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IL CASTELLO INTERIORE (s.Teresa d'Avila)

Ultimo Aggiornamento: 02/08/2013 15:02
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02/08/2013 14:50
 
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L'opera non è uno scritto autobiografico, né un resoconto di grazie mistiche, ma vuole essere un insegnamento spirituale offerto anzitutto alle carmelitane, poi a chiunque,laico o religioso

Teresa afferma che Dio dimora nel centro della nostra anima, ed è possibile raggiungerlo con la vita di orazione. Per questo, rifacendosi a una sua precedente visione, la santa utilizza l'allegoria dell'anima come un castello fatto di sette dimore.

Il castello interiore descrive quindi un viaggio spirituale, il cui scopo è l'unione d'amore con Dio.

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02/08/2013 14:52
 
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Castello interiore
Questo trattato, chiamato Castello Interiore, fu scritto da Teresa di Gesù, monaca di Nostra Signora del Carmine, per le sue sorelle e figlie, le monache carmelitane scalze.
JHS
[PROLOGO]
1. Poche cose impostemi dall’obbedienza mi sono riuscite così difficili come quella, che viene richiesta ora, di scrivere sull’orazione, sia perché non mi sembra che il Signore mi dia né l’ispirazione né il desiderio di farlo, sia perché da tre mesi ho la testa così intontita e debole a scrivere con fatica anche per affari d’obbligo. Ma, ritenendo che la forza dell’obbedienza suole appianare cose all’apparenza impossibili, mi decido a farlo con molta buona volontà e fervore, anche se per natura mi sembra di soffrirne, perché il Signore non mi ha dato tanta virtù da poter lottare con le continue infermità e con occupazioni di ogni genere senza provarne una viva contrarietà. Ci pensi colui che ha fatto cose ben più difficili in mio favore e nella cui misericordia confido.
2. Penso, però, che saprò aggiungere ben poco a quanto ho detto in altri scritti che mi furono ordinati, anzi temo che in gran parte mi ripeterò, perché io sono esattamente come gli uccelli a cui si insegna a parlare, che non sanno più di quanto è stato loro insegnato o odono, e non fanno altro che ripeterlo molte volte. Se il Signore vorrà che io dica qualcosa di nuovo, Sua Maestà me ne farà dono o si accontenterà di richiamarmi alla memoria ciò che ho detto altre volte; mi contenterei anche di questo, avendo io una così cattiva memoria che sarei lieta d’imbroccare certe cose che, a quanto pare, erano ben dette, nel caso che fossero andate perdute. Ma, nel caso che il Signore non voglia concedermi neanche questo, il fatto di stancarmi e di far aumentare il mal di testa per obbedienza mi sarà di guadagno, anche se nessuno trarrà alcun vantaggio da ciò che dirò.
3. E così comincio tale obbedienza oggi, giorno della Santissima Trinità dell’anno 1577, in questo monastero di San Giuseppe del Carmine, a Toledo, dove vivo attualmente, sottomettendomi in tutto quel che dirò al giudizio di coloro che mi hanno dato l’ordine di scrivere, tutte persone di grande dottrina. Se dicessi qualche cosa che non fosse conforme a quanto insegna la santa Chiesa cattolica romana, sarà per ignoranza e non per malizia. Questo può ritenersi senza dubbio alcuno, poiché, per la bontà di Dio, sono, sarò e sono stata sempre soggetta ad essa. Sia egli per sempre benedetto e glorificato! Amen.
4. Chi mi ordinò di scrivere mi disse che le monache di questi monasteri di Nostra Signora del Carmelo avevano bisogno di chi chiarisse loro certi dubbi circa l’orazione e, sembrandogli che le donne intendono meglio il linguaggio di un’altra donna, sarebbe stato più adatto per loro, specialmente a causa dell’amore che mi portano, ciò che potevo dire io. È chiaro che per questa ragione sarà di qualche importanza riuscire a dire qualcosa; pertanto, scrivendo, mi rivolgerò solo ad esse. E, poiché mi sembra una follia pensare di poter essere utile ad altre persone, grande grazia mi farà Nostro Signore se qualcuna delle mie consorelle se ne gioverà per lodarlo un po’ di più. Sua Maestà sa bene che non pretendo altro; ed è evidente che, qualora riesca a dire qualcosa, capiranno che non è farina del mio sacco, non essendoci in me tale capacità, a meno che non abbiano così poca intelligenza come io ho poca abilità per simili cose, se il Signore, nella sua misericordia, non me la dà.
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02/08/2013 14:52
 
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PRIME MANSIONI
CAPITOLO 1
Tratta della bellezza e della dignità della nostra anima. Stabilisce un paragone per farle comprendere e parla del vantaggio che si ricava dall’intenderle e dal conoscere le grazie che si ricevono da Dio. Sottolinea, inoltre, come la porta di questo castello sia l’orazione.
1. Mentre oggi stavo supplicando il Signore di parlare in mia vece, perché non riuscivo a dir nulla né sapevo in che modo cominciare a compiere l’obbedienza impostami, mi venne in mente ciò che ora dirò, per iniziare la trattazione con un certo fondamento: cioè che possiamo considerare la nostra anima come un castello fatto di un solo diamante o di un tersissimo cristallo, dove sono molte mansioni, come molte ve ne sono in cielo. Infatti, se ci riflettiamo bene, sorelle, l’anima del giusto non è altro che un paradiso dove il Signore dice di avere le sue delizie. Allora, come pensate che sarà l’abitazione dove trova il suo diletto un Re così potente, così saggio, così puro, così ricco di tutti i beni? Io non vedo nulla a cui paragonare la grande bellezza di un’anima e la sua immensa capacità e, in verità, il nostro intelletto, per quanto acuto, difficilmente arriverà a comprenderla, al modo stesso in cui non può arrivare a comprendere Dio, poiché siamo stati creati a sua immagine e somiglianza, come dice lui stesso. Se dunque è così, come lo è in realtà, non c’è ragione di affaticarsi a desiderare di capire la bellezza di questo castello. Infatti, anche se tra il castello e Dio c’è tutta la differenza che intercorre tra il Creatore e la creatura, trattandosi di cosa creata, basta che Sua Maestà dica d’averla fatta a sua immagine perché possiamo, pur a stento, capire qualcosa della grande dignità e bellezza dell’anima.
2. È causa di non poca pena e vergogna il fatto che, per nostra colpa, non riusciamo a capire noi stessi né a sapere chi siamo. Non sarebbe forse segno di grande ignoranza, figlie mie, se qualcuno, richiesto della sua identità, non sapesse rispondere né potesse dire chi è suo padre, sua madre, e quale il suo paese? Se dunque ciò denuncia un’enorme ignoranza, la nostra, quando non cerchiamo di sapere chi siamo e ci fermiamo solo alla considerazione del nostro corpo, è, senza confronto, maggiore. Sì, pressappoco, sappiamo di avere un’anima, perché lo abbiamo sentito dire e perché ce lo insegna la fede. Ma i beni che può racchiudere quest’anima o chi abita in essa, o il suo inestimabile pregio, sono cose che consideriamo raramente. Di conseguenza, ci si preoccupa poco di adoperarsi con ogni cura a conservarne la bellezza: tutta la nostra attenzione si volge sulla rozza incastonatura di questo diamante o sul muro di cinta di questo castello, cioè il nostro corpo.
3. Consideriamo dunque che questo castello, come ho detto, contiene molte mansioni, alcune in alto, altre in basso ed altre ai lati. Nel centro, in mezzo a tutte, si trova la principale, che è quella nella quale si svolgono le cose di maggior segretezza tra Dio e l’anima. Occorre che facciate attenzione a questo paragone. Chissà che Dio non si compiaccia, con esso, di farvi avere un’idea delle grazie che egli ha la bontà di accordare alle anime, e della differenza che passa fra loro, fin dove mi sarà concesso d’intenderle; perché, essendo tanto numerose, a nessuno è possibile conoscerle tutte, tanto meno a una creatura così misera quale son io. Se il Signore ve le accorderà, vi sarà di grande conforto sapere che ciò è possibile, e chi non le avrà ricevute ne trarrà occasione per lodare la sua infinita bontà. Infatti, come non ci nuoce considerare le bellezze che sono in cielo e il godimento dei beati, anzi ci è causa di allegrezza e ci serve di spinta per ottenere ciò di cui essi godono, non ci sarà neppure dannoso costatare la possibilità che, in questo esilio, un Dio tanto grande si comunichi a vermiciattoli così ripugnanti come siamo noi, e ci spronerà ad amare una così eccelsa bontà e una così infinita misericordia. Sono sicura che chi reagirà male nell’apprendere la possibilità che in quest’esilio Dio faccia questa grazia, sarà del tutto privo di umiltà e di amore del prossimo perché, se così non fosse, come non rallegrarsi che Dio elargisca tali grazie a un nostro fratello, quando ciò non impedisce che le accordi anche a noi, e che Sua Maestà faccia conoscere la grandezza delle sue opere, quale che sia il beneficiato? Alcune volte, infatti, non ha altro scopo che quello di manifestare queste meraviglie, come disse a proposito del cieco a cui diede la vista, quando gli apostoli gli domandarono se quella cecità si doveva ai suoi peccati o a quelli dei suoi genitori. E così accade che non sempre, quando egli accorda tali grazie a certe anime, lo fa perché siano più sante di quelle a cui non le concede, ma perché si conosca più chiaramente la sua grandezza, come possiamo vedere in san Paolo e nella Maddalena, e per essere da noi lodato nelle sue creature.
4. Si potrà dire che tali cose sembrano impossibili e che è bene non scandalizzare i deboli. Ma è minor male che ci sia chi non vi creda anziché privare del profitto dovuto coloro ai quali Dio le elargisce. Questi se ne rallegreranno e saranno stimolati ad amare di più colui che usa così grandi misericordie nella sua sovrana potenza e maestà, tanto più che so di parlare a persone per le quali questo pericolo non esiste, perché esse sanno e credono che Dio fa dono anche di più alte manifestazioni d’amore. Sono certa che chi non lo crede non ne farà mai l’esperienza, perché Dio ama molto che non si pongano limiti alle sue opere; pertanto, sorelle, che ciò non accada mai a quelle tra voi che il Signore non condurrà per questo cammino.
5. Tornando dunque al nostro meraviglioso e delizioso castello, dobbiamo vedere in che modo vi potremo entrare. Sembra che dica uno sproposito, in quanto se questo castello è l’anima, evidentemente l’entrare non ha ragion d’essere, poiché si è già dentro; come sembrerebbe una stoltezza dire a qualcuno di entrare in una stanza, quando già vi si trova. Ma bisogna che intendiate che esiste una grande differenza tra un modo di esservi e un altro. Ci sono, infatti, molte anime che restano nella cerchia esterna del castello, dove stanno le guardie, e non si preoccupano di entrare in esso né di sapere cosa racchiuda una così splendida mansione, né chi sia colui che la abita, né quali appartamenti contenga. Avrete già visto in alcuni libri di orazione che si consiglia all’anima di entrare in se stessa; ebbene, è proprio questo.
6. Mi diceva poco tempo fa un gran teologo che le anime che non fanno orazione sono come un corpo paralizzato o rattrappito che, pur avendo piedi e mani, non li può muovere. Ed è proprio vero, perché ci sono anime così malate e così abituate a vivere fra cose esteriori, che non c’è mezzo di tirarle fuori di lì, né, a quanto sembra, possibilità che rientrino in se stesse. È ormai talmente inveterata l’abitudine di vivere con i vermi e gli animali che stanno nel recinto del castello che sono quasi divenute simili ad essi; tutto è inutile, nonostante l’eccellenza della loro natura e la possibilità di conversare nientemeno che con Dio. Se queste anime non cercano di comprendere la loro immensa miseria e di porvi rimedio, accadrà che, per non volgere lo sguardo a se stesse, si tramuteranno in statue di sale, come avvenne alla moglie di Lot per essersi voltata indietro.
7. Infatti, per quanto ne posso capire, la porta di entrata a questo castello è costituita dall’orazione e dalla meditazione. Non dico che sia più la mentale che la vocale, perché se è orazione, dev’essere accompagnata da meditazione, in quanto io non chiamo orazione quella in cui non si considera con chi si parla, che cosa si chiede, chi sia colui che chiede e colui al quale si rivolge al richiesta, anche se le labbra si muovono molto. Qualche volta forse lo sarà, pur senza queste riflessioni, ma perché sono state fatte altre volte. Chi, però, avesse l’abitudine di parlare con la maestà di Dio come parlerebbe a un proprio schiavo, senza badare se dice bene o male, ma proferendo ciò che gli viene alla bocca o che sa a memoria per averlo recitato altre volte, non fa, a mio giudizio, orazione. Piaccia a Dio che nessun cristiano preghi in tal modo! Quanto a voi, sorelle, spero in Sua Maestà che questo non vi accada, abituate come siete a occuparvi di cose interiori, il che è un grande aiuto per non cadere in simile incoscienza.
8. Non parliamo dunque a queste anime paralitiche, le quali, se il Signore non viene lui stesso a comandar loro di alzarsi – come a quell’uomo che da trent’anni stava sul bordo della piscina –, andranno incontro a grandi sventure e a gravi pericoli. Parliamo alle altre anime che, alla fine, entrano nel castello perché, anche se molto invischiate nel mondo, hanno buoni desideri e talora, benché di rado, si raccomandano a nostro Signore e considerano quello che esse sono, sia pure un po’ in fretta. Pregano qualche volta al mese, ma con il pensiero quasi sempre immerso nei mille affari da cui sono prese, essendovi molto attaccate, perché là dov’è il proprio tesoro, è anche il proprio cuore. Fanno però, di tanto in tanto, uno sforzo per liberarsene, ed è certo molto utile la conoscenza di sé e il rendersi conto che non si batte la via giusta per imboccare la porta. Alla fine, entrano nelle prime stanze, quelle poste in basso; ma, insieme, vi entrano una quantità di animaletti nocivi che non permettono loro di vedere la bellezza del castello né di trovarvi riposo: è già molto che vi siano entrate.
9. Ciò vi sembrerà forse fuori luogo, figlie mie, perché voi, per la bontà del Signore, non siete di queste. Occorre che abbiate pazienza, perché non saprei altrimenti farvi intendere, come le comprendo io, alcune cose interiori riguardanti l’orazione. Piaccia ancora a Dio che io riesca a dirne qualcosa, essendo molto difficile quello che vorrei farvi capire, quando non se ne ha esperienza. Se tale esperienza c’è, vedrete che non si può fare a meno di toccare certi punti, che spero piaccia al Signore, nella sua misericordia, che non ci riguardino mai.
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02/08/2013 14:53
 
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CAPITOLO 2
Dice quanto sia ripugnante lo stato di un’anima in peccato mortale, e come Dio volle farne capire qualcosa a una persona. Tratta anche un po’ della conoscenza di sé. È molto utile per certi punti che meritano attenzione. Spiega come debbano intendersi queste mansioni.
1. Prima di andare avanti, voglio esortarvi a considerare cosa deve essere lo spettacolo di questo castello così risplendente e così bello, questa perla orientale, quest’albero di vita piantato nelle stesse acque vive della vita, che è Dio, quando l’anima cade in un peccato mortale. Non vi sono tenebre più buie, né nulla di così oscuro e fosco che possa reggerne il confronto. Non cercatene altro motivo che questo: lo stesso sole che le dava tanto splendore e bellezza, pur stando nel centro di quest’anima, è come se non ci fosse più; come se l’anima non potesse più partecipare di lui, anche se conserva la capacità di godere di Sua Maestà come il cristallo di riflettere in sé il sole. Niente le è di vantaggio: in questo stato di peccato mortale, qualunque buona opera essa compia non le procura alcun frutto per acquistare gloria, perché non procedendo da quel principio, cioè da Dio, in forza del quale la nostra virtù è virtù, e allontanandosi, anzi, da lui, non può essere gradita ai suoi occhi. Infatti, l’intento di chi commette un peccato mortale non è quello di accontentare Dio, ma di far piacere al demonio e, identificandosi questi con le tenebre stesse, la povera anima diviene con lui una sola tenebra.
2. Conosco una persona alla quale nostro Signore volle mostrare che cosa sarà di un’anima che ha commesso un peccato mortale. Tale persona dice che, secondo lei, sarebbe impossibile che qualcuno, comprendendolo, potesse peccare. Per fuggirne le occasioni, avrebbe preferito esporsi alle maggiori prove che sia dato immaginare. Da ciò le venne un immenso desiderio che tutti comprendessero questa verità. Possa pertanto nascere in voi, figlie mie, il proposito di pregar molto Dio per coloro che si trovano in questo stato, ridotti a una completa oscurità, come oscure sono anche le loro opere. Infatti, come da una sorgente molto chiara non sgorgano che ruscelli limpidissimi, così è di un’anima in stato di grazia; le sue opere sono tanto gradite agli occhi di Dio e degli uomini perché procedono da questa fonte di vita, dove ella si trova come un albero piantato lungo l’acqua, senza la quale non avrebbe freschezza né fecondità, mentre essa la sostenta, le impedisce di inaridirsi e le fa produrre ottimi frutti. Tutto ciò che, invece, procede dall’anima la quale, per sua colpa, si allontana da questa fonte e mette radici in un’altra fonte, dalle acque scurissime e maleodoranti, riflette la sua stessa assenza di grazia e la sua sudiceria.
3. Bisogna qui notare che la fonte o, meglio, quel sole risplendente posto al centro dell’anima non perde il suo fulgore né la sua bellezza: continua a stare nell’anima e niente può portargli via tale bellezza. Ma, se sopra un cristallo esposto al sole si mette un panno molto scuro, è evidente che, anche se il sole batte su di esso, la sua luce non avrà nessun effetto sul cristallo.
4. O anime redente dal sangue di Gesù Cristo! Rendetevi conto di questo stato e abbiate pietà di voi stesse! Com’è possibile che, acquistata tale consapevolezza, non cerchiate di togliere questa pece dal vostro cristallo? State attente che, se vi sorprende la morte, non tornerete a godere mai più di questa luce. Oh, Gesù! Che spettacolo è quello di un’anima priva di essa! In che stato vengono a trovarsi le povere stanze del castello! Quale turbamento s’impadronisce dei sensi che ne sono gli abitanti! E le potenze che ne sono le guardie, i maggiordomi e i direttori di mensa, in quale condizione di accecamento e di mal governo si riducono! In conclusione, se l’albero è piantato nella terra, che è il demonio stesso, quale frutto può dare?
5. Una volta un uomo spirituale mi diceva che non si spaventava di ciò che può fare chi si trova in peccato mortale, ma di ciò che non fa. Che Dio, nella sua misericordia, ci liberi da un così grande male, non essendoci nulla nella nostra vita terrena che meriti questo nome di male se non il peccato, apportatore di numerosissimi mali eterni. Ecco, figlie mie, ciò che dobbiamo temere e da cui nelle nostre orazioni dobbiamo supplicare Dio di liberarci. Se, infatti, egli non custodisce la città, lavoreremo invano, perché non siamo che vanità. Quella persona diceva di aver ricavato due vantaggi dalla grazia accordatale da Dio: anzitutto un timore grandissimo di offenderlo, pertanto lo supplicava continuamente di non lasciarla cadere, essendo consapevole dei terribili danni che una caduta comporta e, in secondo luogo, uno specchio di umiltà, nel quale vedeva come il principio del bene che facciamo non sia in noi, ma in questa fonte nella quale è piantato l’albero delle nostre anime, e in questo sole che feconda le nostre opere. Aggiunse che tale verità le apparve così chiara che, quando faceva o vedeva fare qualche opera buona, risaliva subito a chi ne era il principio e si rendeva conto che senza il suo aiuto non si può fare nulla. L’effetto di questa riflessione era di recarsi subito a ringraziare il Signore e, di solito, dimenticarsi di se stessa, qualunque cosa buona facesse.
6. Non sarebbe tempo perduto per voi, sorelle, leggere questo e per me scriverlo, se ne ricavassimo questi due vantaggi. I dotti e gli esperti di tale materia sanno molto bene tutto questo, ma noi donne, nella nostra ignoranza, abbiamo bisogno di tutto. Per questo motivo, forse, il Signore vuole che simili paragoni vengano a nostra conoscenza. Si compiaccia, nella sua bontà, di farci la grazia di trarne profitto!
7. Queste cose interiori sono tanto difficili da capirsi che una persona di così scarsa istruzione come me per forza dovrà dire molte parole superflue, e anche spropositate, prima di dirne una che colga nel segno. Occorre che chi mi legge abbia pazienza, come ne occorre anche a me, del resto, per scrivere di cose che non so. Certo, qualche volta prendo carta e penna come un idiota che non sa cosa dire né da dove cominciare. Capisco bene, però, che è molto importante per voi che io vi spieghi alcune cose interiori come meglio potrò, perché sentiamo sempre parlare dell’eccellenza dell’orazione, a cui le nostre Costituzioni ci prescrivono di attendere per molte ore, ma non ci viene spiegato più di quello a cui possiamo arrivare da noi stesse. Delle cose che il Signore opera in un’anima, intendo dire soprannaturali, si dice ben poco, mentre parlandone e spiegandole in diverse maniere se ne trarrebbe un gran conforto, per la considerazione di questo celeste edificio interiore così poco capito dai mortali, benché siano molti quelli che vi si trovano. E, anche se in altri libri che ho scritto il Signore mi ha già dato qualche lume in merito a ciò, mi rendo conto che alcune cose, specialmente le più difficili, non le avevo comprese come ora. Il guaio – ripeto – è che, per giungere a spiegarle, dovrò ripeterne una quantità di quelle già molto conosciute, perché con una intelligenza così rozza come la mia non può essere altrimenti.
8. Ma, ritorniamo al nostro castello e alle sue molte mansioni. Non dovete immaginare queste mansioni una dietro l’altra, come poste in fila, ma portare il vostro sguardo al centro, che è l’abitazione o il palazzo dove sta il Re; dovete far conto che sia un «palmetto» in cui, prima d’arrivare al frutto, si trova un fitta ricopertura di foglie che lo circondano da ogni parte. Così, qui, intorno a questa stanza, e anche al di sopra, ve ne sono molte altre, perché le cose dell’anima vanno sempre considerate con ampiezza, estensione e magnificenza, senza paura di esagerare, essendo la sua capacità superiore a ogni nostra immaginazione, e ogni parte di essa irradiata dal sole che ha sede in questo palazzo. È molto importante che un’anima di orazione, qualunque sia il grado da essa raggiunto, non sia rincantucciata e costretta in una sola stanza. La si lasci circolare per queste mansioni, in alto, in basso, e ai lati, poiché Dio le ha conferito così gran nobiltà; non la si tiranneggi obbligandola a stare a lungo nello stesso posto, sia pure in quello della conoscenza di sé. Capitemi bene, però: la conoscenza di se stessi è tanto necessaria anche alle anime ammesse dal Signore nella sua stessa mansione, che mai – per quanto elevate esse siano – devono trascurarla, né potrebbero farlo, anche volendolo, perché l’umiltà è come l’ape che fabbrica continuamente nell’alveare il miele, senza di che tutto sarebbe perduto. Ma, consideriamo anche che l’ape non tralascia di uscire e di volare per succhiare il nettare dei fiori. Così dev’essere dell’anima nella conoscenza di se stessa: mi creda, e prenda di tanto in tanto il volo per considerare la grandezza e la maestà del suo Dio. In ciò scoprirà la propria bassezza assai meglio che guardando in se stessa, e sarà più esente dagli animaletti immondi che entrano nelle prime stanze, cioè quelle della conoscenza di sé; anche se, ripeto, è grande misericordia di Dio che si applichi a questa conoscenza, tuttavia, come suol dirsi, il più val bene il meno. E, credetemi, con l’aiuto di Dio attueremo assai miglior virtù che rimanendo molto attaccate al nostro fango.
9. Non so se mi sono spiegata bene: questa conoscenza di noi stessi, infatti, è tanto importante che non vorrei vi fosse mai in ciò rilassatezza, anche se foste già elevate fino ai cieli; perché fino a quando saremo su questa terra non c’è cosa che ci sia più necessaria dell’umiltà. Pertanto, torno a dire che va bene, benissimo, cercar di entrare, prima, nella mansione a ciò preposta, anziché volare verso le altre, essendo questo il giusto cammino; e se possiamo camminare su un terreno piano e sicuro, perché volere ali per volare? Cerchiamo piuttosto il modo di avvantaggiarci sempre più in questa conoscenza. Ma, a mio parere, non arriveremo mai a conoscerci se non procureremo di conoscere Dio: la contemplazione della sua grandezza ci servirà per scoprire la nostra bassezza; la considerazione della sua purezza ci farà vedere la nostra sozzura; il pensiero della sua umiltà ci farà comprendere quanto siamo lontani dall’essere umili.
10. In ciò vi sono due vantaggi: il primo, perché è evidente che una cosa bianca appare molto più bianca vicino a una nera; il secondo, perché la nostra intelligenza e la nostra volontà restano nobilitate e più disposte ad ogni specie di bene, essendo volte alternativamente su Dio e su di noi. Se, invece, non usciamo mai dal fango delle nostre miserie, ne derivano non pochi inconvenienti. Dicevamo, a proposito di coloro che si trovano in peccato mortale, quanto siano nere e maleodoranti le correnti che da loro procedono. Così è qui (quantunque non allo stesso modo – Dio ci liberi –, si tratta solo di un paragone), giacché, sempre immersi nell’abiezione della nostra terra, la corrente che procede da noi non sarà mai libera dal fango dei timori, della pusillanimità, della codardia e da pensieri come questi: Si bada o no a me? Andando per questa strada, me ne verrà del male? Posso osare intraprendere quest’opera? Non sarà superbia? È bene che una persona miserabile attenda a una cosa così sublime come l’orazione? Non mi giudicheranno migliore se non batto il cammino di tutti? Gli estremi non sono mai buoni, anche in materia di virtù, ed essendo tanto peccatrice, non farò che cadere più dall’alto; forse non proseguirò il cammino e sarò di danno ai buoni, perché per una come me non ci vogliono particolarità.
11. Oh Dio, figlie mie, quante anime il demonio deve aver rovinato con questi pensieri! Infatti, tutto ciò, insieme a molte altre cose che potrei dire, sembra alle anime umiltà. Ne è causa il non riuscire ad avere una chiara consapevolezza di sé, che fa deviare la conoscenza di sé; se non usciamo mai da noi stessi, non me ne meraviglio: c’è da temere questo e peggio. Pertanto vi dico, figlie mie, di fissare gli occhi su Cristo, nostro bene, e sui suoi santi: da essi impareremo la vera umiltà, la nostra intelligenza ne resterà nobilitata e la conoscenza di noi stessi non ci renderà vili e negligenti, perché, pur trattandosi della prima mansione, essa è così eccellente e di tale pregio che se l’anima sa schivare gli animaletti nocivi che vi si incontrano, non mancherà di passare oltre. Sono terribili gli inganni e le astuzie del demonio per impedire alle anime di conoscersi e rendersi conto del proprio cammino.
12. Di queste prime mansioni io potrò parlare con cognizione di causa per l’esperienza che ho di esse. Ripeto, dunque, che non dovete pensare che qui vi siano pochi appartamenti, ma tantissimi, perché le anime entrano in questa mansione in molti modi e tutte con buona intenzione. Ma, siccome quella del demonio è sempre tanto cattiva, certamente in ognuna egli ha molte legioni di suoi simili per contendere loro il passaggio dall’una all’altra; le anime, non rendendosene conto, sono oggetto di inganni in mille guise, inganni che riescono meno facili al demonio con quelle ormai più vicine all’appartamento del Re. Qui, invece, essendo ancora attratte dal mondo, ingolfate nei suoi piaceri e perdute dietro ai suoi onori e alle sue esigenze, i loro vassalli (che sono i sensi e le potenze) non hanno più la forza originaria data loro da Dio, e facilmente esse sono vinte, anche se sono animate dal desiderio di non offendere Dio e se si dedicano a opere buone. Coloro che si vedranno in tale stato devono ricorrere spesso, come meglio possono, a Sua Maestà, prendere come intercessori la Madre sua benedetta e i suoi santi, perché combattano per loro, visto che i propri vassalli hanno ben poca forza per difenderle. In realtà, in qualunque stato, la forza ci deve venire da Dio. Sua Maestà ce la dia per la sua misericordia! Amen.
13. Com’è miserabile la vita che viviamo! Poiché altrove ho parlato a lungo del danno che ci arreca, figlie mie, il non comprendere bene ciò che riguarda l’umiltà e la conoscenza di noi stesse, qui non ve ne parlo più, anche se si tratta di quanto ha maggiore importanza per noi. E piaccia a Dio che abbia detto qualcosa che vi sia utile!
14. Dovete notare che in queste prime mansioni non giunge ancora quasi nulla della luce che emana dal palazzo dove abita il Re. Sebbene esse non siano così nere e tenebrose come quando l’anima è in peccato, la luce ne è in qualche modo offuscata, tanto che chi si trova lì non può vederla, e non per difetto dell’appartamento – non so come spiegarmi –, ma perché tutte le cose nocive, serpenti, vipere e altri animali velenosi che vi si sono introdotti con l’anima, non le consentono di percepirla. È come se uno entrasse in una sala inondata di sole, avendo gli occhi così pieni di terra da non poterli quasi aprire. La sala è luminosa, ma egli non gode della luce a causa dell’ostacolo che glielo impedisce, cioè a causa di questi rettili e di questi animali nocivi che lo obbligano a chiudere gli occhi a tutto fuorché a loro. Così mi pare che debba essere di un’anima la quale, anche senza trovarsi in un cattivo stato, è – come ho detto – talmente invischiata nelle cose del mondo e talmente assorbita dagli averi, dagli onori e dagli affari che, sebbene di fatto, in realtà, vorrebbe considerare se stessa e godere della sua bellezza, ne è impedita, né, a quanto sembra, riesce a schivare tanti ostacoli. Eppure è ben necessario, per entrare nelle seconde mansioni, lasciar perdere le cure e gli affari che non sono necessari, ciascuno in conformità del suo stato. Ciò è di tale importanza per arrivare alla mansione principale che se l’anima non comincia subito a farlo, ritengo impossibile che vi giunga, e anche che riesca a stare senza grande pericolo in quella ove si trova, pur essendo già entrata nel castello, perché fra bestie tanto velenose è assai difficile che una volta o l’altra non ne venga morsa.
15. Che sarebbe dunque, figlie mie, se quelle come noi che sono ormai libere da questi ostacoli e si sono già molto addentrate nelle mansioni più segrete del castello dovessero, per propria colpa, tornare, uscite da esse, a questa baraonda! In effetti, a causa dei nostri peccati, devono esserci molte persone alla quali Dio ha concesso molte grazie e che per loro colpa le lasciano svanire miseramente. Qui noi siamo libere esteriormente; piaccia al Signore che lo siamo anche interiormente e ci liberi lui da ogni pericolo. Guardatevi, figlie mie, da preoccupazioni che non vi riguardano. Badate che sono poche le mansioni di questo castello in cui non vi sia da combattere con il demonio. È vero che in alcune sono le guardie – cioè, come credo di aver detto, le potenze – ad avere la forza di combatterlo, ma abbiamo bisogno di una grande vigilanza, per scoprirne le insidie ed evitarne gli inganni, qualora egli si trasformi in angelo di luce. Ci sono molte cose che ci possono nuocere, insinuandosi in noi a poco a poco, in modo che non ci rendiamo conto del male se non quando lo abbiamo fatto.
16. Vi ho già detto che agisce come una lima sorda e che bisogna scoprirlo fin dal principio. Per farvelo intendere meglio, voglio qui aggiungere qualche esempio. Ispirerà a una sorella così violenti desideri di penitenza da farle credere di non aver riposo se non quando è tesa a tormentarsi. Questo principio è buono, ma se la priora ha ordinato di non fare penitenza senza suo permesso e il demonio le fa credere che in una cosa tanto meritoria può bene osare di contravvenire all’ordine, ed ella, di nascosto, si sottopone a tali prove da perderci la salute e non ottemperare a ciò che impone la Regola, vedete da voi stesse dove va a finire questo buon principio. A un’altra ispirerà un grande zelo per la perfezione. Anche questa è cosa ottima, ma potrebbe derivarne il fatto che qualunque piccolo difetto delle consorelle le apparisse come una grave mancanza, e che, per conseguenza, avesse gran cura di osservare se esse commettono errori, per correr subito ad avvertire la priora. Potrà anche accadere, a volte, che questo grande zelo religioso non le faccia vedere i propri errori; e le altre, che non conoscono il suo intimo e notano la cura che si prende di osservare le loro mancanze, potranno aversela a male.
17. Ciò che qui il demonio pretende non è cosa da poco, perché il suo scopo è quello di raffreddare la carità e l’amore reciproco, il che sarebbe un grande male. Rendiamoci conto, figlie mie, che la vera perfezione consiste nell’amore di Dio e del prossimo, e quanto più compiutamente osserveremo questi due comandamenti, tanto più saremo perfette. La nostra Regola e le nostre Costituzioni non sono altro che mezzi per meglio osservarli. Lasciamo perdere questi zeli indiscreti che possono farci molto danno e ognuna badi a se stessa. Siccome in altro luogo vi ho già parlato a lungo di questo argomento, non mi dilungherò.
18. L’amore reciproco è così importante che io vorrei che non lo dimenticaste mai, perché l’andare osservando nelle altre certe inezie, che a volte non saranno neppure imperfezioni e che forse solo la nostra ignoranza ci farà interpretare nel modo peggiore, può far perdere la pace dell’anima e anche turbare quella delle consorelle: guardate un po’ se non costerebbe cara questa perfezione! Il demonio potrebbe, inoltre, far nascere la stessa imperfezione nella priora, e allora sarebbe più pericolosa. In tal caso, occorre molta discrezione, perché se si tratta di cose che vanno contro la Regola e le Costituzioni, non bisogna sempre interpretarle nel modo migliore, ma avvisarla e, se non si corregge, informarne il superiore. Questa è carità. Lo stesso va fatto nei riguardi delle consorelle, se si tratta di qualcosa di grave. Lasciar correre tutto, per paura che sia tentazione, sarebbe ciò stesso una tentazione. Ma dovete star molto attente (affinché il demonio non vi induca in inganno) a non parlare di queste cose le une con le altre, perché il demonio potrebbe trarne gran profitto, introducendo l’abitudine della mormorazione; bisogna parlarne solo, come ho detto, con chi può apportarvi rimedio. Qui, grazie a Dio, non c’è tanto da temere, per il continuo silenzio che si osserva, ma è bene star sempre in guardia.
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02/08/2013 14:54
 
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SECONDE MANSIONI
CAPITOLO 1
Parla di quanto sia importante la perseveranza per giungere alle ultime mansioni, della terribile guerra che il demonio muove alle anime, e di quanto convenga, per arrivare in porto, non sbagliare strada fin dal principio; suggerisce un mezzo della cui grande efficacia ha fatto esperienza.
1. Passiamo ora a vedere quali saranno le anime che entrano nelle seconde mansioni e che cosa vi facciano. Vorrei parlarvene brevemente, perché ne ho parlato altrove assai a lungo; mi sarà impossibile, perciò, non ripetermi in molte cose su questo argomento, non ricordandomi nulla di ciò che ho scritto. Se almeno potessi presentarvele in modo diverso, so bene che non vi annoierei, come non ci annoiano i libri che trattano di questo, benché siano molti.
2. Mi riferisco qui a coloro che hanno già incominciato a praticare l’orazione e hanno capito quanto importi non fermarsi alle prime mansioni, ma che non hanno ancora tale salda determinazione da non evitare, spesso, di restarvi, perché non fuggono le occasioni, cosa assai pericolosa. È, però, grande misericordia divina che, talvolta, cerchino di sottrarsi a serpenti e a rettili velenosi, comprendendo che è bene allontanarsene. Questi, in parte, soffrono assai più dei primi, anche se non corrono gran pericolo, perché sembra ormai che capiscano dove esso sia, e si può nutrire grande speranza che andranno avanti. Dico che soffrono di più, perché i primi sono come muti, privi anche dell’udito, e sopportano meglio la pena di non parlare, mentre non la sopporterebbero così, ma con molta maggior fatica, se udissero e non potessero parlare. Ma, non per questo è più desiderabile la condizione di coloro che non odono, perché, in fondo, è grande cosa sentire ciò che ci viene detto. Le persone di cui parlo sentono gli inviti loro rivolti dal Signore, perché man mano che si avvicinano di più alla mansione di Sua Maestà, capiscono quale buon vicino egli sia: sono così grandi la sua misericordia e la sua bontà che, pur stando noi immersi nei nostri passatempi, negli affari, nei piaceri e negli inganni del mondo e, pur cadendo e rialzandoci dai peccati (perché fra bestie tanto velenose, la cui presenza è così pericolosa e molesta, sarebbe un miracolo evitare di inciamparvi e di cadere), ciò nonostante, dico, questo nostro Signore apprezza tanto che lo amiamo e cerchiamo la sua compagnia, che, prima o poi, non tralascia di chiamarci per farci avvicinare a lui, e la sua voce è così dolce che la povera anima si strugge di non far subito ciò a cui è chiamata. Ecco perché – come ho detto – l’udire è maggior pena che non udire.
3. Ciò non significa che tale voce e tali appelli siano come altri di cui parlerò dopo. Sono parole che si odono pronunciare da persone virtuose, o sermoni, o ciò che si legge in buoni libri, o altre cose di cui sapete che Dio si serve per chiamare a sé un’anima: malattie, tribolazioni e anche certe verità che egli ci insegna nei momenti in cui stiamo in orazione; sia pur debole quanto vogliate l’orazione, Dio le apprezza molto. E voi, sorelle, non abbiate in poca stima questa prima grazia né scoraggiatevi, anche se non rispondete subito al Signore, perché Sua Maestà sa aspettare molti giorni e anche molti anni, specialmente quando vede perseveranza e buoni desideri. La perseveranza è qui la cosa più necessaria, perché con la sua mediazione non accade mai di non guadagnar molto. Ma è terribile il cumulo di assalti dati ora in mille modi dal demonio, e con maggior sofferenza dell’anima, rispetto alla mansione precedente. Là era muta e sorda – per lo meno udiva ben poco – e resisteva meno, come chi in parte ha perduto la speranza di vincere; qui l’intelligenza è più viva e le potenze più abili: i colpi dell’artiglieria nemica sono tali che l’anima non può evitare di udirli. Allora, infatti, i demoni presentano queste serpi delle attrattive mondane, di cui ho parlato, e danno apparenza di eternità a beni caduchi: la stima in cui si è tenuti nel mondo, gli amici e i parenti, al salute compromessa dalle penitenze (giacché l’anima che entra in queste mansioni comincia sempre a desiderare di farne qualcuna), e frappongono mille altre specie di impedimenti.
4. Oh, Gesù, che baraonda fanno qui i demoni e quali sono le emozioni della povera anima che non sa se deve andare avanti o tornare alla prima mansione! Infatti la ragione, per altro verso, le mostra che si sbaglia a pensare che tutto ciò non valga alcunché in confronto alle sue alte aspirazioni; la fede [invece] le insegna ciò che le deve importare. La memoria le fa vedere dove vanno a finire tutti questi beni terreni, mettendole sotto gli occhi la morte delle persone di sua conoscenza, che hanno molto goduto di essi, ricordandole come alcune siano venute meno per morte improvvisa e quanto presto siano state dimenticate da tutti; come alcune, che conobbe in grande prosperità, ora giacciono calpestate sotto terra, e lei stessa è passata molte volte sul loro sepolcro; incitandola, infine, a considerare il grande numero di vermi formicolanti in quei corpi, insieme con tutte le altre cose che essa le può prospettare. La volontà tende ad amare chi ha visto darle tali innumerevoli grazie e prove d’amore e vorrebbe ripagarle, almeno in parte. Soprattutto ha presente come questo vero amante non l’abbandona mai, affiancandola, dandole essere e vita. L’intelletto, poi, sopravviene a farle capire che non potrebbe acquistare miglior amico neanche se vivesse lunghi anni, perché tutto il mondo è pieno di falsità e le gioie che le offre il demonio sono piene di tribolazioni, preoccupazioni e contraddizioni. Le dice che può essere certa di non trovare sicurezza né pace fuori di questo castello; che tralasci, quindi, di andare per case altrui, perché la sua trabocca di beni, se vuol godere di essa; che non c’è nessuno il quale possa trovare, come nella propria casa, tutto ciò di cui ha bisogno, soprattutto avendo un ospite che lo renderà signore di tutti i beni, se non vuol perdersi, a somiglianza del figliol prodigo, mangiando cibo di porci.
5. Queste sono buone ragioni per vincere i demoni. Eppure, o Signore e Dio mio, l’abitudine in materia di vanità e il vedere che tutti vi tengono dietro, guasta ogni cosa. La fede, infatti, è così morta in noi che tendiamo più verso quanto vediamo che verso le verità che essa ci insegna. In realtà, non vediamo se non tanta cattiva sventura in coloro che corrono dietro a questi beni visibili: tutto il danno proviene da quei rettili velenosi con cui siamo a contatto. Infatti, come per il morso di una vipera una persona si avvelena e si gonfia tutta, così è in questo caso: non stiamo abbastanza in guardia. È evidente che c’è bisogno di molte cure per guarire ed è una grande grazia di Dio se non moriamo. Certamente, l’anima qui soffre grandi tribolazioni, specialmente se il demonio capisce che per la sua natura e per le sue pratiche abituali ha la capacità di andare molto avanti. Tutto l’inferno sarà unito per costringerla ad uscire dal castello.
6. Oh, Signor mio! Qui è necessario il vostro aiuto, senza il quale non si può far nulla. In nome della vostra misericordia, non vogliate consentire che quest’anima sia tratta in inganno e lasci la strada iniziata. Illuminatela affinché veda che dalla sua perseveranza dipende tutto il suo bene e si tenga lontana da cattive compagnie. Le sarà, invece, molto utile trattare con coloro che si occupano di queste cose, avvicinarsi non solo a quelli che vedrà abitare nelle sue stesse mansioni, ma anche a quelli che vedrà inoltrati più innanzi, perché troverà in loro un grande aiuto e, trattandoli, può darsi che la introducano dove essi si trovano. Stia sempre in guardia per non lasciarsi vincere, perché se il demonio vede in essa una ferma decisione di perdere piuttosto la vita, il riposo e tutto ciò che le offre, anziché tornare alla prima mansione, la lascerà molto prima. Sia di animo virile e non somigli a coloro che si gettavano a bere a bocca in giù, quando andavano a combattere non mi ricordo con chi, ma prenda la sua brava decisione, pensando che va a dar battaglia a tutti i demoni e che non c’è arma migliore della croce.
7. Anche se ho detto questo altre volte, è così importante che torno a ripeterlo qui. Non bisogna pensare alle comodità in quest’inizio di vita, perché sarebbe un modo assai volgare di intraprendere la costruzione di un così grande e prezioso edificio e, se si costruisce sull’arena, la fabbrica crollerà e non si finirà mai di essere inquieti e tentati. Non sono queste, infatti, le mansioni dove piove la manna: quelle sono più avanti, là dove tutto risponde al desiderio dell’anima, perché essa non vuole se non quello che vuole Iddio. È bella questa: stiamo tuttora fra mille inciampi, imperfezioni e virtù che ancora non sanno farsi strada, perché nate da poco – e piaccia a Dio che siano già nate – e non ci vergogniamo di voler diletti nell’orazione e di lamentarci di aridità! Ciò non vi accada mai, sorelle. Abbracciate la croce che il vostro Sposo portò sulle spalle e pensate che questo è ciò che dovete fare: colei che più saprà patire, patisca di più per amor suo e sarà la più felice. Circa il resto, che è cosa accessoria, se il Signore ve lo darà, rendetegliene infinte grazie.
8. Vi sembrerà che, per quanto riguarda sofferenze esterne, siete ben decise a sopportarle, purché Dio vi consoli interiormente. Sua Maestà sa meglio di noi ciò che ci conviene; non c’è motivo di suggerirgli quel che ci deve dare, giacché può dirci con ragione che non sappiamo quel che chiediamo. Tutta la premessa di chi comincia a darsi nell’orazione (e non dimenticatelo perché è molto importante) dev’essere di adoperarsi, decidersi e disporsi con tutte le diligenze possibili a conformare la propria volontà a quella di Dio e, come dirò in seguito, siate ben certe che in ciò consiste tutta la maggiore perfezione a cui si possa giungere nel cammino spirituale. Quanto più sarà perfetta tale corrispondenza, tanto più si riceveranno grazie dal Signore e si progredirà in questo cammino. Non pensate che ci siano qui astruserie, cose ignorate e mai sentite, perché tutto il nostro bene consiste in tale rispondenza. Se, invece, sbagliamo fin dal principio, volendo che il Signore faccia la nostra volontà e che ci guidi a modo nostro, che stabilità può avere quest’edificio? Cerchiamo di fare quanto sta in noi per guardarci da bestie velenose. Spesso il Signore permette che cattivi pensieri e aridità ci perseguitino e ci affliggano senza che possiamo scacciarli, e qualche volta consente che ci mordano, per insegnarci a guardarci meglio in seguito e per vedere se ci dispiace molto di averlo offeso.
9. Pertanto, non vi scoraggiate se qualche volta vi capita di cadere, così da tralasciare di sforzarvi di andare avanti perché anche da quella caduta Dio saprà tirar fuori il bene, come fa chi vende la triaca che, per provare se è buona, beve prima il veleno. Quand’anche non vedessimo in altro la nostra miseria e il gran danno che ci procura la nostra dissipazione, se non in questa battaglia da affrontare prima di tornare a raccoglierci, ciò sarebbe sufficiente. Può forse esserci un male più grande di quello di non ritrovare noi stessi in casa nostra? Come sperare di godere riposo in casa altrui, se nella nostra non possiamo avere pace, quando perfino i più leali amici e i parenti più stretti, con i quali, anche se non lo vogliamo, dobbiamo vivere sempre, cioè le nostre potenze, sembrano muoverci guerra, quasi per vendicarsi di quella che hanno mosso loro i nostri vizi? Pace, pace, sorelle mie! È la parola del Signore, il monito da lui ripetuto tante volte ai suoi apostoli. Credete pure che, se non l’abbiamo e non procuriamo di trovarla in casa nostra, non la troveremo presso gli estranei. Abbia fine, ormai, questa guerra. Per il sangue sparso da Cristo per noi, lo chiedo a coloro che non hanno ancora cominciato a rientrare in se stessi; a coloro, invece, che hanno cominciato, chiedo che la prospettiva della lotta non sia sufficiente ragione per farli retrocedere. Considerino che la ricaduta è peggiore della caduta; essi sanno ormai quale rovina comporti; confidino nella misericordia di Dio e ben poco di sé; vedranno come Sua Maestà li condurrà da una mansione all’altra, dove quelle bestie pericolose non potranno nemmeno toccarli e dove essi, invece, le assoggetteranno tutte, si burleranno di loro e godranno di molti più beni di quanti ne potrebbero desiderare, intendo dire anche in questa vita.
10. Siccome, come ho detto all’inizio, vi ho già parlato di come dovete comportarvi in questi turbamenti suscitati dal demonio e come non si deve procedere a forza di braccia per cominciare a raccogliersi, ma con dolcezza, per poter perseverare nel raccoglimento, qui non aggiungerò altro se non che, a mio parere, è molto opportuno trattare con persone esperte. Infatti, voi potreste pensare che vi possa portare danno attendere ad occupazioni necessarie. Ma, purché non abbandoniamo l’orazione, il Signore volgerà tutto a nostro vantaggio, anche se non troviamo nessuno che ci dia utili indicazioni. Di fronte al male di lasciare l’orazione non c’è infatti altro rimedio che ricominciare a raccogliersi. Altrimenti l’anima andrà perdendo forze a poco a poco ogni giorno di più. Piaccia a Dio che ce ne accorgiamo!
11. Qualcuno potrà pensare che, se tornare indietro è un così grande male, sarebbe meglio non intraprendere mai il cammino e starsene fuori del castello. Vi ho già detto all’inizio, e lo dice il Signore stesso, che chi si espone al pericolo in esso perisce e ho detto anche che la porta per entrare in questo castello è l’orazione. Dunque, pensare che dobbiamo entrare nel cielo e non entrare in noi stessi, conoscendoci e considerando la nostra miseria e ciò che dobbiamo a Dio, dal quale spesso imploriamo misericordia, è una pazzia. Il Signore stesso dice: Nessuno salirà da mio Padre se non per me; non so se dica proprio così, ma credo di sì, e ancora: Chi vede me, vede il Padre mio. Pertanto, se non lo guardiamo mai e non consideriamo ciò che gli dobbiamo e la morte che egli ha sofferto per noi, non so come possiamo conoscerlo o compiere opere al suo servizio, perché la fede senza le opere, e le opere disgiunte dai meriti di Gesù Cristo, nostro bene, che valore possono avere? E chi ci spronerà ad amare il Signore? Piaccia a Sua Maestà di farci intendere il molto che gli siamo costati e come il servo non è da più del padrone; che abbiamo bisogno di lavorare per godere della sua gloria e che dobbiamo pregare, per non cadere in tentazione.
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02/08/2013 14:55
 
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TERZE MANSIONI
CAPITOLO 1
Parla della scarsa sicurezza che si può avere finché si vive in questo esilio, qualunque sia il grado di elevazione a cui si è pervenuti, e di come occorra procedere sempre con timore. Ci sono alcuni punti che potranno risultare utili.
1. A coloro che per la misericordia di Dio sono usciti vittoriosi da queste lotte e che, aiutati dalla perseveranza, sono entrati nelle terze mansioni, che cosa diremo, se non: Beato l’uomo che teme il Signore? Non è stata una piccola grazia di Sua Maestà che io comprenda in questo momento, vista la scarsa conoscenza che ho al riguardo, il significato in volgare di tale versetto. In verità, a ragione chiameremo beato chi procede in questo modo perché, se non torna indietro, per quanto possiamo giudicarne, è sulla strada sicura, ai fini della salvezza. Da ciò potete costatare, sorelle, quanto sia importante vincere le battaglie di cui ho parlato in precedenza: sono, infatti, convinta che il Signore non manca mai di darci, in cambio, sicurezza di coscienza; il che non è un vantaggio da poco. Ho detto sicurezza, e ho detto male, perché non c’è sicurezza in questa vita, pertanto, tutte le volte che ne parlerò, dovete sottintendere: purché non si abbandoni il cammino intrapreso.
2. È un’enorme disgrazia vivere una vita che ci costringe ad essere sempre come coloro i quali, avendo i nemici alla porta, non possono né dormire né mangiare senza le loro armi, in preda alla continua paura che da qualche parte si possa aprire una breccia nella loro fortezza. Oh, mio Signore e mio bene! Perché volete che si ami una vita così miserabile che è impossibile non desiderare e non chiedere di esserne liberati, a meno che si abbia la speranza di perderla per voi o di impiegarla davvero al vostro servizio, e soprattutto si abbia la certezza che è la vostra volontà a trattenerci in essa? Se lo è, Dio mio, moriamo pure con voi, come disse san Tommaso, perché vivere senza di voi e con questo continuo timore di potervi perdere per sempre, non è altro che morire mille volte. Ecco perché vi dico, figlie mie, che la beatitudine da invocare è quella di avere la sicurezza dei beati. Infatti, con simili timori, che gioia può avere colui per il quale tutto il piacere consiste nel contentare Dio? Considerate, inoltre, che erano in tali disposizioni, e anche più perfette, alcuni santi, caduti poi in gravi peccati, e noi non abbiamo la sicurezza che Dio ci darà la mano per liberarcene e arrivare a farne penitenza come loro.
3. In verità, figlie mie, scrivendo questo, sono presa da tale timore che non so come io riesca a scrivere né come possa vivere, quando un simile pensiero mi attraversa la mente, il che accade assai spesso. Pregate, figlie mie, che Sua Maestà viva sempre in me, altrimenti quale sicurezza posso avere con una vita così male impiegata come la mia? E non affliggetevi nel conoscere questa verità, perché ho notato, alcune volte, che vi contristate quando ve ne parlo, e ciò viene dal fatto che vorreste che fossi stata una gran santa: avete ragione, lo vorrei anch’io, ma che fare, se ho perduto questa possibilità e solo per mia colpa? Non mi lamenterò certo di Dio, che sempre mi ha dato l’aiuto sufficiente perché i vostri desideri si adempissero, e non posso dirlo senza versare molte lacrime e senza provare una grande vergogna, vedendo che scrivo per persone che potrebbero farmi da maestre. È stata, questa, una ben dura obbedienza! Piaccia al Signore che, avendolo fatto per lui, vi sia di qualche vantaggio, e pregatelo di perdonare a questa miserabile e temeraria creatura. Sua Maestà sa bene che posso sperare solo nella sua misericordia, essendo infatti impotente a cancellare la mia vita passata. Non ho altra risorsa se non quella di appoggiarmi alla pietà di Dio e confidare nei meriti di suo Figlio e della Vergine sua Madre, di cui indegnamente porto l’abito, che pure voi portate. Lodatelo, figlie mie, perché siete le vere figlie di questa Signora, perché avendo in lei una Madre così perfetta, non dovete più vergognarvi della mia miseria. Imitatela e considerate quale debba essere la grandezza di questa Signora e il beneficio di averla per patrona, visto che i miei peccati e la mia misera vita non hanno potuto offuscare minimamente lo splendore di questo santo Ordine.
4. Voglio, però, darvi un consiglio: non perché l’Ordine sia tale né perché abbiate una tal Madre dovete sentirvi sicure. Davide era un gran santo, e voi sapete chi fu Salomone. Non dovete fidarvi né della vostra clausura, né della penitenza in cui vivete e neanche fare assegnamento sul fatto che vi occupate sempre di Dio, che praticate così assiduamente l’orazione, che siete distaccate dalle cose del mondo e le avete, a quanto vi sembra, in odio. Tutto questo va bene, ma non basta – come ho detto – per farci smettere di temere. Pertanto, ripetete questo versetto e richiamatelo spesso alla vostra memoria: Beato l’uomo che teme il Signore.
5. Non so più quel che dicevo, perché ho molto divagato dal tema: quando mi ricordo di me, mi si tarpano le ali e non sono più capace di dire qualcosa di buono; non voglio dunque più pensarci per il momento. Tornando a quello che avevo cominciato a dirvi delle anime che sono entrate nelle terze mansioni, il Signore non ha fatto loro una piccola grazia nell’aiutarle a vincere le prime difficoltà; al contrario, gliel’ha fatta assai grande. Credo che, per la sua bontà, di queste anime ce ne siano molte nel mondo: vivamente desiderose di non offendere Sua Maestà, si guardano anche dai peccati veniali e amano fare penitenza; hanno le loro ore di raccoglimento, impiegano bene il tempo, attendono a opere di carità verso il prossimo; sono molto regolate nel modo di parlare, di vestire e nel governo della casa, se ne hanno una a cui badare. Certamente, è uno stato degno d’invidia e non c’è motivo, a quel che sembra, che possa esser loro vietato l’ingresso fino all’ultima mansione, né il Signore gliela negherà, se esse lo vogliono, perché la loro disposizione è perfetta e adatta a meritare ogni grazia.
6. Oh, Gesù! E chi fra noi dirà che non vuole un così gran bene, specialmente dopo aver già superato ciò che vi è di più penoso? Nessuno, certo. Tutte diciamo di volerlo, ma, occorrendo qualcosa di più perché il Signore possegga del tutto un’anima, non basta dirlo, come non bastò a quel giovane cui il Signore insegnò che cosa doveva fare se voleva essere perfetto. Da quando ho cominciato a parlare di queste mansioni, l’ho dinanzi agli occhi, perché siamo né più né meno come lui. Generalmente vengono da qui le grandi aridità che si provano nell’orazione, pur essendoci anche altre cause. Tralascio certe tribolazioni interiori, davvero intollerabili, che hanno molte anime buone, senza alcuna loro colpa, e dalle quali il Signore le fa sempre uscire con molto profitto. Non parlo nemmeno di quelle che soffrono di malinconia e di altre infermità. Infine, in tutto dobbiamo prescindere da giudizi di Dio. Ciò di cui sono convinta è che in generale la causa delle aridità è quella di cui ho parlato, perché queste anime, sentendosi nella disposizione di non commettere per nulla al mondo un peccato mortale – e molte di esse non commetterebbero neanche un peccato veniale – e vedendo che fanno buon uso della loro vita e dei loro beni, non possono sopportare pazientemente che si chiuda loro la porta d’ingresso all’appartamento del nostro re, di cui si reputano e sono vassalle. Ma è così anche per un re della terra: quantunque abbia molti vassalli, non a tutti è dato l’accesso alla sua stanza. Entrate, entrate, figlie mie, nel vostro intimo. Non badate ai vostri piccoli atti di virtù, giacché, come cristiane, siete tenute a tutto ciò e a molto di più, e vi basti essere vassalle di Dio. Non pretendete troppo per non restare senza nulla. Considerate i santi che sono entrati nella stanza di questo Re e vedrete quale differenza ci sia fra loro e noi. Non chiedete quel che non avete meritato. Non dovrebbe neanche sfiorarci il pensiero di poter meritare tale favore, per quanto grandi siano i nostri servizi, dopo aver offeso Dio come noi abbiamo fatto.
7. Oh, umiltà, umiltà! Non so quale tentazione mi prenda a questo riguardo, non potendo fare a meno di credere che la ragione per cui alcuni danno tanta importanza a queste aridità è un po’ la mancanza di umiltà. Ripeto che lascio da parte le grandi tribolazioni interiori di cui ho parlato, le quali sono molto più che mancanze di devozione. Mettiamoci alla prova da noi stesse, sorelle mie, o lasciamo che ci metta alla prova il Signore, il quale sa farlo molto bene, anche se a volte non vogliamo capirlo. Veniamo ora a queste anime così ben regolate, osserviamo che cosa fanno per Dio e vedremo subito come non abbiamo alcun motivo per lamentarci di Sua Maestà. Infatti, se quando ci dice quello che dobbiamo fare per essere perfetti gli volgiamo le spalle e ce ne andiamo tristi come il giovane del Vangelo, cosa volete che faccia Sua Maestà dovendo darci il premio in conformità dell’amore che gli portiamo? E quest’amore, figlie mie, non dev’essere frutto della nostra immaginazione, ma comprovato da opere. Ciò malgrado, non pensate che Dio abbia bisogno delle nostre opere, ma solo della determinazione della nostra volontà.
8. Forse sembrerà di aver fatto tutto a noi che portiamo l’abito religioso, che lo prendiamo di nostra volontà, che lasciamo per Dio tutte le cose del mondo e quanto possedevamo (anche se si tratta soltanto delle reti di san Pietro, perché chi dà ciò che ha ritiene di dar molto). Questa è un’ottima disposizione, purché si perseveri in tutto ciò e non si torni a invischiarsi fra i rettili delle prime mansioni neppure con il desiderio. Non vi è dubbio che, perseverando in questo spogliamento e in questo distacco da tutto, si otterrà quanto si desidera. A una condizione, però – guardate che ve lo raccomando –, di ritenersi servi inutili, come dice san Paolo ovvero Cristo, e di non credere che Dio sia obbligato a farci simili favori, anzi di essergli maggiormente debitori, per aver ricevuto di più. Cosa possiamo dunque fare per un Dio così generoso che è morto per noi, che ci ha creati e ci mantiene in vita, se non ritenerci felici di riscattare almeno in parte ciò che gli dobbiamo per i servizi che ci ha resi (a malincuore uso quest’espressione, ma è proprio così giacché non ha fatto altro in tutto il tempo della sua vita terrena), senza chiedergli ancora grazie e favori?
9. Considerate attentamente, figlie mie, alcune cose che qui sono accennate, anche se confusamente, per il fatto che non so spiegarmi meglio. Il Signore ve le farà capire perché dalle aridità possiate trarre umiltà e non inquietudine, che è ciò a cui aspira il demonio. Credete pure che alle anime veramente umili Dio, anche se non concede gioie, offrirà una pace e una conformità al suo volere tali da farle sentire più felici di altre, con tutti i loro diletti. Molte volte – come avete letto – la divina Maestà li concede ai più deboli e, nonostante la loro debolezza, credo che essi non li cambierebbero con le energie delle anime che procedono nella via delle aridità. Siamo più portate ad amare le consolazioni che le croci. Mettici alla prova tu, Signore, che conosci la verità, affinché conosciamo noi stesse!
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02/08/2013 14:56
 
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CAPITOLO 2
Prosegue nel medesimo argomento e tratta delle aridità nell’orazione e di quello che, a suo parere, potrebbe accadere. Dice come sia necessario mettersi alla prova e come il Signore provi coloro che si trovano in queste mansioni.
1. Ho conosciuto alcune persone – credo, anzi, di poter dire molte – fra quelle pervenute a questo stato e vissute molti anni in questa rettitudine e in questa regolarità, anima e corpo, per quel che si può giudicare, le quali, quando avrebbero dovuto – sembra – prevalere sul mondo e, per lo meno, esserne interamente disingannate, messe alla prova da Sua Maestà in cose di non grande importanza, cadevano in una così grande inquietudine e oppressione di cuore da farmi restare sbalordita e anche molto spaventata. Ora, dare a tali persone un consiglio è inutile perché, facendo esse professione di virtù da tanto tempo, credono di poter insegnare agli altri e di aver ragione da vendere per essere così sensibili a quelle prove.
2. Insomma, io non ho trovato né trovo altro rimedio per consolarle che mostrare compassione per la loro pena (e la si prova davvero vedendole soggette a tanta miseria) e non contraddire le loro ragioni perché se le aggiustano così bene nel loro pensiero, perché credono di soffrire per amore di Dio, pertanto non riescono a capire che si tratta di un’imperfezione, altro inganno per anime così avanzate. Non c’è da meravigliarsi per il fatto che risentano di queste prove, anche se, a mio parere, una pena per simili cose dovrebbe passare presto. Dio spesso, volendo che i suoi eletti avvertano la loro miseria, sottrae un poco ad essi il suo favore, e questo basta perché subito conoscano chi sono. Si capisce immediatamente che ciò costituisce da parte di Dio un mezzo di metterli alla prova, per il fatto che essi comprendono molto chiaramente in cosa hanno mancato e, a volte, il vedersi, malgrado ogni sforzo, così sensibili a cose terrene e di scarsa importanza li affligge più dell’oggetto stesso della loro pena. A me sembra che questa sia una grande misericordia di Dio perché, sebbene si tratti di una imperfezione, è molto utile per crescere nell’umiltà.
3. Non così, invece, delle persone di cui parlo, le quali – come ho detto – canonizzano nel loro pensiero queste prove e vorrebbero che le canonizzassero anche gli altri. Voglio darne qualche esempio che ci sarà d’aiuto per farci conoscere e metterci alla prova da noi stesse, prima che ci metta alla prova il Signore, essendo molto importante trovarci preparate ad essere anzitutto noi a conoscerci prima.
4. Supponiamo che una persona ricca, senza figli né eredi a cui lasciare i suoi beni, subisca una perdita [di denaro], ma non tale che con quanto le resta possa mancarle il necessario per sé e per la sua casa, anzi gliene avanzi. Se essa ne fosse così turbata e inquieta come se non le rimanesse neanche un pane di cui cibarsi, in che modo nostro Signore potrà chiederle di lasciar tutto per lui? A questo punto ella dirà che se ne affligge perché vuol far beneficiare i poveri del suo. Io, però, credo che Dio preferisca che io mi conformi a ciò che egli fa e, pur adoperandomi a conseguire quanto desidero, mantenga l’anima nella pace, anziché compiere questo atto di carità. E, se quella persona non lo fa perché il Signore non l’ha elevata fin qui a tanto, pazienza! Ma si renda conto che le manca ancora libertà di spirito, e in tal modo si disporrà a riceverla dal Signore, chiedendogliela. Supponiamo che un’altra persona abbia di che vivere bene e disponga anche di più del necessario. Le si offre l’occasione di aumentare le sue ricchezze: approfittarne, se si tratta di un dono, pazienza, passi; ma darsi da fare per giungere a questo scopo e, una volta conseguitolo, cercare di avere sempre di più, per quanto buona sia la sua intenzione (che certamente è tale, perché – come ho detto – si tratta di persone di orazione e virtuose), state certe che non salirà mai alle mansioni più vicine a quelle del re.
5. Accade lo stesso se a queste persone si presenta l’occasione di essere disprezzate o sminuite un po’ nel loro onore; anche se Dio, che ama onorare la virtù in pubblico, fa loro spesso la grazia sopportarlo convenientemente, affinché non ne scapiti la stessa virtù di cui sono stimate depositarie, e forse anche per ricompensarle dei loro servizi, essendo assai buono questo nostro Bene. Tuttavia restano con una inquietudine da cui non sanno liberarsi e che non le lascerà tanto presto. Dio mio! Non sono tali persone quelle che meditano da tanto tempo su quello che ha sofferto il Signore e sui vantaggi della sofferenza alla quale esse anelano? Pensare che vorrebbero che tutti conducessero una vita così regolata come la loro, e piaccia a Dio che non credano di soffrire la pena delle colpe altrui, ritenendo così meritoria la loro afflizione!
6. Vi sembrerà forse, sorelle, che parli a sproposito e non rivolgendomi a voi, perché qui queste cose non accadono: non possediamo ricchezze né le desideriamo né ci adoperiamo ad ottenerle né alcuno ci reca offesa. Si tratta, infatti, di paragoni non riferibili a quanto accade fra noi. Tuttavia essi hanno rapporto con molte circostanze che possono verificarsi e che ora non conviene rilevare, non essendovene motivo. Attraverso tutto ciò potrete capire se siete interamente spoglie di quello che avete lasciato, perché anche qui vi si presentano piccole occasioni in cui, quantunque esse non siano del genere di quelle suddette, potete ben mettervi alla prova e vedere se siete padrone delle vostre passioni. E, credetemi, l’importante non è indossare o no un abito religioso, ma adoperarsi a praticare le virtù e sottomettere in ogni cosa la nostra volontà a quella di Dio, sì che il corso della nostra vita scorra in conformità a quanto ha disposto Sua Maestà e non volere che si faccia la nostra volontà, ma la sua. Giacché non siamo ancora arrivate a questo punto, vi ripeto: umiltà! Essa è l’unguento per le nostre ferite: se infatti sarà realmente in noi il chirurgo, che è Dio, anche se tarderà un po’, verrà infine a sanarci.
7. Le penitenze che fanno queste anime sono regolate così bene come la loro vita, che esse amano molto, per poterla dedicare al servizio del Signore, e in ciò non vi è nulla di male; pertanto, usano grande discrezione nel fare le penitenze per non pregiudicare la salute. Non temete che si ammazzino, perché la loro ragione è sempre padrona di sé e l’amore in esse non è ancor tale da farle uscir di senno. Ma io vorrei che la ragione stessa ci servisse per non accontentarci di questo modo di servire Dio, sempre così lentamente, che di questo passo non giungeremo mai al termine del nostro cammino. E, siccome crediamo di avanzare, ed anche di stancarci (perché, credete pure, è un camminare faticoso), sarà già molto se non ci smarriamo. Ma, figlie mie, se per recarsi da un paese a un altro possono bastare otto giorni, vi sembra logico percorrere il cammino in un anno, con i disagi di alberghi, neve, piogge e strade cattive? Non sarebbe meglio compierlo tutto d’un fiato? Perché tutti questi inconvenienti ci sono, e anche il pericolo di serpenti. Oh, che buone prove potrei addurvi di ciò! E piaccia a Dio che io stessa sia uscita da tali rischi, perché molte volte non mi sembra di esserne fuori.
8. Procedendo con tanta prudenza, tutto sembra arrecarci danno, perché di tutto abbiamo paura. Pertanto, non osiamo andare avanti, come se potessimo arrivare alle più alte mansioni, lasciando che altri facciano il cammino per noi! Poiché questo è impossibile, facciamoci coraggio, sorelle mie, per amor del Signore. Rimettiamo nelle sue mani la nostra ragione e i nostri timori; dimentichiamo la nostra naturale debolezza, che potrebbe esserci d’intralcio. La cura del nostro corpo l’abbiano i nostri superiori: è affar loro; la nostra sia solo quella di camminare in fretta per vedere questo nostro Signore. Infatti, pur avendo qui poco o nessun sollievo, la preoccupazione della salute potrebbe ingannarci, senza che per questo si riuscisse ad averla migliore. Io lo so, e so anche che il nocciolo della questione non sta in ciò che riguarda il corpo, che è il meno, ma nel camminare in fretta con grande umiltà. Se l’avete bene inteso, credo che in questo stia il male di quelle anime che non vanno avanti. Cerchiamo, da parte nostra, di credere con assoluta convinzione che non abbiamo fatto se non pochi passi, che le nostre consorelle, al contrario, avanzano molto in fretta; e [cerchiamo] non solo di desiderare che ci considerino le più imperfette di tutte, ma di adoperarci con tutte le forze a tal fine.
9. In questo modo il nostro stato è davvero eccellente. Diversamente resteremo tutta la nostra vita allo stesso punto, fra mille pene e miserie, perché, non essendoci staccate da noi stesse, il cammino è molto duro e faticoso, in quanto procediamo gravate dal peso terreno della nostra miseria, da cui sono liberi coloro che salgono alle mansioni di cui mi resta da parlare. Peraltro, neanche in queste mansioni il Signore manca di ricompensare le anime con la sua giustizia e misericordia, dando egli sempre più di quanto meritiamo, e le favorisce di gioie che superano molto quelle che potrebbero darci tutti i piaceri e i divertimenti della vita. Ma non credo che ci favorisca di molti diletti, se non solo alcune volte, per invitarci, con la vista di ciò che avviene nelle altre mansioni, ad avere le disposizioni necessarie per entrarvi.
10. Vi potrà sembrare che gioie e diletti spirituali siano tutt’uno, e vi chiederete perché faccio questa differenza di nomi. A me sembra che la differenza sia grande, ma posso ingannarmi. Dirò quello che penso nelle quarte mansioni, che seguiranno. Allora, dovendo dare alcune spiegazioni sui diletti spirituali che in esse il Signore concede, verrà più a proposito parlarne. Anche se sembra inutile trattarne, può darsi che ne ricaviate qualche vantaggio, poiché, comprendendo il valore dell’uno e dell’altra, potrete sforzarvi di attenervi al meglio. Inoltre, le anime che Dio eleva fin là vi troveranno un motivo di grande consolazione. Motivo di confusione, invece, ne avranno quelle che credono di aver già tutto, le quali, se sono umili, si sentiranno incitate a render grazie a Dio, mentre, se non lo sono, proveranno un intimo dispiacere, del tutto ingiustificato. La perfezione, e anche il premio, non consistono nei diletti, ma nel maggior amore e nell’operare meglio secondo giustizia e verità.
11. Se ciò è vero, come lo è, vi domanderete a cosa serva trattare di queste grazie interiori e spiegare in cosa consistano. Non lo so. Lo si chieda a chi mi ha ordinato di scrivere, perché io ho il dovere non di disputare con i superiori, che sarebbe sconveniente, ma di obbedire. Quello che sinceramente vi posso dire è che, prima di aver ricevuto tali grazie e quando non le conoscevo per mia propria esperienza né immaginavo di conoscerle mai nella mia vita (e con ragione, perché sarebbe stata troppa felicità per me sapere o immaginare di piacere a Dio in qualche cosa), quando leggevo libri su queste grazie e consolazioni concesse dal Signore alle anime che lo servono, ne avevo un’immensa gioia e la mia anima ne traeva motivo per rendere grandi lodi a Dio. Se, dunque, facevo questo io, pur essendo così spregevole, le anime che sono buone ed umili lo loderanno assai di più, e fosse anche per una sola che lo lodi, a mio parere sarebbe sempre meglio parlarne e far comprendere la gioia e i diletti che perdiamo per colpa nostra. Questo, tanto più che, se essi procedono da Dio, traboccano di amore e di forza, così da farci camminare con minor fatica e andar crescendo in buone opere e in virtù. Non pensate che abbia poca importanza il fatto che non manchi uno sforzo consapevole da parte nostra. Se non abbiamo colpa nel fallire l’intento, il Signore, che è giusto, ci darà per altre vie quello che ci toglie per questa, per motivi che gli solo conosce, essendo impenetrabili i suoi segreti. Ma non c’è dubbio che sarà per il nostro maggior bene.
12. Ciò che mi sembra sarebbe molto utile per quelle anime che per la bontà del Signore sono pervenute a questo stato (favore che, come ho detto, è frutto di non poca misericordia divina, essendo vicinissime a salire più in alto), è esercitarsi molto nella prontezza dell’obbedienza. Anche se non appartengono allo stato religioso, sarebbe assai utile – seguendo l’esempio di molte persone – avere qualcuno a cui obbedire per non fare in nulla la propria volontà, che è in generale la causa della nostra rovina, e non cercare chi abbia, come si dice, il nostro stesso umore e proceda con altrettanta circospezione in tutto, ma procurare che sia una persona del tutto disingannata sulle cose terrene. È molto proficuo, per conoscere se stessi, trattare con chi conosce il mondo. Anche il vedere realizzate da altri, e tanto agevolmente, certe cose che sembrano impossibili, è di grande incoraggiamento. Sembra che, dietro l’esempio del loro volo, ci arrischiamo a volare, come fanno gli uccellini che, quando imparano a usare le ali, anche se non spiccano subito un gran volo, a poco a poco imitano i loro genitori. Questo è molto vantaggioso, io lo so. Tali persone, per quanto siano risolute a non offendere il Signore, faranno bene ad evitarne le occasioni perché, stando vicine alle prime mansioni, vi potrebbero facilmente ritornare: la loro forza non è ancora fondata sulla roccia, come quella di coloro che sono già abituati ai patimenti, che conoscono le tempeste del mondo e quanto poco siano da temere, come non sono da desiderarne i piaceri, ai quali sarebbe possibile che fossero ricondotte mediante una di quelle grandi persecuzioni che il demonio sa ordire a nostro danno. E, pur essendo animate da giusto zelo nel desiderio di impedire i peccati altrui, non avrebbero forse la forza di resistere agli attacchi che a questo riguardo potrebbero loro sopraggiungere.
13. Badiamo ai nostri difetti e lasciamo stare quelli degli altri. È proprio delle persone assai ben regolate meravigliarsi di tutto mentre forse avremmo molto da apprendere, in ciò che è essenziale, da coloro di cui ci meravigliamo. Può darsi che, nella compostezza esteriore e nel modo di trattare siamo in vantaggio su di loro, ma anche se stimabile, non è questa la cosa che ha maggiore importanza. Inoltre, non c’è ragione di pretendere che tutti vadano per la nostra strada né di mettersi ad insegnare il cammino spirituale quando forse non si sa che cosa sia. Con questi desideri del bene delle anime, che ci sembrano ispirati da Dio, possiamo, sorelle, commettere molti errori. Pertanto, è meglio attenerci a ciò che dice la nostra Regola: «Cercate di vivere sempre nel silenzio e nella speranza». Il Signore si prenderà cura delle sue anime e, se non tralasceremo di supplicarne Sua Maestà, con il suo aiuto saremo loro molto utili. Sia egli per sempre benedetto!
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02/08/2013 14:56
 
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QUARTE MANSIONI
CAPITOLO 1
Parla della differenza che esiste fra gioie e dolcezza dell’orazione, e diletti spirituali, e dice quanto sia stata felice di comprendere che l’immaginazione è cosa diversa dall’intelletto. È utile per chi è soggetto a frequenti distrazioni durante l’orazione.
1. Per cominciare a parlare delle quarte mansioni è necessario fare quello che ho fatto, cioè raccomandarmi allo Spirito santo e supplicarlo di parlare al mio posto, d’ora in avanti, per dire qualcosa delle mansioni che restano, in modo che lo comprendiate. Ormai sono cose soprannaturali, di cui è molto difficile dare una spiegazione, a meno che non lo faccia Sua Maestà stesso, come ha fatto per un altro mio libro dove scrissi – circa quattordici anni fa – quello che fino allora ne avevo compreso. Anche se ora mi sembra di avere un po’ più di luce su queste grazie che il Signore concede ad alcune anime, saper esporle è un’altra cosa. Lo faccia Sua Maestà, se può risultarne qualche utilità, altrimenti sia come non detto.
2. Poiché queste mansioni sono già più vicine al luogo dove sta il Re, la loro bellezza è grande, e ci sono cose talmente delicate da vedere e da intendere che l’intelletto ha un bell’ingegnarsi a cercare termini adatti per dirne almeno qualcosa con tanta esattezza da non farle restare sempre molto oscure per coloro che non ne hanno esperienza! Chi ha tale esperienza, però, mi capirà benissimo, specialmente se la sua esperienza è grande. Si potrà forse credere che, per giungere a queste mansioni, occorra aver vissuto molto nelle altre, e anche se ordinariamente è vero che bisogna esser passati per quella precedente, non è una regola assoluta, come avrete già sentito più volte. Infatti, il Signore concede i suoi doni quando vuole, come vuole e a chi vuole, essendo beni che appartengono a lui, ed egli, lo sappiamo, non fa torto a nessuno.
3. In queste mansioni entrano raramente le bestie velenose e, se entrano, non nuocciono, anzi avvantaggiano le anime. Io ritengo preferibile che entrino e scatenino la guerra in questo stato di orazione, perché il demonio, se non ci fossero tentazioni, potrebbe ingannare, intromettendosi nei diletti provenienti da Dio, e arrecar molto maggior danno di quando esse ci sono: egli limiterebbe il merito dell’anima – non foss’altro allontanando da essa le occasioni di merito – e lasciandola in un rapimento intenso. Quando esso è continuo, non lo ritengo sicuro perché mi sembra impossibile che lo Spirito del Signore, in questa vita, stia in noi sempre nello stesso modo.
4. Parlando ora di ciò che ho promesso che avrei detto qui, cioè della differenza fra le gioie che si provano nell’orazione e i diletti spirituali, mi sembra che si possano chiamare gioie quelle contentezze che noi ci procuriamo con la nostra meditazione e con le preghiere rivolte a nostro Signore. Esse procedono dalla nostra natura, anche se c’è sempre il concorso di Dio, il che è da sottintendere in tutto quello che dirò, perché noi non possiamo nulla senza di lui. Nascono dunque dalle stesse opere virtuose che compiamo e, poiché ci appaiono un frutto del nostro lavoro, a ragione ci rallegriamo di esserci occupate in esse. Ma, se ci riflettiamo, vedremo che ci procurano le stesse gioie molte cose terrene: come una grande fortuna che improvvisamente tocchi a qualcuno, o il vedere all’improvviso una persona che amiamo molto, o l’esito felice di un affare importante o di un’altra cosa di gran peso, che ci merita l’approvazione di tutti, o il vedere ritornare vivo un marito, un fratello o un figlio che si credeva morto. Ho visto versare lacrime per una grande gioia e, qualche volta, è accaduto anche a me. Ebbene, credo che allo stesso modo in cui queste gioie sono naturali, lo siano quelle che ci danno le cose di Dio, solo che queste sono di più alta qualità, anche se le altre non hanno niente di cattivo. In conclusione, partono dalla nostra natura e finiscono in Dio. I diletti spirituali, invece, cominciano da Dio e si fanno sentire dalla nostra natura, che gode di essi quanto delle gioie di cui ho parlato e anche di più. Oh, Gesù, come vorrei saper chiarire questo! Credo, infatti, di comprendere che c’è una grande differenza, ma non ho la capacità di riuscire a spiegarmi. Lo faccia il Signore!
5. Ricordo in questo momento un versetto che recitiamo a Prima, alla fine dell’ultimo salmo, che termina così: Perché hai dilatato il mio cuore. Chi ha grande esperienza non ha bisogno d’altro per cogliere la differenza che passa tra gioie e diletti, ma per chi non ne ha, ci vuole qualche spiegazione in più. Le gioie di cui ho parlato non dilatano il cuore, anzi ordinariamente sembrano stringerlo un po’, senza peraltro diminuire affatto la gioia di vedere che Dio ne è il movente. Allora sgorgano certe lacrime angosciose che sembrano provenire in qualche modo dalle passioni dell’anima – altrimenti forse mi spiegherei meglio – e di ciò che procede dai sensi e dalla nostra natura, perché sono molto ignorante. Ripeto, mi saprei spiegare se, avendone fatto esperienza, ne avessi anche chiara conoscenza. Il sapere e la dottrina sono assai utili in ogni cosa.
6. L’esperienza da me avuta di questo stato, cioè di questi doni e gioie nella meditazione, è che, se cominciavo a piangere sulla passione, non potevo più cessare fino a che non rimanevo esausta; lo stesso, se piangevo per i miei peccati. Era, questa, una grande grazia del Signore. Non voglio ora esaminare se siano migliori gli uni o gli altri, ma vorrei solo saper spiegare in che cosa differiscano. Talvolta, a suscitare queste lacrime e questi desideri concorre la disposizione in cui ci troviamo, ma alla dine, come ho detto, ciò malgrado, vanno a terminare in Dio. E sono da stimare molto se si ha l’umiltà di capire che non per questo si è migliori. Infatti, non si può sapere se siano tutti effetti dell’amore divino. In tal caso sarebbero un dono di Dio. Per lo più, questi sentimenti di devozione sono propri delle anime che stanno nelle mansioni precedenti, dove attendono di continuo a lavorare d’intelligenza, occupate come sono a discorrere con l’intelletto e a meditare; e fanno bene, non avendo ricevuto di più. Tuttavia farebbero meglio ad occuparsi un po’ in opere e in lodi di Dio, a rallegrarsi della sua bontà, della sua divina perfezione, a desiderare il suo onore e la sua gloria, e ciò quanto più convenientemente fosse loro possibile, perché serve a stimolare molto la volontà. Inoltre, se il Signore concede loro queste riflessioni, si guardino bene dal trascurarle per voler finire la meditazione abituale.
7. Siccome mi sono dilungata molto altrove a parlare di ciò, qui non ne dirò di più. Solo desidero avvertirvi che, per fare grandi progressi in questo cammino e salire alle mansioni alle quali aspiriamo, il nodo della questione non sta nel pensare molto, ma nell’amare molto; pertanto, fate ciò che può incitarvi maggiormente ad amare. Forse non sappiamo che cosa sia amare, e non me ne meraviglierei molto, perché non consiste nel maggior piacere spirituale, ma nella maggiore determinazione di cercar di accontentare Dio in tutto, di fare ogni sforzo possibile per non offenderlo, di pregarlo per il trionfo costante dell’onore e della gloria di suo Figlio e per l’incremento della Chiesa cattolica. Questi sono i segni dell’amore, e non pensate che la questione sia di non pensare ad altro e che tutto vada perduto, se vi accada di distrarvi per un momento.
8. Mi sono trovata anch’io, a causa di questo turbamento del pensiero, in grave angustia, qualche volta; solo da poco più di quattro anni sono giunta a capire, in virtù dell’esperienza, che il pensiero (o l’immaginazione, per meglio intendersi) non è l’intelletto. Ne ho anche parlato con una persona dotta e mi ha detto che è così, dandomi motivo di non poca soddisfazione. Infatti mi riusciva difficile spiegarmi, essendo l’intelletto una delle potenze dell’anima, come a volte fosse così instabile, mentre il pensiero vola talmente in fretta che solo Dio può fermarlo, e quando lo fa, ci pare d’essere quasi staccati dal nostro corpo. Mi pareva che, da un lato, le potenze dell’anima fossero occupate in Dio e stessero raccolte in lui, mentre dall’altro il pensiero vagasse disordinatamente: ne restavo sbigottita.
9. Oh, Signore, prendete in considerazione tutto quel che soffriamo a causa della nostra ignoranza! Il male proviene dal fatto che, immaginando che tutta la nostra scienza debba consistere nel pensare a voi, non osiamo interrogare i dotti né comprendiamo cosa ci sia da chiedere. Così, poiché non ci capiamo, soffriamo terribili tribolazioni, ritenendo che sia grave peccato ciò che non è cattivo, ma buono. Ecco da dove procedono le afflizioni di molte persone che praticano l’orazione e il lamentarsi delle sofferenze interiori, per lo meno di gran parte di quelle che non sono istruite; da qui le malinconie, la perdita della salute e perfino l’abbandono totale di ogni pratica, perché non si pensa che c’è in noi un mondo interiore; allo stesso modo, come non possiamo trattenere il movimento del cielo, che continua nella sua corsa vertiginosa, così non possiamo frenare il nostro pensiero. Inoltre, includiamo in esso tutte le potenze dell’anima e ci sembra di essere perdute e di usare assai male il tempo che passiamo alla presenza di Dio. Può darsi che l’anima se ne stia tutta unita a lui nelle mansioni più vicine, mentre il pensiero, trattenuto nei dintorni del castello, soffra e lotti con una quantità di bestie feroci e velenose, acquistando meriti per questo patimento. Per questo motivo, non dobbiamo restarne turbati né dobbiamo lasciare l’orazione, che è ciò a cui aspira il demonio. Per la maggior parte, tutte le inquietudini e i travagli derivano dal fatto di non conoscere noi stessi.
10. Mentre scrivo queste cose, vado considerando ciò che accade nella mia testa a causa del gran rumore di cui ho parlato all’inizio, che mi ha fatto sembrare quasi impossibile l’esecuzione dell’ordine di scrivere. Sembra proprio che vi siano parecchi grossi fiumi che poi precipitano in cascate, una quantità di uccelli e di cicalecci, e non nelle orecchie, ma nella sommità della testa, dove si dice che risieda la parte superiore dell’anima. Vi ho pensato a lungo perché mi sembrava che il grande movimento dello spirito fosse un’ascensione veloce verso l’alto. Piaccia a Dio che io ricordi nelle mansioni seguenti di illustrarne la causa, perché non è il momento. Non mi meraviglierei che il Signore abbia voluto mandarmi questo mal di testa affinché la comprenda meglio, in quanto tutto questo schiamazzo che è in essa non mi impedisce l’orazione né di continuare a scrivere, essendo l’anima tutta intera nel suo riposo, nel suo amore, nei suoi desideri e nella sua chiara conoscenza.
11. Ma se la parte superiore dell’anima risiede nella sommità della testa, come mai non resta disturbata? Io non lo so, ma so che quanto dico è la verità. Si soffre dei rumori quando l’orazione non è accompagnata da sospensione, mentre durante la sospensione non si avverte alcuna sofferenza. Sarebbe un gran danno se per questo fastidio dovessi abbandonare l’orazione! Così pure non è bene turbarsi quanto ai pensieri. Non bisogna badarci, perché, se li ispira il demonio, con questa disposizione verso Dio avranno termine; e se provengono, come spesso avviene, dalla miserevole condizione lasciata in noi, con molti altri guai, dal peccato di Adamo, cerchiamo di aver pazienza e sopportiamoli per amor di Dio. Siamo anche soggette a mangiare e a dormire, senza poterlo evitare, il che è un grande tormento.
12. Riconosciamo la nostra miseria e aspiriamo ad andare dove nessuno ci disprezza: questo, come ricordo di avere sentito qualche volta, è ciò che dice la sposa del Cantico dei Cantici; e, in verità, non trovo in tutta la vita occasione per applicare meglio tali parole perché, qualunque forma di disprezzo e di sofferenza possa aversi in essa, non mi pare che uguagli queste battaglie interiori. Qualsiasi turbamento e qualsiasi lotta può essere tollerabile se si riesce a trovar pace nella propria mansione – come ho già detto –, ma aspirare alla pace dopo mille pene che si incontrano nel mondo, vedere che il Signore stesso ci offre tale riposo e sentire che l’ostacolo sta in noi stesse, non può non essere molto penoso e quasi intollerabile. Pertanto, Signore, portateci dove queste miserie non ci disprezzino, perché a volte sembra proprio che esse si prendano gioco dell’anima. Anche in questa vita il Signore può liberarla da ciò, ma solo quando è giunta all’ultima mansione, come, a Dio piacendo. Dirò.
13. Forse tali miserie non daranno a tutti tanta pena né tanta lotta come l’hanno data a me nel corso di molti anni, a causa della mia indegnità, al punto che sembrava che io stessa volessi vendicarmi di me. Ma, avendone io tanto sofferto, penso che forse potrebbe essere così anche per voi, e non faccio che parlarvene ogni momento, per veder di riuscire, una volta o l’altra, a spiegarvi come sia un fatto inevitabile, e pertanto non dobbiate inquietarvene né affliggervene: lasciamo perdere questa spatola rumorosa di mulino e maciniamo la nostra farina, facendo operare la nostra volontà e il nostro intelletto.
14. C’è maggiore o minore intensità in questo disturbo, a seconda della salute e dei tempi. Si rassegni a sopportarlo la povera anima, anche se di ciò non ha alcuna colpa, perché ne avremo altre di colpe a causa delle quali è giusto dar prova di pazienza. E siccome né ciò che leggiamo né quello che ci consigliano è sufficiente, per noi che abbiamo scarsa istruzione, a non farci dare importanza a questi pensieri, non mi sembra tempo perduto tutto quello che impiego a spiegarlo meglio e a consolarvi a questo riguardo. Tuttavia, fin quando il Signore non voglia illuminarci, questo serve a poco. È necessario, comunque – e il Signore lo vuole –, che ricorriamo ai mezzi adatti per conoscerci e per non attribuire all’anima la colpa di ciò che è opera della debole immaginazione, della natura e del demonio.
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02/08/2013 14:57
 
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CAPITOLO 2
Prosegue sullo stesso argomento e spiega con un paragone cosa siano i diletti spirituali e come si possano raggiungere senza cercarli.
1. Dio mio, in che cosa mi sono invischiata! Ho già dimenticato ciò che stavo dicendo, perché gli affari e la poca salute mi obbligano spesso a rimandare il mio lavoro a tempo migliore, e siccome ho poca memoria, ne risulterà un grande disordine, essendomi impossibile tornare a leggerlo. E chissà che non sia scombinato tutto quello che dico, almeno tale è la mia impressione. Mi sembra di aver parlato delle gioie spirituali. Poiché alcune volte sono mescolate con le nostre passioni, comportano un’emozione che fa prorompere in singhiozzi; e ho udito anche dire da alcune persone che esse si sentono stringere il cuore e vanno soggette perfino a movimenti esteriori incontenibili, di tale forza che esce loro sangue dal naso e si producono altri effetti ugualmente penosi. Di questo non so dire nulla, perché non ne ho fatto esperienza, ma credo che tali persone debbano restarne consolate perché, ripeto, tutto va a finire nel desiderare di piacere al Signore e di godere di Sua Maestà.
2. Quelli che io chiamo diletti di Dio – a cui altrove ho dato il nome di orazione di quiete – sono molto diversi, come capirà chi fra voi lo ha provato per la misericordia di Dio. Supponiamo, per intenderlo meglio, di vedere due fontane con due bacini che si riempiono d’acqua. Io non trovo nulla di più adatto per spiegare alcune cose dello spirito che l’esempio dell’acqua perché, siccome so poco né l’ingegno m’aiuta, e anche perché amo molto tale elemento, l’ho osservato con maggiore attenzione di altre cose. Del resto, in tutto ciò che Dio, tanto grande e sapiente, ha creato, devono esserci molti segreti di cui possiamo giovarci, come avviene per coloro che ne hanno l’intelligenza, anche se io credo che ogni minima cosa creata da Dio, si tratti pur di una piccola formica, nasconda più meraviglie di quante si possa capirne.
3. Questi due bacini si riempiono d’acqua in modo diverso: in uno l’acqua viene da più lontano per mezzo di vari acquedotti e di molta industria; l’altro, costruito dov’è la stessa sorgente dell’acqua, si riempie senza alcun rumore. Se la sorgente è abbondante, come questa di cui parliamo, una volta riempito tale bacino, ne scaturisce un grande ruscello, senza che ci sia bisogno di alcun artificio né si debba temere che venga meno per danni alle condutture, giacché l’acqua da lì sgorga sempre. Ed ecco la differenza: quella proveniente dalle condutture rappresenta, a mio parere, le gioie di cui abbiamo parlato, che si ricavano dalla meditazione; ce le procuriamo, infatti, con i nostri pensieri, aiutandoci con la meditazione sulle creature e stancando l’intelletto; e, siccome sono, in conclusione, frutto dei nostri sforzi, fanno rumore quando, come si è detto, devono riempire l’anima di qualche profitto spirituale.
4. Nell’altro bacino, invece, l’acqua viene dalla sua stessa sorgente, che è Dio, e come vuole Sua Maestà, quando si compiace di fare qualche grazia soprannaturale, fluisce con un’indicibile pace, dolcezza e tranquillità nell’intimo di noi stessi, ma io non so da dove né come. Sono gioie e diletti che non si sentono, come quelli del mondo, nel cuore – all’inizio, intendo dire, perché in seguito inondano completamente il nostro essere. Quest’acqua si riversa in tutte le mansioni e in tutte le potenze dell’anima, fino a raggiungere il corpo: per questo motivo ho detto che cominciano da Dio e finiscono in noi. Infatti, non c’è dubbio, come può costatare chi l’ha provato, che l’uomo esteriore goda con tutto se stesso di questa gioia e di questa dolcezza.
5. Ora – scrivendo questo – mi viene in mente il versetto citato: Hai dilatato il mio cuore, dice che il cuore si è dilatato. Ma non mi sembra che il piacere – ripeto – nasca dal cuore, bensì da una parte ancora più interna, come da un qualcosa di molto profondo. Credo che debba essere il centro dell’anima, come in seguito ho capito e più avanti dirò. Certo è che in noi stessi scopro tali segreti da restarne, spesso, stupita. E quanti altri devono essercene! O Signor mio e Dio mio, quanto sono grandi le vostre magnificenze! E pensare che noi, qui, siamo come ottusi pastorelli a cui sembra di capire qualcosa di voi; ciò dev’essere appena un nonnulla, visto che in noi stessi ci sono grandi segreti che non conosciamo. Dico appena un nonnulla, in confronto al molto, moltissimo che è in voi; e non perché non siano ben grandi le magnificenze che vediamo, alla luce di quel che possiamo capire delle vostre opere.
6. Ritorniamo al versetto. Ciò che in esso, a mio parere, può servire al mio caso, è in quella dilatazione: sembra, infatti, che non appena quest’acqua celestiale cominci a sgorgare dalla sorgente di cui ho parlato, cioè dal profondo di noi stessi, tutto il nostro interno si vada dilatando e ampliando, e nascano beni indicibili. L’anima stessa non sa comprendere cosa riceva in quel momento. Sente una fragranza, per così dire, come se in quella profondità del nostro intimo vi fosse un braciere nel quale si gettassero essenze odorose. Non si vede né il fuoco né si sa dove sia, ma il calore e il fumo odoroso penetrano tutta l’anima, e molte volte – come ho detto – ne partecipa anche il corpo. Cercate di capirmi: non si sente calore né si avverte odore, perché è qualcosa di più delicato di essi. Parlo di calore e di odore solo per farmi capire. Le persone che non ne hanno fatto esperienza sappiano che succede realmente così e che lo si avverte molto bene. L’anima lo sente anche più chiaramente di quanto io ora non dica. Né è cosa che si possa immaginare, perché con tutte le nostre diligenze siamo impotenti a procurarcela, e proprio per questo si costata che non è opera del nostro metallo, ma di quel purissimo oro della sapienza divina. Qui le potenze non sono unite a Dio, a mio parere, ma come fuori di sé e si chiedono sbigottite cosa ciò possa essere.
7. Può darsi che, parlando di queste cose interiori, mi contraddica, in parte, rispetto a quello che ho detto altrove. Ciò non deve stupire, perché nei quindici anni circa trascorsi da quando cominciai a scriverne, forse il Signore mi ha dato maggior lume per intendere queste cose di quanto non ne avessi allora: adesso, come allora, posso sempre sbagliare in tutto, ma non mentire, perché, per la misericordia di Dio, piuttosto soffrirei mille morti. Dico quello che capisco.
8. In realtà, mi sembra che la volontà debba pur stare unita in qualche modo a quella di Dio, ma solo dagli effetti e dalle opere che ne seguono poi si conoscono queste verità dell’orazione, non essendoci miglior crogiolo per provarle. È una grandissima grazia di nostro Signore se chi le riceve se ne accorge, e grazia ancor più grande se non torna indietro. Voi, forse, figlie mie, vorreste procurarvi subito quest’orazione, e avete ragione perché, come ho detto, l’anima non riesce ancora a rendersi conto delle grazie che in questo stato il Signore le accorda né dell’amore con cui la va avvicinando maggiormente a sé e, certo, desidera sapere come queste grazie si acquistino. Vi dirò quello che ho potuto capirne.
9. Prescindiamo dal caso in cui il Signore si compiace di accordarle unicamente perché lo vuole. Egli ne sa il motivo e noi non dobbiamo intrometterci. Dopo aver fatto ciò che esigono le mansioni precedenti, ci vuole umiltà e ancora umiltà. È da questa virtù, infatti, che il Signore si lascia vincere, accordandoci quanto vogliamo da lui. Il primo segno per riconoscere se l’avete è non pensare di meritare queste grazie e questi diletti del Signore né sperare di poterli ottenere in tutta la vostra vita. Mi direte: ma in questo modo, senza procurarseli, come si potranno avere? A ciò rispondo che non ve n’è un altro migliore di quello che vi ho indicato, cioè di non far nulla per procurarveli. Eccovene le ragioni: la prima, perché, per ricevere queste grazie, bisogna anzitutto amare Dio senza interesse; la seconda, perché è una piccola mancanza di umiltà pensare che per i nostri miseri servizi si debba ottenere un bene così grande; la terza, perché la vera disposizione a tale scopo, per noi che, infine, abbiamo offeso il Signore, è il desiderio di soffrire e di imitarlo, non di avere diletti spirituali; la quarta, perché Sua Maestà non è obbligato a darceli, come non è obbligato a darci il paradiso se osserviamo i suoi comandamenti, potendoci salvare anche senza di questo; egli sa meglio di noi ciò che ci conviene e chi siano coloro che lo amano davvero. Proprio così, io ne sono sicura. Conosco alcune persone che vanno per il cammino dell’orazione come si deve andare, solamente per servire il loro Cristo crocifisso, al quale non solo non chiedono diletti spirituali, che neanche desiderano, ma rivolgono la supplica di non dargliene, in questa vita. È la pura verità. La quinta ragione è perché lavoreremo invano. Infatti, non essendo quest’acqua condotta attraverso canali come la precedente, giovano a poco i nostri sforzi, se la fonte non vuol fornirla. Voglio dire che, per quante siano le nostre meditazioni, per quanto possiamo macerarci e versare lacrime, non è questa la strada per avere quest’acqua. Dio la dà solo a chi vuole, e spesso quando l’anima meno se l’aspetta.
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02/08/2013 14:58
 
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QUINTE MANSIONI
CAPITOLO 1
Comincia a illustrare come, nell’orazione, l’anima si unisca a Dio. Dice da che cosa si conoscerà che non si tratta di inganno.
1. Oh, sorelle! In che modo potrei descrivere le ricchezze, i tesori, i diletti racchiusi nelle quinte mansioni? Sarebbe meglio, credo, non dir nulla di tutte quelle che restano da trattare, perché non si riesce a farlo, né l’intelletto può comprenderle, né i paragoni possono servire a spiegarle, essendo troppo basse le cose della terra per questo scopo. Mandate, mio Signore, luce dal cielo perché io possa illuminare un po’ queste vostre serve, visto che vi siete compiaciuto di far godere ad alcune di esse tanto spesso di queste gioie, così che non siano tratte in inganno, quando il demonio si trasformerà in angelo di luce, essendo tutti i loro desideri tesi a farvi piacere.
2. E anche se ho detto «alcune», ce ne sono ben poche tra noi che non entrino in questa mansione di cui ora parlerò. Qui c’è il più e il meno, e per questa ragione dico che sono la maggioranza quelle che vi entrano. Certo, alcune delle cose che si incontrano in tale mansione credo siano riservate a poche, ma anche se si trattasse solo di arrivare alla porta, è già una grande misericordia di Dio, perché molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti. Così dico di noi che portiamo questo sacro abito del Carmelo, che, quantunque siamo tutte chiamate all’orazione e alla contemplazione (perché in ciò è la nostra origine: veniamo dalla stirpe di quei nostri santi Padri del monte Carmelo che in così grande solitudine e con tanto disprezzo del mondo cercavano questo tesoro, questa perla preziosa di cui parliamo), ci disponiamo in poche a ottenere che il Signore ce la scopra. Quanto alle forme esteriori, infatti, siamo sulla buona strada per arrivare dove è necessario, ma quanto alle virtù ci manca un bel pezzo, e non dobbiamo mai trascurarci né molto né poco. Pertanto, sorelle mie, siccome in qualche modo possiamo godere del cielo sulla terra, supplichiamo il Signore di concederci il suo aiuto, affinché non si debba restarne prive per colpa nostra. Ci mostri egli la strada, dando all’anima le forze con cui scavare fino a trovare questo tesoro nascosto, che è realmente in noi stesse. È ciò che vorrei riuscire a spiegare, se il Signore mi concede di saperlo fare.
3. Ho detto «forze dell’anima», affinché intendiate che non sono necessarie quelle del corpo, se Dio nostro Signore non le concede. Egli non impedisce a nessuno di acquistare le sue ricchezze: gli basta che ciascuno gli dia ciò che ha. Sia benedetto un così gran Dio! Ma badate, figlie mie, che per l’acquisto di cui parliamo, non vuole che teniate nulla per voi: poco o molto, vuole tutto per sé e in conformità di quello che voi vedrete di aver dato, riceverete maggiori o minori grazie. Non v’è prova migliore per sapere se la nostra orazione arrivi o no all’unione. Non pensate che si tratti di cosa sognata, come nella precedente orazione. Dico sognata, perché lì sembra che l’anima sia mezzo assopita: né appare del tutto addormentata, né si sente sveglia. Qui, essendo proprio addormentata, e profondamente addormentata alle cose del mondo e a se stessa (perché è un fatto reale che l’anima resta come fuori di sé per la breve durata di questo fenomeno, tanto che non si riesce a pensare, pur volendolo), non occorre far ricorso ad alcun espediente per sospendere il pensiero.
4. Perfino quanto all’amare – se ama – non sa come né che cosa ami, né ciò che voglia. Insomma, è come essere assolutamente morti al mondo per più vivere in Dio. Proprio così: una morte piacevole, uno sradicarsi dell’anima da tutte le operazioni che può avere stando nel corpo; piacevole, perché, pur stando in esso, sembra invero che l’anima se ne separi, per meglio vivere in Dio, in modo che io non so ancora se le resti tanto di vita da poter respirare. Ci stavo pensando ora, e mi sembra proprio di no; per lo meno, se respira, non lo avverte. L’intelletto vorrebbe tutto occuparsi a capire qualcosa di ciò che l’anima sente e, poiché le sue forze non giungono a tanto, rimane così stupito che, pur non perdendosi del tutto, non muove piedi né mani, come si dice tra noi di una persona che resta priva di sensi in modo tale da sembrarci morta. Oh, segreti di Dio! Non mi stancherei mai di cercar di spiegarveli se pensassi di riuscirvi, almeno in parte. Pertanto, dirò mille spropositi pur di cogliere nel segno, almeno una volta, e per rendere più lodi al Signore.
5. Ho detto che non si trattava di cosa sognata. Nella mansione precedente, l’anima, finché non ne abbia molta esperienza, resta in dubbio su quanto è accaduto: se è frutto di una sua illusione, se dormiva, se le fu dato da Dio o dal demonio trasfigurato in angelo di luce. Nutre mille timori, ed è bene che li abbia, perché, come ho detto, perfino la nostra stessa natura ci può ingannare talvolta a questo riguardo. Anche se, infatti, le bestie velenose non hanno facilmente modo di introdursi in quelle mansioni, certe lucertolette sì; poiché sono sottili, s’infilano dappertutto e, pur non essendo nocive, specialmente se non si dà loro importanza, come ripeto, perché sono piccoli pensieri provenienti dall’immaginazione e da ciò che si è detto, spesso infastidiscono. Ora, invece, per quanto sottili siano, le lucertolette non possono entrare in questa mansione, perché non c’è immaginazione, memoria o intelletto capace d’impedire un tale bene. Oserei affermare che se è davvero unione con Dio, non vi può entrare né fare alcun danno neanche il demonio, perché Sua Maestà è così unito e congiunto all’essenza dell’anima che il demonio non oserà avvicinarsi, né credo che neanche intenda tali segreti. Del resto, è chiaro: se, come dicono, egli non conosce i nostri pensieri, molto meno potrà conoscere una cosa tanto segreta che Dio non confida neppure all’intelletto. Oh, stato felicissimo nel quale il maligno non può farci alcun danno! L’anima ne trae grandissimi vantaggi, operando Dio in essa senza che nessuno gli sia d’ostacolo, neanche noi stessi. Che cosa non ci darà mai chi ama tanto dare tutto ciò che vuole?
6. Credo di procurarvi confusione dicendo: «se è davvero unione con Dio», quasi che ci siano altre unioni. E ve ne sono altre! Anche per quanto riguarda le vanità terrene, basta il fatto di amarle molto perché il demonio faccia uscire l’anima da sé, ma non come quando il trasporto le viene da Dio, né con quel diletto, con quell’appagamento, quella pace e quella gioia che sono al di sopra di tutti i piaceri, i diletti, i godimenti della terra, e in più non hanno a che vedere, circa la loro origine, con essi, essendo molto differente l’impressione che se ne ricava, come avrete sperimentato. Una volta ho detto che è come se gli uni fossero avvertiti nella scorza del corpo, gli altri nel midollo delle ossa, e credo d’aver indovinato il paragone. Non so spiegarlo meglio.
7. Mi sembra, però, che non siate ancora soddisfatte e che temiate di potervi ingannare, perché l’esame di ciò che è interiore è ben difficile. Anche se per chi ne ha fatto esperienza basta quanto si è detto, essendo grande la differenza, voglio indicarvi un segno chiaro mediante il quale non potrete esser tratte in inganno né dubitare che è Dio ad operare in voi. Sua Maestà me l’ha fatto venire in mente oggi e credo che sia un segno sicuro. In argomenti difficili, anche se mi pare di comprenderli e di dire la verità, adopero sempre quest’espressione: «mi sembra», perché, se dovessi ingannarmi, sono dispostissima a credere a quanto diranno coloro che sono molto dotti. Essi infatti, pur mancando dell’esperienza di questi favori, sono dotati di un non so qual senso d’intuizione: siccome Dio li riserva ad essere luce della sua Chiesa, quando si tratta di ammettere una verità, li illumina perché sia riconosciuta come tale. Se essi non vivono proiettati al di fuori, ma sono veri servi di Dio, non si meravigliano mai delle sue grandezze, sapendo bene che può fare assai di più. E infine, anche se alcune cose non sono ancora ben chiarite, devono trovarne scritte altre nei libri, attraverso le quali vedono che possono verificarsi anche queste.
8. Di tale realtà ho una grandissima esperienza, come l’ho di certi semidotti paurosi che mi costarono ben caro. Secondo me, chi non crede che Dio possa fare molto di più e che si sia compiaciuto e si compiaccia tuttora di comunicarsi talvolta alle sue creature, tiene assolutamente chiusa la porta ad accogliere le grazie divine. Pertanto, sorelle, ciò non vi accada mai: credete, invece, che Dio può dare sempre di più e non fermatevi mai ad osservare se siano cattivi o buoni quelli ai quali concede le grazie, perché Sua Maestà, come vi ho detto, ne conosce il motivo. Non c’è ragione che noi c’intromettiamo in questo: dobbiamo solo, con semplicità di cuore e umiltà, servire Dio e lodarlo per le sue opere meravigliose.
9. Ritornando dunque al segno che io ritengo sicuro, osservate quest’anima che Dio ha reso del tutto priva d’intelletto per imprimere meglio in essa la vera sapienza. Per tutto il tempo in cui resta in questo stato, che è sempre breve e ad essa sembra anche più breve di quello che è in realtà, non vede né ode né intende nulla. Dio s’imprime in modo tale nell’intimo di quest’anima che, quando ritorna in sé, non può assolutamente dubitare che essa sia stata in Dio e Dio in lei. Questa verità resta impressa in essa così saldamente che, anche se passassero anni senza che Dio torni a farle quella grazia, non la dimentica né può dubitare di averla ricevuta. Lasciamo pur da parte gli altri effetti che ne trae, di cui parlerò in seguito: ciò è quanto interessa al nostro proposito.
10. Ma voi mi direte: in che modo l’anima ha visto o ha capito di essere in Dio, se non vede né intende nulla? Non dico che l’abbia inteso allora, ma che lo intende chiaramente in seguito, e non perché sia una visione, ma per la certezza che di ciò le resta e che solo Dio può concedere. Conosco una persona la quale non era ancora a conoscenza del fatto che Dio è in tutte le cose per presenza, potenza ed essenza, e che dopo una grazia di questo genere accordatale dal Signore, giunse a comprenderlo. Ne ebbe tale certezza che, sebbene uno di quei semidotti di cui ho già parlato, richiesto da lei su come Dio sia in noi (egli ne sapeva tanto poco quanto lei prima che Dio glielo facesse intendere), le rispondesse che vi è solo per grazia, ella, ormai sicura della verità, non gli credette e ne interrogò altri, i quali le dissero come ciò fosse in realtà, del che rimase assai consolata.
11. Non dovete, peraltro, restare ingannate, credendo che questa certezza riguardi una forma corporale, com’è del corpo di nostro Signore Gesù Cristo, presente nel santissimo Sacramento, anche se non lo vediamo; qui, non si tratta di questo, ma della sola divinità. Allora, in che modo ciò che non vediamo resta impresso in noi con tale certezza? Questo io non lo so, sono opere di Dio, ma so di dire la verità. Ma senza questa certezza, stento a credere che ci sia l’unione di tutta l’anima con Dio. Ci sarà solo l’unione di qualche potenza, oppure si tratterà di altro genere di grazie fra le molte che Dio concede all’anima. Non dobbiamo, in tutte queste cose, cercare ragioni che ci spieghino come avvengano. Poiché la nostra intelligenza non giunge a comprenderle, a che scopo vogliamo perderci in esse? Basta rendersi conto che è l’Onnipotente a far tutto. Siccome noi, malgrado ogni nostra diligenza, non siamo capaci di raggiungerle, perché sono opera solo di Dio, non sforziamoci di volerle intendere.
12. Ricordo ora, a proposito del fatto che «non siamo capaci», quello che, come avrete udito, dice la sposa del Cantico dei Cantici: Il re mi ha condotta nella cella del vino; anzi, credo che dica: mi ha introdotta. E non dice che vi sia andata da sé. Ancora, aggiunge che andava di qua e di là in cerca del suo amato. Ritengo che questa orazione sia la cella vinaria dove il Signore intende introdurci, quando e come vuole, ma dove non possiamo entrare da noi, per quanti siano i nostri sforzi. Bisogna che c’introduca Sua Maestà, entrando egli stesso nel centro della nostra anima. Per meglio mostrarci le sue meraviglie, non esige che facciamo altro se non assoggettargli del tutto la nostra volontà, lasciando chiusa la porta delle potenze e dei sensi, che se ne stanno profondamente addormentati. Egli intende entrare nel centro dell’anima senza passare per alcuna porta, come entrò dai suoi discepoli dicendo: Pace a voi, e come uscì dal sepolcro senza rimuovere la pietra. Vedrete in seguito come Sua Maestà vuole che l’anima goda di lui nel centro di se stessa molto più che qui: sarà nell’ultima mansione.
13. Oh, figlie mie, che grandi cose contempleremo, se cercheremo di non veder altro all’infuori della nostra bassezza e miseria e di capire che non siamo degne di essere serve di un così eccelso Signore, le cui meraviglie superano la nostra capacità d’intendere! Sia egli per sempre lodato! Amen.
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CAPITOLO 2
Prosegue sullo stesso argomento. Chiarisce in cosa consista l’orazione di unione con un appropriato paragone. Parla degli effetti che lascia nell’anima. È un capitolo degno di nota.
1. Vi sembrerà che ormai sia detto tutto quello che ha attinenza con questa mansione. Invece manca ancora molto perché, come ho già fatto presente, vi è il più e il meno. Per quanto riguarda l’unione, non credo di saperne dire di più, ma ci sono molte cose da chiarire circa gli effetti che il Signore produce nell’anima da lui favorita di queste grazie, quando essa si dispone a riceverle. Parlerò di alcune di tali grazie e, insieme, dello stato in cui lasciano l’anima. Per farmi capire meglio, voglio servirmi di un paragone adatto a questo scopo, anche perché vedremo come, se è vero che in questa operazione del Signore non possiamo far nulla, possiamo però far molto disponendoci ad ottenere che Sua Maestà ce ne favorisca.
2. Avrete già sentito parlare delle meraviglie che Dio opera nella produzione della seta, invenzione di cui egli solo poteva essere l’autore, e come essa provenga da un seme, simile a un piccolo granello di pepe (che non ho mai visto, lo so unicamente per sentito dire, perciò se in quel che scrivo ci fosse qualche inesattezza, la colpa non è mia). Con il caldo, quando i gelsi cominciano a mettere le foglie, i semi cominciano ad aver vita, perché prima che spuntino le foglie, di cui si devono nutrire, stanno lì come morti. Alimentati dunque dalle foglie del gelso, crescono fino a che, divenuti grandi, vengono posti innanzi ad essi piccoli rami, sui quali con le loro boccucce vanno sfilando la seta traendola da se stessi, e fanno certi bozzoli ben compatti dove si rinchiudono. Lì questi bachi, che sono brutti e grossi, muoiono, e dallo stesso bozzolo viene fuori una farfallina bianca, assai graziosa. Se tutto ciò non si vedesse, ma ci venisse raccontato come cosa di altri tempi, chi potrebbe crederci? Da quali logiche premesse potremmo, infatti, dedurre che un essere così privo di ragione come un verme o un’ape, sia tanto diligente e industrioso nel lavorare a nostro vantaggio, e che il povero piccolo baco perda la vita nel suo lavoro? Anche se non vi dico di più, sorelle, basta questo ad offrirvi per un certo tempo materia di meditazione, potendo voi in ciò considerare le meraviglie e la sapienza del nostro Dio. E che sarebbe se conoscessimo le proprietà di tutte le cose? Non v’è dubbio che ci sia molto utile riflettere su queste meraviglie e rallegrarci di essere le spose di un Re così sapiente e potente!
3. Ritorniamo a quello che stavo dicendo. Questo verme in cui si configura l’anima comincia ad aver vita allorquando, con il calore dello Spirito santo, comincia a giovarsi dell’aiuto generale che Dio concede a tutti noi e a servirsi dei rimedi che egli ha lasciato nella sua Chiesa, come le frequenti confessioni, le buone letture e le prediche: rimedi a cui un’anima, morta per la sua trascuratezza e i suoi peccati e ingolfata in cattive occasioni, può far ricorso. Allora, ricomincia a vivere e si va sostentando con tali rimedi e con buone meditazioni, fino a che sia cresciuta. Ed è appunto questo ciò che importa. Il resto non ha importanza.
4. Quando dunque il verme è cresciuto, come si è detto all’inizio di questo scritto, comincia a filare la seta e a costruire la casa nella quale dovrà morire. Cristo è questa casa: ciò è quanto vorrei qui farvi comprendere. Da qualche parte mi sembra di aver letto o udito che la nostra vita è nascosta in Cristo, o in Dio, che è lo stesso, o che la nostra vita è Cristo. Che il testo dica così o no, poco importa per il mio intento.
5. Osservate ora qui, figlie mie, che cosa possiamo fare con l’aiuto di Dio: Sua Maestà diventi la nostra mansione, fabbricata da noi stessi, come lo è in questa orazione di unione. Sembra che voglia dire che possiamo togliere o aggiungere a Dio qualche cosa, dicendo che egli è la nostra mansione e che possiamo fabbricarla noi stessi per alloggiare in essa. Certamente possiamo farlo, non già aggiungendo o togliendo a Dio, ma togliendo o aggiungendo a noi, come fanno quei piccoli vermi. Non avremo, infatti, finito di fare tutto quanto possiamo, che egli unirà il nostro lavoro con la sua grandezza e gli darà così gran valore che sarà egli stesso il premio di quest’opera. E, allo stesso modo in cui è stato lui a sostenere le spese maggiori, vorrà anche unire le nostre piccole pene con le grandi che egli ha sofferto e far sì che siano una cosa sola.
6. Perciò, figlie mie, cominciamo subito questo lavoro e iniziamo a tessere questo piccolo bozzolo, lasciando da parte il nostro amor proprio, la nostra volontà, l’attaccamento alle cose terrene e praticando opere di penitenza, orazione, mortificazione, obbedienza, con tutto il resto che già conoscete. Oh, se facessimo tutto il bene che conosciamo e che, come ci è stato insegnato, dobbiamo fare! Muoia, muoia questo verme, come il baco da seta, terminato il lavoro per cui è stato creato! E vedrete come vedremo Dio e come ci sentiremo avvolte della sua grandezza allo stesso modo di questo piccolo verme nel suo bozzolo! Badate che parlo di vedere Dio, nel modo in cui ho detto che egli si fa sentire in questa forma di unione.
7. Vediamo ora come si trasforma questo piccolo verme, che è lo scopo di tutto quanto ho detto. Esso, quando in quest’orazione è morto a tutte le cose del mondo, si cambia in una farfallina bianca. Oh, grandezza di Dio! Qual è lo stato di un’anima che esce da qui, dopo essere rimasta immersa nella grandezza di Dio e tanto unita a lui solo per un po’, perché, a mio parere, non arriva mai a starvi mezz’ora! Vi dico sinceramente che la stessa anima non si riconosce. Pensate, infatti, alla differenza che passa tra un brutto verme e una bianca farfallina: la stessa differenza passa qui. L’anima ignora come abbia potuto meritare tanto bene – voglio dire da dove le sia potuto venire, perché sa perfettamente di non meritarlo – e sente un così grande desiderio di lodare il Signore che vorrebbe distruggersi e affrontare per lui mille morti. Subito comincia, senza poter fare altrimenti, ad avere l’ansia di sopportare duri patimenti; vivissime sono le sue aspirazioni alla penitenza, alla solitudine, a far sì che tutti conoscano Dio e, di conseguenza, è grande la sua pena nel vederlo offeso. Parlerò in modo più particolare di queste cose nella mansione seguente, perché, se anche la vita e le grazie proprie di questa mansione e della seguente sono quasi le stesse, l’intensità degli effetti che ne derivano è ben diversa. Infatti, come ho già detto, un’anima che Dio ha condotto fin qui, se si sforza di andare avanti, vedrà grandi cose.
8. Oh, c’è proprio da lodare Dio nel vedere l’irrequietezza di questa farfallina che pur non ha mai goduto in tutta la sua vita di maggior pace e riposo! Il fatto è che non sa dove fermarsi e posarsi perché, dopo aver goduto di un tale dono, tutto ciò che vede sulla terra la lascia insoddisfatta, specialmente quando già molte volte Dio le ha fatto gustare questo vino, dal quale quasi ogni volta si traggono nuovi vantaggi. Ormai non dà alcuna importanza a ciò che faceva quand’era verme, che era tessere a poco a poco il bozzolo. Ora le sono nate le ali: come contentarsi, potendo volare, di andare passo passo? Tutto quello che può fare per Dio le sembra poco, in confronto ai suoi desideri. Non le importa neanche ciò che hanno sofferto i santi, sapendo ormai per esperienza come il Signore aiuti un’anima e la trasformi al punto che non sembra più la stessa. Infatti, la debolezza che prima le pareva di avere nei confronti della penitenza, ora è diventata forza. L’attaccamento ai parenti, agli amici, ai beni terreni (che era tale da non essere sufficienti a farlo scomparire né i suoi atti interiori né le sue decisioni, né la sua volontà di distaccarsene, anzi proprio allora le sembrava di attaccarvisi di più), ora è annullato in modo che le pesa essere obbligata a ciò che deve fare per non andare contro il volere di Dio. Tutto la stanca, perché ha sperimentato che il vero riposo non può essere dato dalle creature.
9. Sembra che mi dilunghi troppo, eppure potrei dire molto di più: chi ha ricevuto da Dio questa grazia vedrà infatti che sono breve. Non c’è dunque da meravigliarsi che la nostra farfalletta, sentendosi straniera fra le cose della terra, cerchi di posarsi in qualche altra parte. Ma dove andrà la poverina? Tornare di lì da dove è uscita non può, perché, come si è detto, non è cosa che dipenda da noi, per quanti sforzi possiamo fare; bisogna restare in attesa che Dio si compiaccia di ritornare a favorirci di questa grazia. Oh,, Signore! Quali nuove sofferenze cominciano per quest’anima! Chi l’avrebbe immaginato dopo una grazia così sublime? Alla fin fine, in un nodo o in un altro, c’è sempre da portare una croce finché viviamo e, se qualcuno dicesse che, dopo esser giunto a questo stato, vive sempre fra consolazioni e delizie, io direi a mia volta che non vi è mai pervenuto; che, forse, se è entrato nella mansione precedente, ha goduto solo di qualche diletto spirituale, al quale avranno contribuito la sua naturale debolezza o anche, probabilmente, il demonio, che gli ha dato un po’ di pace per muovergli poi una guerra molto più serrata.
10. Non voglio dire con questo che coloro i quali pervengono a questa mansione non abbiano pace; l’hanno, e molto grande, perché le stesse sofferenze sono qui di tanto pregio e di così buona radice che, sebbene molto gravi, esse stesse generano la pace e la gioia. Proprio dall’insoddisfazione che danno le cose del mondo nasce un desiderio di uscirne, un desiderio tanto penoso, e l’unico sollievo per l’anima sarebbe pensare che Dio vuole che essa viva in quest’esilio. Ma neppure questo pensiero basta, perché l’anima, nonostante tutti i suoi progressi, non è ancora così sottomessa alla volontà di Dio come lo sarà più avanti, anche se non tralascia di confrontarsi con essa, sia pure con grande dolore e con molte lacrime, non potendo fare altro, perché di più non le è concesso. Questa è la sua pena ogni volta che sta in orazione. Forse, in qualche modo deriva da quella pena grandissima che essa ha di vedere Dio offeso e disprezzato in questo mondo e dal pensare alle molte anime che si dannano, sia di eretici, sia di mori. Ma quelle che più la fanno soffrire sono le anime dei cristiani perché, pur sapendo che la misericordia di Dio è così grande che, per quanto essi vivano male, possono sempre emendarsi e salvarsi, teme che se ne dannino molti.
11. Oh, grandezza di Dio! Pochi anni, forse pochi giorni prima, quest’anima non pensava che a se stessa. Ora, chi le ha dato così dolorose preoccupazioni? Pur vivendo molti anni nella meditazione, non riusciremmo a sentirle con la stessa sua intensità. Ma, Dio mio – qualcuno potrà dire –, dunque non sarà sufficiente che io per molti giorni e anni cerchi di riflettere al gran male che è offendere Dio, di pensare che quanti si dannano sono suoi figli e miei fratelli, di considerare i pericoli in cui ci troviamo e quanto sia bene per noi uscire da una così miserabile vita? No, figlie mie, la pena che si sente a causa di tutto ciò non è come quella di cui parlo: la prima potremmo ben averla, con l’aiuto di Dio, meditando molto su quanto si è detto, ma non penetra fin nell’intimo delle viscere come l’altra. Quest’ultima sembra che faccia a pezzi e macini l’anima, senza che essa c’entri per nulla e, a volte, neanche lo voglia. Allora, in cosa consiste? Da dove viene? Ve lo dirò subito.
12. Non avete udito – avendovelo io già detto prima, sebbene non a questo proposito – riguardo alla sposa, che Dio l’ha fatta entrare nella cella vinaria ordinando in lei la carità? Ebbene, lo stesso avviene qui: non appena infatti quest’anima si abbandona ormai nelle sue mani e il suo grande amore la rende così sottomessa che non sa né vuole altro se non che Dio faccia di lei ciò che gli piace (e Dio non farà mai, a quanto credo, tale grazia se non all’anima che già ritiene del tutto sua), la sua volontà è che esca di lì, senza che essa sappia come ciò avvenga, segnata con il suo sigillo. L’anima, realmente, in questo stato, non fa più di quel che fa la cera quando altri le imprime il sigillo: la cera non se lo imprime da sé, è solo disposta a riceverlo. Ciò significa essere molle e, anche ai fini di questa disposizione, non è essa ad ammorbidirsi, ma quel che fa è solo di starsene tranquilla e di assecondare quanto viene fatto. Oh, bontà di Dio, come tutto il nostro bene dev’essere a vostre spese! Chiedete soltanto la nostra volontà e che la cera non opponga resistenza.
13. Vedete dunque, sorelle, ciò che fa qui nostro Signore perché quest’anima si riconosca ormai come sua. Le dà quello che ha, cioè le stesse disposizioni avute da suo Figlio in questa vita. Non può accordarci grazia più grande. Chi più di lui doveva desiderare di uscire da questa vita? Lo ha detto Sua Maestà stesso nell’ultima Cena: Ho desiderato con grande desiderio. Ma come, Signore, non vi si presentò dinanzi agli occhi l’atroce morte che vi attendeva, così dolorosa e terribile? No, voi rispondete, perché il grande amore che ho avuto per le anime e il desiderio della loro salvezza ha superato senza confronto tali pene; e le dure sofferenze che ho patito e che patisco per questo, da quando sto nel mondo, sono tali che al loro confronto le altre non meritano di essere tenute in alcun conto.
14. È ciò su cui ho meditato spesso e, consapevole del tormento che ha sofferto e soffre un’anima che io conosco nel veder offendere nostro Signore, dolore così intollerabile che preferirebbe morire anziché patirlo, pensavo: se un’anima con così poca carità, paragonata a quella di Cristo, che si può dire sia quasi nulla al suo confronto, prova un tormento così insopportabile, quale sarà mai stato il dolore di nostro Signor Gesù Cristo, e che vita sarà stata la sua, essendogli tutto presente e vedendo continuamente le gravi offese che si facevano a suo Padre? Credo, senza ombra di dubbio, che tali sofferenze siano state ben maggiori di quelle della sua sacratissima passione, perché in essa vedeva ormai la fine delle sue sofferenze. Sia questo pensiero, sia la gioia di sapere che la sua morte era la nostra salvezza e quella di mostrare al Padre l’amore che gli portava soffrendo tanto per lui, avranno addolcito i suoi dolori. Così accade a coloro che, spinti dalla forza dell’amore, fanno grandi penitenze, senza quasi sentirle; anzi, essi vorrebbero fare sempre di più e tutto sembra loro poco. Cosa avrà dunque provato Sua Maestà, trovandosi in una così bella occasione per dimostrare a suo Padre con quanta perfezione gli ubbidisse e quanto amasse gli uomini? Oh, che grande gioia soffrire per fare la volontà di Dio! Ma, il vedere continuamente recare tante offese a Sua Maestà e vedere andare tante anime all’inferno ritengo che sia una cosa talmente dura da sopportare che se egli fosse stato soltanto uomo, un giorno di quella pena sarebbe bastato per togliergli non una, ma molte vite.
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02/08/2013 14:59
 
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CAPITOLO 3
Prosegue sul medesimo argomento. Parla di un’altra forma di unione che l’anima può raggiungere con l’aiuto di Dio e dice quanto importi a tal fine l’amore del prossimo. È molto utile.
1. Torniamo ora alla nostra farfallina e vediamo qualcosa di ciò che Dio le concede in questo stato. Beninteso, l’anima deve cercare di avanzare sempre nel servizio di nostro Signore e nella conoscenza di sé, perché se, paga di ricevere questa grazia e, sentendosi ormai sicura, si lascia andare, deviando dal cammino del cielo, che è l’osservanza dei comandamenti, le accadrà come alla farfalla nata dal baco, che getta il seme perché ne nascano altre, ed essa resta morta per sempre. Dico che getta il seme perché sono convinta che Dio non voglia aver concesso invano una grazia così grande, e che se l’anima non se ne giova per sé, possa giovare ad altri. Infatti, poiché resta con i desideri e le virtù di cui si è parlato, finché persevera nel bene è sempre utile ad altre anime, comunicando loro il suo stesso calore. Anche dopo averlo perduto può rimanerle il desiderio di giovare al prossimo e il piacere di far conoscere le grazie che Dio concede a chi lo ama e lo serve.
2. Conosco una persona alla quale accadeva questo: pur essendo molto colpevole, godeva di far trarre profitto ad altre anime delle grazie che Dio le aveva concesso e di indicare il cammino dell’orazione a quelle che lo ignoravano. Fece così molto, molto bene. In seguito, il Signore tornò a illuminarla. È vero che ancora non aveva avuto gli effetti di cui ho parlato. Ma quanti devono essere quelli che, chiamati dal Signore all’apostolato, resi partecipi come Giuda delle sue comunicazioni ed elevati al regno come Saul, si perdono poi per colpa propria! Da ciò trarremo la conseguenza, sorelle, che per poter acquistare sempre maggiori meriti e per non perderci come costoro, l’unica garanzia possibile è l’obbedienza e il non deviare dalla legge di Dio. Parlo non solo per le anime che ricevono queste grazie, ma per tutte.
3. Mi sembra che questa mansione, nonostante quanto abbia detto, resti un po’ oscura. Siccome l’entrarvi procura grandi vantaggi, sarà bene che non abbiano a perderne la speranza coloro ai quali il Signore non concede favori soprannaturali di tal grado, perché la vera unione si può conseguire molto agevolmente, con l’aiuto di nostro Signore, se ci sforziamo di procurarcela rinunziando alla nostra volontà per attenerci a quella di Dio. Oh, quanti fra noi lo dicono e sembra che non vogliano altra cosa, pronti a morire per questa verità, come credo di aver già detto. Ebbene, io vi dico e ve lo ripeterò molte volte: se fosse veramente così e voi aveste già ricevuto questa grazia del Signore, non ci sarebbe nessuna preoccupazione in voi di giungere o meno a questa unione. Il pregio di tale unione consiste, come dico ora, nel fatto che non si può giungere ad essa senza conformare la nostra volontà a quella di Dio, poiché tale unione non è molto sicura. Oh, che unione desiderabile è mai questa! Felice l’anima che l’ha raggiunta, perché avrà pace in questa e nell’altra vita. Non vi è nulla di ciò che accade in terra che la possa affliggere, a meno che si tratti del pericolo di perdere Dio o di vederlo offeso. Né le malattie, né la povertà, né la morte, tranne quella di coloro che possono essere utili alla Chiesa di Dio, la rattristano. Ha la chiara convinzione che il Signore sa quel che fa meglio di quanto ella desideri.
4. Dovete tener presente che vi sono diversi generi di pene: alcune – come del resto anche certe gioie – sono prodotte spontaneamente dalla natura e anche dalla carità per la compassione dei mali del prossimo, come avvenne a nostro Signore quando risuscitò Lazzaro. Esse non impediscono all’anima di essere unita alla volontà di Dio e nemmeno la turbano con una agitazione violenta, incontrollabile, di lunga durata. Sono pene che passano presto perché, come ho detto a proposito delle gioie dell’orazione, pare che non giungano fin nel fondo dell’anima, ma solo ai nostri sensi e alle potenze. Sono proprie delle mansioni precedenti, mentre non entrano in quella di cui parlerò alla fine. In questa forma di unione non è necessaria la sospensione delle potenze di cui ho parlato, avendo il Signore il potere di arricchire le anime per molte vie e farle giungere a queste mansioni senza la scorciatoia che ho indicato.
5. Ma state bene attente, figlie mie, che il verme deve morire; e ciò costa molto qui, mentre nell’altra unione aiuta molto a morire il vedersi già in una vita completamente nuova. Qui è necessario che, pur restando in questa vita, l’uccidiamo noi. Vi confesso che sarà a prezzo di grandi o grandissime lotte, ma se ne avrà la ricompensa e il premio sarà maggiore se ne uscirete con la vittoria. Che ciò sia possibile non v’è da metterlo in dubbio, purché l’unione con la volontà di Dio sia vera. Questa è l’unione da me desiderata per tutta la vita, quella che chiedo sempre a nostro Signore e che è la più evidente e la più sicura.
6. Ma, poveri noi, quanto saremo in pochi a raggiungerla, anche se a chi si guarda dall’offendere il Signore ed è entrato in religione sembra di aver fatto tutto! Ohimè, restano certi vermi che non si lasciano conoscere finché, come quello che ha roso l’edera di Giona, non abbiano rovinato le virtù, a causa dell’amor proprio, della stima di sé, dei giudizi temerari sugli altri, anche in piccole cose, della mancanza di carità verso il prossimo, non amandolo noi come noi stessi. Pertanto, anche se faticosamente adempiamo i nostri doveri per forza, per non commettere peccato, siamo ben lontane dalle disposizioni necessarie per essere totalmente unite alla volontà di Dio.
7. In che cosa pensate, figlie mie, che consista la volontà di nostro Signore? Nella nostra assoluta perfezione. Ma per arrivare ad essere una cosa sola con lui e con il Padre, come egli stesso ha invocato, guardate quanto ci manca! Vi assicuro che, scrivendo questo, provo molta pena nel vedermi tanto lontana dal traguardo, e tutto per colpa mia. Per raggiungerlo non è necessario che il Signore ci conceda grandi grazie. Basta il dono di averci dato suo Figlio perché ci insegnasse il cammino. Non crediate però che la cosa stia in termini tali che, se muore mio padre o mio fratello, io debba conformarmi alla volontà di Dio tanto da non provarne dispiacere, o che, se sopravvengono infermità e tribolazioni, debba sopportarle con gioia. Può essere una cosa buona, ma a volte è solo frutto di discrezione perché, non potendo porvi rimedio, facciamo di necessità virtù. Quante azioni di questo o di altro genere hanno compiuto i filosofi, perché erano molto sapienti! Qui il Signore non ci chiede che due cose: l’amore di Dio e l’amore del prossimo, che è ciò in cui dobbiamo impegnarci con tutte le nostre forze. Osservando tali precetti con perfezione, facciamo la sua volontà, pertanto saremo unite con lui. Ma quanto siamo lontane, ripeto, dall’adempierli nel modo dovuto a un così gran Dio! Piaccia a Sua Maestà di accordarci la sua grazia per meritare di giungere a questo stato, il che è anche nelle nostre mani, se lo vogliamo.
8. Il segno più certo, a mio parere, dell’osservanza o meno di questi due precetti è vedere se rispettiamo bene quello dell’amore del prossimo. Non possiamo infatti conoscere se amiamo Dio, pur essendoci importanti indizi per capirlo; mentre, se amiamo il prossimo, sì. E siate sicure che quanto più vi vedrete progredite nell’amore del prossimo, tanto più lo sarete anche nell’amore di Dio. Infatti, è così grande quello che Sua Maestà ha per noi che, in ricompensa del nostro amore per il prossimo, farà crescere, servendosi di mille espedienti, quello che noi abbiamo per lui. Di questo non posso dubitare.
9. È per noi molto importante esaminare con grande attenzione come ci comportiamo a questo riguardo perché, se osserviamo il precetto perfettamente, tutto è fatto. Credo che, per la miseria della nostra natura, non arriveremo mai ad avere un perfetto amore del prossimo se non a condizione che nasca dalla radice dell’amor di Dio. Poiché questo ha per noi tanta importanza, sorelle, cerchiamo di esaminare noi stesse fin nelle più piccole cose, senza far caso di certe grandi idee che ci si presentano numerosissime durante l’orazione su tutto ciò che ci sembra di poter intraprendere per il prossimo e per la salvezza di un’anima sola. Se poi, infatti, le opere non sono conformi ai propositi, non c’è ragione di credere che lo faremo. Altrettanto dico dell’umiltà e di tutte le virtù. Sono grandi le astuzie del demonio il quale, per farci credere che possediamo una virtù, mentre non l’abbiamo, metterà sottosopra tutto l’inferno. E ha ragione, perché così ci pregiudica molto. Infatti, queste virtù simulate, avendo tale origine, sono sempre accompagnate da qualche vanagloria, contrariamente a quelle concesse da Dio, che sono esenti così da vanagloria come da superbia.
10. A volte ho piacere nel vedere certe anime che, quando sono in orazione, credono di desiderare, per amore di Dio, di essere umiliate e pubblicamente offese; ma poi, potendolo, nasconderebbero anche una piccola mancanza. Se, per giunta, non avendola commessa, ne fossero accusate, Dio ce ne liberi! Ora, chi non può sopportare queste cose, badi bene a non far conto di ciò che da solo crede di aver stabilito, perché di fatto non è stata la sua una reale determinazione della volontà – che quando c’è davvero è cosa ben diversa – ma un effetto dell’immaginazione, con la quale il demonio opera i suoi assalti e i suoi inganni. Nei confronti delle donne o di gente senza istruzione egli potrà operarne molti per la loro incapacità nel comprendere la differenza che passa fra le potenze e l’immaginazione, e altre infinite cose che accadono nel nostro intimo. Oh, sorelle, come si vede bene chi, fra voi, nutre il vero amore del prossimo e chi, invece, non lo possiede con la dovuta perfezione! Se comprendeste quanto sia importante per noi tale virtù, non vi dedichereste ad altro.
11. Quando vedo anime tutte intente a rendersi conto dell’orazione che hanno, e così concentrate mentre la praticano che, a quanto sembra, non osano muoversi né divergere il pensiero per paura di perdere quel po’ di gusto e di devozione che sentono, capisco quanto poco intendano del cammino per cui si arriva all’unione. Pensano che tutto consista in questo. No, sorelle, no: il Signore vuole opere. Egli vuole, ad esempio, che se tu vedi un’inferma a cui puoi dare qualche sollievo, non ti importi di perdere la tua devozione, ma che tu abbia compassione di lei, che faccia tua la sua sofferenza e, se è necessario, che tu digiuni perché ella abbia da mangiare, non tanto per lei stessa, ma perché sai che tale è la volontà del tuo Signore. Questa è la vera unione con la sua volontà. Ancora: egli vuole che, sentendo lodare molto una persona, te ne rallegri assai più che se lodassero te. Questo in verità è facile perché, quando si è umili, si prova piuttosto pena nel sentirsi lodare. È, inoltre, molto importante rallegrarsi che siano conosciute le virtù delle consorelle e, vedendo qualche loro difetto, soffrirne come se fosse proprio nonché cercare di nasconderlo agli altri.
12. Ho parlato molto di questo argomento già altrove perché sono convinta, sorelle, che se in ciò vi fosse un’incrinatura, saremmo perdute. Piaccia al Signore che non vi sia mai. In tal caso, vi assicuro che non dovete perdere la speranza di ottenere da Sua Maestà l’unione di cui si è parlato. Qualora in ciò vi riconosceste, invece, manchevoli, pur avendo devozioni e diletti tanto che vi sembra di esservi pervenute, e qualche piccola sospensione nell’orazione di quiete (causa, per alcune, di credere subito che tutto sia fatto), state pur certe di non esser giunte ancora all’unione. Chiedete a nostro Signore che vi conceda, con la perfezione, questo amore del prossimo. Lasciate fare a Sua Maestà, che vi darà più di quanto siate capaci di desiderare, se da parte vostra vi sforzerete di fare tutto il possibile per averlo; se rinunzierete alla vostra volontà perché si faccia in tutto quella delle consorelle, anche a scapito del vostro diritto; se dimenticherete il vostro bene per il loro, per quanto possa opporvisi la vostra natura; se procurerete di assumervi ogni fatica, per toglierla alle altre, quando se ne presenti l’occasione. Non crediate che questo non vi debba costare qualcosa e che dobbiate trovarlo bell’e fatto. Considerate quanto è costato al nostro Sposo l’amore che ha nutrito per noi. Egli, per liberarci dalla morte, subì una morte atroce, quella della croce.
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02/08/2013 15:00
 
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CAPITOLO 4
Prosegue sul medesimo argomento con maggiori chiarimenti su questo tipo di orazione. Dice quanto importi procedere con attenzione, perché il demonio ricorre a tutta la sua astuzia per far retrocedere l’anima dal cammino intrapreso.
1. Credo che desideriate sapere cosa ne sia della nostra farfallina e dove trovi riposo, perché resta inteso che non si ferma né in diletti spirituali né in gioie di questa terra: essa vola più in alto. Tuttavia non posso esaudire il vostro desiderio prima dell’ultima mansione, e ancor là piaccia a Dio che me ne ricordi e abbia tempo di scriverlo! Sono, infatti, passati cinque mesi da quando ho cominciato questo libro e, siccome la mia testa non è in condizioni da permettermi di rileggerlo, credo che ci sia in tutto un gran disordine e forse alcune ripetizioni. Ma, dovendo servire per le mie consorelle, ciò ha poca importanza.
2. Voglio spiegarvi in maniera ancora più chiara cosa sia, a mio parere, questa orazione di unione. Seguendo il mio stile, mi servirò di un paragone. Poi parleremo più a lungo di questa farfallina che non ha sosta (anche se svolge sempre un’utile attività, facendo bene a sé e ad altre anime), perché non trova il suo riposo.
3. Spesso, indubbiamente, avrete sentito dire che Dio celebra lo sposalizio spirituale con le anime. Sia benedetta la sua misericordia per cui egli si umilia tanto! Anche se è un paragone grossolano, non ne trovo un altro che possa spiegare quel che voglio dire, migliore del sacramento del matrimonio. Pur tenendo conto della differenza che presuppone, perché in questa unione di cui parliamo non vi è mai nulla che non sia spirituale (ciò che ha attinenza con il corpo ne rimane ben lungi, e lontano le mille miglia dai diletti che devono provare gli sposi terreni sono le gioie e i diletti spirituali concessi a noi dal Signore), si tratta qui di amore che si unisce all’amore, con operazioni così pure, delicate e soavi che non c’è modo di esprimerle. Eppure il Signore sa farle sentire benissimo.
4. A me sembra che l’unione non giunga ancora ad essere fidanzamento spirituale, ma avviene come quaggiù, quando due devono fidanzarsi: si esamina prima se sono adatti a vivere insieme, se lo desiderino entrambi, e si permette anche che si vedano, perché siano più soddisfatti l’uno dell’altro. Così avviene anche nel nostro caso. Supponiamo che l’accordo sia già preso, che l’anima sia molto ben informata di quanto quell’unione le convenga e sia decisa a fare in tutto la volontà del suo Sposo, non tralasciando nulla di quanto vedrà che gli può essere gradito. Sua Maestà, che conosce la sincerità delle sue disposizioni, contento di lei e volendo che lo conosca meglio, le fa questa grazia di venire – come si dice – a un incontro a vista per unirla a sé. Possiamo chiamarlo un incontro «a vista» perché è molto breve. Lì non si tratta di dare e ricevere, ma soltanto che l’anima veda, in un modo segreto, colui che prenderà per sposo. Per mezzo dei sensi e delle potenze in nessun modo avrebbe potuto percepire in mille anni ciò che qui intende in brevissimo tempo. Lo Sposo, essendo quello che è, con questa sola vista rende l’anima più degna di scambiare con lui la mano, come si dice. Essa, infatti, resta così innamorata che, da parte sua, fa tutto il possibile perché non vada a monte questo divino fidanzamento. Ma se, invece, si lascia andare fino a porre il suo affetto in qualcosa che non sia lui, perde tutto, e la perdita è talmente grande che equivale alla misura delle grazie che egli le va facendo; anzi, è molto più grande di quanto si possa dire.
5. Per questo motivo, anime cristiane che il Signore ha fatto giungere fin qui, vi prego per amor suo di stare bene in guardia e di evitare le occasioni pericolose, perché l’anima, pur trovandosi in questo stato, non è ancora così forte da poterle affrontare, come lo è dopo la celebrazione del fidanzamento, che ha luogo nella mansione seguente. L’incontro, infatti, non è consistito in qualcosa di più di una rapida «vista», come si dice, e il demonio si darà da fare per impegnare la sua battaglia e impedire questo fidanzamento. Dopo, invece, vedendo l’anima completamente sottomessa allo Sposo, non osa tanto perché ne ha paura e sa per esperienza che, se qualche volta ci prova, lui ne esce con grande perdita e l’anima con maggior vantaggio.
6. Eppure debbo dirvi, figlie mie, di aver conosciuto persone già molto avanti nella vita spirituale che, pervenute a questo stato, il demonio, con la sua grande astuzia e le sue insidie, è riuscito a guadagnare a sé. Credo che tutto l’inferno congiuri per vincere perché, come dico spesso, non si tratta della rovina di un’anima sola, ma di moltissime. Egli ne ha ormai esperienza. Se infatti consideriamo il gran numero di anime che, dietro l’esempio di una, Dio attira a sé, c’è davvero da ringraziarlo. E quante migliaia ne hanno convertito i martiri; per esempio, una giovinetta come sant’Orsola! Quante ne avrà perdute il demonio per opera di san Domenico, di san Francesco e di altri fondatori di Ordini, e quante ne perde ora per opera del padre Ignazio, che ha fondato la Compagnia di Gesù! Essi, come appare chiaramente dalla lettura della loro vita, erano tutti favoriti di simili grazie da Dio. Da cosa è venuta la loro virtù trascinatrice se non dagli sforzi che essi hanno compiuto per non perdere, a causa della propria colpa, un così divino fidanzamento? Oh, figlie mie, com’è disposto questo nostro Signore a concederci grazie, ora non meno che allora; anzi, in qualche modo ha più bisogno adesso di anime che le vogliano ricevere, perché oggi sono pochi a preoccuparsi, come allora, del suo onore. Ci amiamo troppo; facciamo troppa attenzione a non perdere nulla dei nostri diritti. Oh, che grande errore! Il Signore, nella sua misericordia, ci illumini perché non si debba cadere in simili tenebre!
7. Mi potreste rivolgere due domande, ovvero essere in dubbio su due cose. La prima: in che modo un’anima così fedele, come si è detto, alla volontà di Dio che non vuole fare in nulla la propria, può essere tratta in inganno? La seconda: per quali vie il demonio può introdursi in voi così pericolosamente da rovinare la vostra anima, voi che siete tanto distaccate dal mondo, frequentate tanto i sacramenti e vivete in compagnia, possiamo dire, degli angeli, giacché, per la bontà del Signore, tutte voi non avete altro desiderio che di servirlo e di riuscirgli gradite in ogni cosa? Nessuna meraviglia, invece, che ciò accada a chi è invischiato nei pericoli del mondo. Certamente avete ragione, e Dio ci ha usato una grande misericordia. Ma quando penso, come ho detto, che Giuda viveva in compagnia degli apostoli, che trattava sempre con Dio stesso e ascoltava le sue parole, mi rendo conto che non c’è sicurezza in questo stato.
8. Rispondendo alla prima obiezione, dico: se quest’anima rimanesse sempre attaccata alla volontà di Dio, evidentemente non si perderebbe. Ma arriva il demonio con le sue grandi astuzie e, sotto colore di bene, la distacca a poco a poco dalla volontà divina in ben piccole cose, destandole interesse per altre che le fa credere non siano cattive, offuscandole man mano l’intelligenza, raffreddandole la volontà e facendole crescere l’amor proprio, finché da una cosa all’altra la va allontanando dal volere di Dio e avvicinando al suo proprio volere. Con questo si risponde anche alla seconda obiezione, perché non esiste clausura tanto stretta dove il demonio non possa introdursi, né deserto così remoto ove rinunzi ad andare. E vi dico anche un’altra cosa: forse il Signore permette tutto ciò per vedere come si comporta quell’anima di cui vuole servirsi per illuminare le altre, perché è preferibile, se dev’essere infedele, che lo sia all’inizio, anziché quando può far danno a molte altre.
9. Il rimedio che a me sembra più sicuro (dopo quello di chiedere sempre a Dio nell’orazione che ci sorregga con la sua mano e di pensare incessantemente che se egli ci lascia, senza dubbio precipiteremo subito nell’abisso, e non confidare mai in noi stesse, perché farlo sarebbe una pazzia) è quello di procedere con particolare cura e attenzione, controllando a che punto siamo circa l’esercizio delle virtù: se andiamo migliorando o peggiorando in qualche cosa, specialmente nell’amore reciproco, nel desiderio di essere considerate ultime fra tutte e nel disbrigo delle cose ordinarie. Se facciamo un esame scrupoloso e preghiamo il Signore di illuminarci, vediamo subito il nostro guadagno o la nostra perdita. Non crediate che Dio, dopo aver elevato un’anima a un così alto grado, se la lasci sfuggire d’un tratto dalle mani senza che il demonio non debba faticare molto per prendersela. Sua Maestà è così sensibile alla sua perdita che le dà mille avvisi interiori di ogni specie; pertanto il pericolo che corre non potrà restarle nascosto.
10. Infine, per concludere, diciamo che bisogna cercar sempre di avanzare e, se non facciamo progressi, averne gran motivo di timore, perché senza alcun dubbio il demonio sta meditando qualche assalto. Non è infatti possibile che, dopo esser pervenuti così in alto, si smetta di avanzare, perché l’amore non è mai ozioso, pertanto arrestarsi sarà un cattivo segno. Se un’anima ha preteso di essere sposa di Dio stesso, se ha già avuto un incontro con Sua Maestà ed è giunta al punto di cui si è parlato, non può mettersi a dormire. Per mostrarvi, inoltre, figlie mie, com’egli tratta le anime che già considera sue spose, cominceremo ora a parlare delle seste mansioni. Vedrete quanto sia poco tutto quello che possiamo patire e fare al suo servizio per disporci a così grandi doni. Può darsi che nostro Signore abbia voluto che mi ordinassero di scrivere queste cose affinché, tenendo gli occhi fissi sul premio e vedendo quanto sia illimitata la sua misericordia, se si degna di comunicarsi e mostrarsi a vermi come noi, dimentichiamo le nostre piccole soddisfazioni terrene e, con lo sguardo rivolto alla sua grandezza, corriamo verso di lui, infiammate dal suo amore.
11. Piaccia a Dio che riesca a spiegare qualcosa di un argomento così difficile! Se infatti Sua Maestà e lo Spirito santo non muovono la mia penna, so bene che sarà impossibile. Però, se quanto scrivo non deve essere per voi di alcun profitto, lo supplico di non farmi riuscire a spiegare nulla, non avendo io altro desiderio, come Sua Maestà sa per quello che posso capire di me, che sia lodato il suo nome e che ci sforziamo di servire un Signore, il quale paga in questo modo anche quaggiù, in terra. Da ciò possiamo arguire qualcosa di quanto ci darà in cielo, senza le interruzioni, le sofferenze e i pericoli che s’incontrano in questo mare tempestoso. Se non si corresse il rischio di offenderlo e di perderlo, sarebbe un gran piacere continuare a vivere sino alla fine del mondo, per lavorare in onore di un così gran Dio, nostro sposo e Signore. Piaccia a Sua Maestà che meritiamo di rendergli qualche servizio, senza tutte le manchevolezze che sempre commettiamo anche nelle opere buone.
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02/08/2013 15:01
 
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SESTE MANSIONI
CAPITOLO 1
Dimostra come, quando il Signore comincia a concedere maggiori grazie, ci siano maggiori sofferenze. Ne espone alcune e dice come si comportino di fronte ad esse coloro che già stanno in questa mansione. È utile per chi soffre pene interiori.
1. Veniamo ora, con l’aiuto dello Spirito santo, a parlare delle seste mansioni, dove l’anima, già ferita dall’amore dello Sposo, cerca con maggior impegno l’opportunità di stare sola e, per quanto le è possibile, tenuto conto del suo stato, di eliminare tutto ciò che può essere di ostacolo alla sua solitudine. La vista dello Sposo è rimasta talmente impressa in essa che tutto il suo desiderio è di tornare a goderne. Ho già detto che in quest’orazione non si vede nulla, nemmeno con l’immaginazione, perché si possa parlare di vista. Uso il termine vista per il paragone a cui ho fatto ricorso. Ormai l’anima è ben decisa a non prendere altro sposo. Ma lo Sposo non bada al suo grande desiderio di veder celebrato il fidanzamento. Egli vuole che lo desideri ancor più intensamente e che le costi qualcosa quel bene più grande di ogni bene. Ora, pur essendo poco tutto quello che si può soffrire di fronte a un così grande guadagno, io vi dico, figlie mie, che l’anima ha bisogno della testimonianza e del pegno di cui già si vede favorita, per riuscire a sopportare le prove che l’attendono. Oh, mio Dio, quali pene interiori ed esteriori l’anima soffre prima di entrare nella settima mansione!
2. In verità, quando alcune volte ci penso, temo che, se si prevedessero, sarebbe assai difficile che la nostra debolezza naturale si determinasse a sopportarle, per quanti beni ci si prospettassero, salvo che non si fosse pervenuti alla settima mansione, dove l’anima non ha più paura di nulla, non essendoci nulla che non sia profondamente decisa ad affrontare per amor di Dio. Ne è causa il fatto dell’essere lì, quasi sempre, in tale unione con Sua Maestà da trarne tutta la forza di cui ha bisogno. Credo che sia opportuno parlarvi di alcune pene che qui si soffrono e di cui ho la certezza assoluta. Forse non tutte le anime saranno condotte per questa strada, anche se dubito molto che vivano del tutto libere da pene terrene quelle che, sia pur ad intervalli, godono realmente dei beni del cielo.
3. Benché non intendessi parlare di ciò, ho pensato che le anime oppresse da tali angustie avranno grande consolazione nel sapere cosa accada a quelle favorite da Dio di simili grazie, perché allora sembra davvero che tutto sia perduto. Non parlerò di tali pene nel loro ordine progressivo, ma come mi si presenteranno alla mente. Voglio cominciare dalle più piccole, che sono effetto di certe mormorazioni, sia delle persone con cui si hanno rapporti, sia di quelle con cui non se ne hanno e delle quali non si sarebbe mai pensato che potessero occuparsi di noi. «Vuol fare la santa», dicono, «esagera nelle pratiche per ingannare il mondo e far apparire spregevoli gli altri che, senza tante cerimonie, sono migliori cristiani di lei». E occorre notare che essa non fa nessuna cerimonia, ma cerca solo di adempiere bene i doveri del suo stato. Coloro che stimava amici si allontanano da essa; anzi proprio essi la mordono con maggior accanimento e sono queste le ferite che dolgono di più. Dicono: «Quell’anima è fuori strada e vive in un grande inganno»; «tutto è opera del demonio»; «le avverrà come alla tale e alla talaltra che si sono perdute»; «dà motivo di screditare la virtù»; «inganna i confessori». E andranno da loro a dirglielo, riferendo esempi di ciò che è accaduto a parecchi che si sono perduti seguendo questa strada. E mille specie di derisioni e di chiacchiere simili.
4. Conosco una persona che, al punto in cui stavano le cose, temette molto di non trovare più chi la confessasse: essendo molte le dicerie che correvano sul suo conto, non è il caso di indugiare a parlarne. Il peggio è che tali mormorazioni non finiscono tanto presto, ma durano tutta la vita, con la continua raccomandazione che gli uni rivolgono agli altri di guardarsi dal trattare simili persone. Mi direte che c’è anche chi ne parla bene. Oh, figlie mie, quanto sono pochi i fautori in confronto ai molti denigratori! Del resto, le lodi sono un altro motivo di angustia, maggiore dei precedenti. L’anima infatti riconosce chiaramente che, se ha qualche bene, le è dato da Dio e non è in alcun modo suo, essendosi vista poco prima assai povera e in preda a grandi peccati. Pertanto, il sentirsi lodare le procura un tormento intollerabile, almeno all’inizio. Dopo, infatti, meno, per alcune ragioni. La prima, perché l’esperienza le mostra chiaramente che gli uomini sono pronti a dir bene come a dir male, così che non fa più conto di una cosa che dell’altra. La seconda, perché è stata più illuminata dal Signore sul fatto che nessun bene è suo, ma dato da Sua Maestà, e come se lo vedesse in una terza persona, dimenticando che si tratta di lei, si rivolge a renderne lode a Dio. La terza, perché, avendo visto alcune anime avvantaggiate dal conoscere le grazie di cui Dio la favorisce, pensa che Sua Maestà abbia permesso che la stimassero buona, mentre non lo è, con lo scopo che ne venisse loro un bene. La quarta, perché tenendo presente, più che il proprio, l’onore e la gloria di Dio, si libera dal timore, frequente nei principianti, che quelle lodi debbano esserle dannose, come ha visto che è stato per alcune persone, e le importa poco di incorrere nel disonore, purché per suo mezzo Dio sia lodato anche una sola volta di più. Dopo, avvenga quel che vuole avvenire.
5. Queste e altre ragioni attenuano la grande pena che tali lodi producono, anche se quasi sempre una qualche pena sussiste, a meno che non vi si presti attenzione né poco né molto. Ma è senza confronto maggior tormento vedersi pubblicamente ritenuti buoni senza motivo, che non essere oggetto di tutto ciò che si è detto prima. Quando l’anima arriva a non preoccuparsene, ancor meno le importerà del resto, anzi ne godrà, e le critiche suoneranno al suo orecchio come una musica assai soave. È, questa, una grande verità: l’anima, anziché lasciarsi abbattere dalle denigrazioni, ne resta fortificata, perché l’esperienza le ha ormai fatto conoscere il grande vantaggio che le viene da esse. Le sembra, pertanto, che chi la perseguita non offenda Dio, ma che Sua Maestà permetta che ciò avvenga per un suo maggior profitto. E siccome tale profitto le appare evidente, prova per le persone da cui è biasimata un affetto particolare, assai tenero, sembrandole che le siano più amiche e le procurino maggiori vantaggi di quelle che dicono bene di lei.
6. Il Signore suole anche mandare gravissime infermità. Questa è una sofferenza ancora più dura, specialmente quando i dolori sono acuti. In certo modo, se hanno particolare intensità, mi sembra costituiscano il maggior tormento che possa esserci sulla terra – intendo dire esteriore –, ne vengano pur quanti si vuole. Ciò, ripeto, se si tratta di dolori molto forti, perché sconvolgono l’interiore e l’esteriore, in modo tale da opprimere l’anima, la quale non sa più cosa fare di sé e, ben volentieri, accetterebbe qualunque rapido martirio, anziché sopportarli, anche se nella fase più acuta non durano molto. Infine, Dio non manda sofferenze maggiori di quelle che si possono sopportare e, in primo luogo, concede il dono della pazienza. Ma ordinariamente invia varie sofferenze molto gravi con malattie di ogni specie.
7. Conosco una persona che da quando il Signore cominciò a farle la grazia di cui ho parlato, cioè da quarant’anni, non può dire, in verità, di essere stata un solo giorno senza avere dolori e senza soffrire in vario modo, sia, ripeto, per mancanza di salute fisica, sia per altre gravi pene. È vero però che era stata assai incline al male, e di fronte al fatto di aver meritato l’inferno, tutto le sembrava poco. Forse altre, che non abbiano offeso tanto nostro Signore, saranno condotte per un diverso cammino. Io sceglierei sempre quello della sofferenza, almeno per imitare nostro Signore Gesù Cristo, anche se non vi fosse altro guadagno; figuriamoci se si pensa ai molti che sempre ci sono! Oh! e che potrei dire poi delle pene interiori? Se si riuscisse a descriverle bene, le altre sembrerebbero piccole; solo che è difficile spiegare in che modo si sentano.
8. Cominciamo dal tormento di imbattersi in un confessore così guardingo e poco sperimentato da non ritenere nulla per sicuro. Teme tutto e dubita di tutto, appena vede cose che non sono ordinarie; specialmente se nell’anima che ne è l’oggetto scopre qualche imperfezione (convinto che debbano essere angeli coloro ai quali Dio concede tali grazie e che sia impossibile averle finché siamo in questo corpo), subito condanna tutto come opera del demonio o effetto di malinconia. Ciò non mi meraviglia. Di malinconia ce n’è tanta nel mondo e il demonio se ne serve per apportare danni che i confessori hanno ben ragione di temere e di stare molto in guardia. Ma la povera anima, che vive nello stesso timore, che ricorre al confessore come a un giudice, ed è da lui condannata, non può evitare di trarne motivo di un così grande tormento e turbamento quale può essere inteso solo da chi ne avrà fatto esperienza. Ecco un altro supplizio che tali anime soffrono, specialmente se sono state inclini al male: pensare che per i loro peccati Dio voglia permettere che siano ingannate. Sebbene siano sicure delle grazie che talvolta Sua Maestà concede loro e non possano credere che provengano da altro spirito se non da quello di Dio, per il fatto che la grazia è cosa che passa presto, mentre il ricordo dei peccati è sempre presente e si vedono piene di difetti – i quali non mancano mai –, subito il loro tormento ricomincia. Quando il confessore le rassicura, si attenua, anche se poi ritorna, ma quando egli lo asseconda aumentando la paura, diventa una pena quasi intollerabile, specialmente se seguita da certe aridità in cui sembra non aver mai avuto né di poter mai avere alcun pensiero di Dio. Udendo parlare di Dio è come se si trattasse di una persona che si è udita nominare molto tempo addietro.
9. Tutto questo non è nulla, se non vi si aggiunge, per l’anima, il timore di non saper informare i confessori e di ingannarli. E, quantunque esaminandosi attentamente non scorga in sé nemmeno un primo moto che tenga loro nascosto, ciò non le giova. L’intelletto è così offuscato da essere incapace di vedere la verità. Crede solo a ciò che l’immaginazione gli presenta (perché allora è lei la padrona) e a tutte le insensatezze che gli suggerisce il demonio, a cui nostro Signore senza dubbio consente di mettere l’anima alla prova e anche di farle credere che è biasimata da Dio. Sono tanti i motivi di lotta, accompagnati da un’angoscia così viva e intollerabile, che io non so a cosa poterla paragonare se non alle pene dell’inferno, perché in questa tempesta non è possibile alcuna consolazione. Se vuole averla dal confessore, sembra che i demoni abbiano fatto ricorso a lui, perché la faccia soffrire di più. Un confessore che aveva in cura un’anima in preda a questo tormento, allorché era passato le diceva (sembrandogli un’angoscia pericolosa, perché risultava da tante cose messe insieme) di avvisarlo quando si trovasse in quello stato, ma era sempre peggio, tanto che egli si convinse di non poterci fare nulla. Se ella prendeva un libro in volgare, le accadeva, pur essendo una persona che sapeva leggere benissimo, di non capire nulla, come se non conoscesse l’alfabeto, perché la sua intelligenza era allora priva di ogni capacità.
10. In conclusione, in questa tempesta non c’è altro rimedio che aspettare la misericordia di Dio il quale, all’improvviso, con una sola sua parola o con qualunque fortuito avvenimento, libera l’anima da ogni angoscia così rapidamente che sembra non ci siano mai state nubi in essa, talmente è piena di sole e del tutto consolata. E, come chi è scampato vittoriosamente da una battaglia pericolosa, rende grazie a nostro Signore che ha combattuto per la sua vittoria, sapendo bene di non essere stato lui a combattere, perché tutte le armi con cui poteva difendersi erano, come gli sembra di aver visto, nelle mani del nemico. Si rende, pertanto, chiaramente conto della sua miseria e di quanto poco possiamo da parte nostra se il Signore ci abbandona.
11. Le pare di non aver più bisogno di riflettere per capire questa verità, perché l’esperienza avutane con il vedersi totalmente incapace le ha fatto conoscere la nostra nullità e il grado della nostra miseria. La grazia infatti (anche se non ne è certo priva, perché durante tutta questa tempesta non offende né offenderebbe mai Dio per nessuna cosa al mondo) è così nascosta nell’anima, che crede di non avere né di avere mai avuto neppure una piccolissima scintilla di amor di Dio: se ha compiuto qualche opera buona o se Sua Maestà le ha elargito qualche dono, ciò le appare tutto un sogno e una fantasia. I peccati, vede chiaramente di averli commessi.
12. Oh, Gesù, che pena lo spettacolo di un’anima così abbandonata. Non le giovano a nulla, come ho detto, tutte le consolazioni della terra! Pertanto non pensate, sorelle, se vi accadrà di trovarvi in questo stato, che i ricchi e quelli che vivono in libertà siano, in tali circostanze, più di voi in grado di rimediare ai loro mali. No, no; a me sembra che avverrebbe loro come avviene ai condannati, il cui tormento, lungi dal poter essere alleviato, sarebbe, anzi, accresciuto dalla vista di tutte le gioie del mondo poste loro innanzi. Così è qui, perché la sofferenza viene dall’alto e i conforti terreni non hanno alcun potere in tale circostanza. Questo nostro grande Iddio vuole che riconosciamo la sua sovranità e la nostra miseria, e ciò ha grande importanza per quello che si dirà più avanti.
13. Che farà dunque questa povera anima nel caso che debba durare a lungo in questo stato? Se prega, infatti, è come se non pregasse – intendo dire che non trova consolazione – perché nulla penetra nel suo intimo e nemmeno comprende lei stessa quello che dice, anche se la preghiera è vocale. Quanto a quella mentale, non è questo assolutamente il momento, non essendovi disposte le potenze, anzi la solitudine le nuoce più che giovarle. Ciò nonostante lo stare con qualcuno e il sentire rivolgersi la parola è per lei un altro tormento. Così, per quanti sforzi faccia, manifesta esteriormente un fastidio e un malumore di cui ci si accorge assai bene. Ma potrà dire quello che prova? No, è qualcosa di indicibile, perché sono angustie e pene spirituali a cui non si sa dare un nome. Il miglior rimedio – non dico per farle scomparire, non trovandone uno per questo, ma per renderle sopportabili – è attendere a opere esteriori di carità e sperare nella misericordia di Dio, che non manca mai a chi confida in lui. Sia egli per sempre benedetto! Amen.
14. Altre sofferenze esteriori causate dal demonio non credo siano troppo frequenti né ugualmente penose, perciò non v’è ragione di parlarne. Per quanto i demoni facciano, esse non giungono, a mio parere, a rendere inabili le potenze né a turbare l’anima al punto di cui ho parlato. Rimane infatti sempre la ragione per pensare che non hanno potere di fare più di quel che il Signore permette loro e, finché non si perde la ragione, tutto è poco di fronte a quanto si è detto.
15. Di altre pene interiori parleremo via via in queste mansioni, trattando dei diversi modi di fare orazione e delle grazie del Signore. Se alcune di queste pene sono anche più dure, quanto a intensità di patimento, delle precedenti, come si vedrà dallo stato in cui lasciano il corpo, non meritano il nome di sofferenze, né è giusto chiamarle così, essendo grazie sublimi di Dio, durante le quali l’anima intende che sono tali e al di sopra di ogni suo merito. La più grande di queste pene si proverà prima di entrare nella settima mansione, con molte altre. Parlerò di alcune, perché di tutte sarà impossibile anche solo dichiararne la natura, a causa della loro origine, diversa da quelle di cui si è parlato, molto più alta delle precedenti. Se delle pene di grado inferiore non ho potuto dire di più, meno ancora potrò dire di queste altre. Il Signore voglia concedermi sempre il suo aiuto, per i meriti di suo Figlio! Amen.
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02/08/2013 15:01
 
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CAPITOLO 2
Parla di alcuni modi con cui il Signore risveglia l’anima. Sembra che in essi non ci sia nulla da temere, anche se si tratta di favori molto elevati e di grazie sublimi.
1. Sembra quasi che abbiamo abbandonato del tutto la farfallina, e invece no; perché sono queste tribolazioni a farla volare ancora più in alto. Cominciamo dunque ora a parlare di come lo Sposo si comporta con lei e di come, prima d’essere del tutto suo, glielo fa desiderare a lungo, servendosi di mezzi così delicati che la stessa anima non li comprende e nemmeno io credo di riuscire a far capire, pur tentando di spiegarli, se non a chi ne abbia l’esperienza. Sono infatti impulsi che partono dal profondo dell’anima, così delicati e sottili che non so a quale paragone ricorrere per darne un’idea esatta.
2. Tali impulsi differiscono molto da tutto ciò che quaggiù ci possiamo procurare da noi stessi, e anche da quei diletti di cui si è parlato. Spesso, quando si è distratti e neanche ci si ricorda di Dio, Sua Maestà scuote l’anima come una cometa che passi rapidamente, o un tuono. Non si ode alcun rumore, ma l’anima intende perfettamente di essere stata chiamata da Dio. Lo intende così bene che a volte, specialmente all’inizio, trema e geme, perfino, senza aver nulla che le dolga. Sente di essere ferita in modo assai piacevole, ma non riesce a capire come lo sia né chi l’abbia ferita; solo si rende ben conto che è una ferita preziosa e non vorrebbe mai guarirne. Si lamenta con lo Sposo con parole d’amore, anche esteriori, senza potersi frenare; comprende che egli è presente, ma senza manifestarsi in modo da lasciarla godere di lui. È una grande pena, pur se piacevole e dolce, e anche se l’anima volesse sottrarvisi, non potrebbe farlo. Non lo vorrebbe mai perché le procura una gioia ben più grande della deliziosa sospensione, priva di pena, dell’orazione di quiete.
3. Mi sto struggendo, sorelle, per farvi intendere quest’operazione d’amore, ma non so come riuscirci. Sembra infatti una contraddizione che, da una parte, l’Amato faccia conoscere chiaramente all’anima di essere con lei, e dall’altra, la chiami con un segno così sicuro che non vi possono essere dubbi, con un fischio così penetrante perché lo oda, che essa non può non sentirlo. Eppure si direbbe che mentre lo Sposo, il quale risiede nelle settime mansioni, parla in questo modo – non sono però, le sue, parole articolate –, gli abitanti delle altre mansioni, né sensi, né immaginazione, né potenze, osino muoversi. Oh, mio potente Dio, come sono grandi i vostri segreti, e come diverse le cose dello Spirito santo da quanto si può vedere e intendere quaggiù, dove non c’è nulla che possa servire a chiarire questa cosa pur tanto piccola in confronto a quelle meraviglie che voi operate nelle anime!
4. L’effetto che ne risulta è così grande che l’anima si va struggendo di desiderio e non sa cosa chiedere, perché le sembra chiaro di avere con sé il suo Dio. Mi direte: Ma se intende questo, che cosa desidera o di che cosa si affligge? Cosa vuole di più? Non lo so; so che questa pena sembra penetrarla fin nelle viscere e, quando chi la ferisce ne estrae la saetta, le pare proprio che se la trascini dietro con sé, tale è il sentimento d’amore di cui arde. Stavo ora pensando se per caso da questo fuoco del braciere acceso, che è il mio Dio, non si fosse staccata una scintilla e avesse colpito l’anima in modo da farle sentire l’ardore di quel fuoco, ma non essendo tanto forte da consumarla ed essendo così dolce, l’avesse lasciata con quella pena prodottale nel toccarla. Ecco, a mio avviso, il miglior paragone che son riuscita a trovare. Infatti questo dolore piacevole – che non è un dolore – non è sempre uguale. Anche se a volte dura molto, altre finisce subito, a seconda di come il Signore voglia comunicarlo, non essendo cosa che si possa procurare con nessun espediente umano. E anche quando dura un po’, va e viene. In conclusione, non è mai costante, e per questo non finisce mai di bruciare l’anima. Infatti, quando essa sta per accendersi, la scintilla si spegne e l’anima rimane con il desiderio di tornare a patire quel dolore amoroso che la scintilla le produce.
5. Qui non c’è da pensare che si tratti di un effetto della stessa natura o della malinconia e nemmeno di un inganno del demonio o di illusione, perché si vede bene che è un movimento proveniente da dove abita il Signore, che è immutabile. Gli effetti non sono come quelli prodotti dalle altre devozioni, nelle quali il profondo assorbimento causato dal gusto spirituale può far sorgere qualche dubbio. Qui tutti i sensi e le potenze, privi assolutamente di sospensione, vanno considerando che cosa ciò possa essere, senza costituire – a mio giudizio – il minimo intralcio né poi accrescere o togliere quella piacevole pena. Colui al quale il Signore ha fatto un tale dono (e se gliel’ha fatto, leggendo questo scritto lo capirà), gliene renda infinite grazie, perché non deve temere si tratti d’inganno. Tema molto unicamente di mostrarsi ingrato di fronte a un così grande favore, cerchi di sforzarsi di servire Dio e di migliorare in tutto la propria vita, e vedrà dove arriverà e come riceverà doni sempre più grandi. Una persona che aveva ricevuto questa grazia, e l’aveva goduta per alcuni anni, ne era così soddisfatta che solo con essa si sarebbe ritenuta assai ben pagata, anche se avesse servito un buon numero di anni il Signore fra grandi sofferenze.
6. Forse mi chiederete perché ci sia maggiore sicurezza in questo favore che in altri. A mio parere, per le seguenti ragioni. La prima, perché non credo che il demonio possa mai dare una pena così piacevole come questa: potrà dare il piacere e il diletto che sembrano spirituali, ma unire la sofferenza, e una sofferenza così grande, con la tranquillità e la gioia dell’anima non è in suo potere. Tutta la sua potenza è di natura esteriore e le sue pene, quando le dà, non sono mai, a mio giudizio, piacevoli né tranquille, ma inquiete e piene di lotte. La seconda, perché questa piacevole tempesta viene da una regione diversa da quelle su cui egli può spadroneggiare. La terza, per i grandi vantaggi che ne trae l’anima, dei quali i più frequenti sono la risoluzione di patire per Dio, il desiderio di avere molte sofferenze, una ben salda determinazione di starsene lontana dai piaceri e dalle conversazioni del mondo, e altre cose simili.
7. Che non sia effetto d’immaginazione è ben evidente perché, pur con tutti gli sforzi, non si potrà riprodurlo. Ed è cosa tanto notoria che l’illusione è assolutamente impossibile, voglio dire che è impossibile immaginarsi che il favore ci sia quando non c’è, né dubitarne quando c’è. Se restasse qualche dubbio, cioè se si fosse incerti di esserne stati oggetto, si sappia che questi non sono veri impeti, perché quelli veri si fanno sentire così bene come alle orecchie una voce molto forte. Inoltre non può venire dalla malinconia, neanche lontanamente, perché essa non costruisce né fabbrica le sue illusioni se non nell’immaginazione, mentre questa pena procede dall’intimo dell’anima. Posso anche ingannarmi, ma finché qualcuno competente in materia non verrà a darmi altre ragioni, sarò sempre di questo parere. Conosco, ad esempio, una persona che, pur temendo sempre molto di essere in inganno, non poté mai dubitare di questa orazione.
8. Il Signore suole anche servirsi di altri mezzi per scuotere l’anima. All’improvviso, mentre si sta pregando vocalmente, senza pensare a cose interiori, sembra di sentire un interno ardore, come se d’un tratto ci investisse un profumo penetrante che si comunicasse a tutti i sensi. Non dico che sia un profumo o altra cosa di tal genere; ricorro a questo paragone soltanto per far capire che lo Sposo è lì. L’anima, indotta da un dolcissimo desiderio di godere di lui, rimane disposta a compiere grandi atti d’amore e di lode a nostro Signore. L’origine di questa grazia è la medesima della precedente di cui si è parlato, ma qui non c’è nulla che dia pena, neanche gli stessi desideri di godere Iddio sono penosi: ed è il desiderio che l’anima sente più di frequente. Mi sembra che nemmeno a suo riguardo ci sia nulla da temere per alcune delle ragioni già dette, e che bisogna solo cercare di accoglierla con rendimento di grazie.
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02/08/2013 15:02
 
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CAPITOLO 3
Parla dello stesso argomento: dice in che modo Dio parla all’anima quando si compiace di farlo, e insegna come bisogna comportarsi in questo caso, senza attenersi al proprio parere. Indica alcuni segni che servono a far conoscere se vi sia o non vi sia inganno. È di grande utilità.
1. Dio usa ancora un altro mezzo per risvegliare l’anima e, anche se questa grazia sembra, in certo modo, superiore alle precedenti, può essere soggetta a maggiori pericoli; pertanto mi tratterrò un po’ a parlarne. Consiste in certe parole che egli dice all’anima in vari modi: alcune sembrano venire dall’esterno, altre dall’intimo dell’anima, altre dalla parte superiore di essa, altre così dal di fuori che si odono con le orecchie, perché si direbbero dette con voce articolata. Qualche volta, anzi spesso, possono essere una chimera, specialmente in persone di debole immaginazione o malinconiche, intendo dire di una notevole malinconia.
2. Di queste due categorie di persone non bisogna tener conto, neanche se affermano di vedere, udire e intendere; né bisogna però turbarle dicendo loro che sono vittime del demonio, ma ascoltarle come persone malate. La priora o il confessore, con cui si apriranno, raccomandino loro di non darvi importanza, perché non è questo l’essenziale nel servizio di Dio. Aggiungano che il demonio ne ha ingannate molte per tale via, anche se non è il loro caso, per non affliggerle più di quello che comporti il loro umore. Dicendo invece che si tratta di malinconia, non la si finirebbe più: arriverebbero a giurare di vedere e di udire, convinte che sia proprio così.
3. Tuttavia bisogna tener presente che occorre dispensarle dall’orazione e far di tutto perché non si preoccupino di quel che sentono. Il demonio suole infatti servirsi di queste anime così ammalate; anche se non per nuocere loro, per danneggiarne altre. Ma, siano esse inferme o sane, di queste cose bisogna sempre diffidare, finché non si riesca a capire da quale spirito provengano. Pertanto dico che la cosa migliore da farsi è sempre, all’inizio, cercare di liberarsene, perché se vengono da Dio, l’essere messi alla prova le aiuterà ad andare avanti e a farle crescere. È proprio così, ma bisogna pur evitare di opprimere e turbare troppo l’anima la quale, certamente, qui non può fare nulla.
4. Ritorniamo dunque a ciò che dicevo circa le parole rivolte all’anima. Quale che sia la loro apparente provenienza, esse possono procedere da Dio e anche dal demonio e dall’immaginazione. Indicherò ora, se mi riesce, con l’aiuto del Signore, i segni per distinguerne l’origine e capire quando possono essere pericolose, perché ci sono molte anime, fra gente di orazione, che le sentono, e vorrei, sorelle, che voi non pensaste di far male, sia a non prestarvi fede, sia a credervi. Quando riguardano soltanto voi e sono parole di consolazione o di consiglio circa i vostri difetti, le dica pur chi vuole o siano pur effetto di fantasia, ciò importa poco. Vi prevengo di una cosa: non pensate, anche se provengono da Dio, di esser per questo migliori delle altre. Non ne disse, forse, egli molte ai farisei? Tutto sta, quindi, nel modo di trarne profitto. Inoltre, non badate a quelle che non sono del tutto conformi alla sacra Scrittura, più che se le udiste dallo stesso demonio, perché anche se provengono dalla vostra debole immaginazione, devono ritenersi una tentazione contro la fede; pertanto occorre opporvi sempre resistenza perché vadano cessando. E cesseranno di certo, avendo in sé poca forza.
5. Rifacendomi, dunque, al punto di partenza, il fatto che le parole provengano dall’intimo, dalla parte superiore dell’anima o dall’esterno, non ha importanza ai fini di riconoscerle come parole di Dio. I segni più sicuri che di ciò si possano avere, secondo me, sono i seguenti: il primo e il più certo è la sovrana potenza che hanno in sé, perché sono insieme parole ed opere. Mi spiego meglio. Un’anima è in preda a tutte le tribolazioni e inquietudini interiori di cui si è parlato, con l’intelletto fra le tenebre e piena di aridità. Allora, basta una sola di queste parole, come ad esempio: «Non affliggerti», che essa riacquista pace e serenità. Si sente inondata di luce, una volta scomparsa totalmente quell’afflizione da cui le sembrava che il mondo intero e tutti i dotti riuniti insieme ad esporle motivi intesi a ridarle sicurezza non potessero riuscire a liberarla, per quanti sforzi facessero. Oppure, è afflitta e tutta piena di paura perché il suo confessore e altre persone le hanno detto che è in preda allo spirito del demonio, ma con questa sola parola: «Sono io, non temere», la paura scompare del tutto e resta molto consolata, sembrandole che nessuno riuscirà più a farle credere il contrario. Un’altra volta è molto in ansia per alcuni affari importanti che non sa come andranno a finire. Le viene detto di tranquillizzarsi perché tutto andrà bene e ne acquista subito la certezza, liberandosi dall’ansia. E così avviene in molti altri casi.
6. Il secondo segno è che l’anima rimane in una grande quiete, in un raccoglimento devoto e pacifico e nella disposizione migliore per lodare Dio. Oh, Signore! Se una sola parola trasmessa con un vostro paggio (perché, a quanto si dice, almeno in questa mansione, le parole non sono pronunziate dal Signore stesso, ma da qualche angelo) ha tanta forza, quale forza lascerete nell’anima, una volta che essa sia unita a voi e voi ad essa per amore?
7. Il terzo segno è che queste parole non si dimenticano nemmeno dopo moltissimo tempo e alcune mai, come avviene, invece, di quelle che si odono quaggiù. Dico di quelle che udiamo dagli uomini, le quali, anche se dette da persone di grande serietà e cultura, non restano scolpite nella memoria come queste, e nemmeno vi si presta altrettanta fede se riguardano avvenimenti futuri. Queste, infatti, lasciano una certezza assoluta, anche se a volte, per cose all’apparenza impossibili, non si può evitare il dubbio circa la loro realizzazione e l’intelletto vacilli un po’. L’anima perdura in una sicurezza che non deflette, benché le sembri che tutto vada al contrario di quanto ha udito. Passano anni e non cessa di pensare che Dio ricorrerà ad altri mezzi che gli uomini non conoscono, ma che, alla fine, le sue parole si adempiranno; infatti, avviene così. Nondimeno, ripeto, quando vede che le cose prendono tutt’altro andamento, continua a soffrirne perché, trattandosi di parole che ha udite da molto tempo ed essendo passati gli effetti e la certezza di allora sull’origine divina di esse, le sorge il dubbio che siano state opera del demonio o frutto della sua immaginazione. Nessun dubbio, però, le sorge al momento, e sarebbe pronta a morire per attestare la verità di quelle parole. Ma, ripeto, il demonio, con tutte queste fantasticherie, che certo suscita per angustiare e intimorire l’anima, specialmente se dall’avverarsi delle parole udite deve dipendere il bene di molte anime o se si tratta di opere dirette a maggior lode e servizio di Dio e nelle quali s’incontrano gravi difficoltà, quali tristi effetti non produrrà? Per lo meno indebolirà la fede, ed è un grande male non credere che Dio abbia la potenza di compiere cose superiori alla nostra intelligenza.
8. Nonostante tutte queste lotte, anche se c’è chi dice alla persona, di cui offriamo l’esempio, che si tratta di stramberie (intendo riferirmi ai confessori con i quali se ne parla) e nonostante tutti gli avvenimenti contrari che fanno ritenere impossibile l’adempimento delle parole divine, resta – non so dove – una scintilla così viva di certezza che, anche se tutte le altre speranze fossero morte, l’anima, pur volendolo, non potrebbe spegnerla. Alla fine, come ho detto, si adempie la parola del Signore e l’anima ne resta così felice e soddisfatta che non vorrebbe far altro se non lodare di continuo Sua Maestà. Prova ancora più gioia nel vedere adempiuto quello che le era stato detto che per la riuscita dell’opera stessa, anche se essa fosse per lei di molta importanza.
9. Non so perché l’anima desideri tanto che queste parole risultino veritiere. Credo che neanche se essa dovesse essere considerata bugiarda ne soffrirebbe in ugual misura. Come potrebbe riferire qualcosa se non quanto le viene detto? Molte volte una certa persona ricordava, in simile caso, il profeta Giona, quando temeva che Ninive non venisse distrutta. Infine, siccome si tratta dello spirito di Dio, è giusto che l’anima gli serbi questa fedeltà di desiderare che non sia ritenuto menzognero, egli che è la somma verità. Pertanto, è grande la sua gioia quando, dopo mille tentativi di eludere le contrarietà, e fra difficoltà di ogni genere, vede adempiersi quanto le è stato detto. Anche se l’anima dovesse subirne grandi tribolazioni, preferisce sopportare qualunque sofferenza anziché vedere inadempiute le parole che ritiene fermamente dette dal Signore. Forse non tutte le anime avranno questa debolezza, se può chiamarsi tale, perché, per conto mio, non oso condannarla come alcunché di cattivo.
10. Se le parole provengono dall’immaginazione, non c’è nessuno di questi segni, né certezza né pace né gioia interiore. Tuttavia potrebbe accadere – e io stessa so di alcune persone alle quali è accaduto mentre erano molto assorte nell’orazione di quiete e nel sonno spirituale – che alcune anime sono così deboli di temperamento o d’immaginazione che, sia a causa di ciò, sia non so per quale altra ragione, trovandosi in questo grande raccoglimento, escono talmente fuori di sé, da non sentire più nulla all’esterno. I loro sensi sono così assopiti che esse sembrano prese dal sonno, e forse sono proprio addormentate. Allora, come in un sogno, sembra loro di udire parole e di vedere cose che pensano venire da Dio ma che, alla fine, lasciano gli effetti di un sogno. Potrebbe anche accadere, come a volte avviene, che, chiedendo qualcosa a nostro Signore con grande devozione, sembri loro che egli risponda promettendo quanto desiderano. Ma chi avrà grande esperienza delle parole di Dio, non potrà essere tratto in inganno – a mio giudizio – dagli effetti dell’immaginazione.
11. C’è più da temere che siano del demonio. Ma quando sono accompagnate dai segni di cui ho parlato, si può essere certi che provengano da Dio. Tuttavia, quando si tratta di cosa importante e si deve agire nell’interesse proprio o di terze persone, non si deve mai fare nulla, o anche solo pensare di fare alcunché, senza il parere di un confessore dotto, prudente e vero servo di Dio, quand’anche, sentendole ripetutamente, sembri chiaro che le parole vengono da Dio. Questo, infatti, è il volere di Sua Maestà e, così facendo, si eseguono i suoi ordini, avendoci egli detto di considerare il confessore come lui stesso dove non si può dubitare che siano parole sue. Esse ci valgano d’incoraggiamento nelle difficoltà: nostro Signore, quando lo vorrà, disporrà il confessore e lo porterà a credere che si tratta del suo spirito. In caso contrario, non ci sarà più alcun obbligo. Ma, agire in modo diverso da quanto si è detto, e attenersi in questa circostanza al proprio parere, credo sia molto pericoloso. Pertanto, sorelle, vi raccomando da parte di nostro Signore di far sì che ciò non accada mai.
12. C’è un altro modo con cui il Signore parla all’anima, e a me sembra un segno sicurissimo della sua opera: è la visione intellettuale, di cui in seguito dirò come avvenga. Ha luogo così nell’intimo dell’anima, e sembra di udire così chiaramente e, al tempo stesso, segretamente, con l’udito spirituale, pronunciare proprio dal Signore quelle parole, che lo stesso modo di intendere, insieme con ciò che la visione opera, rassicura e dà la certezza che il demonio non può intromettersi minimamente. I grandi effetti che lascia sono, appunto, motivo di crederlo; se non altro c’è la sicurezza che con un po’ di avvertenza si può sempre avere per le seguenti ragioni. La prima, perché c’è una evidente differenza circa la chiarezza del linguaggio: nelle parole di Dio essa è tale che ci si rende conto anche di una sola sillaba mancante e si ha il ricordo preciso del diverso modo in cui tale parole ci sono state dette, anche se il senso sia sempre lo stesso, mentre se sono frutto d’immaginazione, il linguaggio non sarà così chiaro né le parole così distinte, ma come mezzo sognate.
13. La seconda, perché spesso non si pensava nemmeno a ciò cui le parole si riferiscono – intendo dire che vengono all’improvviso, e volte anche mentre si sta in conversazione – e, benché assai di frequente rispondano ai pensieri che a un tratto ci passano allora per la mente o a quello che si è pensato prima, spesso riguardano cose mai pensate né credute possibili. Pertanto, non potrebbe fabbricarle l’immaginazione per ingannare l’anima, facendole credere ciò che non ha mai desiderato né voluto né conosciuto.
14. La terza, perché nelle parole di Dio l’anima è come una persona che ode, mentre in quelle dell’immaginazione è come una persona che va componendo a poco a poco ciò che ella stessa desidera udire.
15. La quarta, perché le parole sono assai diverse, e una sola di quelle divine fa capire molto più di quello che il nostro intelletto non potrebbe mettere insieme in così breve spazio di tempo.
16. La quinta, perché insieme con le parole, spesso, in un modo che io non saprei spiegare, si comprende assai più di quello che esse significano, benché senza suoni. Circa questo modo di intendere ne parlerò più a lungo altrove, perché si tratta di una cosa molto delicata che serve a far lodare nostro Signore. Intorno a tali modi d’intendere e alle loro differenze alcune persone sono rimaste assai perplesse (specialmente una, che ne ha sofferto molto, e così ce ne saranno altre), non sapendo che cosa pensarne. So che quella persona ha esaminato la cosa con molta attenzione, avendole il Signore fatto varie volte questa grazia, e il suo maggior dubbio, all’inizio, era che si trattasse di una sua fantasia, perché quando procedono dal demonio si arriva a capirlo più presto, anche se sono tante le sue sottigliezze che sa ben mascherarsi in spirito di luce. Questo potrà farlo, sì, a mio parere, nei riguardi delle parole, dicendole ben chiare, perché non resti alcun dubbio che sono, ad udirsi, come quelle dello spirito di verità; ma non potrà contraffarne gli effetti di cui si è parlato, né lasciare nell’anima quella pace né quella luce; al contrario, solo inquietudine e turbamento. Riuscirà peraltro a far poco o nessun danno, se l’anima è umile e si regola come ho detto, cioè non assumendo da sé alcuna iniziativa, quali che siano le parole che ode.
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