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CANTICO SPIRITUALE (s.Giovanni della Croce)

Ultimo Aggiornamento: 02/08/2013 18:38
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02/08/2013 18:23
 
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STROFA 3
In cerca dei miei amori,
mi spingerò tra i monti e le riviere,
non coglierò fiori
né temerò le fiere,
ma passerò i forti e le frontiere.
SPIEGAZIONE
1. L’anima, vedendo che per trovare l’Amato non le bastano gemiti e preghiere e nemmeno l’aiuto di buoni intermediari, come ha fatto nella prima e nella seconda strofa, proprio perché il desiderio con cui lo cerca è sincero e il suo amore grande, non vuole lasciare nulla di intentato da parte sua. L’anima che ama veramente Dio, infatti, non si lascia prendere dalla pigrizia nel compiere quanto può per trovare il Figlio di Dio, suo Amato; e anche dopo aver fatto tutto, non è contenta e pensa di non aver fatto nulla. Così, in questa terza strofa annuncia di volerlo cercare lei stessa, con la propria opera, e come farà per trovarlo: si eserciterà nelle virtù e nelle pratiche spirituali della vita attiva e contemplativa. A tale scopo, non ammetterà alcun piacere o comodità, né basteranno a fermarla o ad ostacolarle il cammino tutte le forze e le insidie dei tre nemici dell’anima: il mondo, il demonio e la carne. Perciò dice: In cerca dei miei amori, cioè del mio Amato, ecc.
2. L’anima qui fa capire in modo chiaro che per trovare veramente Dio non basta solo pregare con il cuore e con la lingua e neppure è sufficiente valersi dei benefici altrui, ma insieme a tutto questo è necessario da parte sua fare quanto le è possibile. Dio abitualmente stima più una sola opera compiuta dalla persona interessata che molte opere fatte da altri per lei. Per questo l’anima, ricordandosi del detto dell’Amato, cercate e troverete (Lc 11,9), decide lei stessa di uscire per cercarlo attivamente, senza fermarsi prima di averlo trovato. Ciò è quanto accade a molti che vorrebbero guadagnare Dio solo con le parole, e anche queste espresse male. In verità, per Dio non vogliono fare quasi nulla che costi loro un po’. Alcuni non vogliono neanche abbandonare, per lui, un posto a loro gradito, ma vorrebbero che il gusto di Dio scendesse nella loro bocca e nel loro cuore senza fare un passo e mortificarsi, rinunziando a qualche loro soddisfazione, consolazione o inutile voglia. Ma finché non usciranno da se stessi per cercarlo, per quanto invochino Dio, non lo troveranno. Così lo cercava, infatti, la sposa del Cantico, e non lo trovò finché non uscì a cercarlo. Ecco le sue parole: Sul mio giaciglio, lungo la notte, ho cercato l’Amato del mio cuore; l’ho cercato, ma non l’ho trovato. Mi alzerò e farò il giro della città, per le strade e per le piazze; voglio cercare l’Amato del mio cuore (Ct 3,1-2). Dopo aver superato alcune traversie, dice che finalmente l’ha trovato (Ct 3,4).
3. Chi dunque cerca Dio e al tempo stesso vuole rimanere nelle sue piacevoli comodità, lo cerca di notte e non lo troverà. Chi invece lo cerca con l’esercizio e la pratica delle virtù, abbandonando il letto dei suoi piaceri e godimenti, lo cerca di giorno e lo troverà, perché ciò che non si riesce a trovare di notte, si può scoprire di giorno. Lo fa capire chiaramente lo stesso Sposo, nel libro della Sapienza, quando afferma: La sapienza è radiosa e indefettibile, facilmente è contemplata da chi l’ama e trovata da chiunque la cerca. Previene, per farsi conoscere, quanti la desiderano. Chi si leva per essa di buon mattino non faticherà, la troverà seduta alla sua porta (Sap 6,12-14). Stando a queste parole, l’anima deve uscire dalla casa della propria volontà e dal letto del suo piacere; appena uscita, troverà immediatamente la Sapienza divina, il Figlio di Dio, suo Sposo. Perciò dice qui: In cerca dei miei amori mi spingerò tra i monti e le riviere.
4. Per monti, che sono alti, intende qui le virtù: da una parte per la loro altezza, dall’altra per le difficoltà e le fatiche che si affrontano per salirvi. Con il loro aiuto, dice che procederà esercitandosi nella vita contemplativa. Per riviere, che sono basse, intende invece le mortificazioni, le penitenze e le pratiche spirituali. Con il loro aiuto, dice che andrà esercitando la vita attiva, insieme a quella contemplativa, come ha già detto prima. Difatti, per cercare con sicurezza Dio e acquisire le virtù, sono necessarie l’una e l’altra vita. Il che equivale a dire: per cercare il mio Amato, metterò in opera le alte virtù e mi umilierò nelle basse mortificazioni e negli esercizi umili. Dice questo perché il modo per cercare Dio consiste nel fare il bene in Dio e mortificare il male in sé, come dicono i versi seguenti, per esempio: non coglierò fiori.
5. Poiché per cercare Dio si richiede un cuore spoglio e forte, libero da tutti i mali e da tutti i beni che non siano esclusivamente Dio, nel verso presente e nei seguenti l’anima parla della libertà e della forza necessarie per cercarlo. Sostiene, quindi, che non si fermerà a raccogliere i fiori che troverà lungo la strada e che rappresentano tutte le voglie, le soddisfazioni e i piaceri che le si possono offrire in questa vita: tutto questo potrebbe ostacolare il cammino, se volesse coglierli e goderli. Gli ostacoli sono di tre tipi: terreni, sensibili e spirituali. Sia gli uni che gli altri occupano il cuore e le impediscono lo spogliamento spirituale richiesto per camminare direttamente nella via di Cristo, se l’anima dovesse soffermarvisi od occuparsene. Per cercarlo, afferma che non si attarderà a cogliere cose del genere. È come se dicesse: non riporrò il mio cuore nelle ricchezze e nei beni offerti dal mondo, né accoglierò le consolazioni e i piaceri della mia carne, né indugerò nei gusti e nei conforti del mio spirito, per non essere trattenuta nella ricerca dei miei amori per i monti delle virtù e delle fatiche. Dicendo così, segue il consiglio che dà il profeta Davide a coloro che percorrono questo cammino: Divitiae si affluant, nolite cor apponete: Anche se abbondano le ricchezze, non attaccatevi il cuore (Sal 61,11). Questo vale sia per le soddisfazioni sensibili che per gli altri beni terreni e le consolazioni spirituali. Ne segue che non solo i beni terreni e i piaceri corporali impediscono e ostacolano il cammino verso Dio; anche le consolazioni e i conforti spirituali, se cercati e posseduti con attaccamento, impediscono di seguire la via della croce dello Sposo Cristo. Chi vuole progredire, quindi, non deve attardarsi a cogliere questi fiori. Non solo, ma deve avere anche il coraggio e la forza per dire: né temerò le fiere, ma passerò i forti e le frontiere.
6. In questi due versi l’anima cita i suoi tre nemici – il mondo, il demonio e la carne – che le fanno guerra e rendono difficile il suo cammino spirituale. Per fiere intende il mondo, per forti il demonio e per frontiere la carne.
7. Chiama fiere il mondo perché, all’anima che inizia il cammino di Dio, il mondo si presenta nell’immaginazione come una fiera che minaccia e spaventa, secondo tre maniere soprattutto. La prima le fa pensare che perderà il favore del mondo, gli amici, la stima, il prestigio e persino il patrimonio. La seconda, che è una fiera non meno terribile, le fa vedere quanto avrà da soffrire non avendo più le gioie e i piaceri del mondo e non provando più le sue lusinghe. La terza, ancora più grande, le fa pensare che le si solleveranno contro le male lingue, deridendola e beffeggiandola con motteggi e burle, e sarà stimata pochissimo. Simili minacce di solito si presentano ad alcune anime tanto da rendere loro difficilissima non solo la perseveranza contro queste fiere, ma anche la possibilità d’intraprendere il cammino.
8. Ad alcune anime più generose, però, spesso si presentano altre fiere più interiori e spirituali: difficoltà e tentazioni, tribolazioni e prove di vario genere che esse dovranno affrontare. Dio invia tali fiere a coloro che vuole elevare a una perfezione maggiore, provandoli ed esaminandoli come l’oro sul fuoco, secondo quanto afferma Davide: Multae tribulationes iustorum, cioè: Molte sono le sventure dei giusti, ma li libera da tutte il Signore (Sal 33,20). Tuttavia l’anima profondamente innamorata, che stima il suo Amato più di ogni altra cosa, fidandosi del suo amore e del suo favore non teme di dire: né temerò le fiere, ma passerò i forti e le frontiere.
9. Chiama forti il secondo nemico, i demoni, perché essi cercano con grande forza di sbarrare il passo di questo cammino e anche perché le loro tentazioni e astuzie sono più forti e dure da superare e più difficili da riconoscere rispetto a quelle del mondo e della carne. Inoltre i demoni si rafforzano con gli altri due nemici, il mondo e la carne, per muovere un’aspra guerra all’anima. Per questo Davide, parlando di loro, li chiama forti: Fortes quaesierunt animam meam: I forti insidiano la mia vita (Sal 53,5). A questa forza si riferisce anche il profeta Giobbe quando dice: Non vi è sulla terra potere paragonabile a quello del demonio e tale che di nessuna debba avere paura (Gb 41,24 Volg.), cioè nessun potere umano può essere paragonato al suo; solo il potere divino, quindi, può vincerlo e solo la luce divina può svelare i suoi inganni. Ecco perché l’anima che deve vincere la sua forza non potrà riuscirvi senza la preghiera, né potrà scoprire i suoi inganni senza la mortificazione e l’umiltà. Per questo san Paolo, volendo mettere in guardia i fedeli, usa queste espressioni: Induite vos armaturam Dei, ut possitis stare adversus insidias diaboli, quoniam non est vobis colluctatio adversus carnem et sanguinem: Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo; la nostra battaglia, infatti, non è contro creature fatte di sangue e di carne (Ef 6,11-12). Per sangue intende il mondo e per armatura di Dio la preghiera e la croce di Cristo, ove risiedono l’umiltà e la mortificazione di cui ho parlato.
10. L’anima aggiunge che passerà oltre le frontiere, con le quali – ripeto – indica le ripugnanze e le ribellioni che la carne solleva naturalmente contro lo spirito. Come dice san Paolo: Caro enim concupiscit adversus spiritum: La carne ha desideri contrari allo Spirito(Gal 5,17) e si pone quasi sul confine ostacolando il cammino spirituale. L’anima deve andare oltre queste frontiere, superando le difficoltà e abbattendo con la forza e la determinazione dello spirito tutti gli appetiti sensuali e le affezioni naturali. Difatti, finché questi persisteranno nell’anima, lo spirito sarà talmente soggiogato da non poter andare avanti verso la vera vita e il diletto spirituale. Tutto questo ci fa ben comprendere san Paolo quando afferma: Si spiritu facta carnis mortificaveritis, vivetis: Se con l’aiuto dello Spirito voi fate morire le opere della carne, vivrete (Rm 8,13). Questo dunque è l’atteggiamento che, secondo la presente strofa, l’anima ritiene opportuno adottare lungo il cammino di ricerca del suo Amato. Vale a dire: costanza e arditezza per non abbassarsi a cogliere i fiori, coraggio per non temere le fiere e forza per superare i forti e le frontiere, con l’unico scopo di andare sui monti e lungo le riviere delle virtù, come ho spiegato sopra.
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