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PERCHE' CREDERE

Ultimo Aggiornamento: 18/07/2013 11:46
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18/07/2013 11:41
 
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Conclusione



34. Ci sembra di poter dire, al termine di questo capitolo, che i Vangeli sono da considerarsi a pieno titolo documenti integralmente conservati, fedeli al loro testo originale. È ormai assodato che noi posse­diamo gli stessi scritti evangelici delle comunità cristiane primitive.



35. Naturalmente, tutto questo non basta per considerare i Vangeli come documenti storici attendibili. Dobbiamo affrontare e risolvere l'ultima questione, la più importante e decisiva, dalla quale dipende in gran parte una nostra ragionata risposta al problema della storicità del Cristianesimo.



36. Ci dobbiamo chiedere se il contenuto dei Vangeli, certamente risalente al primo secolo, certamente conservato intatto fino ai nostri giorni, può essere considerato veritiero. Inoltre, dobbiamo esaminare se sono stati scritti da persone competenti ed oneste, da testimoni affidabili dei fatti che raccontano. Dovremo anche riprendere, per entrare nei par­ticolari, il discorso sulla datazione dei Vangeli originali. Questo è il com­pito che affronteremo nel prossimo capitolo.



"L'intervallo tra le date originali di composizione e le più antiche testimonianze che ci sono pervenute, diventa tal­mente piccolo da risultare trascurabile e, ora, sono stati rimossigli ultimi dubbi che la Scrittura non ci sia stata trasmessa sostanzialmente come fu scritta. L'autenticità e la sostanziale integrità dei libri del Nuovo Testamento, finalmente, possono essere considerate fuori discussione". (F. G. KENYON, in FIZEDERYK F. BRUCE, Rotoli e peryaneene. Così nacque la Bibbia, Piemme, Casale M.to 1994, p. 175.)



Veridicità dei Vangeli



"Un Vangelo come documento storico, degno di fede: questo concetto non può piacere a tutti coloro che preferiscono credere ai miti, alle leg­gende e alle invenzioni digruppi più tardi". (CARSTEN PETER THIEDE, intervento al Meeting per l'amicizia tra i popoli, Rimini 24/8/1995)



1. Il cattolico, sulla scorta dell'insegnamento della Chiesa e di un'abbondante documentazione, sa che i Vangeli sono documenti auten­tici, scritti nel I secolo da Matteo, Marco, Luca e Giovanni, giunti inte­gralmente fino a noi. Ma per essere certi della loro piena attendibilità storica, bisogna rispondere ad un'ultima domanda: i Vangeli sono anche documenti veritieri? Il loro contenuto è credibile?



2. Prima di offrirli alla lettura e alla meditazione di quanti si dichiarano non credenti, perché prendano atto delle parole pronunciate e dei fatti compiuti da Gesù di Nazareth - parole e fatti, specie i mira­coli, che se giudicati, anche solo dal punto di vista storico, come real­mente accaduti non possono non suscitare crepe impressionanti nell'edi­ficio delle convinzioni ateistiche - il cattolico deve dotarsi di un'ulteriore argomentazione, quella che dimostra che i Vangeli non sono pure inven­zioni.



3. In questo capitolo ci proponiamo:

- di sapere con più precisione quando i Vangeli sono stati scritti, se in tempi vicini ai fatti narrati o in tempi lontani.

- di verificare che i loro autori siano persone meritevoli di fiducia, com­petenti in materia, testimoni dei fatti che raccontano.

- di accertare, infine, che i Vangeli non sono favole, invenzioni, racconti fantastici e fantasiosi.



4. Come è noto, chi nega il valore della storicità dei Vangeli sostiene che sono stati composti parecchi decenni dopo la morte di Gesù. In questo tempo, la Chiesa primitiva, in via di formazione e di auto-organizzazione, avrebbe elaborato una propria dottrina, attri­buendo a Gesù parole mai pronunciate e miracoli mai compiuti, con lo scopo di guadagnare nuovi adepti.



5. Stando così i fatti, al momento della stesura dei Vangeli, i testi­moni oculari della vera vita di Gesù erano per la maggior parte già defunti. Non sarebbe stato dunque possibile un confronto tra quanto raccontato da Matteo, Marco, Luca e Giovanni e coloro che potevano confermare o negare veridicità ai racconti evangelici.



6. Al contrario, se i Vangeli risultassero composti in anni molto vicini agli eventi che raccontano, quando innumerevoli testimoni oculari potevano dire la loro sulle parole e i fatti attribuiti a Gesù dai Vangeli, in questo caso la possibilità di una falsificazione artificiale si sarebbe ridotta praticamente a zero.



Datazione dei Vangeli



7. Per scoprire se i Vangeli sono opera di disonesti falsificatori e di imbroglioni, cominciamo con l'affrontare il problema della loro datazio­ne.



8. Il dato che abbiamo già acquisito, nei capitoli precedenti, è che essi risalgono all'età apostolica, dunque al I secolo d.C. Ma possiamo essere più precisi, senza dimenticare che allo stato attuale delle ricerche nessuno è ancora in grado di datarli perfettamente, di calcolare in quale anno preciso siano stati esattamente composti.



9. Tutti concordano nel ritenere il Vangelo di Giovanni compo­sto per ultimo. Fino a qualche decennio fa, gli studiosi lo datavano alla fine del I secolo, intorno all'anno 100 d.C, vale a dire 70 anni dopo la morte di Gesù di Nazareth.



10. Ma oggi questa datazione comincia ad esser messa in discus­sione, a vacillare. Sembra che la data della sua composizione, per lo meno di alcune parti di esso, vada abbondantemente anticipata.



11. Julian Carròn, professore di Sacra Scrittura presso il Centro Studi teologici San Damaso di Madrid, direttore dell'edizione spagnola della rivista internazionale "Communio", in un saggio apparso sul presti­gioso trimestrale "Il Nuovo Areopago" alla fine del 1994, sostiene che il Vangelo di Giovanni contiene molti "elementi che si possono spiegare solo prima della distruzione di Gerusalemme", avvenuta, come è noto, nell'anno 70 d.C. (JULIAN CARBON, Un caso di ragione applicata. La storicità dei Vangeli, in Il Nuovo Areopago, anno 13, n. 3 [51], autunno 1994, p. 16).



12. A sostegno della sua tesi, Carròn cita, tra gli altri, un chiaro esempio che merita di essere riportato: "Nel racconto della guarigione del malato che aspettava per essere guarito l'agitazione delle acque nella piscina - contenuto nel Vangelo di Giovanni - si dice: "C'è (estin) in Geru­salemme, vicino alla porta delle Pecore, una piscina chiamata in ebraico Betzaetà che ha cinque portici" (Gv 5, 2). Il presente dell'indicativo in cui viene data la notizia dell'esistenza della piscina (estin), mentre tutto il racconto è scritto in aroisto (cioè al passato), come se facesse riferimento a un fatto succeduto nel passato, mostra che quando questi racconti furono scritti esisteva ancora quella piscina. E questo si poteva affermare solo prima della distruzione di Gerusalemme, nell'anno 70" (ibidem, p. 17).



13. Dunque, sembra ci siano buone ragioni per retrodatare almeno una parte del Vangelo di Giovanni di circa 30 anni. Ma c'è qualche stu­dioso che si spinge oltre. Il noto teologo protestante Oscar Culmann, in una intervista apparsa su "Il Sabato" del 20 febbraio 1993, sostiene che il Vangelo di Giovanni va datato intorno al 50 d.C. e promette di render pubblici i suoi calcoli.



14. Per la datazione del Vangelo di Giovanni a prima dell'anno 70 si sono schierati altri studiosi di prim'ordine, tra i quali Carsten Peter Thiede ("Gesù, storia o leggenda?", Bologna 1992), Hugo Staudinger ("Credibilità storica dei Vangeli", Bologna 1991), e Craig Blomberg ("Indagine su Gesù", Casale 1991).



15. Riguardo la datazione dei Vangeli, il dato più importante, che ha suscitato il maggior numero di discussioni, ci è offerto dal famosissimo frammento 7Q5, un minuscolo frammento di papiro trovato nella grotta n. 7 di Qumran, contenente 20 lettere disposte su 5 righe. È il frammento più antico e più prezioso. Per questa ragione, dobbiamo raccontarne la storia.



16. Qumran è il nome di una località situata sulla riva occidentale del Mar Morto. Ai tempi di Gesù era abitata da una fiorente comunità di monaci Esseni. Le rovine del loro monastero sono ancora oggi visibili.



17. Nell'anno 68 d.C. arrivano a Qumran i Romani. I monaci abbandonano precipitosamente la loro residenza, nascondendo in alcune grotte delle vicinanze i rotoli preziosissimi che conservavano nella loro biblioteca. Tra essi, interi libri della Sacra Scrittura dai quali traevano il loro nutrimento spirituale. Per quasi 1900 anni, nessuno si preoccupa di recuperare questa straordinaria documentazione.



18. Ma nel 1947, alcuni pastori palestinesi scoprono, casualmente, in una di quelle grotte, delle anfore piene di rotoli, proprio quelli nasco­sti dalla comunità essena. Iniziano le ricerche e in altre 10 grotte si tro­vano anfore e rotoli, contenenti la loro biblioteca, nella quale non man­cava l'Antico Testamento.



19. Si procede all'identificazione del materiale ritrovato. Ma un frammento, classificato con la sigla 7Q5 ("7 sta ad indicare il numero della grotta dove venne rinvenuto, "Q" sta per Qumran, "5" è il numero delle righe sulle quali sono disposte le lettere che lo compongono) non trova collocazione in alcuna parte dell'Antico Testamento. Sarebbe stato destinato a passare nel novero di quelli non identificati, se uno studioso di prim'ordine, il gesuita José O'Callaghan, papirologo di fama interna­zionale e docente del Pontificio Istituto Biblico di Roma, non avesse dato retta ad una sua intuizione: 7Q5 poteva riportare un testo del Nuovo Testamento.



20. Inizia ricerche accurate e nel 1972 annuncia un risultato cla­moroso: 7Q5 contiene una minuscola parte del Vangelo di Marco, pre­cisamente alcune lettere dei versetti 52 e 53 del capitolo VI.



21. Il mondo degli studiosi è scosso. Su O' Callaghan si abbattono le critiche violentissime dei teologi e degli esegeti, quasi tutti convinti allora che prima dell'anno 70 nessun Vangelo fosse stato scritto. Queste critiche ottengono un risultato: per 14 anni nessuno parlerà più del fram­mento 7Q5 e di José O' Callaghan.



22. Ma 14 anni dopo, lo studioso luterano Carsten Peter Thiede, papirologo di fama internazionale, riprende gli studi di O'Callaghan sul frammento 7Q5 e giunge agli stessi risultati.



23. Scoppia, come 14 anni prima, un'altra violentissima polemica, un'altra campagna di accuse, ma questa volta i tempi sono cambiati. Il numero degli esperti che attribuisce 7Q5 al Vangelo di Marco cresce enormemente: Vanhoye, Ghiberti, De La Potterie, Barsotti, Galbiati, Betz, Sordi e Montevecchi, tutti illustri studiosi, anche di discipline diverse, noti nel mondo degli specialisti. Questa volta non si ripete il ver­gognoso abbandono cui era stato lasciato José O' Callaghan.



24. Le ricerche prendono slancio. I paleografi Sehubart e C. H. Roberts datano il frammento 7Q5 studiandone il tipo di scrittura e il papiro, senza curarsi del suo contenuto. Il risultato delle loro ricerche è strabiliante: quel papiro è stato scritto nell'anno 50, soltanto due decenni dopo la morte di Gesù Cristo. Dunque, in un tempo estremamente vicino ai fatti narrati, circolava una testimonianza scritta dei fatti riguar­danti Gesù di Nazareth. Ma non è finita.



25. Il più grande conoscitore della lingua ebraica ed aramaica del nostro secolo, Jean Carmignac, recentemente scomparso, ci ricorda che il frammento 7Q5, con le sue 20 lettere in lingua greca, non è stato materialmente scritto dall'Evangelista Marco. È una copia dell'originale, che fu scritto in aramaico. 7Q5 risulta così essere una traduzione in lin­gua greca, giunta a Qumran.



26. Ne consegue che Marco ha scritto il suo Vangelo qualche anno prima. Sappiamo che lo scrisse a Roma sotto dettatura di Pietro, proba­bilmente nell'anno 42, quando Pietro arriva nella capitale dell'impero e comincia a predicare in città. Dunque, Marco ha scritto il suo Vangelo soltanto una dozzina d'anni dopo la morte di Gesù Cristo.



27. A confermare questi dati è la nota specialista di storia greca e romana Marta Sordi, che "partendo dalle scoperte del 7Q5, sostiene, con solidi argomenti tratti dalle fonti della tradizione, la tesi che il vangelo di Marco sarebbe stato scritto a Roma intorno al 42 in base alla predicazione di Pietro" (30 GIORNI, maggio 1994, pp. 40-44).



28. È giunto il tempo di trarre qualche considerazione. Il Vangelo di Marco è stato scritto quando innumerevoli testimoni oculari erano ancora vivi e potevano facilmente contestare i fatti narrati, se - ovvia­mente - fossero stati inventati. Ma di questa contestazione non si ha trac­cia, sebbene non mancassero i nemici di Gesù. È una contestazione che da sola sarebbe stata sufficiente a distruggere l'impianto sul quale si fon­dava la nascente Religione cristiana. Ma nessuno, tra i numerosi nemici della Chiesa, pensò mai di avanzarla.



29. Gesù muore crocifisso nell'anno 30. Marco scrive nel 42. Gio­vanni, lo abbiamo visto, scrive prima del 70. In mezzo a queste due date vi sono i Vangeli di Matteo e di Luca. Tre frammenti antichissimi di papiro in lingua greca, custoditi in una teca dell'Università di Oxford, contenenti brani del Vangelo di Matteo, sono stati datati dal Carsten Peter Thiede tra l'anno 60 e l'anno 70.



30. Anche per Matteo vale quanto si è detto per Marco. Matteo scrisse in lingua aramaica, mentre i frammenti custoditi ad Oxford sono in lingua greca. Sono dunque una traduzione, una copia. L'originale, pertanto, deve necessariamente risalire a diversi anni prima, comunque ad un tempo straordinariamente vicino agli eventi storici vissuti da Gesù di Nazareth.



31. È davvero estremamente improbabile che gli Evangelisti ab­biano inventato di sana pianta le storie contenute nei loro Vangeli. Han­no scritto in tempi troppo vicini ai fatti accaduti, troppi testimoni oculari potevano facilmente smentire i loro racconti, anche quelli relativi ai mira­coli, contestati oggi, purtroppo, da teologi ed esegeti perfino cattolici.



32. La conclusione si impone: la vicinanza cronologica tra i fatti tramandati dai Vangeli e la persona storica di Gesù Cristo, che di questi fatti era autore e protagonista, segna un punto decisivo in favore della veridicità dei Vangeli, della loro attendibilità come documenti storici.



Gli autori dei Vangeli



33. Si possono e si devono fare altre considerazioni riguardanti la veridicità dei Vangeli. Le prime riguardano i loro autori. Perché una testimonianza sia credibile, anche l'autore deve essere credibile, degno di fede, meglio se testimone oculare. Chi erano, dunque, i quattro Evange­listi.? Di tutti abbiamo notizie scarne, ma precise.



34. Matteo era un apostolo di Gesù. Ex esattore delle imposte, figlio di un certo Alfeo. Di lui ci parlano sia Marco che Luca, che ricor­dano diversi episodi della sua vita. Per tre anni ha seguito personalmente Gesù di Nazareth. È un testimone oculare dei fatti che racconta.



35. Marco abitava a Gerusalemme, dicono gli Atti degli Apostoli e altri scritti del Nuovo Testamento. Era cugino di Barnaba, è stato com­pagno di Paolo in uno dei suoi viaggi. Era con Paolo a Roma e collaborò con Pietro, divenendo suo segretario. Ha scritto il suo Vangelo ascol­tando la predicazione del Principe degli Apostoli e ha tratto dunque le sue informazioni dalla fonte più autorevole che si possa pensare fra i testimoni oculari della vita di Gesù.



36. Luca è stato compagno e discepolo di Paolo. Scrive di avere svolto "ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi" (Le 1,3). È una affermazione impegnativa, che apre il suo Vangelo, certo incom­prensibile e soprattutto controproducente se avesse avuto in mente di mitologizzare la figura del Maestro.



37. Giovanni fu apostolo di Gesù, testimone oculare dei fatti che racconta.



38. Dunque: due degli autori dei Vangeli sono testimoni oculari e gli altri due sono discepoli che riportano con cura, talvolta dopo ricerche accurate, quanto hanno sentito dire da altri testimoni. Vi è materia abbondante per ritenere sostanzialmente autorevoli questi "cronisti" del­l'avvenimento cristiano. Di essi ci parlano altre fonti, che abbiamo già incontrato nel capitolo dedicato all'autenticità dei Vangeli.

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