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L'EVOLUZIONE ALL'ESAME DI STUDIOSI CATTOLICI

Ultimo Aggiornamento: 29/04/2017 19:57
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01/05/2013 18:08
 
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LA SUGGESTIONE EVOLUZIONISTA


SUPERFICIALITA' E CRITICA EVOLUZIONISTA

PREOCCUPAZIONE APOLOGETICA 

Quando comparvero, l'anno scorso (giugno-luglio 1966), nella Civiltà Cattolica due articoli dell'illustre professore della Università Gregoriana, P. M. Flick, sulle possibili interpretazioni moderne del peccato originale, vi fu meraviglia e alcuni ne trassero scandalo.

Ma invece era evidente, e fu anche spiegato, che lo studio di P.F. era ispirato ad alta preoccupazione apostolica e scientifica, come lo era stato quello, sullo stesso argomento, di altri studiosi cattolici. Davanti, infatti, al generalizzarsi nel campo scientifico dell'ipotesi evoluzionista - largamente penetrata anche tra gli scienziati cattolici - e davanti alla prospettiva di un suo passaggio dal piano dell'ipotesi a quello della tesi sicuramente dimostrata, sorgeva l'opportunità di preparare una possibile conciliazione della sostanza del dogma cattolico con l'evoluzionismo, per non correre il pericolo di sboccare in un infondato dissidio tra scienza e fede e di dover registrare infine una chiara sconfitta. Il dramma di Galileo - dicono - insegni. 

Ciò chiarito, a difesa soprattutto delle nobilissime intenzioni, è lecito tuttavia chiedersi, su un piano metodologico generale, se, criticamente parlando, sia opportuno che, in base a una qualsiasi possibilità del futuro affermarsi d'una tesi scientifica, in contrasto con una classica e autorevole interpretazione teologica, si infirmi quest'ultima. 

E se poi tale tesi scientifica, come sovente è avvenuto, non si affermerà o presto cambierà? Cadremmo nella psicosi del superficiale culto della scienza, ossia, in definitiva, nella leggerezza scientifica. 
 
Il caso di Galileo è assolutamente speciale, e, del resto, inquadrato bene nel contesto storico, non fa fare ai giudici ecclesiastici quella pessima figura che tanti affermano. Fu un fatale infortunio sul lavoro. I giudici, anche se avrebbero potuto essere più prudenti, non si possono propriamente definire imprudenti, visto che si appoggiarono alle generali convinzioni scientifiche del tempo. 

In via ordinaria poi una serena fedeltà a una organica impostazione dottrinale, coerentemente e limpidamente ancorata alla migliore tradizione teologica, non potrà che avvalorare, di fronte ai critici, la tradizione stessa. Né potrà suscitare ragionevole disprezzo un eventuale futuro ripensamento, se e quando sorgerà veramente la luce di contrastanti nuove acquisizioni scientifiche sicure. E' come nelle scienze fisiche. Nessuno disprezza oggi i grandi fisici del passato per il fatto che sono poi venute le diverse nuove acquisizioni della fisica quantistica, ecc. 

Mettere subito, invece, le mani avanti per non cadere, significa farsi imporre la tattica dall'avversario, disorientare i fedeli, e perdere, in definitiva, ancor più, la stima dell'avversario. 
 
UNA MODA DI PENSIERO 
 
Passiamo ora un po' al vaglio critico la fiducia, che sempre più si diffonde, circa la solidità della tesi evoluzionista, o più precisamente del trasformismo delle specie viventi. 

E' veramente fondata, cioè è scientifica, tale fiducia, o non è piuttosto il risultato della pressione psicologica d'una moda di pensiero, di una comoda, ma arbitraria sintesi? Non potrebbe cioè questa rientrare nella «moda» che «fa legge più della verità», per usare un'espressione generale di Paolo VI nel discorso alla riunione plenaria dell'Episcopato Italiano dell'8 aprile 1966? 

Mi riferisco all'evoluzione delle specie viventi, fino alla specie umana. Pur essendovi non trascurabili eccezioni, effettivamente oggi la maggioranza degli scienziati, anche cattolici, è evoluzionista, anche se, in sede di discussione, essi ammettono le difficoltà di tale teoria. Nel piano divulgativo poi l'evoluzionismo è presentato addirittura come un dogma scientifico. 

I cattolici, d'altra parte, sanno che un evoluzionismo finalizzato da Dio, mediante un divino intervento efficiente iniziale (oltre quelli richiesti poi per il passaggio alla vita, al senso e all'intelligenza, quest'ultimo mediante l'atto creativo per le singole anime), venendo a garantire la causa proporzionata delle perfezioni, via via maggiori, che successivamente emergeranno dall'evoluzione, non contrasta - almeno in astratto - con la sana filosofia e con il principio della dipendenza di tutte le cose dal Creatore; e può anche conciliarsi con la teologia
 
A riguardo però dell'ipotesi evoluzionista finalistica bisogna ricordare una attenta precisazione, assai spesso trascurata. Se l'intervento creativo iniziale venisse concepito come creazione di materia, non solo soggetta alle leggi fisico-chimiche, ma anche depositaria di potenzialità latenti, specificamente superiori (non derivanti da pura combinazione delle proprietà fisico-chimiche attuali, come sembra ritenere l'illustre evoluzionista V. Marcozzi: cfr. L'evoluzione oggi, 1966, p. 256), precontenenti virtualmente, come in germe, tutte le perfezioni che, raggiunte le opportune modificazioni ambientali, si sarebbero successivamente manifestate, allora non si avrebbe una vera evoluzione, ma un vero creazionismo. Sarebbe come un passare dall'uovo alla gallina, il che non è affatto evoluzione avendo già l'uovo tutta la specifica perfezione germinale della gallina, richiedendo soltanto l'impulso del calore ambientale per passare dalla virtualità all'attualità

Vogliamo parlare invece della vera evoluzione, nella quale il finalismo si concepisce prodotto dal solo idoneo impulso iniziale, lasciando tutto il resto al gioco delle cieche combinazioni fisico-chimiche (salvo i suddetti gradini obbligati, come e soprattutto quello dello spirito, benché alcuni più radicali evoluzionisti finalistici, come Teilhard de Ch., non ammettano alcun intervento estrinseco, nemmeno per quel passaggio culminante). 

Per comprendere ora lo stato d'animo degli evoluzionisti, conviene coglierlo nel più radicale e popolare evoluzionista moderno, quale è Teilhard de Ch., poiché esso è partecipato, benché in diversa misura, da tutti gli altri. 
P. Teilhard si sentì sempre mosso da un'innata ammirazione per la materia, al cui tangibile contatto gli sembrava appagata la sua «passione nettamente dominante: la passione dell'Assoluto» (Mon Univers, 1918). 

Questa non è che la classica suggestione della conoscenza umana, in quanto legata al sensibile, che tende a ridurre la realtà a ciò che si vede e si tocca. Essa sospinge fatalmente alla teoria evoluzionista, secondo la quale tutte le cose promanano dalla materia, ed in cui tutte le relazioni di causa ed effetto si risolvono nella visibilesuccessione delle varie specie.
 
Criticamente, appare subito logico di assumere un atteggiamento diffidente verso tale suggestionante tendenza umana, che minaccia di restringere la visione della realtà. Teilhard invece (seguito più o meno dagli altri evoluzionisti) vi si è tuffato: «La Materia era là e mi chiamava... Ella mi sollecitava perché lasciandomi andare ad essa, senza riserve, l'adorassi» (La vie Cosmique, 1916). Lo vedemmo nella precedente sezione di questo libro. 
 
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