Ottava regola n° 321
321 - Chi si trova nella desolazione si sforzi di conservare la pazienza, virtù direttamente opposta alle vessazioni che gli vengono e speri che sarà presto consolato, purché applichi come abbiamo detto alla sesta regola, i mezzi necessari per vincere la desolazione.
Quando siamo tentati, pazienza! Pazienza significa soffrire e attendere... ma anche fiducia e speranza!
Non dimentichiamo mai che la nostra è la religione del «Padre nostro». Non dimentichiamo nemmeno le due ali di cui parla santa Teresina del Bambin Gesù: la diffidenza di sé, e la fiducia in Dio. Con esse si sale molto in alto e non si rischia niente. Ricordate, nel Discorso della Montagna, ciò che Gesù disse a quelli che temevano di non avere da mangiare e da vestire... (Mt 6).
Sant'Ignazio promette alle anime tentate, ma fiduciose in Dio, che alla tentazione seguiranno ben presto dolci consolazioni, purché l'anima si applichi ad osservare la sesta regola «e speri che sarà presto consolata». La sesta regola è quella del contrattacco, non dimenticatelo.
San Paolo, nella prima lettera ai Corinti, dice una frase che dovrebbe allontanare da noi ogni scoraggiamento: «Dio è fedele; Egli non permetterà che siate tentati al di sopra delle vostre forze, ma insieme alla tentazione vi darà pure la forza di poterla superare» (1 Cor 10,13). Ecco perché, a proposito del martirio, Gesù proibisce di pensarci anzitempo e di inquietarci, poiché quel giorno, se Dio ci chiama a questo onore, avremo grazie insospettate. «Lo Spirito Santo risponderà per voi».
Nona regola n° 322
Perché il Buon Dio permette le tentazioni?
Quando siamo tentati, dobbiamo chiederci perché subiamo questa prova. Così progredirete. A volte è per colpa nostra, oppure per motivi di ordine naturale che avremmo potuto evitare. Altre volte sono grazie di Dio, di cui bisogna profittare: Da qui la necessità di esaminarsi spesso. Coloro che non fanno mai l'esame di coscienza si priveranno di molte grazie per avanzare nella santità. Ecco dunque la nona regola di sant'Ignazio:
322- Tre sono le cause principali per cui ci troviamo desolati: la prima può essere un castigo perché siamo tiepidi, pigri o negligenti nei nostri esercizi spirituali, e così per le nostre mancanze si allontana da noi la consolazione spirituale. La seconda è una prova. Dio vuol provare quel che siamo e fin dove possiamo arrivare nel suo servizio e lode, senza tanto sussidio di consolazioni e di grandi grazie. La terza è una lezione. Dio vuol darci la certezza e la conoscenza pratica alfine di sentire internamente che non dipende da noi raggiungere o conservare una tenera devozione, un amore intenso accompagnato da lacrime, né alcun'altra consolazione spirituale, ma che tutto è dono e grazia di Dio nostro Signore, e perché impariamo a non mettere dimora in cosa altrui, elevando la nostra mente in qualche superbia o vanagloria, attribuendo a noi stessi la devozione o le altre parti della consolazione spirituale.
Tre cause principali: ciò vuol dire che ve ne sono delle altre. Per esempio possono esserci «cause di ordine naturale».
Molti vanno facilmente in collera perché non hanno dormito abbastanza. È cosa frequente. In Francia una madre superiora fu nominata a capo di un piccolo ospedale regionale. Vi erano là alcune suore, sempre in collera e a discutere fra di loro, il che non deve essere fatto quando si è suore. E la superiora, che per altro costatava trattarsi di religiose molto devote e generose, se ne chiedeva il motivo. Alla fine comprese: non dormivano abbastanza. In mancanza di personale, per generosità, pagavano di persona rubando sul loro riposo, ma poi partivano come un tappo di champagne alla minima contrarietà. La superiora decise di farle dormire un'ora in più e vietò di vegliare senza il suo permesso. Da quel giorno, come per incanto, non si ebbero più dispute. Occorreva pensarci!
Santa Teresa d'Avita, quando una suora le diceva: «Madre, ho delle visioni!», rispondeva: «Bene, domani prenderete un buon brodo!». Ad una religiosa che credeva di avere delle visioni, fu consigliata anche una buona bistecca, cosa che nell'ambito del Carmelo riformato non si faceva mai. Santa Teresa consigliava perfino la purga! Per chi conduce una vita troppo sedentaria, una carenza di circolazione può essere causa di scrupoli o di turbamento.
Padre Timon David, il fondatore dei primi patronati operai dopo la Rivoluzione Francese, nel mirabile trattato «Della confessione e direzione dei giovani», insegna che è importante occuparsi dei piccoli tubercolosi. Perché, direte voi? Una lunga inazione, la sedia a sdraio, la super-alimentazione possono provocare terribili tentazioni che impediranno loro di guarire, in attesa di inviarli all'inferno. Il demonio è cattivo. Occuparsene vuol dire dar loro dei buoni libri, insegnar loro a contemplare i misteri del santo Rosario, a mantenersi alla presenza di Dio, a fuggire le fantasie pericolose, a confessarsi e comunicarsi spesso. La malattia, allora, li aiuterà a realizzare i piani di Dio su di loro, diventando santi. Ma tutte queste cause di ordine naturale si riconducono a tre cause principali:
1. Castigo
Vi accorgerete che dopo essere rimasti, la sera, due ore davanti al televisore, o solamente per aver omesso la lettura spirituale, l'indomani sarete aridi nella preghiera. Notatelo... e non fatelo più. Altrimenti, Gesù tacerà. È questo un grande castigo. Se avete delle violente tentazioni dopo aver attraversato una spiaggia, dopo aver letto una certa rivista o aver visto quel film, dopo aver fantasticato prolungando il riposo, dopo aver troppo mangiato o bevuto, notatelo... Così si impara a condurre una vita interiore seria. Quando recitate il Rosario vi capita di sentire o di comprendere che la famiglia sta scivolando verso il peccato. Fate subito tesoro dell'avvertimento...
2. La desolazione o tentazione può benissimo non essere un castigo, ma un'occasione di praticare virtù eroiche
Per esempio, la tentazione di san Giuseppe, le tribolazioni della Sacra Famiglia, non erano un castigo. Di quali esempi eroici saremmo stati privati se la Sacra Famiglia non avesse subito queste prove! Santa Teresina del Bambin Gesù, sul letto di morte, era terribilmente tentata contro la fede. «...Mi trovo in un tunnel», diceva a sua sorella, madre Agnese, e si sforzava di ripetere con fede invincibile e senza sentire nulla: «Mio Dio, vi amo! Mio Dio, vi amo!». Rassicuratevi, non era una punizione; la santa non aveva letto né Sartre, né Gide, né Beauvoir, né la Sagan, né alcuna di queste porcherie. Il buon Dio voleva accrescere i suoi meriti per far discendere una più abbondante pioggia di rose per la conversione dei non-credenti, e allora permetteva a tutti i demoni di scagliarsi contro di lei.
Anche voi, può darsi siate passati attraverso certe prove per ottenere la salvezza di un figlio, di un amico, ecc. Accettate umilmente e generosamente. Il santo curato d'Ars subiva attacchi furiosi nei giorni che precedevano l'arrivo di un gran peccatore da convertire...
3. Una lezione
Queste prove possono rappresentare una lezione. Siamo tutti più o meno portati ad essere contenti di noi quando abbiamo fatto qualcosa di buono. E questo Dio non l'accetta. Vogliamo per noi ciò che appartiene a Lui. «La mia gloria non la darò a nessun altro» ci dice per mezzo di Isaia, al capitolo 42. E san Paolo scriveva: «Oh! Che cosa hai tu che non l'abbia ricevuta? E se l'hai ricevuta, perché te ne glori come se tu non l'avessi ricevuta?» (1 Cor 4,7).
- Io sono il miglior parrocchiano!...
- Ma senza quella grazia, senza questa madre o quel sacerdote, cosa sareste diventato?
Come è buono il Signore ad impedirci di cadere in questo errore!... Permette delle tentazioni che potrebbero inviarci in fondo all'inferno; dopo di che non saremo più indotti a criticare nessuno. Umiliamoci e ringraziamo il Buon Dio. Ma vigilate et orate. Tutto deve concorrere a santificarci.
Decima e undicesima regola n° 323 e n° 324
- E quando va bene, cosa bisogna fare?
- Ebbene, approfittarne... per praticare la virtù, guadagnare meriti. In bicicletta, quando il vento è a favore, approfittatene per fare chilometri; quando il vento gira, almeno un po' di chilometri saranno fatti.
323 - Colui che si trova nella consolazione pensi come si troverà nella desolazione che verrà poi, e faccia provvista di coraggio per il momento della prova.
Ma soprattutto umiliatevi! Non un po'... ma quanto potete.
324 - Chi si trova consolato procuri di umiliarsi e abbassarsi quanto può, pensando quanto è da poco nel tempo della desolazione, quando è privo della grazia sensibile o della consolazione. Al contrario, colui che si trova nella desolazione pensi che può molto con la grazia sufficiente per resistere a tutti i suoi nemici, purché confidi solo nel concorso del suo Creatore e Signore.
Alla venerabile Marina d'Escobar, una grande mistica spagnola, mentre faceva un giorno gli Esercizi spirituali secondo il metodo ignaziano, apparve l'arcangelo Gabriele e si felicitò con lei perché stava facendo gli Esercizi che proprio nostra Signora aveva consegnato a sant'Ignazio, l'arcangelo aggiunse: «Maria stessa viveva queste regole durante la sua vita». Chi non conosce la vita della nostra buona Madre, chi non l'ha meditata o non conosce gli Esercizi, può pensare che queste parole contengano qualche esagerazione; ma se guardiamo da vicino, vediamo che era questo il modo normale di vivere della Madonna. Pensate alla Visitazione: sua cugina, l'anziana cugina, le dice: «Come mai mi è concesso che la Madre del mio Signore venga a me?». E conosciamo la risposta di Maria: «La mia anima magnifica il Signore... poiché grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente...» e umiliandosi quanto può: «Perché ha rivolto i suoi sguardi sull'umiltà della sua serva...».
Facciamo in modo di umiliarci quando va tutto bene. Più riceviamo di grazie, più dobbiamo chiedere umiliazioni. Dobbiamo cercare il terzo modo di umiltà... altrimenti il nostro tesoro è in pericolo. Perciò non dobbiamo compiacerci, non dobbiamo far conoscere agli altri le grazie preziose che abbiamo ricevuto; altrimenti ci accadrà come ad Ezechia. Questi aveva mostrato, a Gerusalemme, i suoi tesori all'ambasciatore del re d'Assiria, e Isaia lo rimproverò della sua condiscendenza dicendogli: «Disgraziato! Verrà lui stesso a prenderti tutti i tuoi tesori».
Dodicesima regola n° 325
Questa è una regola molto importante: completa la sesta.
325 - Il nostro nemico si comporta come una donna, ne ha la debolezza e l'ostinazione. Perché è proprio della donna, quando litiga con qualche uomo, perdersi d'animo, dandosi alla fuga, se l'uomo le mostra il viso duro; al contrario, se l'uomo comincia a fuggire, perdendosi d'animo, l'ira, la vendetta e la ferocia della donna si accrescono e non hanno più misura. Così è proprio del nemico fiaccarsi e perdersi d'animo, dileguandosi con le sue tentazioni, quando la persona che si esercita nelle cose spirituali mostra molta fermezza contro il tentatore, facendo diametralmente l'opposto di quello che gli suggerisce. Al contrario, se la persona che si esercita comincia a temere e sopportare l'attacco con meno coraggio, non v'è bestia tanto feroce sopra la terra come il nemico della natura umana, la cui crudeltà eguaglia la malizia nel perseguire la sua dannata intenzione.
Il demonio è terribile con chi tentenna. Ad esempio, un seminarista esita dinanzi alle tentazioni sulla sua vocazione: «E se interrompessi per qualche mese il seminario? Farei esperienza nel mondo e dopo sarei anche più forte». Il demonio gli darà al bisogno dei buoni motivi; se esita è perduto. Il demonio apporterà anche difficoltà maggiori: una bella situazione... una eccezionale occasione matrimoniale... noie alla salute. Ricordiamoci il principio di padre Terradas: «Non si gioca con il demonio». Allo stesso modo, se vostra moglie comincia a pensare che le sue vesti potrebbero essere un po', oh! solo un poco più corte... ben presto diventerà immodesta come le altre. Ancora: quando gli sposi, dopo qualche discussione, cominciano a domandarsi se non vi siano motivi sufficienti per divorziare, il diavolo ne fa qualcuna delle sue; ad ogni modo, si arriva al peggio. La stessa cosa riguardo ai metodi malthusiani. Se si vuol fare «come gli altri», allora il demonio si scatenerà.
Ci si sforzerà di non peccare, ma il demonio riuscirà ad attirarci in una vita di peccato.
Sant'Agostino in una celebre frase riassume il gioco del demonio: latrare potest, mordere non potest, nisi volentem, «può abbaiare, ma non può mordere, a meno che uno non voglia farsi mordere». Tutti siamo stati in campagna; all'improvviso, ecco un cane furioso che si lancia verso di voi ringhiando. Che fate? Se fuggite correndo, il cane si getterà su di voi e vi morderà. Che fare, allora? Affrontarlo senza timore, con la più gran calma. Allora, indispettito nel constatare che non avete paura, il cane abbassa la testa, poi il tono... e fila via con la coda tra le gambe. Ma se manifestate timore, sentirà la vostra debolezza e si avvicinerà terribile per mordervi. Non dimentichiamo il principio: davanti ad una tentazione non turbarsi né rimettere in questione le proprie risoluzioni. Non cedere, neanche un po', «ma fare diametralmente l'opposto di quanto il demonio suggerisce». Pregate, moltiplicate gli atti della virtù contraria.
San Vincenzo de' Paoli è diventato san Vincenzo de' Paoli grazie agli Esercizi che fece nel 1611. Poi li propagò in tutte le sue case. Lui stesso li faceva due volte l'anno, di 15 giorni ciascuna. Fu grazie a questa regola che si salvò.
C'era a Parigi un giovane professore di filosofia che stava perdendo la fede. San Vincenzo chiese a Dio di liberarlo dalle tentazioni e di inviarle a lui stesso. Fu esaudito, eccome! Benché fosse sacerdote, benché fosse santo, ebbe le più terribili tentazioni contro la fede. In ogni momento, durante la Messa, mentre predicava, pregava, si occupava dei poveri, tutte le imposture che il demonio può inventare contro la fede gli venivano continuamente alla mente. «Tu non sei leale, non c'è Dio, il Signore non è nell'Eucarestia, tu racconti frottole». Che fare? Doveva forse cercare sui libri di teologia tutte le prove per controllare se le avesse ben studiate? Sarebbe divenuto pazzo, perché il demonio è terribile.
Ecco quel che fece: applicò questa regola. Scrisse un atto di fede con ardenti parole, chiedendo a Dio di morire martire per la fede. Firmò il foglio, se lo appuntò sul cuore, e fece questo proposito: ogni volta che metteva la mano sul cuore voleva dire rinnovare a Dio l'offerta di morire martire per la fede. E sempre, in ogni momento, celebrando la Messa, predicando, facendo del bene, ecco le tentazioni: «non è vero, sei un bugiardo, ecc.». Ma san Vincenzo portava la mano al cuore, ripetendo così migliaia di volte un atto eroico, sublime. Il demonio vedendo che queste tentazioni non lo spingevano a peccare, ma anzi a compiere atti eroici, finì col lasciarlo. Non dimenticate, dunque, questa regola capitale nelle tentazioni.