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L'EVOLUZIONE ALL'ESAME DI STUDIOSI CATTOLICI

Ultimo Aggiornamento: 29/04/2017 19:57
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01/05/2013 18:11
 
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GENERAZIONE CHIMICA DELLA VITA? 
 
Ecco come Epoca della fine di dicembre 67 ha presentato - nella solenne rubrica «Italia domanda» - quello che qualcuno ha definito l'avvenimento più importante del 1967, ossia la riproduzione chimica dell'acido desossiribonttcleico (DNA) compiuta dai dottori Meahran Goulian della università di Chicago, Robert Giusheimer e Arthur Kornberg (premio Nobel per la medicina nel 1959) direttore dell'Istituto di biochimica della Università di Stanford: «Si negava sperimentalmente che la vita potesse avere una creazione spontanea dovuta a semplici fenomeni chimici. Invece l'altro giorno quella creazione è avvenuta nelle provette di quel laboratorio americano. E' come se si fosse andati dal farmacista, si fossero comprati i soliti intrugli... si fossero messi in un bicchiere e mescolati, agitati, riscaldati, raffreddati, pasticciati in vari modi; poi in fondo al bicchiere fosse apparso qualche cosa che si muoveva, poi si metteva a fare figli, ed era la vita».
 
La produzione sintetica del DNA è senza dubbio una grandissima conquista della scienza. Ma la interpretazione datane da molti è un grossolano equivoco, come tra poco mostrerò.
 
Giustamente il predetto articolista, partendo dalla sua errata comprensione del fatto, parla di creazione spontanea. Sarebbe in realtà - con tale interpretazione - provata sperimentalmente la famosa generazione spontanea della vita, secondo cui la natura avrebbe da sé, nel corso della sua evoluzione, sprigionato la vita. Infatti, come per pura azione chimica si sarebbe prodotta in laboratorio la vita, così particolari condizioni ambientali naturali avrebbero potuto produrre le stesse interazioni chimiche, ottenendo gli stessi effetti. 
 
Il miraggio della generazione spontanea. - Prima di entrare in merito a questo risultato di laboratorio, conviene ripensare un momento, in generale, secondo il profilo storico, al grande problema dell'origine della vita. 

Si sarebbe dunque tornati, secondo questi commentatori, alla vecchia teoria, già rigettata dalla scienza, dello spontaneo sgorgare della vita dalla materia, come agli antichi sembrava suggerito dalla immediata osservazione. Al tempo di Aristotele (IV s. a. C.), quando la meditazione filosofica era profonda, ma la scienza sperimentale della natura era semplicetta, si riteneva che i vermi sgorgassero dalle sostanze inorganiche, le anguille dal fango, ecc. perché si vedevano infatti venir fuori da lì. S. Tommaso e tutto il Medio Evo seguitarono a credere che gli animali inferiori nascessero dalle sostanze putrefatte (salvando tuttavia la coerenza filosofica, ossia la proporzione tra causa ed effetto, supponendo che tali generazioni avvenissero in grazia di misteriosi influssi di entità superiori, motrici dei corpi celesti). Shakespeare, nell'Enrico IV, fa trovare a un suo personaggio l'origine di certi insetti nella segatura.
 
Ma finalmente Francesco Redi (1668) fece crollare quella supposta generazione spontanea per gli insetti, osservando che le mosche non nascono dalla carne putrefatta, ma dalle loro uova ivi deposte; Lazzaro Spallanzani (1748) provò la non generazione spontanea per gli infusori; Luigi Pasteur (1861) l'escluse anche per i batteri. Le sostanze organiche sterilizzate che servirono al Pasteur per provare la non spontanea generazione dei batteri, credo che siano conservate, opportunamente isolate, ancora incorrotte al Museo di Parigi. 
 
Naturalmente per gli evoluzionisti materialisti lo spontaneo superamento da parte della materia del gradino della vita viene ad essere, invece, un postulato assoluto, una tesi necessaria, antecedentemente a qualsiasi prova. Pensarono che la generazione spontanea sarà potuta avvenire in speciali e non più ripetute condizioni ambientali naturali e supposero che tali condizioni poterono forse trovarsi in fondo ai mari. Nel 1868 si ebbe un colpo di scena nella scoperta fatta da Tommaso Huxley scandagliando alle profondità dai 4 agli 8.000 metri di una sostanza colloidale, gelatinosa, trasparente, con lenti movimenti. 

Il grande zoologo la interpretò come il primo formarsi della materia vivente. Egli la chiamò, in onore del famoso suo collega tedesco, grande - e addirittura fanatico - apostolo del darwinismo, E. H. Haeckel, Bathybius (dal gr. «bathys - bios, profondo - vita»,: «vivente delle profondità») Haeckelii (di Haeckel). Ma la celebre spedizione oceanografica promossa dalla Royal Society (1872-1876), sul Challenger, comandata da W. Thomson, provò che si trattava di un semplice precipitato colloidale di solfato di calcio, prodottosi per l'aggiunta di alcole all'acqua marina per la conservazione del materiale raccolto. Huxley ne prese atto, ma non così il fervido Haeckel (il cui ardore evoluzionista ebbe un famoso e penoso sigillo di slealtà scientifica, quando egli ritoccò artificiosamente certi schemi e fotografie embriologiche sperimentali), che seguitò a insistervi e a costruirvi sopra un vero romanzo scientifico. 

Inutile infine fermarsi sui giocherelli di artificiale vitalità (1910-1912) di S. Leduc, i cui apparenti semi di gelatina, solfato di rame e zucchero, gettati in soluzione di gelatina e ferrocianuro di potassio, emisero delle specie di radici foglie e fronde come una vera piantina. Non si trattava che di un semplicissimo effetto fisico di osmosi progressiva e di pura incorporazione della soluzione, senza alcuna trasformazione e assimilazione di sostanza. 
 
Il segreto del DNA naturale. - Avviciniamoci ora al famoso DNA e ai moderni esperimenti. 

Non sarebbe credibile, se non fosse vera, la confusione delle valutazioni. Le suddette affermazioni di Epoca ne sono un bel saggio.
 
Do prima qualche spiegazione per i meno informati. La sigla DNA con cui si indica l'acido desossiribo-nucleico è formata dalle iniziali di queste tre parole (lette, a modo inglese, conacido al terzo posto). Tale acido è detto nucleico perché si trova prevalentemente neicromosomi e geni dei nuclei delle cellule (da dove fu isolato per la prima volta dal fisiologo J. F. Miescher nel 1868), ma si trova anche fuori del nucleo, nel citoplasma cellulare, nelle cellule batteriche senza nucleo differenziato e nei virus. 

E' detto desossiribo-nucleico dal nome del desossimonosaccaride desossiribosio (cioè:desossi [genato] ribosio) che ne è un costituente fisso e specifico ed è così chiamato perché ottenuto per desossi [dazione] cioè eliminazione di un atomo di ossigeno dal monosaccaride ribosio (il quale è C5-H10-O5). Ma la composizione e strutturazione di questo acido DNA, come risulta dalle brillanti ricerche di J.D. Watson e F. C. Crick (1953) e dalle fotografie del microscopio elettronico, è alquanto complessa. 

Una molecola di DNA è polimera, cioè formata da una ripetizione a catena, strutturata ad elica, di una unità fondamentale costituita da tre elementi: due fissi, il suddettodesossiribosio e un fosfato, e uno variabile, che è sempre una delle quattro basi azotateAdenina, Guanina, Citosina, Timina. L'intera molecola può essere costituita da una lunghissima sequenza di circa 100.000 di queste unità. Il diametro di questa lunga elica è di circa due millesimi di micron (ossia di millesimi di millimetro). Si tratterebbe anzi di una lunga elica doppia, ossia di due specie di costole ad elica che si avvolgono l'una entro il passo dell'altra (come i due fili attorcigliati degli antichi conduttori elettrici). 

Ogni elica è costituita dalla successione del desossiribosio e del fosfato. Le basi azotateinvece si ritiene che siano disposte, due a due, trasversalmente (ossia perpendicolarmente all'asse della doppia elica); ed essendo quelle di ogni coppia legate chimicamente tra di loro e inoltre legate l'una al desossiribosio di una elica e l'altra al desossiribosio dell'altra elica, esse vengono a legare mutuamente le due eliche stesse. La diversa sequenza e struttura di tali coppie di basi azotate crea le innumerevoli diversificazioni del DNA determinanti i diversi caratteri ereditari dei diversi organismi viventi, dai più semplici virus all'uomo e le diversificazioni anatomico-fisiologiche delle singole parti dell'individuo (eufemisticamente si parla di informazione genetica scritta nel DNA). 
 
Questa attribuzione - secondo la concezione oggi prevalente - alla macromolecola del DNA della fondamentale determinazione delle varie strutture e funzioni di tutti gli organismi viventi animali e vegetali costituisce già, secondo alcuni, una ragione per cui il DNA può essere considerato il segreto della vita e la sua produzione in laboratorio la produzione della vita. Un'altra ragione è il suo automoltiplicarsi, che vedremo dopo. 

Ma in realtà già da molti anni i citologi avevano scoperto nei geni dei cromosomi dei nucleicellulari gli elementi determinanti delle strutture viventi capaci di fissarne le caratteristiche specifiche e, nell'individuo, le differenziazioni organiche. 

La scoperta del DNA pertanto non costituisce, a tale riguardo, una essenziale novità.
 
La novità sta ora solo nel fatto di avere scoperto che cromosomi e geni sono essenzialmente fatti di DNA; e siccome si sapeva che variazioni cromosomiche determinano variazioni genetiche, queste debbono dunque corrispondere a variazioni del DNA. 

E' chiaro, d'altra parte, che qualsiasi analisi chimico microscopica, presente o futura, potrà condurre a scoprire strutturazioni sempre Diù intime fisico chimiche della materia vivente, ma non la vita in quanto tale. Si scopriranno cioè sempre meglio i fenomeni fisico chimicicondizionatori e accompagnatori della vita, non - se la vita è veramente su un piano superiore al piano fisico chimico - il mistero intrinseco della vita. 

In un certo senso la vita apparirà anzi più misteriosa e sorprendente. Quando, per es., si è scoperto che dalla posizione di quei determinati atomi della molecola di DNA dipende l'ingranamento di tutta quella serie intermedia di attività fisico-chimico-biologiche, che determineranno tutte le innumerevoli e svariatissime strutture e funzioni organiche delle diversissime specie, resta integro e tanto più sorprendente il mistero del perché e del modo di tale influsso: ed è in questo che consiste precisamente il segreto della vita. Analogamente, nessuno direbbe che avendo scoperto il pulsante che mette in moto una macchina, è spiegata la macchina. 
 
V'è poi l'altra ragione che - secondo alcuni - sembra far risolvere nel DNA la vita: il fatto del suo auto-riprodursi; giacché la riproduzione per generazione è una caratteristica della vita. 

Questo fenomeno è stato scoperto e accuratamente studiato nel batteriofago (dal gr. «baktérion, bastoncino, bacillo - phagos, phagein, mangiare» perché mangia ossia distrugge i bacilli: così chiamato da F. D'Herelle, nel 1917). Esso è un virus parassita del bacillo della dissenteria, capace appunto di moltiplicarsi entro di esso, determinandone la distruzione (come altri batteriofagi sono similmente attivi, distruggendo altri batteri). Il microscopio elettronico ha dimostrato chiaramente che tale virus è corpuscolare ed ha la forma, che è stata fotografata, di una testa o capsulina prismatica con una coda lunga un poco più della capsula (lunghezza complessiva, circa due decimi di micron; lunghezza del bacillo della dissenteria circa un micron). Ebbene, si è ora trovato che il contenuto della capsulina è costituito appunto dal DNA, mentre la membrana è costituita da altri composti proteici. 

Si è potuto seguire il batteriofago in tutte le sue fasi di attività. Esso si attacca con la coda tubulare al batterio e vi scarica dentro il suo contenuto, ossia il suo DNA, restandone fuori solo le spoglie ormai svotale e inerti. Esso è con ciò distrutto comeindividuo batteriofago, non essendo più reperibile né fuori, né dentro il batterio. Il DNA penetrato però modifica profondamente l'attività biologico-chimico-energetica della cellula batterica, facendone cessare la normale crescita e moltiplicazione, mentre opportunienzimi (sostanze chimiche attivizzatrici) vengono sintetizzati dalla cellula stessa per sintetizzare a loro volta, a spese del citoplasma della cellula, sia altro DNA, sul preciso stampo di quello introdotto dal batteriofago, sia altro materiale proteico idoneo a formare la membrana delle capsule e delle code dei nuovi batteriofagi. 

Finalmente nell'interno del batterio si formano le nuove capsule riempite del nuovo DNA, così da comparire (dopo circa 20 minuti) dentro il batterio tanti altri batteriofagi: A questo punto il batterio si squarcia, distruggendosi, ed escono fuori quei nuovi batteriofagi, pronti ad attaccare altri batteri di quella stessa specie. 
 
Questa scoperta suscitò già a suo tempo molto scalpore, come se in laboratorio si fosse assistito allo sprigionarsi spontaneo della vita, rappre­sentata da quei moltiplicati batteriofagi. Ma, in realtà, prima di tutto, è dubbio che i virus siano veramente dei viventi, perché oltre mancare di organizzazione non hanno nemmeno la elementare forma di riproduzione (per accrescimento e scissione) dei batteri: i nuovi individui infatti si formano quando l'individuo invasore è ormai distrutto. Mancano anche della elementare respirazione che hanno i batteri. Uno speciale gioco di pure tensioni fisiche (come nei composti organici in stato cosiddetto di cristallo liquido) e di attività chimiche potrebbe quindi spiegare la moltiplicazione della struttura del DNA nella cellula invasa e di quei nuovi prismetti per involucro. 

Ma supponendo pure che i batteriofagi siano dei viventi elementari, non vi sarebbe stata né alcuna filiazione, essendosi prodotti i nuovi individui dopo la distruzione del padre, né alcuna generazione spontanea dalla materia inerte perché essi non sono che il frutto della vitalità della cellula, giacché solo nel suo interno (come è di tutti i virus) essi si moltiplicano. 
 
Ma ecco che alcuni tendono ad attribuire la vita al puro DNA contenuto nel batteriofago, proprio per il fatto che esso si è identicamente moltiplicato, per riempire poi le teste di quei nuovi batteriofagi; e si è moltiplicato - secondo l'ipotesi di Watson e Crick (1953), brillantemente confermata dalle esperienze di M. Meselson e F. Stahl (1958), proprio perdivisione progressiva lungo l'asse della doppia elica della molecola del DNA, in modo che le due molecole figlie posseggono ciascuna una delle due eliche, mentre l'altra viene formata mediante la sintesi di altro materiale proteico. 

Ma questa sintesi del nuovo DNA naturale, non è che giustapposizione di altro materiale preso dal citoplasma della cellula batterica e fissaggio chimico allo stampo dell'elica preesistente, il tutto sotto l'azione chimica energetica e catalizzatrice degli enzimi cellulari (A. Kornberg). Le nuove sintesi chimiche e il vitale dosaggio di questi enzimi sono puro frutto della vitalità della cellula

La produzione di altro materiale con la corrispondente saldatura chimica secondo lo stampo del precedente DNA mantiene il consueto carattere estrinseco delle attività fisico chimiche, senza l'immanenza della riproduzione vitale, in cui l'individuo maturo dona qualcosa restando se stesso o anche (nel caso infimo della riproduzione per divisione, come nei batteri) quando l'individuo maturo compie il proprio sdoppiamento determinando da se stesso altri due individui completi. 

Qui il processo di replicazione del DNA ricorda solo la replicazione dei cristalli, con l'aggiunta della reazione chimica. 
 
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