È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!
Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

Risposta a obiezione sul pensiero di s.Agostino

Ultimo Aggiornamento: 03/07/2013 14:40
Autore
Stampa | Notifica email    
03/07/2013 14:29
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

La gerarchia dei «tria bona coniugalia»

    Stando così le cose (e rimandando più avanti per il riscontro di analoghe valenze contenute nel bonum fidei) (43), dobbiamo confrontarci, tenendo presente una configurazione siffatta del bonum sacramenti, con la tradizionale organizzazione gerarchica dei tria bona coniugalia, secondo cui il bonum prolis è per Agostino il fine primario dell’unione coniugale. 

    Gli studiosi del pensiero agostiniano divergono sensibilmente nell’interpretare la dottrina del maestro sulla relazione gerarchica esistente tra i bona coniugalia, anche se su un punto di fondo vi è un accordo quasi sostanziale. A parte il Freisen (42), che ha affermato essere la dottrina dei tria bona coniugalia una invenzione tarda di Agostino, rispolverata per giustificare il matrimonio dei genitori di Gesù, sino alla distinzione operata dal Pereira nel 1930, la critica ha chiaramente distinto, nella posizione agostiniana, tra un fine, la generazione (il bonum prolis) ed un effetto secondario, di volta in volta identificato nel remedium concupiscentiae, nella comunanza di vita tra l’uomo e la donna (44), nel mutuo aiuto quando il fine della generazione vien meno (45), nell'unione spirituale e sociale degli sposi (46). 

    Un capitolo importante della discussione è aperto verso gli anni trenta, come dicevamo, dal Pereira. L’autore prende in esame con particolare attenzione ilDe bono coniugali e, dopo aver affermato che Agostino nel testo elenca tutta una serie di beni diversi come la generazione, la fraterna societas, la subordinazione del l’incontinenza, la fedeltà reciproca tra i coniugi, il bonum sacramenti ecc., pensa che l’intera questione possa essere sistematizzata distinguendo tra il fine del matrimonio in quanto tale, cioè il finis operis, che sarebbe oggettivamente la generazione della prole, ed ifines operantis, cioè i beni che soggettivamente il contraente viene ad affermare nell’unione coniugale (47).

    Questa distinzione tra il fine e i beni non contraddirebbe, dice il Pereira, che si diano matrimoni anche là dove vi sia una decisione mutua di continenza, oppure una sterilità naturale, o l’anzianità dei coniugi. Basterebbe infatti distinguere in un secondo momento tra essenza e fine del matrimonio. L’essenza verrebbe a consistere nello scambio vicendevole dei diritti sul corpo, per cui il contratto matrimoniale verrebbe immediatamente a sussistere; il fine invece consisterebbe nella generazione della prole ottenuta avvalendosi del diritto intrinseco alla definizione del l’essenza (diritto di cui ci si può anche non avvalere) (49).

    La posizione del Pereira ha sortito in tempi recenti due effetti. Da una parte ha stimolato la pedissequa imitazione dall’altra ha finito per favorire quella che, a nostro avviso, può essere qualificata come l’interpretazione dualistica di Agostino con conseguenze incalcolabili per la comprensione della sua etica sessuale. Alcuni autori (50), infatti, dalla distinzione tra il fine e i beni del matrimonio hanno inferito l’incapacità di mediare, da parte di Agostino, tra la linea procreazionistica (il bonum prolis che diventerebbe il fine intrinseco del matrimonio) e l’istanza spirituale (il bonum fidei e il bonum sacramenti). Il dualismo avrebbe in ogni caso un risvolto pessimistico agli effetti dell’etica sessuale, inquantoché Agostino oscillerebbe, senza alcuna possibilità di risolvere la tensione, tra un polo angelicato (il bonum sacramenti), e uno biologistico in cui il matrimonio sarebbe costituito essenzialmente da un atto della natura (il bonum prolis), cioè conforme all’ordine della natura (51). 

    A nostro avviso, non dovrebbe essere difficile cogliere nella distinzione su affermata un equivoco di fondo. A parte il fatto che risulta strano poter distinguere l’essenza di un atto dal suo fine (52), si deve considerare che la distinzione tra beni e fine deriva dalla sovrapposizione di un criterio moderno esistenzialistico e finalistico (i motivi per cui un uomo e una donna desiderano sposarsi) sullo schema di Agostino che è di ordine morale-ontologico (indicare i beni per cui ilmatrimonio è buono). 

    A questo punto, allora, se si scarta, perché senza fondamento nei testi (53) una scissione così radicale tra il fine (la propagazione della prole) ed i beni (fedeltà, indissolubilità, unione d’amore ecc.), ci si può chiedere se Agostino, nel momento in cui considera il matrimonio nel suo aspetto oggettivo, non lascia spazio ad una considerazione della realtà matrimoniale sul versante soggettivo, cioè a partire dalle intenzioni dei contraenti (tra queste, non ultima, quella dell’unione affettivo-sessuale). 

    In questo caso, nel caso cioè che Agostino direttamente o indirettamente (per la logica delle affermazioni o per la logica interna dei principi) desse spazio all’intenzione dei contraenti (e questo potrebbe avvenire con una valutazione positiva della sessualità), si chiarirebbero almeno due aspetti: il primo, che il completa mento sessuale della coppia non è secondario o accidentale rispetto agli altri bona coniugalia; il secondo, che il completamento sessuale, per essere lecito, non deve isolarsi nel proprio «interesse» soggettivo di godimento. 

    Perché sia possibile, però, sapere se Agostino dà spazio alla sessualità umana, bisogna rispondere anzitutto alle domande che ci facevamo all’inizio: il peso indubitabilmente accordato dal santo al bonum prolisnon è tale da fargli ridurre il matrimonio al solo aspetto procreazionistico? Oppure è possibile dimensionare questa accentuazione situandola storicamente a raffronto di altre costanti della sua dottrina? A questi interrogativi adesso dobbiamo aggiungerne un altro: dove e in quale punto, durante l’arco della sua produzione, Agostino tradisce una considerazione positiva non solo della sessualità, ma addirittura delladelectatio ad essa congiunta? 

    Risponderemo a queste domande seguendo questa successione: i limiti del procreazionismo agostiniano, i rapporti tra la sua concezione del matrimonio e la dottrina escatologica ed ascetica, il tema della bontà della creazione, del corpo e della sensibilità, la controversia con Giuliano di Eclana sul malum concupiscentiae, la valutazione positiva del sesso e del piacere coitale, la dottrina del peccato originale e del matrimonio nel paradiso terrestre.

Agostino e la tradizione procreazionistica

    Per misurare convenientemente la distanza che separa Agostino dagli altri padri della chiesa sul tema dell’etica sessuale, bisogna ricordare preliminarmente i comprimari storici della dottrina matrimoniale cristiana. Il primo di essi è la dottrina stoica. È noto a tutti, e i testi di Musonio, Epitteto, Seneca lo dimostrano (54), come gli stoici, dal dovere di vivere conforme alla natura, abbiano desunto l’obbligo di prendere moglie solo per generare i figli. Anche la comunione delle donne da essi ammessa non viene a contraddire la spinta fisicista in quanto lo «sposare» non implica necessariamente l’indissolubilità, bensì il solo procreazionismo (55). Oltre allo stoicismo, anche il diritto romano gioca un suo ruolo nella formazione di una teologia del matrimonio con la celebre formula del liberorum procreandorum causa(56). La riforma matrimoniale augustea aveva sottolineato soprattutto nel matrimonio lo scopo della generazione dei figli nel momento stesso in cui aveva definito la sposa come uxor liberorum quaerendorum (procreandorum) causa (57). 

    Se noi passiamo in rassegna i giudizi dei padri sul matrimonio, il quadro si completa. Atenagora (58), Giustino (59), Minucio Felice (60), Clemente di Alessandria (61), Lattanzio (62), Tertulliano (63), lo stesso Origene (64), Gerolamo (65), sono concordi nell’affermare che ogni atto coniugale si giustifica solo se ha per fine la generazione. Solo il Crisostomo sembra dotato di maggiore sensibilità per il fattore unitivo, quando afferma che il coito è lecito anche nei casi di sterilità e durante il periodo di gestazione (66). Origene, Metodio d’Olimpo, Tertulliano (autore tra l’altro della formula del matrimonio come remedium concupiscentiae) vedono nel matrimonio una concessione (67). Gerolamo, nel suo trattato Adversus Jovinianum, dopo aver dichiarato che le relazioni coniugali sono un male tollerato, afferma che il matrimonio ha fatto la sua apparizione solo dopo la caduta e la cacciata dal Paradiso (68). Anche Gregorio di Nissa vede nella bisessualità e nel matrimonio una conseguenza della caduta e un rimedio alla mortalità (69). Con lui sant’Ambrogio (70) e Giovanni Crisostomo (71) affermano che prima della caduta non vi erano nel Paradiso rapporti sessuali. L’assenza della passione nel matrimonio (della passione vista come il segno di un amore egoista) è raccomandata dalla letteratura cristiana primitiva: ne parlano Ignazio d’Antiochia, Clemente d’Alessandria, Origene (72). 

    Lo Stlizenberger, dopo aver raccolto una serie di testimonianze sulla linea procreazionistica dei padri da Aristide a Gerolamo, ha riassunto molto icasticamente la situazione con queste parole: « La Rivelazione, né negli evangeli, né nelle lettere degli apostoli, né in alcuno scritto del Vecchio o del Nuovo Testamento, ha mai espresso in qualche parte che le relazioni sessuali nel matrimonio sono permesse solo in vista della generazione della prole. Anzi Paolo ha spesso sottolineato il carattere e lo scopo del matrimonio nell’essere un aiuto contro la concupiscenza» (73). Nella misura in cui gli scrittori ecclesiastici rigettano l’assunto paolino ed affermano che il matrimonio ha il suo fine essenzialmente nella generazione, essi sono debitori al rigorismo che ha la sua fonte nella Stoa (74). 

    In Agostino, che però significativamente lo Stelzenberger esclude dalla linea fisicista (75), esiste tutta una serie di testi da cui parrebbe evidente l’accentuazione stoica o comunque proveniente dal diritto romano. Nel De moribus ecclesiae catholicae, scritto nel 388, dopo essersi scagliato contro i manichei che ritenevano obbligatoria l’astinenza per i perfetti, ma ammettevano il commercio sessuale per i catecumeni, purché senza generazione, Agostino enuncia: «Ma le nozze, come affermano le stesse tavole nuziali, uniscono l’uomo e la donna in vista della generazione del figli; chiunque dicesse che il procreare figli è un peccato più grave dell’unione sessuale di per se stessa, finisce per vietare le nozze... Là dove c’è una moglie vuol dire che esiste un matrimonio; ma il matrimonio non sussiste più quando si impedisce alla donna di essere madre e di conseguenza di essere moglie» (76). 

    Nel De continentia, dell'anno 395, ricorda che la concupiscenza può essere controllata dalla continenza coniugale in modo tale che l’appetito carnale trovi il suo limite o nel diritto del congiunto a reclamare il debito o nella procreazione della prole che fu «la ragione unica» del matrimonio dei patriarchi, matrimonio indicato a modello dell’unione coniugale cristiana (77). Nel Contra Faustum il riferimento esclusivo al bonum prolis ritorna prepotente: «Inoltre voi (i manichei) detestate soprattutto quel tipo di unione che e l’unica ad essere onesta e da coniugi, e che le tavole matrimoniali indicano ad alta voce come esemplare, quel la in vista della generazione dei figli; cosicché si può dire che non è tanto il concubito che voi proibite, ma le nozze. Infatti si giace anche a causa della libidine, ma ci si sposa soltanto per avere figli» (78). Questo testo antimanicheo del 397-398 ha altri passi paralleli (79). 

    Nel Sermo 51 il motivo delle tabulae nuptiales che prescrivono il limite entro il quale deve collocarsi il matrimonio si trova situato accanto ad una dichiarazione di principio: «Amate le vostre mogli, ma amatele castamente. Assolvete il dovere coniugale con l’intenzione di avere figli. E poiché non è possibile averli altrimenti, con dolore venite a quello. Esso infatti è la pena di quel l’Adamo dal quale siamo discesi» (80). 

     I testi del De bono coniugali meritano un’attenzione speciale. Il santo si è sforzato di sistematizzare il suo pensiero sui tria bona coniugalia. Anche qui il bonum prolis sembra avere una speciale preminenza. Anzitutto lo dice il consenso delle genti: «Per la verità, in tutte le nazioni il matrimonio ha lo stesso fine: la procreazione dei figli. E per quanto i figli possano tralignare o crescere onestamente, nondimeno il matrimonio è stato istituito per metterli al mondo regolarmente e secondo morale».

    Poi vi è la prova scritturale costituita dal matrimonio dei patriarchi i quali accettarono di essere poligami per nessuna altra ragione che in vista della prole. Infine lo dice la definizione stessa del matrimonio incolpevole, che è solo quello che ha per fine la generazione: «Concubitus enim necessarius causa generandi, inculpabilis et solus ipse nuptialis est» (81). 

    Anche le opere successive al De bono coniugalisembrano inserirsi in questa linea che riduce il matrimonio a una macchina per fare figli (82). Si possono ricordare il De peccatorum meritis et remissione, dell’anno 411, dove è scritto: «Il bene del matrimonio, dunque, non sta nella brama della concupiscenza, bensì piuttosto in una certa moderazione lecita ed onesta di quel fervore in modo tale che esso venga finalizzato alla propagazione della prole e non al soddisfacimento della libidine... Quando ci si astiene dalie corruzioni carnali e si permette l’uso della concupiscenza per la sola propagazione ordinata di rinforzi al genere umano allora ci troviamo di fronte al bene del matrimonio, bene in virtù del quale l’uomo nasce in una società ordinata» (83). E ancora si può ricordare il De bono viduitatis del 414: «L’Apostolo quando dice: parlo concedendo un perdono, non imponendo un comando, non sta discorrendo del matrimonio, che viene contratto in vista della procreazione dei figli... ma di quell’uso smodato della carne che ha la sua causa nella debolezza dei coniugi e la sua discolpa proprio per l’intervento del bene delle nozze» (84). 

    Oppure il De coniugiis adulterinis: «La generazione dei figli, dunque, è la prima e naturale e legittima causa delle nozze; ragion per cui coloro che s’uniscono in matrimonio a causa dell’incontinenza non hanno da mitigare il loro male in modo tale da distruggere il bene nuziale, cioè la generazione dei figli» (85) o infine tutta una serie di testi tratti dal libro IX del De Genesi ad litteram, scritto tra il 401 e il 414, che descrivono la presenza della donna nel Paradiso come puro adiutoriumdell’uomo nell’opera della generazione dei figli: «Ma se ci si chiede a qual fine occorra questo aiuto, si troverà che non occorre per nient’altro che per la procreazione dei figli, così come la terra è un aiuto al seme perché dall’unione di entrambi nasca il virgulto».

    La controversia pelagiana, salvo qualche sporadico accenno (87), sembra mettere in sordina il biologismo agostiniano; i passi tuttavia che se ne possono trarre non contraddicono la linea fin qui emersa. 
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi
È Lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri.. Ef 4,11
 
*****************************************
Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra | Regolamento | Privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 09:42. Versione: Stampabile | Mobile - © 2000-2024 www.freeforumzone.com