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L'EVOLUZIONE ALL'ESAME DI STUDIOSI CATTOLICI

Ultimo Aggiornamento: 29/04/2017 19:57
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01/05/2013 18:15
 
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IL SINANTHROPUS 
 
Il cugino del Sinantropo. - Teilhard de Ch. chiama il Sinanthropus (dal lat. «sina, della Cina» e dal gr. «anthropos, uomo») «cugino dell'Uomo di Giava» (L'App. de l'H., 146). Prima di parlare del Sinantropo non ci sta male dunque una parolina sul suo «cugino». Questo altro tipo di fossile, antecedentemente scoperto dal naturalista olandese Eugène Dubois nell'isola di Giava tra il 1890 e il 1897, è stato chiamato da tale naturalista stessoPithecantropus (dal gr. «pithekos, scimmia - anthropos, uomoerectus, essendo così vicino all'uomo da averne la posizione eretta

Tale nome il Dubois lo prese dall'Haeckel, che ne aveva ipotizzata l'esistenza come forma evolutiva, prossima al vero uomo. Il Dubois pretese d'identificarlo e descriverlo in base a una piccola calotta cranica a cui egli attribuì una cubatura intermedia tra quelle delle scimmie e dell'uomo, e a un femore certamente umano, che egli attribuì al medesimo individuo (che doveva avere quindi la posizione eretta).
 
Ma questa attribuzione dei due reperti al medesimo individuo è arbitraria ed è da quasi tutti i paleontologi oggi negata. Tali reperti infatti non solo furono trovati a 15 m. di distanza tra loro ma, inoltre, come osserva l'antropologo evoluzionista V. Marcozzi, quell'ipotetico individuo sarebbe stato «un autentico mostro... di m. 1,75 circa (in base alla lunghezza del femore) e dalla testa piccolissima: un vero gigante microcefalo, che non avrebbe trovato posto in nessun phylum evolutivo umano» (L'evoluzione oggi, 120). Tutto suggerisce quindi che il femore appartenga a forme fossili certo umane, assai più recenti, come altre trovate in seguito nella stessa isola. 
 
Tale ipotetica scoperta del Dubois perde d'altra parte ogni peso scientifico alla luce del contesto storico della scoperta stessa. Basta tenere presenti l'essenziale disparità dell'opinione dei paleontologi, il ripetuto cambiamento di parere del Dubois stesso (cfr. Enc. Treccani, XXVI, 6 ss.), la sua volontà preconcetta di trovare ad ogni costo l'anello evolutivo scimmia-uomo, l'avere egli nascosto per trenta anni un contemporaneo ritrovamento di due crani di capacità normalmente umana, l'avere ammesso, alla fine, che il pezzo di cranio in esame era di un gibbone, il giudizio scritto dal dotto R. Thompson (nella prefazione dell'Edizione Everiman's dell'Origin of species di Darwin) sull'Uomo di Giava, come di una evidente frode. 

Il credulismo paleontologico del Teilhard, già manifestatosi per il falso di Piltdown, ricompare però anche qui. Egli si limita solo ad ammettere delle incertezze sui ritrovamenti del Dubois, incertezze, però che ritiene risolte da altri rinvenimenti del 1935, nella stessa isola (compiuti dal Koenigswald). Ma, in realtà, questi ultimi sono dei crani tanto rotti da rendere incertissime le misure. Per il T. invece, appena compiuti tali altri rinvenimenti... «sprizzò il raggio della luce» (L'App. de l' H., 175)! 
 
Il Sinantropo. - Solo il Sinantropo resta, in definitiva, il ritrovamento che potrebbe sembrare veramente serio. Esso è stato forse anche il più studiato. Le opinioni degli autori concordano in gran maggioranza «nel considerare questo Primate un Uomo, dai caratteri estremamente primitivi e inferiori» (così V. Marcozzi in L'evoluzione oggi, 1966, p. 115, aderendo a tale maggioranza di studiosi; l'anno dopo però in Civiltà Catt. del 10 luglio 1967, scrive che «i pezzi osteologici che rappresentano il Sinantropo non differiscono da quelli dei babbuini», p. 60). 

Teilhard de Ch. ha legato la sua gloria di paleontologo alla scoperta del Sinantropo, partecipando alle ricerche di Choukoutien, presso Pechino (1927-1939), benché in qualità di osservatore non ufficiale. In tali ricerche egli manifestò però purtroppo la consueta assolutezza superficiale. 

Ecco i fatti molto significativi. Si tenga presente che si tratta forse del più importante argomento della paleontologia in favore della produzione evolutiva dell'uomo. Secondo il T., Choukoutien costituisce «la più importante accumulazione di depositi archeologici giammai rimossi per la preistoria» e il Sinantropo è «uno degli uomini fossili attualmente (1937) meglio identificati dalla paleontologia umana» (L'App. de l'H., 123, 127). Più sicuro di così! 
Volendo entrare brevemente e imparzialmente in merito alla clamorosa scoperta, bisogna porre essenzialmente il doppio problema: quello dell'età geologica dei frammenti fossili degli oltre 30 individui disseppelliti dalla cava di C. e quello della loro natura. Il primo problema non presenta eccessive difficoltà e si può accettare la soluzione orientativa, che porterebbe l'antichità dei reperti all'ordine di centinaia di migliaia di anni (T., L'App. de l'H., 141).

Il secondo problema è quello decisivo. Esso si apre alla doppia soluzione: o gibboni e macachi, o individui intelligenti, di forme primitive, in effettiva evoluzione verso le attuali.

La seconda soluzione, evoluzionista, è totalmente condizionata, a sua volta, alla doppia prova sperimentale della cubatura cerebrale intermedia tra le scimmie e l'uomo attuale, e dei segni di attività operative intelligenti, come quella, decisiva, dell'uso del fuoco. 

Quanto alla cubatura cerebrale, essa viene effettivamente presentata dai difensori del Sinantropo come intermedia; ma tale opinione è espressa in un contesto critico che ne infirma ogni sicurezza scientifica. 

Si rifletta infatti imparzialmente ai seguenti dati obiettivi. Tale valutazione poggia fondamentalmente sull'autorità del primo capo della spedizione scientifica, il giovane medico e biologo canadese dotto Davidson Black, professore di anatomia nel collegio medico di Pechino. Egli si era già impaniato nello studio del falso cranio di Piltdown. Egli era tanto preso dalla brama di trovare la nuova specie uomo-scimmia, che ebbe il coraggio di dichiararla già provata in base al ritrovamento di un solo dente (1927: Paleontologia sinica). Egli finalmente trovò, non si sa bene se un intero cranio o la sola calotta.

E qui proprio il terreno diventa sempre più infido. Questo reperto originale (come quelli di tutti gli altri individui, poi trovati, quali pretesi Sinantropi) è, a un certo punto, misteriosamente sparito, e le misure sono state prese non sull'originale e nemmeno su calco, ma su un modello artificiale, fatto dal Black stesso.

Di questa totale sparizione degli originali è stata data l'insostenibile spiegazione che li avrebbero portati via i giapponesi (e la nave sarebbe affondata). Si sa invece che durante l'occupazione militare giapponese i lavori di ricerca fossile proseguirono senza ostacoli; alla resa poi (1945) i giapponesi non erano più in grado di compiere tale trafugamento. Quanta garanzia, a sua volta, possa dare, circa l'autenticità dei reperti e contro l'ipotesi d'una distruzione dolosa degli originali, il paleontologo cinese dotto Pei Wen-Chung che sorvegliò gli scavi anche sotto il regime comunista, può capirlo chi conosce il totale asservimento, in quel paese, di ogni attività anche scientifica alla propaganda comunista, per la cui ideologia l'evoluzionismo è un dogma (a differenza del cattolicesimo, che invece è libero o di respingerlo o di accettarlo moderatamente). 

I motivi che infirmano la sicurezza delle misure del Black si moltiplicano poi da ogni lato. Egli non segna nel suo modello un grosso buco, che era stato caratteristicamente notato dagli osservatori su tutti gli originali. I calcoli della capacità - sempre compiuti sul modello artificiale - oscillano tranquillamente dai 960 cc. del Black ai 915 del suo successore Weidenreich e agli oltre 1000 del T. (L'App. de l'H., 127). Tutt'e tre le misure contrastano anche nettamente con la valutazione della capacità stessa, compiuta a occhio dal T. sull'originale (poi sparito), secondo il quale essa era: «probabilmente piccola a causa delle dimensioni relati­vamente piccole del cranio e del considerevole spessore delle ossa parietali» (ivi, 92); «rassomiglia da vicino alle grosse scimmie» (Anthropologie, 1931). 

Quanto a H. Breuil, dopo un accurato sopraluogo egli espresse fortissime obiezioni contro quella interpretazione dei reperti (Anthropologie, marzo 1932). Il grande M. Boule, anch'egli recatosi là, chiamò anzi quella interpretazione una «fantastica ipotesi», opinando che quei crani appartenevano invece a qualche specie di grosse scimmie, colpite, come altra selvaggina trovata associata negli scavi, dal cacciatore uomo. Quest'ultima interpretazione risulta confermata dalla notizia data dal Boule stesso, che tutti quei crani avevano il suddetto buco all'occipite, probabilmente per estrarne il gustoso cervello, e che la morte era stata prodotta con un colpo contundente alla testa, rivelato dall'esame dei fossili (Anthropologie, 1937, p. 21). 

Va infine notato che il dott. Black, compiuto il modello della testa, lavorò anche al modello della mandibola e ne plasmò due, una di giovane e una di adulto, vantandone la sorprendente rassomiglianza con le mandibole umane. Ma il successore Weidenreich trovò che quella di adulto derivava dalla riunione di due eterogenee porzioni, una di giovane e una di adulto (Vallois, Les Hommes Fossiles, 1952, p. 141 s.). 

Ma il più grave indice d'una orchestrazione preconcetta degli scavi, in cui si lasciò coinvolgere più o meno consapevolmente anche il T., riguarda l'imbarazzante ritrovamento, insieme ai suddetti fossili, di altri fossili chiaramente appartenenti all'attuale specie umana, ritrovamento che costituì una clamorosa conferma della interpretazione del Boule, che cioè quei crani col buco erano di bestie uccise da uomini. La notizia della scoperta, fatta dal dott. Pei, fu così precisata dal T., in un articolo subito mandato allaRevue des Questions Scientifiques (1934): «Dell'Uomo - un vero Homo sapiens - sono stati raccolti: tre crani di adulti, assolutamente completi... ecc. » (L'App. de l'H., 107). Tali fossili di attuali uomini salirono poi a dieci. La notizia fu ampiamente confermata in seguito e corredata di fotografie dal Weidenreich, in Paleontologia sinica (1939); il medesimo ne parlò anche all'Università di California in una conferenza del 1945 (Apes, Giants and Men, 86). Anche il Pei lo affermò ufficialmente in un articolo conclusivo, nel 1954 (cfr. L'App. de l'H., Nota dell'Editore, 145 s.).
 
Nel darne per primo notizia, T. credette di eludere le imbarazzanti conseguenze del ritrovamento - che avvalora decisamente la tesi del Boule - distinguendo nettamente le zone e i tempi geologici del ritrovamento dei Sinantropi e del ritrovamento di questi fossili umani. Questi ultimi sarebbero stati trovati - dice il T. - in quella che egli chiama «caverna superiore», la quale sarebbe molto più recente (L'App. de l'H., 106 ss.). 

Ma è una distinzione che sa di netta forzatura. Weidenreich infatti, che diresse i lavori dal 1930 al 1940 esclude l'esistenza di particolari «caverne» naturali a qualsiasi livello. T. stesso, nel descrivere le differenze materiali e strutturali di questi depositi superiori rispetto a quelli inferiori che egli definisce più antichi, enuncia diversità di nessun rilievo, eccetto l'ovvia minore compressione del materiale della zona superiore per naturale effetto della minore altezza (e quindi minor peso) del terreno sovrastante; e conclude la sua analisi geologica con espressioni vaghe come queste: «hanno l'aria decisamente più giovane» (ivi 106), «natura relativamente fresca dei depositi» (ivi 108); anzi si contraddice, parlando, in seguito, unitariamente, di tutto il luogo degli scavi, che corrisponde «a un'antica caverna [vedremo: cava]... simultaneamente... colmata, per disgregazione continua della volta» (ivi 124: anno 1937); quando dà poi la sezione del terreno, afferma che i Sinantropi sono stati rinvenuti in tutta l'altezza di quella collina di cinquanta metri, in cima alla quale è segnata quella sacca che sarebbe dovuta essere più recente, mentre essa è in piena continuità con gli strati inferiori, e un resto di Sinantropo è segnato proprio presso la superficie, accanto alla sacca (ivi 126: anno 1937; 140: anno 1943); né mancano anche nella sacca le caratteristiche ceneri, di cui parlerò (ivi 107).

Le personalità ufficiali furono più prudenti. Il dottor Pei, e l'allora sovrintendente Weidenreich, non parlarono degli imbarazzanti ritrovamenti di quei fossili di uomini moderni. Il Weidenreich tacque su di essi per ben cinque anni, decidendosi a darne notizia solo nel 1939 (nella succitata Paleontologia Sinica) e poi ancora in seguito. Sarebbe stato invece leale e ovvio di comunicare subito a tutti quell'inaspettato colpo di scena.

In questo frattempo però T. sembra essersi pentito della comunicazione data per primo, nel 1934, di quei ritrovamenti sconcertanti di resti umani pienamente maturi. Certo si ha la pena di rilevare il suo inqualificabile totale silenzio su di essi, in un articolo riassuntivo di tutta la questione del Sinantropo, del 1937 (L'App. de l'H., 121-131). Scrivendo infine sull'argomento nuovamente e ampiamente, nel 1943 egli ancora omette di ricordare quei fatti, contentandosi di farne un fugace cenno solo nella leggenda della figura di tutti gli strati fossili di Choukoutien (ivi 140). 

Le cose poi si complicano ulteriormente. E' in questo equivoco contesto storico scientifico che, in quell'articolo riassuntivo del 1937, il T. annuncia il ritrovamento di altri tre crani di Sinantropo nel 1936 (ivi 126, 129). L'annuncio è dato anche dal Weidenreich, nello stesso 1937, in Nature. (Mentre però T. parla di crani «quasi interi», eccetto la «faccia incompleta», il W. ne pubblica le fotografie in cui li mostra incompleti: altro saggio di inesattezza). Ma frattanto il W. seguita a tacere (fino al 1939) circa i ritrovamenti dei crani di attuali uomini, nella sacca superiore, già avvenuta nel 1934. 

E' precisamente su uno di tali altri tre cani di presunti Sinantropi, del 1936 (dal più grande, di 1200 cc.: cubatura di tipo umano) che il W. fece il suo modello di cranio di donna, mentre, d'altra parte, come si sa, questi tre crani e tutti gli altri originali sono spariti.

Tenendo pertanto presente che dalla sacca superiore venivano intanto estratti quei fossili della specie umana matura - di cui Pei e W. avevano continuato a tacere e di cui T. aveva accuratamente cessato di parlare sorge il fondato dubbio che quegli altri tre craniappartengano a quella stessa specie pienamente umana.

Comunque, in tale contesto, non è possibile attribuire sicurezza scientifica a tali pretesi ritrovamenti. 

V'è poi, se si ricorda, il secondo problema, cioè la prova dell'uso del fuoco e della presenza di manufatti come segno d'intelligenza di quel presunti pre-uomini (L'App. de l'H., 146 nota). 

Con sorprendente semplicità T. addita tale prova nei pochi utensili trovati, nelle pietre rozzamente squadrate e nelle tracce di fuoco. Ma è una semplicità che sembra animata da un partito preso, cioè dalla brama di aver trovato un pre-uomo intelligente, ma tanto primitivo da non aver lasciato che segni primordialissimi di attività umane. Nelle ripetute descrizioni che T. fa degli scavi, negli anni 1930, 1934, 1937, 1943, prima egli ignora le tracce di fuoco e poi tende a ridurre il più possibile la misura di esse e delle altre testimonianze di attività intelligenti (cfr. L'App. de l'H., 90, 106, 126, 145).

Anche il cinese Pei, in un articolo del 1954, volutamente parla solo di «tracce di fuoco». 

Invece, come risulta dalle ampie descrizioni degli altri scienziati, a cominciare da quella inAnthropologie (marzo 1932) del Breuil, grande conoscitore dell'età paleolitica, a Choukoutien furono trovate molte centinaia di pietre di quarzo, ivi trasportate da altro luogo, con strati di fuligine da un lato, che dovevano essere servite per costruire fornaci, ed enormi mucchi di ceneri. Vi era stata quindi, anziché un'attività primordiale, una grandiosa cava e una grande industria di fabbricazione di calce dalle pietre calcaree ivi esistenti. Gli enormi mucchi di cenere trovati si spiegano con l'uso di alimentare le fornaci con paglie, canne ecc. Probabilmente il materiale serviva per la vicina capitale mongola Khanbalik, divenuta poi Pechino. Tutto ciò suppone un'età molto più tarda del paleolitico e un pieno sviluppo umano. 

Quei resti fossili della zona superiore, pienamente umani, erano dunque, molto probabilmente, di artigiani; gli altri crani più piccoli, colpiti con un mezzo contundente, erano con ogni probabilità di grosse scimmie, cadute sotto i colpi di quelli. Traverso il famoso foro trovato in quei crani i cacciatori molto probabilmente estraevano il prelibato cervello. 

E' ciò che aveva supposto il grande M. Baule, già nel 1937 (Anthropologie, 21), prima ancora della comunicazione ufficiale del ritrovamento dei crani pienamente umani nella zona superiore (1939). Non era, in fondo, che la supposizione del buon senso e della vera imparzialità scientifica. 

Così il Boule: «Contro questa fantastica ipotesi che i proprietari dei crani simili a quelli delle scimmie fossero gli autori di quella industria grandiosa, io mi permetto di proferire un'opinione più conforme alle conclusioni derivate dai miei studi, che cioè il cacciatore (che ruppe i crani) era un vero uomo, e che le pietre tagliate ecc., erano opera sua».

Il Sinantropo molto probabilmente resta solo nella fantasia. 
 
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