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SCIENZA E SCIENTISMO

Ultimo Aggiornamento: 22/06/2018 14:34
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09/02/2013 19:59
 
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La vera guerra è tra scienza e scientismo
(I° parte)

 
di Francesco Agnoli*
*scrittore e saggista

 
 

Il grande dibattito che oppone oggi due antropologie differenti non è quello tra scienza e fede, tra cui non esiste alcun contrasto, semmai divergenza di interessi, di mezzi e di fini, quanto quello tra scientismo e scienza.

Scienza sì, scientismo no: questa è la posizione filosofica di chi crede, ma anche di chi è semplicemente aperto al dubbio e alla complessità della realtà. Di chi non vuole per forza sostituire le certezze religiose, rivelate, cui non aderisce, con presunte certezze di rimpiazzo, con surrogati improbabili e infondati, ma da presentare come rocciose sicurezze.

La scienza, come sappiamo, nasce dal matrimonio tra il pensiero greco, tra la sua concezione di ragione, e l’idea biblica di Dio come Logos. Che il mondo si presenti a noi ordinato, come cosmos, e che sia indagabile e intellegibile è la profonda intuizione della grecità. Che la sua intelleggibilità sia causata dalla sua Origine, né casuale, né caotica, ma Intelligente, è in termini simili, e più esaustivi, il cuore di quanto rivelato dal Genesi. L’influenza di questo libro della Bibbia, dal punto di vista filosofico e scientifico, non sarà mai abbastanza ribadita. Che infatti la scienza moderna nasca “in casa nostra”, come direbbe il fisico italiano Antonino Zichichi, deriva molto semplicemente dal fatto che il modo di vedere l’universo, proprio del cristianesimo, apre le porte alla possibilità stessa dell’indagine naturalistica.

Il mondo divinizzato, abitato da elfi, folletti, gnomi, e divinità della terra, dell’aria e del fuoco, tipico delle religioni animistiche e politeistiche, non poteva infatti partorire una ricerca scientifica basata sull’idea che a determinati effetti naturali corrispondano altrettante cause ugualmente naturali. Il panteismo infatti produce alchimia, astrologia, magia, terrore degli dei e superstizioni; l’idea di un universo creato invece sottintende che tale universo non è Dio, ma ne deriva: per questo può essere studiato, indagato e compreso. “Il cristianesimo, ha scritto Nicolaj Berdjaevestrasse quasi a forza l’uomo dalla prigionia della natura e lo mise spiritualmente in piedi, lo collocò in alto, come essere spirituale autonomo, lo sciolse da questa sottomissione al tutto universale naturale…Solo il Cristianesimo restituì all’uomo la libertà spirituale della quale era stato privato quando era in potere dei demoni, degli spiriti della natura, delle forze elementari, come avveniva nel mondo precristiano”. Aggiunge: “Il cristianesimo meccanizzò la natura per restituire all’uomo la libertà, per disciplinarlo, per distinguerlo dalla natura ed elevarlo al di sopra di essa”. Così solo “il cristianesimo ha reso possibile una scienza positiva della natura”.

Ciò significa che gli antefatti filosofici all’indagine naturalistica sono nell’ordine: l’idea di un mondo ordinato, il cui mistero, come direbbe Albert Einstein, sta nella sua comprensibilità, ma che nello stesso tempo non è esauribile dalla ragione umana; l’idea di un mondo che non coincide con Dio, e il cui ordine quindi è derivato, come quello di una macchina, o di un orologio, per utilizzare gli esempi dei padri della scienza moderna,da una Intelligenza superiore, un Orologiaio divino, un Pantocrator universale (Isaac Newton); l’idea che all’interno della natura l’uomo non sia, come sostenevano e sostengono i panteisti, uguale alle altre parti del Tutto, equivalente, come scriveva il pagano Celso, e come affermano oggi i sociobiologi, gli psicologi evoluzionisti, i darwinisti materialisti, gli Eugenio Scalfari e gli Umberto Veronesi, ad una formica o ad un’ape o ad un verme.

In un universo così concepito, che l’uomo, che alla natura appartiene, ma cui è, nel contempo superiore, essendo a “immagine e somiglianza di Dio”, cerchi di comprenderla, di leggerne la struttura, e di servirsene per i propri fini, è la cosa più “naturale” che possa esistere. Proprio in quanto re del creato, infatti, l’uomo fa parte della creazione, e nello stesso tempo la trascende, la supera, la “possiede”, o meglio, per utilizzare il linguaggio biblico, se ne serve col compito di custodirla. Se invece ne fosse solo una parte, come l’ape o la mosca, certo non sentirebbe nella sua natura l’esigenza di conoscere ciò che non è strettamente necessario alla sua sopravvivenza, e non avrebbe mai dato vita alla chimica, alla fisica, alla biologia, all’astronomia, alla geologia…-cioè all’indagine su tutto ciò che della natura non umana fa parte-, né tanto meno alla filosofia, all’arte, alla poesia e alla teologia, cioè a tutto ciò che riguarda l’uomo e solo lui, in una prospettiva più ampia.

Ha dichiarato lo storico agnostico Leo Moulin“Allora mi sono chiesto perché l’unica civiltà tecnologica e scientifica sia la nostra. Ho cercato di trovare le ragioni, posso garantire che ci rifletto da parecchio tempo, e l’unica spiegazione che ho trovato è la presenza del terriccio, dell’humus della cristianità. Perché? Perché Dio ha creato il mondo, un mondo diverso da Lui. Non si integra nel mondo, lo crea. L’uomo ha un destino particolare perché viene creato fuori del regno animale. Gli uomini, gli occidentali in particolare, hanno vissuto con questa idea che erano creature di Dio, fatte ad immagine e somiglianza di Dio. Inoltre Dio dice ai figli di Noè: “Vai, conquista e domina il mondo”. In buona coscienza, a volte siamo stati un po’ energici nel domare il mondo, ma l’unica civiltà che ha a conquistato il mondo e che lo conquista ancora oggi, che è latrice di valori accettati in tutto il mondo è la nostra. Faccio un esempio; ad un dato momento i minatori tedeschi, tra il XV e il XVI secolo, vivono nel terrore degli gnomi, dei folletti, di tutti questi esseri che dovevano vivere nelle miniere e che minacciavano i minatori, e li chiamano con due nomi: Coboldo, oppure col nome tedesco Nikolaus. E quella credenza dei minatori tedeschi darà origine a due parole che noi tutti conosciamo: Nikolaus darà la parola “nichel”, e Coboldo diventerà “cobalto”. Ma questo è un retaggio del passato. A questo punto i teologi dicono una frase che dominerà l’intero destino dell’occidente: Dio ha visto che ciò che ha fatto era buono e lo ripete, lo ripete sei volte, quindi per voi non è una trappola, il mondo è fatto per essere conquistato da voi, e i minatori riprendono il loro lavoro. Nello stesso tempo in Tibet i Lama proibiscono ai minatori di scavare la terra perché così facendo si va a scavare nella madre e la si ferisce. Quindi nessuna possibile metallurgia se non con i minerali di superficie allo stato nativo”. L’uomo, dunque, “ha un destino particolare perché viene creato fuori del regno animale”, e il mondo, che gli è dato in affido, da scoprire ed utilizzare, è “cosa buona”: nasce qui la scienza moderna, da una precisa idea di uomo e da una altrettanto definita idea di universo.

Questa introduzione mi serve per arrivare ad analizzare, come dicevo, lo scientismo, cioè un’ideologia che è essa sì in contrasto con la fede in un Dio creatore, ma, nel contempo, anti-scientifica. Su questo andremo avanti nella seconda parte.

 
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09/02/2013 20:01
 
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Abbiamo visto che la dicotomia non riguarda la scienza e la fede, ma la scienza e l’ideologia riduzionista. Lo scientismo è, anzitutto, un’ideologia, nel senso che pretende, a priori, di essere capace di comprendere tutta la realtà, anche ciò che è sempre stato considerato inattingibile, non certo perché in se stesso inintelleggibile, ma perché superiore alla capacità umana. Inintelleggibile, cioè, per la ragione, pur sempre limitata, con la r minuscola, dell’uomo.

Scientismo è, come sostiene John Duprè, filosofo della scienza e direttore del Centre for Genomics in Society, affermare che la verità sulla materia fisica sia la verità su tutto; credere, e il verbo non è utilizzato a sproposito, che ad esempio l’evoluzionismo sia in grado di spiegare qualsiasi cosa; affermare di poter “applicare un’idea scientifica di successo ben oltre il suo dominio originario, e in genere con sempre minor successo man mano che la sua applicazione viene estesa” (J. Duprè, Natura umana. Perché la scienza non basta, Laterza, 2007).

Come ogni ideologia lo scientismo parte da un dato vero, inconfutabile, ma parziale, della realtà: l’esistenza della materia, la corporeità dell’uomo. Da qui sono scaturite, a ben vedere, anche le ideologie totalitarie del Novecento: il nazismo, definibile come una “biologia applicata”, perché fondato sull’idea che l’uomo è esaurito da sangue e suolo”, cioè dalla sua materialità, corporeità, salute fisica, appartenenza etnica ecc, e il comunismo, che altro non è che la riduzione della vita dell’uomo all’interesse economico, alla materia, al lavoro. Non per nulla sia i gulag che i lager portavano all’entrata analoga scritta: “Tramite il lavoro, la libertà”, i primi; “Il lavoro rende liberi”, i secondi. Sarebbe bello indagare il perché il primo articolo della nostra costituzione italiana si apre con l’idea di una comunità di uomini, gli italiani, che sarebbe fondata sul “lavoro”. Ma non è questo che ci interessa.

Quello che è importante è sottolineare che lo scientismo parte dallo stesso presupposto: dovendo, per statuto, spiegare ogni cosa, riduce la complessità della realtà a ciò che è meno complesso. Cosa è più difficile: studiare gli ormoni maschili, o capire la psicologia del maschio? Studiare i circuiti neurologici, o capire il perché del pensiero, della libertà, dell’originalità dell’uomo? Di qui il fondamento dello scientismo: l’uomo, se è solo materia e genetica, è studiabile esattamente come un sasso, una mosca, una formica, uno scimpanzé. Così è più facile, così è esauribile, così è completamente comprensibile!

Sfugge, agli scientisti, il fatto che il solo tentativo di spiegare l’uomo, lo differenzia dalle altre forme di vita o di non vita, più facilmente comprensibili, dalla pietra alla pianta al gatto, che non cercano né di comprendere nel profondo ciò che le circonda, né tanto meno di spiegare se stessi, la propria origine e il proprio fine. Fatto sta che stabilito l’assioma di base, l’uomo è solo un animale, la comprensione dell’uomo stesso diventa, sembra, più semplice e agevole. Ecco che sociobiologi e psicologi evoluzionisti vivono perennemente alla caccia di geni che determinino la tendenza al suicidio, al furto, all’omosessualità, all’alcoolismo, a dipingere, a filosofare…cioè a tutto ciò che ci distingue dal resto del creato, e che non è ancora spiegabile in termini empirici. Caccia che però non ha dato per ora alcun risultato. Da questo approccio deriva un’idea di “natura umana” che è assolutamente infondata, ma che rende impossibile il dialogo, tra scientisti e non scientisti, sulla “legge naturale” e sulle peculiarità, “naturali”, dell’uomo.

Mi spiego meglio. Quando si discute della “natura umana”, su ciò che i cattolici e non solo, definiscono “morale naturale universale”, per indicare di contro che vi sono scelte non “naturali”, cioè non giuste per l’uomo, la reazione immediata di chi è ben nutrito di evoluzionismo materialista, è: ma anche l’educazione è innaturale; anche l’uso del cellulare, o curare il cancro sono operazioni innaturali! Mettere il pigiama e credere in Dio, ha scritto lo zoologo Magnus Inquist, sono due cose “innaturali”, ben più dell’omosessualità: infatti, secondo questo ragionamento, l’omosessualità esiste tra gli animali, quindi sarebbe “naturale” anche per l’uomo; d’altro canto nessun animale crede in Dio e si mette il pigiama, per cui queste ultime sarebbero le vere operazioni innaturali, artificiali, benché universali nel tempo e nello spazio. Una simile affermazione, considerata ormai da molti come “evidente”, nasconde un’assoluta incomprensione della “natura umana”, la quale, come dimostra la semplice osservazione, non coincide con quella animale tout court. Infatti la “natura umana”, come si diceva prima, è anfibia: solo questo appartenere e non appartenere, nel contempo, alla natura animale, le permette di essere così speciale, diversa, originale.

Natura anfibia significa che siamo composti di anima e di corpo, ma non secondo una visione dualistica, cartesiana, completamente anti-filosofica e anti-scientifica, bensì secondo l’idea che proposero già Aristotele e Tommaso. Secondo costoro anima e corponon sono due entità separate, unite quasi per uno scherzo del demiurgo malvagio, come ad esempio nell’idea di reincarnazione, ma un sinolo, una profonda unità inscindibile.“Sebbene l’anima abbia una operazione tutta sua, in cui non entra il corpo, cioè il pensare, tuttavia ci sono altre operazioni comuni ad essa e al corpo, come il temere, l’adirarsi, il sentire e simili; queste avvengono con una certa trasmutazione di una determinata parte del corpo, da cui risulta che sono insieme operazioni dell’anima e del corpo. Occorre pertanto ammettere che l’anima e il corpo fanno una cosa sola e che non sono diversi quanto all’essere” (Somma contro i gentili, II, c.57) . L’essere umano, come chiosa Paola Premoli De Marchi, è il suo corpo ed ha il suo corpo, nel senso che ha un“certo dominio su di esso e se ne serve per entrare in relazione col mondo”.  Una simile idea di anima e di corpo, è sufficiente da sola a far crollare il castello delle invenzioni fantasiose proposte da quegli evoluzionisti che cercano solo basi biologiche per giustificare la eccezione, la specificità umana, e che quindi ritengono ad esempio che l’amore sia riducibile a reazioni ormonali. Dicono costoro: dal momento che ogni innamoramentocomporta movimenti fisici scientificamente rilevabili, ciò significa che l’amore coincide e si esaurisce in emissioni di ormoni! Non capiscono, essendo a priori negatori dell’anima, e quindi della libertà e della specificità umana, che non essendoci alcuna frattura cartesiana o induista tra anima è corpo, è la cosa più naturale del mondo che ciò che avviene a livello spirituale, avvenga anche a livello fisico e viceversa, data la profonda connessione, ripeto, tra anima e corpo! Aggiungono: poiché ogni pensiero si traduce anche in impulsi cerebrali elettrici, ne deriva che il pensiero e gli impulsi elettrici coincidono, sono la medesima cosa! Naturalmente, però, sono poi costretti ad ammettere che questa è una loro ipotesi oggi per nulla dimostrata.

Tutto ciò che avviene nell’uomo, dunque, per chi non ne ha compreso la natura anfibia, è per forza di cose scientificamente comprensibile, e per forza di cose determinato. Siamo, come si diceva all’inizio, di fronte ad una ideologia, il “materialismo monastico”: la complessità dell’uomo viene ridotta alla sola materia e ne vengono tratte leggi universali per l’uomo che dovrebbero essere ineludibili. Un uomo si sacrifica per un ideale? Non è vero, lo ha fatto per un interesse materiale, per essere visto, per essere elogiato, e solo per quello! Un soldato va volontario in guerra per difendere la patria? In verità non può trattarsi di un ideale “spirituale”, sono i suoi geni ad averlo spinto ad andare, per salvare persone con lui biologicamente imparentate. Gesù predicava l’amore anche per coloro che non sono né parenti, né connazionali, né amici, cioè l’amore gratuito e totalmente disinteressato? Non è vero si tratta di una lettura ingenua. Predicava l’amore verso i suoi connazionali ebrei e null’altro…Ci sono uomini che stuprano? Ciò è dovuto ad un particolare “modulo cerebrale innato”: “ il motivo per cui gli uomini sono capaci di stuprare è che esercitando questa capacità i nostri antenati aumentavano la loro fitness riproduttiva” (Duprè p. 29). Ci sono uomini che stanno tutta la vita con la stessa moglie? Avranno determinati geni della fedeltà. Altri uomini vanno con numerose donne: è l’ impulso dell’uomo, che è “per natura” poligamico come la scimmia bonobo e lo scimpanzé, perché la natura vuole che producano più discendenza. Un uomo è omicida? Vi è lo studio dello psicologo evoluzionista di turno che afferma che “la maggior parte degli omicidi sono il risultato di impulsi geneticamente installati” (Tom Wolfe, La bestia umana, Mondadori). Amore, libertà, volontà, senso morale, idea di Dio, sono quindi in tal maniera estromessi, e l’eccezionalità umana negata, senza, ovviamene, alcuna prova.

Eppure proprio il pigiama di cui sopra, o l’idea di Dio o anche la pillola contraccettiva, cioè la nostra capacità di dominare la natura corporale, sono la dimostrazione che tutto questo riduzionismo è ridicolo. L’uomo veste da sempre, altrimenti sarebbe morto subito: è nella sua propria natura. Ha sempre creduto in Dio o negli dei: ciò significa che è nella sua natura. Può andare contro gli impulsi naturali animali che lo caratterizzano, unendosi senza procreare, o addirittura suicidandosi, tutte cose che nessuna natura solo animale farà mai: è nella sua natura umana, trascendere ed anche contrastare la propria natura animale. L’uomo è dunque l’unica creatura culturale, “artificiale”, per natura: “per natura” costruisce utensili vari, progredendo e arrivando a costruire anche, col tempo, cellulari! Per natura vive in società ed educa i suoi figli. Per natura, essendo capace di dominare la natura, cercherà di curare le malattie e di sconfiggerle, come di coltivare e di domare gli animali! Inoltre la sua è una natura aperta, incompiuta: diviene, si fa, progetta, sceglie tra bene e male, a differenza di qualsiasi altra creatura. E’ artefice del proprio destino. E’ nella sua natura, quindi, ricercare, non solo ciò che è inferiore a lui, ma anche la Verità, in ogni senso e la verità morale in particolare. Non fa come il sasso che farà sempre il sasso e ubbidirà sempre alle stesse leggi, senza mai violarle: l’uomo cerca il bene e il male, ciò che è bene e male per lui, per natura.

Da: Scritti di un pro life

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22/06/2018 14:34
 
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La scienza risponde a tutto?
Nemmeno sfiora gli interrogativi più importanti

«È con la scienza che possiamo sperare di rispondere agli interrogativi dell’uomo. È con la scienza che possiamo contribuire a migliorare la qualità della vita del singolo». Due frasi, buttate lì come finale di un articolo dal prof. Giuseppe Novelli, genetista e rettore dell’Università Tor Vergata di Roma.

Novelli non è certo uno scientista, un odifreddiano antimetafisico, un positivista ottocentesco e, anzi, l’università che dirige è spesso sede di importanti convegni sul rapporto tra fede, scienza e filosofia. Per questo, probabilmente, nemmeno lui avrà dato troppo peso a quanto scritto. Com’è possibile, infatti, credere davvero che tutti gli interrogativi esistenziali che l’uomo matura di fronte alla sua incompletezza, alla sua sete di un significato ultimo, possano arrivare dalla scienza?

Nonostante le convinzioni dell’entomologo E.O. Wilson («La scienza non è semplicemente un’altra impresa come la medicina, l’ingegneria o la teologia. È la fonte di tutto il sapere che abbiamo del mondo reale»), si tratta di ultimi rimasugli di un riduzionismo nato già vecchio. La visione illuministica del cosmo ha ceduto il passo ad una concezione scientifica consapevole della sua provvisorietà, forgiata sulla base delle conquiste del XX scolo, come il principio di indeterminazione di Heisenberg. Karl Popper, con l’inserimento del criterio di falsificabilità, ha dimostrato che la scienza è un sistema ipotetico-deduttivo e non c’è nulla di definitivo in essa. Se per Thomas Kuhn la scienza avanza per “crisi rivoluzionarie” e non certo in modalità lineare e progressiva, per l’altro gigante dell’epistemologia novecentesca, Imre Lakatos, la scienza ha un carattere non assoluto ed è tutt’altro che un metodo di conoscenza certa. Il premio Wolf per la scienza, Victor Weisskopf, ha a sua volta delineato gli enormi limiti dell’indagine scientifica: «Non è giustificata la pretesa che la scienza può trovare e troverà una spiegazione per ogni esperienza umana e, anche lo fosse, la spiegazione scientifica di un’esperienza umana non necessariamente tocca tutti gli aspetti di questa esperienza. Ciò è particolarmente vero per quegli aspetti che hanno a che fare con concetti quali amore, dignità ed etica» (Il privilegio di essere un fisico, Jaca Book 1994, pp. 36-37).

Chi sono io che esisto, ma non ho in me il principio, la chiave per comprendere il senso del mio esistere? Davvero qualcuno è in grado di rispondere seriamente usando nozioni biologiche o chimiche? Sarebbe un tentativo ridicolo, come ha ben chiarito il laico biologo e premio Nobel, Peter Medawar: «non vi è modo più rapido per uno scienziato di apportare discredito a se stesso e alla sua professione che dichiarare apertamente che la scienza conosce e conoscerà presto le risposte a tutte le domande degne di essere poste, e le domande che non ammettono una risposta scientifica sarebbero in qualche modo delle non domande o “pseudo-domande” che soltanto i sempliciotti possono porre e a cui soltanto i creduloni professano di saper dare risposta […]. L’esistenza di un limite per la scienza è reso evidente dalla sua incapacità di rispondere a interrogativi elementari e infantili riguardanti le cose prime e ultime: interrogativi quali “come è cominciato tutto?”, “che cosa ci facciamo qui?”, che senso ha la vita”» (Advice to a Young Scientist, Harper&Row 1979, p. 31).

L’impresa scientifica è certamente fonte di incredibili scoperte ed innovazioni che hanno contribuito a cambiare il mondo, la vita dell’uomo e saziare molte delle sue domande sul cosmo. Ma cosa può dirci a riguardo della bellezza di un disegno, di una poesia o di una scultura? Contando le pennellate, le rime presenti nel testo o i colpi di scalpello? Come potrebbe la scienza dirci se un quadro è un capolavoro o una confusa macchia di colori? Analizzando chimicamente la pittura? Un chimico può dirci che aggiungendo stricnina alla bevanda di qualcuno lo uccideremmo, ma tace sulla questione se ciò è moralmente giusto o sbagliato. Anche l’insegnamento morale, infatti, è al di fuori del campo scientifico. Cos’ha realmente da dire la scienza su una sonata di Mozart? Quale voce in capitolo ha l’indagine scientifica quando si parla di amore, diritti, religiosità, infelicità e senso della vita? E, tra parentesi, è ovvia l’autoconfutazione di chi afferma in modo non scientifico che la scienza sarebbe l’unica fonte di verità.

E, per quanto riguarda la “qualità della vita” (concetto già di per sé molto aleatorio), tornando alla citazione di Novelli, non è certo il solo progresso scientifico a poterla migliorare. Alcuni esempi: la Svizzera è considerato il Paese con maggior qualità della vita ma non rientra in alcuna classifica sulle città più scientificamente sviluppate, dove invece dominano Taiwan, Corea del Sud, Singapore e Giappone, che non sono proprio paesi-benessere. Il Giappone, ad esempio, è tra i 26 Paesi con il più alto tasso di suicidi, assieme ai sviluppatissimi Finlandia (35°), Svezia (46°) e Stati Uniti (48°). Al contrario, i Paesi con minor tasso di suicidi non sono affatto rinomati per il loro sviluppo scientifico: Nepal, Perù, Haiti, Armenia, Filippine, Grecia e Malta.

Per concludere la nostra riflessione, non c’è niente di meglio che rifarsi alla illuminata frase del logico e filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein: «Se pure tutte le possibili domande della scienza ricevessero una risposta, i problemi della nostra vita non sarebbero nemmeno sfiorati» (L. wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, 6,52).


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