone nel libro dei Proverbi con queste parole: Le mie delizie sono con i figli dell’uomo(Pro 8,31), cioè quando il loro piacere è stare con me, che sono il Figlio di Dio. Occorre qui osservare che l’anima non dice che l’Amato si pascerà dei fiori, ma in mezzo ai fiori, perché lo Sposo si comunica all’anima per mezzo dello splendore delle virtù, come si è detto. Ciò di cui egli si pasce è l’anima stessa trasformata in lui, preparata, abbellita ed esaltata dai fiori delle sue virtù, doti e perfezioni, che sono come il condimento con cui e in mezzo al quale Dio la nutre. Questi fiori, per mezzo dello Spirito che lo precede – ne ho già parlato –, offrono al Figlio di Dio e all’anima sapore e dolcezza, perché possa nutrirsi sempre più nell’amore di lei. La caratteristica dello Sposo è, infatti, quella di unirsi all’anima nella fragranza di questi fiori. La sposa del Cantico descrive questa situazione, come una che la conosce bene: Il mio Diletto era sceso nel suo giardino fra le aiuole del balsamo a pascolare il gregge nei giardini e a cogliere gigli (Ct 6,2). E un’altra volta aggiunge: Il mio Diletto è per me e io per lui. Egli pascola il gregge fra i gigli(Ct 6,3), cioè si nutre e si compiace nella mia anima, che è il suo giardino, tra i gigli delle mie virtù, perfezioni e grazie.
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