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MEDITIAMO LE SCRITTURE (Vol 5) Anno C

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2013 08:20
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01/08/2013 08:20
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Gli ospiti del Signore?

La liturgia benedettina associa alla memoria di Marta quella di Maria e Lazzaro definiti ospiti del Signore. La liturgia ci propone due brani in cui sono presenti gli amici del Signore. Il brano evangelico, tratto da San Luca è caratterizzato proprio dall'accoglienza del Signore. Le due sorelle, in due modi diversi accolgono lo stesso Gesù. L'una è preoccupata a pulire la casa e rendere accogliente l'ambiente che deve essere degno di ricevere Gesù. Maria invece è interessata ad accogliere la Parola stessa di Gesù in un atteggiamento raccolto da sua discepola. I due atteggiamenti non devono essere contrapposti, anzi possiamo unirli in un'unica esigenza per chi si accinge a partecipare alla Santa Messa. Per accogliere degnamente Gesù, nella forma Eucaristica dobbiamo prima purificare il nostro cuore. La Chiesa ci suggerisce come diventare degni di partecipare al banchetto eucaristico e richiede, quando necessario, la confessione sacramentale. In questo imitiamo Marta che pulisce la casa. E' anche importante il nostro atteggiamento che favorisca l'unione intima con Gesù. In questo, invece imitiamo Maria che si è scelta la parte migliore.
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02/08/2013 07:26
 
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Nel cuore umano spesso c'è una strana resistenza alle cose belle che Dio propone. Lo notiamo in questo passo del Vangelo di Matteo: la gente di Nazaret non ac'cetta che Gesù, un loro compaesano, sia un grande profeta e vuol ridurlo alla misura di semplice "figlio del carpentiere". Dio vuol fare cose meravigliose, e la gente resiste; Dio vuoi donarci le "feste" e noi sovente non le intendiamo nel modo giusto.
La prima lettura di oggi insiste molto sulle "solennità del Signore", sulle feste. Non siamo fatti per vivere sempre banalmente, siamo fatti per godere la gioia del Signore. Non siamo stati creati per essere schiavi, ma liberi, ed occorre riconoscere che il lavoro spesso ha un aspetto servile, cioè di schiavitù. Anticamente (e purtoppo ancora oggi in alcuni luoghi> c'erano uomini schiavi di altri uomini; adesso quanti uomini sono schiavi delle macchine! Ma essere schiavi delle macchine comporta la necessità di regolare il proprio ritmo lavorativo sul ritmo delle macchine, e molte "solennità del Signore" sono subordinate a questa necessità.
Dio però vuole invece che i suoi figli possano vivere, almeno alcune volte durante l'anno, nella gioia, nella libertà, celebrando grandi feste e già Mosè, su invito di Dio, ordina al popolo di non compiere alcun lavoro servile nelle solennità del Signore, per vivere con cuore gioioso i rapporti con gli altri.
Spesso il lavoro ostacola i rapporti tra le persone: e impegnativo, occupa tutto il tempo e rende impossibile occuparsi degli altri.
Invece nel giorno della festa del Signore, nel giorno della "santa convocazione", in cui ci si trova tutti riuniti per celebrare insieme il Signore, è possibile accoglierci a vicenda, in rapporti benedetti dal Signore e orientati all'unione con lui Solo se hanno questo orientamento le relazioni personali sono profonde, sincere, autentiche; soltanto nel Signore e con lui possiamo amarci generosamente, autenticamente, profondamente.
Le feste hanno dunque una duplice dimensione: ci rendono liberi di dare del tempo al Signore, per essere più uniti a lui nella preghiera, nella lode, nell'esultanza; ci danno la possibilità di essere più disponibili ad accogliere gli altri, ad essere attenti a loro, pronti ad ascoltare, a condividere nella gioia, nella libertà e specialmente nell'amore.
La Chiesa ha fatto suo questo desiderio di Dio e ha istituito molte feste, per aiutarci a vivere nel clima di gioia proprio della novità di vita che Cristo ci ha donato con la sua morte e risurrezione. Al mistero pasquale sono collegate tutte le solennità della Chiesa, per mettere in evidenza che Gesù Cristo è centro, principio e fine di ogni realtà.
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03/08/2013 07:26
 
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Nella liturgia odierna notiamo un contrasto tra il brano del Vangelo di Matteo e la prima lettura. Matteo ci narra infatti come Erode fa arrestare Giovanni, lo fa incatenare, gettare in prigione e alla fine uccidere; la prima lettura invece mette in risalto l'intenzione di Dio, un'intenzione di liberazione e di remissione, sottolineata dall'istituzione del giubileo, mediante il quale Dio mette un limite alla schiavitù, un limite all'espropriazione, un limite anche ai gravosi lavori dei campi. "Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti".
Gesù, predicando a Nazaret nella sinagoga, leggerà proprio il passo di Isaia dove si annunzia e si proclama un anno di remissione, un anno di giubileo (cfr. Lc 4, 16.19>. Dio non vuole arrestare, non vuole incatenare, non vuol gettare in carcere; Dio vuole la liberazione:
"Lo Spirito del Signore... mi ha mandato per annunzìare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore" (Is 61,1). Dio vuole la remissione: la remissione dei debiti, la remissione anche dei peccati.
Il peccato sembra un atto di liberazione dalla legge di Dio, in realtà getta nella più dura schiavitù. Gesù lo ha detto chiaramente: "Chiunque commette il peccato, è schiavo del peccato" e commette peccati sempre più gravi. Erode incominciò col fare arrestare Giovanni e finì col farlo uccidere, perché era schiavo del giuramento fatto davanti a tutti, era soprattutto schiavo del suo peccato.
Dio ci vuole liberare! Pensiamo con gioia a questa verità: Dio vuol sollevare dall'oppressione ogni cosa; infatti anche la terra, secondo la legge del giubileo, deve avere il suo riposo.
La Chiesa, quando ha istituito il giubileo, si è ispirata a questa legge contenuta nel Levitico. L'anno giubilare è infatti un anno di remissione, un anno di grazia in cui la Chiesa ci offre la possibilità di ottenere la remissione della pena meritata con il peccato; ci propone un contatto più facile con il Signore; invita tutti ad avvicinarsi a lui con la certezza di essere liberati e di ricevere nuovo coraggio per compiere sempre meglio tutto il bene a cui si è chiamati.
Rìngraziamo Dio di questi doni e cerchiamo di vivere pienamente in questo orizzonte di remissione, di liberazione e di amore e di aiutare anche gli altri, per quanto ci è possibile, a vivere così.
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04/08/2013 07:39
 
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don Marco Pedron
Ma dove vivi

Il vangelo di oggi ci presenta questa parabola ironica ma tagliente di Gesù.
Innanzitutto osserviamo che l''uomo della parabola non ha nome; come quasi sempre i ricchi del vangelo (12,13-21; 16,19-31: il ricco e Lazzaro; 18,18-23: il notabile ricco). Molte persone credono che la ricchezza o il potere ti faccia sentire "qualcuno, importante". Avete presente una bambola: per quanto la vesti e la trucchi non sarà mai una donna. Se dentro sei nessuno (senza nome, identità, consistenza) nulla di ciò che hai ti può aiutare.
Chi evolve solo fuori, non evolve dentro. Gesù diceva sempre: "Ma a che serve guadagnare il mondo intero se poi si perde la propria anima (psiché)?". Già a che serve... se perdi la tua libertà interiore... la tua creatività... la tua voglia di vivere... chi ami... se ti perdi l'infanzia di tuo figlio... l'amore di tua moglie... la forza dell'amicizia!

L'uomo del vangelo vive un terribile senso di irrealtà con il tempo.
Ascoltate le sue parole: "Che farò... farò così... demolirò... costruirò... vi raccoglierò...". Ma dove vive? Vive... accumula... pensa... progetta... per il domani.
Parla sempre al futuro, parla come se dovesse vivere per sempre: "Che farò... farò così... demolirò... costruirò... vi raccoglierò...". Ma dove vive? Ma dove vivi?
Quante persone vivono per lavorare... per mettere da parte... per i figli... per avere un futuro... per quando potranno permettersi di essere felici... per quando i figli saranno grandi... per quando avranno tempo...
Anche quell'uomo si diceva: "Eh sì, verrà un giorno dove mi riposerò, mangerò, mi darò alla pazza gioia".
Ma qual è la realtà? La realtà è che ciò che hai perso, lo hai perso per sempre. Ciò che è andato è andato e non torna più. Ciò che non hai gustato, non lo potrai fare più. Se non gusti, assapori oggi, se non sei capace di farlo adesso perché dovresti farlo domani?
Mi è difficile pensare che domani farai quello che oggi non sei in grado di fare. Perché dovresti farlo domani se oggi non sei capace di farlo? Se oggi non te lo permetti?
Le persone vivono con un senso di irrealtà del tempo terribile. Vivono come se ci fossero per sempre, come se ci fosse un'altra vita, un'altra possibilità, una vita di scorta.
Ma bisogna dirglielo, anche se è un ceffone terribile all'inizio. Nelle auto c'è la ruota di scorta e nei videogame finita una partita ne fai un'altra. Ma di vite ce n'è solo una e quando questa è passata, è passata. Non c'è una seconda possibilità, non c'è come a scuola l'esame di riparazione o i corsi di recupero.
Cosa aspetti a vivere? Molte persone stanno sul bordo della piscina (e della vita) tutta la vita. Vorrebbero tuffarsi, ma per sicurezza, non lo fanno mai. Così si muore senza aver vissuto. La vita non è domani, è adesso. Ciò che non ami, che non vivi, che non senti, che non gusti adesso, non lo potrai fare mai più, perché il domani non sarà mai più come l'oggi.
Un giovane e una ragazza sono appoggiati al parapetto di una nave lussuosa. Si tengono teneramente abbracciati. Si sono appena sposati e questa crociera è la loro luna di miele. Stanno parlando del loro presente pieno di amore e del loro futuro che appare così roseo. Il giovane dice: "Il mio lavoro ha ottime prospettive e potremo presto trasferirci in una casa più grande. Fra otto-dieci anni potrò mettermi in proprio. Vedrai che felici che saremo". La giovane sposa continua: "Sì, e i nostri bambini potranno frequentare le scuole migliori e crescere nella serenità". Si baciano e se ne vanno. Su di un salvagente, legato al parapetto si può vedere il nome della nave: Titanic.
L'ex giornalista e commentatore televisivo John Chancellor si preparava a godersi la meritata pensione, quando fu colpito da un tumore allo stomaco. Con la malattia arrivarono i soliti sensi di colpa: "Ho fumato, bevuto e fatto altre cose che non dovevo fare. Mi sono preoccupato abbastanza della mia salute? Nella mia famiglia c'erano mai stati casi di cancro? Perché a me?". "Il cancro" dice "ci ricorda che siamo legati ad un guinzaglio corto, molto corto. Come ho letto da qualche parte: volete far ridere Dio? Parlategli dei vostri progetti".

E poi il senso di irrealtà è dato dal rapporto con lo spazio: il suo problema è ingrandirsi, costruire altri granai, farli più grandi, arricchirsi di più, in una parola diventare più grande. Ma farsi più grandi di case, di soldi, di beni, è assolutamente irrilevante per l'anima. Ci si fa grandi fuori proprio perché dentro si è piccoli. Altrimenti non ce ne sarebbe bisogno!
C'è chi si ingrandisce ottenendo: "Quando avrò quella cosa, allora si che sarò qualcuno (=grande)". C'è chi dice: quando possiederò quella donna allora sì che sarò un uomo... quando avrò quella casa allora sì che me la potrò godere... quando sarò sposato allora sì che sarò diverso oppure lui sarà diverso... quando i figli saranno grandi allora sì che non avrò più queste preoccupazioni... quando sarò potente, laureato allora sì che sarò rispettato... quando avrò risolto tutti i miei problemi allora sì che starò bene...".
La gente si attacca a delle cose da raggiungere: "Devo essere così... devo raggiungere questo... devo arrivare lì, altrimenti..." e così lotta, combatte, spende, il proprio tempo e la raggiunge anche, ma l'amara sorpresa è che non basta, che arrivati non si sa che farsene di quella cosa, che ce n'è un?altra di più grande da raggiungere, che c'è qualcuno che è più in là di noi.
Allora ce la si racconta: "Questa l'ho raggiunta ma sono sicuro che quando raggiungerò quell'altra allora sì che basterà, che sarò a posto, che sarò felice" (lo si era detto anche prima!) e si torna a correre.
Questo perché le persone credono ancora che vi sia un tesoro, una cosa, che magicamente faccia felici e risolva tutti i loro problemi (fare un figlio... farsi la casa... trovare il lavoro o il partner giusto) e non si accorgono che stanno facendo dipendere la propria vita dall'esterno. In realtà nessuno mi può far felice se io dentro non sono felice. Che vuol dire: che l'esterno dipende dall'interno e non viceversa.

La sua grandiosità non è data da sé ma da quello che ha. Lui guarda i suoi campi e dice: "Guarda cosa possiedo!". Lui guarda i suoi granai e dice: "Guarda cosa mi posso permettere". Lui si sente grande perché i suoi granai sono grandi, il suo conto in banca è ricco, la sua posizione sociale lo "rende grande". Ma essere grandiosi non è affatto essere sicuri.
Il grandioso si sente grande per quello che ha (e quindi vi si attacca): lui ha bisogno di sentirsi qualcuno, grande, potente, più degli altri.
Il sicuro invece fonda la sua grandezza su di sé: è sicuro di ciò che prova; sa dare un nome a ciò che vive; sa dire di sì e dire di no (=è re, cioè, sulla sua vita), porre confini e limiti; non si sente più degli altri e non si sente meno degli altri; sa apprezzarsi e mettere in luce suoi talenti e le sue doti; è innamorato di sé; se ha qualcosa è felice ma se la perde non si dispera.
L'uomo del vangelo, invece, fonda la sua grandezza sulle cose. Si sente qualcuno perché ha tante cose. Il che, ovviamente vuol dire che senza di tutto questo sarebbe niente, piccolo piccolo.

La vera realtà invece è che io sono il mio tesoro. Niente di esterno mi farà sentire importante se io non mi sento importante; nulla mi farà sentire sicuro se io non sento di poter confidare su di me; nessun amore mi farà sentire amabile se io mi sento uno schifo; nessun Dio mi farà sentire vivo se io non riesco a dar spazio alle mie emozioni.
Questa è la differenza tra chi tesorizza per sé (continua ad ammassare tesori esterni) e chi tesorizza davanti a Dio (io sono il mio tesoro, la mia anima, Lui in me).
Quante persone dicono: "Senza di te non posso vivere". Quando un adulto dice: "Tu sei la mia vita" vuol dire che lui ha perso la sua. Quando un adulto dice: "Senza di te non posso vivere", vuol dire che è un parassita. Quando un adulto dice: "Tu sei tutto per me" vuol dire che lui si sente niente. Quando un adulto dice: "Solo lui (lei) mi fa sentire bello e importante", vuol dire che lui non lo sente.
Se aspetti che qualcosa di fuori ti faccia felice, non sarai mai felice.

Un signore mi ha confidato che grazie alla sua azienda guadagna mensilmente 20-25.000 euro. Quando c'è stato il cambio lira-euro lui era davvero angosciato "perché adesso non si può più vivere". Tutto è relativo!
Un altro possiede una catena di alberghi. Un giorno mi ha detto: "Sì, è vero padre, ho molti soldi, posso permettermi quasi tutto". Poi abbiamo parlato del più e del meno, e gli dico: "Quando vai in vacanza?". "Ah, non me lo posso permettere padre, devo lavorare". "E tu ti definisci ricco? Sarai ricco di soldi ma povero di tempo, di gioia, di vita".
Una coppia senza figli ha fatto sacrifici enormi, ha speso tutta la vita per mettersi da parte un piccolo gruzzolo. Sapete poi cos'è successo: sono morti!
Un ricco industriale del nord rimase inorridito trovando il pescatore del sud pigramente sdraiato accanto alla sua barca a fumare la pipa. "Perché non sei in mare a pescare?", gli chiese l'industriale. "Perché ho preso abbastanza pesce per oggi", disse il pescatore. "Perché non ne prendi dell'altro?", gli chiese l'industriale. "E cosa mi servirebbe?", gli domandò il pescatore. "Potresti guadagnare più soldi, dotare la barca di un motore, spingerti in acque più profonde e prendere più pesce. Allora avresti abbastanza soldi per comprare reti di nylon e queste ti frutterebbero più pesce e più soldi. Ben presto avresti abbastanza denaro per possedere due barche... magari un'intera flotta di barche. Allora saresti un uomo ricco come me". "E a cosa mi servirebbe tutto ciò?". "Allora potresti sederti e goderti la vita", rispose l'industriale. "E cosa pensi che stia facendo in questo preciso momento", disse il pescatore soddisfatto.

Quante persone non vanno mai in ferie perché non hanno tempo. Quante persone mai hanno fatto silenzio e mai hanno guardato negli occhi chi amavano o i loro figli. Quante persone non accarezzano mai o non abbracciano mai. Quante persone non dicono mai: "Ti voglio bene... ti amo... sei importante per me... sono felice che tu ci sia... sei una bella persona... grazie... ti stimo...". Quante persone neppure festeggiano i compleanni o i loro successi. Quante persone non si ascoltano o non si fermano a guardare il sole che scende, gli alberi, un gatto, il sole, i giochi dei bambini o ad ascoltare le voci degli uccelli o delle persone. Pensano a cercare, a raggiungere la felicità e non sanno che la felicità è già qui. Basta solo avere il coraggio di fermarsi e di sentire.

Questo vangelo è davvero scomodo per i ricchi. E' incontrovertibile, ci piaccia o no, che Gesù non tollera i ricchi.
Qui c'è questo vangelo, ma pensate all'episodio del ricco e del povero Lazzaro. Il ricco di quell'episodio non è cattivo, è solo insensibile. Il poveraccio di Lazzaro che gli muore davanti casa, lui manco lo vede. E' così in preda alla sua paura, al suo terrore che gli manchi qualcosa, che lascia morire Lazzaro, la sua parte sensibile.
Ma cosa succede se tu lasci morire la tua parte sensibile? Cosa succede se tu smetti di sentire? Cosa succede se tu non ti lasci più "toccare", sconvolgere, mettere in discussione da ciò che hai davanti? Finisce che tu stesso ti ritrovi all'inferno, all'inferno di questa vita. Non so se di là ci sia l'inferno ma sicuramente di qua sì: l'inferno ti accade quando smetti di sentire, cioè di vivere, di emozionarti, di piangere, di amare, di provare misericordia e tenerezza. In sostanza sei un morto vivente.
Per questo Gesù non sopportava i ricchi: perché sono dei morti viventi, degli zombi, che hanno così tanta paura da lasciarsi possedere dalle cose, dai ruoli e dalla maschere che si sono costruite. Sono in vita ma non sono vivi.

Gesù non sopporta i ricchi perché i ricchi non sono liberi, sono posseduti. Credono di valere perché hanno soldi, belle donne, belle auto, una bella famiglia, si possono permettere la vacanza di qua o di là, l'uscita in barca o la scuola d'élite, il vestito di marca o frequentano la gente altolocata.
Ma in realtà sono le cose che possiedono loro: senza di esse sarebbero niente. Per questo si attaccano alle cose in maniera terribile e non se ne possono staccare. Il ricco pensa di possedere le cose ma in realtà sono le cose che lo possiedono.

Gesù ha guarito i lebbrosi e gli indemoniati, anche quelli in preda a una moltitudine di demoni; ha resuscitato i morti, ha restituito la vista ai ciechi, ha fatto camminare i paralitici, ha guarito perfino a distanza. Ma con chi ha fatto l'unico fiasco Gesù? Con il giovane ricco. Non c'è stato verso; ci ha provato, ci ha tentato, ce l'ha messa tutta, lo ha amato con tutto il suo amore, ma non ha potuto niente.
Essere ricco, cioè l'uomo posseduto, per Gesù è la "sfiga" più grande che un uomo può avere. Per questo dovrà dire: "Beati i poveri...". E' necessario essere poveri perché se sei ricco (=posseduto) non puoi, è impossibile per te seguire Gesù.
"E più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno di Dio" (Lc 18,15): cioè è impossibile.

Il vangelo inizia dicendo: "La campagna di un uomo ricco fruttò abbondantemente" (Lc 12,16). Ma dobbiamo ricordare che il frutto abbondante, la ricchezza, nella Bibbia è benedizione divina. Quindi questa campagna è stata benedetta da Dio.
Quindi per Gesù non è un problema la ricchezza: è una benedizione. Solo che questa benedizione si trasforma in maledizione: "Egli ragionava così fra sé: che farò poiché non ho dove riporre i miei raccolti? E disse: Questo farò: demolirò i miei granai e ne costruirò altri più grandi, vi raccoglierò tutto il mio grano e i miei beni, e dirò all'anima mia: anima mia tu hai molti beni ammassati per molti anni, riposati, mangia, bevi e divertiti". Ma se la ricchezza è benedizione di Dio, dov'è il male allora?
Non nell'essere ricchi ma che non condivide! Lui ha già i granai pieni, che se ne fa di tutto questo?
Lui non ha pensato minimamente ai poveri, ai braccianti, ai giornalieri, a quelli che non avevano pane sufficiente: "Io ho già tanto, tutto questo ben di Dio non ha senso che me lo tenga per me ma lo voglio condividere: sarò felice io e lo sarete anche voi. Non posso essere felice di tutto questo se voi non avete neppure da mangiare!".
No, lui non ha pensato agli altri, ha pensato soltanto a se stesso.
Il ricco non può dire: "Io non centro". "Tu centri, invece, perché indirettamente, ma realmente tu crei la sofferenza degli altri; perché tu potendo fare non hai fatto".
Si racconta che un giorno da Madre Teresa arrivò un uomo molto potente e molto ricco. Con la Madre fecero un giro della Città imbattendosi in una bambina sull'orlo della morte. Alla vista di ciò la Madre tirò dritto con grande sorpresa dell'uomo: "Ma Madre, non si ferma... Se non fa qualcosa muore... Lei può salvarla... Lei può fare qualcosa per salvarla...", protestava l'uomo. La Madre si fermò tornò indietro e gli disse: "Ha ragione, sa!, quando si ha una ricchezza e si lascia morire un povero si è responsabili di quella morte, perché potendo fare qualcosa non lo si è fatto". L'uomo capì e arrossì.

Gesù non ha bisogno di queste persone squallide che si giustificano: "Io non ho fatto niente"; "Io non faccio niente di male"; "Io lo faccio per i miei figli per assicurargli un divenire".
Gesù vuole persone libere, persone non possedute ma in grado di dire: "Toh, quello che è mio è anche per te, dove si mangia in uno si mangia in due, e dove si mangia in due, si mangia in tre". E questo vale per il cibo, per la conoscenza, per le risorse, per le possibilità. Chi accumula per sé e per i suoi mentre gli altri muoiono è un "maledetto" da Dio.

"Rabbì, che cosa pensi del denaro?", chiese un giovane al maestro. "Guarda dalla finestra", disse il maestro. "Che cosa vedi?". "Vedo una donna con un bambino, una carrozza trainata da due cavalli e un contadino che va al mercato". "Bene. E adesso guarda allo specchio. Che cosa vedi?". "Che cosa vuoi che veda rabbì? Me stesso, naturalmente". "Ora pensa: la finestra è fatta di vetro e anche lo specchio è fatto di vetro. Basta un sottilissimo strato d'argento sul vetro e l'uomo vede solo se stesso".
Stai attento perché è un attimo! Basta davvero poco per non vedere più nulla se non che se stessi!

Pensiero della Settimana
Ci vuole più coraggio a vivere che a morire.
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05/08/2013 08:49
 
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La liturgia di oggi ci propone ancora una volta il passo del Vangelo di Matteo riguardante il miracolo della moltiplicazione dei pani, accostandolo alla situazione degli Israeliti nel deserto e all'atteggiamento assunto da Mosè.
Nel deserto gli Israeliti protestano, si lamentano. La dura vita di oppressione vissuta in Egitto si trasforma nel ricordo in una esistenza paradisiaca: "Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo gratuitamente, dei cocomeri, dei meloni, dei porri, delle cipolle, dell'aglio... Ora non c'è più nulla". Sono obbligati a dipendere ogni giorno dalla porzione di manna che viene loro donata da Dio e questo non li soddisfa. Mosè è quindi costretto ad ascoltare i loro lamenti e, poiché questa situazione costituisce per lui "un peso troppo grave", anch'egli si lamenta: "Mosè disse al Signore: Perché hai trattato così male il tuo servo?". Ed è così abbattuto che chiede di morire: "Se mi devi trattare così, fammi morire piuttosto, fammi morire!".
Passiamo al Vangelo. La folla che ha seguito Gesù non ha il tempo di lamentarsi, perché prima i Dodici e poi Gesù stesso si preoccupano della sua sorte. L'agire degli Apostoli presenta però una certa somiglianza con quello di Mosè: in un primo momento cercano di evitare ogni responsabilità, suggerendo a Gesù di congedare tutta quella gente perché si aggiusti da sola, vada a comprarsi di che mangiare.
Ma Gesù rifiuta questa soluzione: si assume la responsabilità della situazione ed esorta i suoi a fare altrettanto: "Date loro voi stessi da mangiare!". Però manca praticamente tutto: hanno a disposizione soltanto cinque pani e due pesci e la volontà di condividerli.
E che cosa fa Gesù? Non imita Mosè, non si lamenta; anzi, alza gli occhi al cielo e "pronunzia la benedizione", cioè ringrazia il Padre. Pronunziare la benedizione nel linguaggio biblico vuol proprio dire benedire Dio per i suoi benefici, come facciamo in ogni Eucaristia al momento dell'Offertorio con le parole: "Benedetto sei tu, Signore, Dio dell'universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane... questo vino"; questa è una preghiera di ringraziamento, di rendimento di grazie.
Gesù rende grazie in un momento in cui non c'è abbondanza: c'è soltanto qualcosa che non è per niente sufficiente. Ma il suo atteggiamento di amore riconoscente sblocca la situazione, perché permette alla generosità del Padre celeste di manifestarsi. Gesù spezza il pane, lo dà ai discepoli e questi alla folla e tutti possono mangiare a sazietà. E viene fuori anche una sovrabbondanza: dodici ceste piene di pezzi avanzati!
Quando ci troviamo in una difficoltà, la prima cosa da fare è aprire gli occhi su ciò che abbiamo a disposizione. Gesù ha detto agli Apostoli di portargli i cinque pani e i due pesci; ha ringraziato Dio per questi doni iniziali. Anche noi dobbiamo incominciare con le possibilità che abbiamo, usandole con amore riconoscente. U lamento infatti chiude ogni possibilità, trasforma le situazioni in vicoli ciechi; il ringraziamento che pone ogni fiducia in Dio invece apre ogni situazione alla generosità divina, permettendo al Signore di sbloccarla. Dio infatti viene in aiuto degli uomini sempre. Li aiuta in modi imprevedibili, e opera meraviglie. E però fondamentale esprimergli il nostro amore riconoscente: questo deve essere l'atteggiamento continuo del cristiano. San Paolo, nella sua prima lettera ai Tessalonicesi, li esorta: "Rendete grazie in ogni circostanza", quindi anche nei momenti difficili e di bisogno. Le situazioni difficili nascondono una grazia che ci viene offerta e che deve essere accolta con rendimento di grazie. I santi, testimoni credibili di questa verità, ci insegnano ad agire così, perché sanno che Dio nelle prove nasconde una grazia preziosa. Accoglierle con amore riconoscente ci apre alla gioia, allo slancio e ci permette di superarle, con l'aiuto del Signore.
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06/08/2013 08:05
 
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don Roberto Seregni
Trasfigurazione

La scorsa settimana alcuni amici hanno risposto al "Vangelo via mail" direttamente dalla spiaggia, con l'iphone o qualche novità tecnologica del genere. E' vero: il tempo delle vacanze può essere per noi, discepoli del Rabbì di Nazareth, una possibilità per ricercare nuovi tempi dello Spirito, per dedicarci a qualche lettura formativa, per tentare di fare il punto della propria vita credenti. Una spiaggia silenziosa alle prime luci dell'alba, una vetta solitaria che ti lancia verso il cielo, la dolcezza delle colline umbre, possono essere luoghi privilegiati per lasciare che la Parola ci raggiunga. Ci colpisca. Ci cambi il cuore. Così è successo a Pietro, Giacomo e Giovanni.
Gesù sale sul Tabor e i tre discepoli gli vanno dietro. Non lo capiscono fino in fondo, ma si fidano. Non riescono ancora a capire il mistero di quel Rabbì che parla apertamente della sua passione e morte, ma seguono il suo cammino.
In silenzio. Testa bassa. Uno dietro all'altro. Si sale. Il fiatone batte il ritmo della confusione.
E poi accade. Un fruscio. Una bagliore. Gesù è trasfigurato davanti ai loro occhi. Mosè ed Elia conversano con Lui e i discepoli fanno l'esperienza della gloria e della bellezza di Gesù. Pietro è talmente fuori di sé che propone un soggiorno residenziale...
Povero Pietro, ancora non sa che il maestro lo porterà su un cammino lungo e faticoso, che dovrà fare i conti con la povertà che lo abita e masticare la rabbia della sua piccolezza. Quella luce stupenda non basterà a dissipare le tenebre e le ombre delle sue paure. Pietro tradirà, dirà di non conoscere Gesù, piangerà lacrime amare, ma troverà dentro di sé il coraggio di lasciarsi amare, di rialzarsi, di ripartire.
No, la luce del Tabor, non è spenta. E' rimasta lì, stupenda e nascosta, nel cuore del focoso Pietro.
Ai discepoli confusi è concesso un anticipo della gloria: ecco chi è il messia che seguono, ecco qual è la destinazione della Sua - e loro - avventura.
Croce e gloria sono i due lati del mistero di Gesù, sono il vertice della Sua rivelazione. La Trasfigurazione svela che l'una sta dentro l'altra e anticipa quale sarà l'esito del cammino di Gesù.
Ai discepoli di allora e di oggi è indicata una via: ascoltatelo.
La voce del Padre non chiede gesti eroici o sacrifici inauditi, non annuncia catastrofi per gli infedeli e paradisi scintillanti per pochi eletti.
Il Padre dice ai discepoli di ascoltare il Figlio, questo è il suo desiderio, questo è il principio della nostra trasfigurazione: "Ascoltatelo!"
Coraggio, cari amici, tra ombrelloni, rifugi alpini o città deserte, oggi la liturgia ci richiama al primato dell'ascolto e alla possibilità di vivere una nuova trasfigurazione nella nostra vita. Mettiamo nelle Sue mani le nostre fatiche e le ombre che ci inquietano, consegnamo a Lui tutte le preoccupazioni e le ansie che appesantiscono il cuore. Saliamo al Tabor, con Lui. La luce della sua bellezza non ci lascerà mai soli.

don Robi
robertoseregni@libero.it

N.B. Per gli amici appassionati di montagne e di camminate, ricordo l'appuntamento del 7 agosto con la festa di San Gaetano in Trivigno. Partenza dalla Piazza San Martino di Tirano alle 6.45 e celebrazione della Santa Messa in Trivigno alle ore 10.30. Segue pranzo... Se vuoi saperne di più scrivimi!
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07/08/2013 07:18
 
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a cura dei Carmelitani


1) Preghiera

Mostraci la tua continua benevolenza, o Padre,
e assisti il tuo popolo,
che ti riconosce suo pastore e guida;
rinnova l?opera della tua creazione
e custodisci ciò che hai rinnovato.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...



2) Lettura

Dal Vangelo secondo Matteo 15,21-28
In quel tempo, partito da Genesaret, Gesù si diresse verso le parti di Tiro e Sidóne. Ed ecco una donna cananea, che veniva da quelle regioni, si mise a gridare: ?Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio?. Ma egli non le rivolse neppure una parola.
Allora i discepoli gli si accostarono implorando: ?Esaudiscila, vedi come ci grida dietro?. Egli rispose: ?Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele?.
Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui dicendo: ?Signore, aiutami!?.
Ed egli rispose: ?Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini?.
?È vero, Signore, disse la donna, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni?.
Allora Gesù le replicò: ?Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri?. E da quell?istante sua figlia fu guarita.



3) Riflessione

? Contesto. Il pane dei figli e la grande fede di una cananea è il tema che presenta il brano liturgico tratto dal cap.15 di Matteo e che propone al lettore del suo vangelo un ulteriore approfondimento della fede in Cristo. L?episodio è preceduto da un?iniziativa dei farisei e scribi che scendono da Gerusalemme e danno luogo a uno scontro con Gesù, che è di breve durata, in quanto insieme ai suoi discepoli si allontanò per recarsi nella regione di Tiro e Sidone. Mentre è in cammino viene raggiunto da una donna proveniente da qui luoghi pagani. Questa donna viene presentata da Matteo con l?appellativo di «cananea» che alla luce dell?At, appare in tutta la sua durezza. Nel libro del Deuteronomio gli abitanti di Canaan sono ritenuti gente piena di peccato per antonomasia, popolo cattivo e idolatrico.
? La dinamica del racconto. Mentre Gesù svolge in Galilea la sua attività ed è in cammino verso Tiro e Sidone, una donna gli si avvicina e inizia a importunarlo con una richiesta di aiuto per la sua figlia ammalata. La donna rivolge a Gesù con il titolo «figlio di Davide», un titolo che risuona strano sulla bocca di una pagana a che potrebbe essere giustificato per la situazione estrema che vive la donna. Si potrebbe pensare che questa donna creda già in qualche modo alla persona di Gesù come il salvatore finale, ma lo si esclude perché solo nel v.28 viene riconosciuto il suo atto di fede, proprio da Gesù. Nel dialogo con la donna Gesù sembra mostrare quella scontata distanza e diffidenza che vigeva fra il popolo d?Israele e i pagani. Da un lato Gesù conferma alla donna la priorità per Israele di accedere alla salvezza, e davanti all?insistente preghiera della sua interlocutrice Gesù sembra prendere le distanze; un atteggiamento incomprensibile al lettore ma nell?intenzione di Gesù esprime un alto valore pedagogico. Alla prima invocazione «Pietà di me, Signore, figlio di Davide» (v.22) Gesù non risponde. Al secondo intervento questa volta da parte dei discepoli che lo invitano ad esaudire la preghiera della donna, esprime solo un rifiuto che sottolinea quella secolare distanza fra il popolo eletto e i popoli pagani (vv.23b-24) Ma all?insistenza della preghiera della donna che si prostra davanti a Gesù, segue una risposta dura e misteriosa: «non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini» (v.26). La donna và oltre la durezza delle parole di Gesù e vi coglie un piccolo segnale di speranza: la donna riconosce che il piano di Dio portato avanti da Gesù interessa inizialmente il popolo eletto e Gesù chiede alla donna il riconoscimento di tale priorità; la donna sfrutta tale priorità per presentare un motivo forte per ottenere il miracolo: «Anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni» (v.27). La donna ha superato la prova della fede: «Donna, davvero grande e la tua fede» (v.28); infatti, all?umile insistenza della sua fede risponde con un gesto di salvezza.
Da questo episodio viene rivolto ad ogni lettore del Vangelo un invito ad avere quell?atteggiamento interiore di «apertura» verso tutti, credenti o no, vale a dire, disponibilità e accoglienza senza riserve verso qualsiasi uomo.



4) Per un confronto personale

? La parola inquietante di Dio ti invita a spezzare le tue chiusure e i tuoi piccoli schemi. Sei capace di accogliere tutti i fratelli che si accostano a te?
? Sei consapevole della tua povertà per essere capace come la cananea di affidarti alla parola salvifica di Gesù?



5) Preghiera finale

Non respingermi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito.
Rendimi la gioia di essere salvato,
sostieni in me un animo generoso. (Sal 50)
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08/08/2013 07:59
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai

Leggere il Vangelo e comprenderlo nella sua verità non sono la stessa cosa. Si può leggere tutta la Scrittura, ma donando ad essa una interpretazione, una comprensione, una scienza e una dottrina che non è quella che Dio ha posto in essa. Spesso la distanza tra ciò che si legge e ciò che si comprende è più di quella tra la terra e la più vicina galassia. Altre volte siamo proprio noi che inquiniamo la rivelazione mettendo in essa tutti i nostri pensieri contorti, le nostre favole, i nostri miti, le nostre concezioni, usanze, abitudini, tradizioni e persino i nostri peccati, come a volere che essa da ogni cosa ci giustifichi e ogni cosa regolarizzi come verità di Dio, come parola dell'Onnipotente, come volontà della sua Signoria, come giudizio del suo intervento.
È questo di sicuro uno strano modo di leggere e di comprendere la Scrittura. Così agendo non è essa che ci dice la volontà di Dio, siamo che noi diciamo ad essa la nostra volontà, i nostri desideri, le nostre velleità e vorremmo che essa li ratificasse tutti, a tutti donasse il diritto di cittadinanza, tutti elevasse a verità celeste.
Pietro ascolta Gesù Signore. Non solo non comprende il mistero da Lui annunziato, vuole che Gesù non lo compia, non lo realizzi e per questo lo invita a non recarsi a Gerusalemme. Pietro non ha bisogno di un messia umiliato, crocifisso, ucciso e neanche di un messia risorto. Lui ha bisogno di un messia guerriero, combattente, capace di schiacciare la testa a tutti i nemici del popolo dell'Alleanza. Ha bisogno di un messia forte, potente, onnipotente, invincibile alla maniera umana, mai alla maniera divina. Gli uomini dei suoi tempi avevano un'idea chiara del messia del Signore e Pietro non si ritrovava in quella che Gesù gli aveva prospettato.
Gesù non si lascia mai governare dagli uomini, i quali sempre pretendono il governo sia dei doni, sia dei carismi, sia delle missioni che Dio conferisce. Gesù è governato solo dal Padre. A Lui solo presta ogni obbedienza. Fa questo e lo dice con estrema chiarezza a Pietro: "Tu Pietro, mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!". L'altro ci potrà sempre tenterà, sempre ci tentare, sempre giustificherà la sua tentazione. Chi non deve cadere è sempre il tentato. Costui dovrà sempre rimanere nella più pura verità di Dio, nella sua più santa rivelazione, nella più perfetta conoscenza della divina volontà.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, aiutaci a non cadere mai nella tentazione che ci vuole secondo gli uomini e mai secondo Dio. Angeli e Santi del Cielo, fate sì che rispondiamo ad ogni tentazione con la stessa fermezza di Cristo Signore.
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09/08/2013 07:35
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Adorare Dio in Spirito e Verità

Dio cerca dei veri adoratori: «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli». Possiamo perciò dedurre che i veri adoratori sono i Santi. Essi non hanno detto solo parole e preghiere, ma hanno saputo conformare perfettamente la loro vita a Cristo. Hanno affermato il primato assoluto di Dio, hanno praticato in modo eroico le virtù cristiane e con la forza della grazia divina, hanno dato esempio di una fede intrepida. Per questo la chiesa ce li indica come modelli da imitare e ad essi ci affida come potenti intercessori presso il trono di Dio. Con la loro vita hanno lasciato un solco profondo nella storia ed hanno segnato il vero progresso dell'uomo che non è più valutato solo con criteri umani, ma alla luce stessa del Signore. Non sono stati privati di prove di ogni genere, ma hanno combattuto la buona battaglia e hanno conseguito il premio riservato ai servi fedeli e giusti. Ecco perché oggi la liturgia della Parola ci parla di come adorare Dio, come esprimere con la vita la migliore religiosità, come diventare giorno dopo giorno autentici adoratori di Dio. Dobbiamo essere grati ai Santi e far di loro memoria perché il loro «bene» non sia dimenticato da noi e la loro intercessione ci ottenga la grazia di saperli imitare. La nostra Europa sembra invece voglia dimenticare le sue radici cristiane, quasi rinnegare le pagine più belle della storia e rifiutare gli esempi dei suoi figli migliori. È ignoranza, cecità o cos'altro?
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10/08/2013 08:05
 
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padre Lino Pedron


Gesù spiega come si realizzerà il disegno paradossale della vita tramite la morte e come egli porterà a compimento la sua missione.
La piccola parabola del seme che cade nel terreno e muore è assai espressiva e semplice: il seme è Gesù che, come il chicco di grano, deve morire per diventare sorgente di vita per tutti.
Senza la morte non c'è fecondità, vita nuova e abbondanza di frutti.
La vita nuova che Gesù dona è la conseguenza della sua disponibilità e della sua morte.
La strada percorsa dal Maestro diviene la stessa che deve percorrere il discepolo, perché è partecipando alla sua morte che si raggiunge la gloria della vita. Solo chi si perde, si realizza.
Il più grande ostacolo alla piena donazione, e conseguentemente alla realizzazione di sé, è il timore di perdersi e di sacrificarsi in questo mondo. Gesù avverte chiaramente ogni discepolo: l'attaccamento a se stesso conduce al compromesso, mentre la completa maturità consiste nell'attività dell'amore, nella donazione che è servizio ad ogni fratello. Solo chi dona totalmente se stesso per amore, porta frutto e si apre ad un destino pieno di vita eterna.
Il detto sul servizio del v. 26 richiede al discepolo identità di vedute e di ideali con Gesù, collaborazione alla sua stessa missione, imitazione fino alla sofferenza e alla morte.
Questo orientamento di vita al seguito di Gesù è legato ad una ricompensa assicurata: la certezza di stare uniti con lui, di dimorare nell'amore del Padre (cfr Gv 14,3; 17,24) e di ricevere una "gloria" simile a quella del Figlio. Se il mondo disprezzerà i discepoli di Gesù, il Padre stesso li onorerà e li tratterà da figli (cfr Gv 5,44) rivelando loro il suo amore (Gv 17,24-26).
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11/08/2013 07:19
 
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padre Ermes Ronchi
Dio è al servizio della nostra felicità

Nell'ora che non im­maginate viene il fi­glio dell'uomo. Viene, ma non come una minaccia o un rendiconto che incom­be. Viene ogni giorno ed ogni notte e cerca un cuore atten­to. «Come un innamorato, de­sidera essere desiderato. Co­me l'amata io lo attenderò, ben sveglio: non voglio mancare l'appuntamento più bel­lo della mia vita!» (M. Marco­lini).
La parabola del signore e dei servi è scandita in tre mo­menti. Tutto prende avvio per l'assenza del signore, che se ne va e affida la casa ai suoi servi. Così Dio ha consegnato a noi il creato, come in prin­cipio l'Eden ad Adamo. Ci ha affidato la casa grande che è il mondo, perché ne siamo cu­stodi con tutte le sue creatu­re. E se ne va. Dio, il grande as­sente, che crea e poi si ritira dalla sua creazione. La sua as­senza ci pesa, eppure è la ga­ranzia della nostra libertà. Se Dio fosse qui visibile, inevita­bile, incombente, chi si muo­verebbe più? Un Dio che si im­pone sarà anche obbedito, ma non sarà amato da liberi figli.
Secondo momento: nella not­te i servi vegliano e attendono il padrone; hanno cinti i fian­chi, cioè sono pronti ad acco­glierlo, a essere interamente per lui. Hanno le lucerne ac­cese, perché è notte. Anche quando è notte, quando le ombre si mettono in via; quando la fatica è tanta, quan­do la disperazione fa pressio­ne alla porta del cuore, non mollare, continua a lavorare con amore e attenzione per la tua famiglia, la tua comunità, il tuo Paese, la madre terra. Con quel poco che hai, come puoi, meglio che puoi. Vale molto di più accendere una piccola lampada nella notte che imprecare contro tutto il buio che ci circonda.
Perché poi arriva il terzo mo­mento. E se tornando il pa­drone li troverà svegli, beati quei servi (si attende così so­lo se si ama e si desidera, e non si vede l'ora che giunga il mo­mento degli abbracci). In ve­rità vi dico, - quando dice co­sì assicura qualcosa di impor­tante -li farà mettere a tavola e passerà a servirli.È il capo­volgimento dell'idea di pa­drone: il punto commovente, sublime di questo racconto, il momento straordinario, quando accade l'impensabi­le: il signore si mette a fare il servo! Dio viene e si pone a servizio della mia felicità!
Gesù ribadisce due volte, per­ché si imprima bene, l'atteg­giamento sorprendente del si­gnore: e passerà a servirli.È l'immagine clamorosa che so­lo Gesù ha osato, di Dio no­stro servitore, che solo lui ha mostrato cingendo un asciu­gamano. Allora non chiamia­molo più padrone, mai più, il Dio di Gesù Cristo, chino da­vanti a noi, le mani colme di doni.
Questo Dio è il solo che io ser­virò, tutti i giorni e tutte le not­ti della mia vita. Il solo che ser­virò perché è il solo che si èfatto mio servitore.
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12/08/2013 08:55
 
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La prima lettura di oggi ci parla della potenza di Dio. Dio è potentissimo, "forte, terribile". Ora, quando gli uomini sono potenti, spesso sono prepotenti. La forza di Dio invece si accompagna ad una estrema delicatezza di attenzione alle persone e ad una preoccupazione per la giustizia. "Il Dio grande, forte e terribile, non usa parzialità, non accetta regali, rende giustizia all'orfano e alla vedova, ama il forestiero".
U Dio forte e terribile non accetta regali. Nella situazione attuale questa precisazione del Deuteronomio è molto illuminante. Dio non chiede tangenti: rende giustizia. Non cerca i propri interessi: cerca il bene di tutti.
E questo brano prepara la rivelazione evangelica del Dio generoso, del Dio che è giusto e rende giusti. E un brano ricco di esortazioni alla fedeltà, alla docilità, al timore e all'amore di Dio, per essere sempre in relazione con lui. "Che cosa ti chiede il Signore tuo Dio se non che tu tema il Signore tuo Dio, che tu l'ami, che tu serva il Signore con tutto il cuore e tutta l'anima?".
Una cosa è sorprendente: fra tutte queste belle esortazioni c e un solo precetto preciso: "Amate il forestiero". Li si vede proprio la generosità divina. Non amare soltanto la propria famiglia, i propri amici, i conoscenti, ma essere aperti all'amore dell'altro non conosciuto, il forestiero: colui che non rappresenta niente per noi, ma che si presenta a noi come bisognoso e qumdi come oggetto dell'amore divino: "Dio ama il forestiero e gli dà pane e vestito". Se vogliamo essere figli di Dio, dobbiamo anche noi amare il forestiero, avere il cuore aperto.
Nel Vangelo possiamo ammirare la forza e delicatezza di Gesù.
Gesù viene sollecitato a pagare la tassa per il tempio. Sa benissimo che egli, figlio di Dio, non ha nessun dovere di pagare le tasse per la casa di Dio, e lo fa sentire a Pietro: "Da chi i re di questa terra riscuotono le tasse? Dai propri figli o dagli altri?". È chiaro che le riscuotono dagli estranei.
Però Gesù, con grande delicatezza, non mette avanti i propri privilegi, pensa alla possibilità di uno scandalo e quindi usa la sua potenza per procurarsi il denaro necessario. Dice a Pietro: "Va' al mare, getta l'amo e il primo pesce che viene prendilo, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d'argento. Prendila e consegnala loro per me e per te". Così Gesù manifesta allo stesso tempo la sua potenza divina e la sua delicatezza in situazioni che possono essere un po' imbarazzanti.
Chiediamoci se abbiamo veramente accolto nei nostri cuori questa rivelazione di Dio e di Cristo, in modo da esserne trasformati.
Ci dobbiamo servire delle nostre capacità non per procurarci vantaggi più o meno leciti, bensì per venire in aiuto a chi è sprovvisto, indifeso.
Non dobbiamo insistere sui nostri diritti acquisiti, se questo rischia di recare danno ad altri, ma avere la preoccupazione sempre di aiutare gli altri a vedere che Dio è buono, che la sua forza si accompagna ad una estrema delicatezza, avendo anche noi questa delicatezza, che Dio ci dona, verso tùtti i bisognosi.
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13/08/2013 07:07
 
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Nel Deuteronomio oggi vediamo l'unione stretta delle promesse divine e delle divine esigenze. Le promesse divine sono generose; Dio promette di essere con gli Israeliti e in special modo con Giosuè. Agli Israeliti il Signore dice: "Non temete... il Signore tuo Dio cammina con te; non ti lascerà e non ti abbandonerà. Il Signore passerà davanti a te, distruggerà davanti a te le nazioni nemiche...". E anche a Giosuè viene fatta questa promessa bellissima: ~ Signore non ti lascerà e non ti abbandonerà; egli sarà con te".
Però queste promesse sono accompagnate da esigenze forti. Agli Israeliti Mosè dice, da parte di Dio:
"Siate forti; fatevi animo! " e la stessa cosa a Giosuè: "Sii forte; fatti animo!". Vediamo così che la vera speranza non è passiva. Non si tratta di rimanere con le mani in mano: la vera speranza è dinamica e si accompagna al coraggio.
Sant'Ignazio di Loyola diceva che dobbiamo sperare tutto da Dio e chiedere con fiducia immensa tutto ciò che ci occorre; però dobbiamo fare tutto ciò che siamo capaci di fare, come se Dio non facesse niente.
La speranza non può mai essere un pretesto per rimanere pigri, passivi, aspettando che Dio intervenga senza che noi facciamo nessuno sforzo.
Il coraggio cristiano, d'altra parte, è un coraggio che si accompagna all'umiltà. Lo vediamo nel Vangelo. Gesù ci dà come modello il bambino: "Se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli". Non dobbiamo avere la pretesa di dirigere tutto, o di realizzare i nostri progetti esattamente come noi li facciamo, ma la preoccupazione di fare con Dio l'opera di Dio, sapendo che chi la realizza è principalmente lui.
San Giovanni ci riferisce queste parole di Gesù, riguardanti lui stesso: "Il Figlio da sé non può fare nulla; se non ciò che vede fare dal Padre; ciò che il Padre fa, anche il Figlio lo fa". il Figlio riconosce che è Dio ad avere la iniziativa dell'opera e, d'altra parte, il Figlio ha la fiducia filiale di poter agire con il Padre, di poter collaborare con il Padre a un'opera comune, perché il Padre ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi. il Figlio s'impegna, direi, come un bambino che nell'officina aiuta il padre, con zelo, felicità, entusiasmo, ma senza pretesa orgogliosa. Questo deve essere proprio la caratteristica della nostra attività: sapere che chi agisce principalmente è Dio e noi siamo soltanto modesti collaboratori di una grande opera.
Chiediamo la grazia della vera fiducia filiale, fonte di tranquillo coraggio. Siamo invitati a fare l'opera di Dio; chi agisce principalmente è il Padre celeste, però per amore ci dà la possibilità di collaborare con lui e di fare così un'opera bellissima, con umiltà e con entusiasmo, con speranza e con dinamismo. L'atmosfera della vita cristiana deve essere così.
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14/08/2013 07:58
 
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a cura dei Carmelitani


1) Preghiera

Dio onnipotente ed eterno,
che ci dai il privilegio di chiamarti Padre,
fa' crescere in noi lo spirito di figli adottivi,
perché possiamo entrare
nell'eredità che ci hai promesso.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Matteo 18,15-20
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Se il tuo fratello commette una colpa, va' e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all'assemblea; e se non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano.
In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo.
In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro".


3) Riflessione

? Nel vangelo di oggi e di domani leggiamo e meditiamo la seconda parte del Discorso della Comunità. Il vangelo di oggi parla di correzione fraterna (Mt 18,15-18) e di preghiera in comune (Mt 18,19-20). Quello di domani parla di perdono (Mt 18,21-22) e riporta la parabola del perdono senza limiti (Mt 18,23-35). La parola chiave di questa seconda parte è "perdonare". L'accento cade sulla riconciliazione. Perché ci possa essere riconciliazione che permetta il ritorno dei piccoli, è importante saper dialogare e perdonare, poiché il fondamento della fraternità è l'amore gratuito di Dio. Solo così la comunità sarà un segno del Regno. Non è facile perdonare. Certi magoni continuano a martellare il cuore. Ci sono persone che dicono: "Perdono, ma non dimentico!" Risentimento, tensioni, scontri, opinioni diverse, offese, provocazioni rendono difficili il perdono e la riconciliazione.
? L'organizzazione delle parole di Gesù nei cinque grandi Discorsi del vangelo di Matteo indicano che alla fine del primo secolo, le comunità avevano forme ben concrete di catechesi. Il Discorso della Comunità (Mt 18,1-35), per esempio, riporta istruzioni attualizzate di come procedere in caso di qualche conflitto tra i membri della comunità e di come trovare criteri per risolvere i conflitti. Matteo riunisce quelle frasi di Gesù che possono aiutare le comunità della fine del primo secolo a superare i due problemi più acuti che dovevano affrontare in quel momento, cioè l'esodo dei piccoli a causa degli scandali di alcuni e la necessità di dialogo per superare il rigorismo di altri ed accogliere i piccoli, i poveri, in comunità.
? Matteo 18,15-18: La correzione fraterna e il potere di perdonare. Questi versi riportano norme semplici di come procedere in caso di conflitto in comunità. Se un fratello o una sorella peccassero, se avessero un comportamento non secondo la vita della comunità, non si deve subito denunciarli. Prima bisogna cercare di conversare da soli con loro. Poi bisogna cercare di sapere i motivi dell'altro. Se non si ottengono risultati, allora bisogna portare due o tre persone della comunità per vedere se si ottiene qualche risultato. Solo in casi estremi, bisogna esporre il problema a tutta la comunità. E se la persona non volesse ascoltare la comunità, allora che sia per te "come un pubblicano o un pagano", cioè, come qualcuno che non fa parte della comunità. Non sei tu che escludi, ma è la persona, lei stessa, che si esclude da sé. La comunità riunita non fa altro che constatare e ratificare l'esclusione. La grazia di poter perdonare e riconciliare in nome di Dio fu data a Pietro (Mt 16,19), agli apostoli (Gv 20,23) e, qui nel Discorso della Comunità, alla comunità stessa (Mt 18,18). Ciò rivela l'importanza delle decisioni che la comunità assume in rapporto ai suoi membri.
? Matteo 18,19: La preghiera in comune. L'esclusione non significa che la persona viene abbandonata alla propria sorte. No! Può essere separata dalla comunità, ma mai sarà separata da Dio. Nel caso in cui la conversazione nella comunità non dia risultato, e la persona non voglia integrarsi nella vita della comunità, rimane l'ultima possibilità di rimanere insieme al Padre per ottenere la riconciliazione. E Gesù garantisce che il Padre ascolterà: "Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro".
? Matteo 18,20: La presenza di Gesù in comunità. Il motivo della certezza di essere ascoltati dal Padre è la promessa di Gesù: "Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro!" Gesù è il centro, l'asse, della comunità e, come tale, insieme alla Comunità, pregherà sempre con noi il Padre, affinché conceda il dono del ritorno al fratello o alla sorella che si escluse.


4) Per un confronto personale

? Perché è così difficile perdonare? Nella nostra comunità c'è un po' di spazio per la riconciliazione? In che modo?
? Gesù disse: "Perché dove due o tre sono riuniti del mio nome, io sono in mezzo a loro". Cosa significa questo per noi oggi?


5) Preghiera finale

Lodate, servi del Signore,
lodate il nome del Signore.
Sia benedetto il nome del Signore,
ora e sempre. (Sal 112)
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15/08/2013 07:41
 
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Agenzia SIR
Commento su Lc 1,39-56

Il Magnificat è un'altissima lode di ringraziamento.Anche noi dobbiamo ringraziare il Signore. Per le persone, le parole, il pane, i segni che ci dona ogni giorno. Gratitudine per Maria. La gratitudine è una forma alta di spiritualità e s'impara; ci vuole una vera scuola.

Maria visita Elisabetta e apre il cuore all'incontenibile canto dell'amore di Dio per gli uomini. In Maria, la Parola dell'angelo si fa Pentecoste e impulso a uscire per andare a servire. Anche Elisabetta, ricevuto il "Pace a te" di Maria, è piena di Spirito Santo e avverte il sussulto del figlio che le cresce in grembo.

L'Assunzione è la verità e il mistero della Madre di Dio elevata nella gloria in corpo e anima vicino a suo Figlio. La tomba vuota di Maria, immagine della tomba vuota di Gesù, significa e preannuncia la vittoria della vita sulla morte. Primizia nel dolore, primizia nel destino della gloria, Maria ci attende per vivere e cantare con lei la nostra riconoscenza alla grazia di Dio. L'eterno Magnificat.

La visita di Maria a Elisabetta è la gioia dell'incontro,tanto ostacolato e tanto sospirato, tra lo sposo e la sposa: Elisabetta è gravida di millenni di attesa, Maria porta in sé l'Atteso. Nel loro incontro è l'abbraccio tra la promessa e il compimento. Elisabetta e Maria sono parenti; lo sono anche i bambini che portano in grembo: uomo e Dio sono della stessa carne. Noi siamo parenti di Dio!

Maria canta: l'anima mia dice che grande è il Signore!Adamo, al contrario, fece Dio piccolo, come la sua meschinità. Maria, invece, fa grande Dio perché lo vede come amoroso sposo capace di dare la vita. Lei riconosce Dio come Dio e scopre in sé l'immagine autentica di Lui. Il primo dono di Dio - e il primo canto a lui - è riconoscerlo grande, grande e per noi.

Il Magnificat è un canto in grande segreto, è una cosa fra Elisabetta e Maria; ci sono molti "mio" e "mia" che indicano una storia di nozze, fra Maria e il Signore. Oggi, festa di Maria assunta in cielo, alto, immenso, luminoso, simbolo di Dio. Assunta significa che è accolta alla presenza di Dio, arrivata a un'esperienza diretta di lui, alla visione beatifica. Maria è introdotta nella Trinità, più vicina al Padre, al Figlio e allo Spirito di quanto lo siano gli angeli e i santi.

L'Assunzione è la pasqua di Maria perché lei "è di Cristo" come nessun altro, associata a lui, in modo del tutto singolare, come Immacolata, Madre, discepola fedele, partecipe della passione, tutta Santa. In quello di Maria è il futuro di tutti. È l'immagine della Chiesa, la primizia dell'umanità salvata. Noi siamo in cammino verso la stessa meta, ma sempre inquieti, insoddisfatti. Non è la quantità delle esperienze che ci soddisfa. In realtà cerchiamo la vita, la felicità per sempre. La missione della Chiesa è additarla, anche attraverso l'architettura delle splendide Cattedrali con cupole grandiose. Simbolo del cielo.

Commento a cura di don Angelo Sceppacerca

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16/08/2013 07:42
 
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padre Lino Pedron


Con la domanda dei farisei sul divorzio appare lo scacco dell'amore in seno alla coppia. E' questa infatti la prima cellula dove "due sono uniti nel nome di Cristo" (Mt 18,20). L'intervento dei farisei mette sotto accusa Gesù e la novità del Regno.
La domanda "E' lecito a un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?" è importante. Al tempo di Gesù l'interpretazione di Dt 24,1 contrapponeva i seguaci di due scuole rabbiniche, quella di Hillel che ammetteva il divorzio per qualsiasi motivo, e quella di Shammai che richiedeva, come minimo, una cattiva condotta comprovata, anzi, un adulterio da parte della moglie.
La risposta di Gesù supera subito la disputa interpretativa tra i seguaci di Hillel e di Shammai. Alla maniera rabbinica, egli cita i brani di Gen 1,17 e 2,24 situando così la discussione a livello superiore: quello della volontà del Creatore. La distinzione tra i sessi trova quindi la sua origine nel Creatore: è più un'intenzione creatrice vissuta e rivelata che un semplice fenomeno di natura.
Gesù cita Gen 2,24: "L'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola" (v. 5) per sottolineare che è la volontà creatrice di Dio che unisce l'uomo e la donna. Quando si
uniscono, è Dio che li unisce: la congiunzione dell'uomo e della donna è l'effetto della parola di Dio.
La risposta di Gesù è quindi chiara: per volontà esplicita di Dio creatore il matrimonio è indissolubile, non si può divorziare per nessun motivo. Un testo di Malachia (2,13-16) dichiarava già prima di Cristo che ripudiare la propria moglie è rompere l'alleanza di Dio con il suo popolo (cfr anche Os 1-3; Is 1,21-26; Ger 2,3; 3,1.6-12; Ez 16 e 23; Is 54,6-10; 60-62).
Questa risposta di Gesù pare tuttavia in contraddizione con la legge di Mosè, che permetteva di dare un attestato di divorzio. Gesù, nuovo Mosè, riporta con forza la questione nei suoi giusti termini: all'amore di Dio che fa alleanza con l'uomo e gli dà la capacità di superare la durezza del cuore (v. 8), cioè la mancanza di docilità alla parola di Dio. La legge espressa in Gen 1,27 e 2,24 non è mai stata modificata o abolita.
Di fronte a questo "amore impossibile" i discepoli reagiscono violentemente: "Se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi" (v. 10). Essi indietreggiano davanti all'insopportabile esigenza dell'indissolubilità del matrimonio: impossibile da capire dagli uomini chiusi alla rivelazione di Dio, ma possibile per quelli che ricevono da Dio la grazia di capire.
Agli eunuchi per nascita o resi tali dagli uomini, Gesù aggiunge una terza categoria: quelli "che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli" (v. 12). L'eunuco è colui che non può compiere l'atto della generazione. Gli eunuchi per il regno dei cieli sono, anzitutto, coloro che, separati dal coniuge, continuano a vivere nella
continenza, saldamente fedeli al vincolo matrimoniale.
Anche là dove la legge di Mosè permetteva qualche indulgenza, il regno dei cieli esige e promette la comunione indissolubile d'amore in seno alla coppia e disapprova ogni atto che tende a distruggere l'unità sacra del matrimonio come è stata istituita dal Creatore.
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17/08/2013 06:03
 
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Nel dialogo tra Giosuè e il popolo riguardo al servizio del Signore Dio, alcune cose fanno meraviglia. La prima è che, dopo aver comandato agli Israeliti di servire il Signore, Giosuè lascia loro la scelta: "Se vi dispiace di servire il Signore, scegliete oggi chi volete servire", cioè qualche dio dei pagani. Poi, quando il popolo dichiara di voler servire Jahvè, il Signore d'Israele che l'ha liberato dalla schiavitù, Giosuè, invece di approvare questa giusta decisione, prende a impugnarla, tiene un discorso dissuasivo: "Voi non potrete servire il Signore", sarà troppo difficile, anzi sarà pericoloso, perché il Signore, in caso di infedeltà, "si volterà contro di voi, vi farà del male e vi consumerà".
Perché questo atteggiamento? Perché Giosuè vuol evitare il rischio di un impegno superficiale da parte degli Israeliti, un impegno che non reggerebbe alla prima difficoltà.
Accettare di entrare in un rapporto di alleanza con Dio non è una cosa da poco, non si tratta di una cerimonia esterna, senza conseguenze per la vita, che si dimentica appena è finita. Si tratta invece di un impegno radicale, che deve coinvolgere tutta la persona, in tutte le sue attività, in tutti i suoi pensieri, in tutte le sue aspirazioni. Nessuno è costretto a prendere questo impegno; Dio rispetta la libertà, lui che ha creato l'uomo libero e lo vuole libero
Sa Dio che una costrizione non è degna dell'uomo, e non è degna di Dio.
Ciascuno è quindi libero di scegliere, anche una via di perdizione. Però chi si impegna ad entrare in alleanza con Dio deve farlo sul serio. La dignità della persona umana sta precisamente nella capacità di prendere impegni seri e di mantenerli. Così fu rinnovata a Sichem l'alleanza del Sinai.
Noi cristiani siamo invitati a rinnovare ogni anno, nella veglia pasquale del Sabato Santo, i nostri impegni battesimali: rinunciare risolutamente a tutte le attrattive torbide e ambigue, a tutte le idolatrie del denaro, del sesso, del potere, a tutto ciò che in fondo è indegno della nostra umanità. Siamo invitati ad accogliere in pieno la luce di Dio nella nostra vita, il desiderio di Dio sulla nostra esistenza, l'amore di Dio. Siamo invitati a fondare tutto sulla relazione con Dio, che dà la vera libertà interiore, rende accoglienti, semplici, permette i rapporti più sinceri, più cordiali con gli altri.
Chi riceve l'amore che viene da Dio è sempre spinto a diffondere questo amore generosamente e umilmente.
Nel Vangelo di oggi vediamo che Gesù, essendo completamente disponibile all'amore proveniente dal cuore del Padre, era accogliente verso tutti e in particolare con i bambini, i quali non hanno le complicazioni degli adulti cresciuti male.
Torniamo quindi ai nostri impegni battesimali, per vivere una vita nuova, luminosa, quali figli di Dio carissimi, camminando nella carità come Cristo ci ha amati e ha dato se stesso per noi.
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18/08/2013 08:45
 
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don Marco Pedron
Vite infuocate

Il vangelo di oggi ci presenta un Gesù deciso, che vuole che prendiamo una posizione chiara. In un'altra parte del vangelo Gesù dirà: "Chi non è con me è contro di me" (Mt 12,30). Bisogna schierarsi: pro o contro Gesù. Molte persone vorrebbero nella vita salvare sempre "capra e cavolo": ma non si può!
La vita ti chiama a scegliere e scegliere è prendere questo per lasciare quello. Uno dei nostri sogni, invece, è quello di poter prendere tutto e tutti: non è possibile. Bisogna schierarsi nella vita, bisogna prendere le parti e una direzione ben chiara: o di qua o di là. E' l'uomo inconsistente, senza struttura, senza midollo, che cerca di salvare tutto. E non schierarsi è già uno schieramento e una posizione.

La prima immagine è il fuoco: "Sono venuto a portare il fuoco sulla terra".
Il fuoco ha un significato molto ampio: luce, calore, trasformazione, purificazione. Il fuoco è calore (l'amore è calore; fraternità, focolare; "essere al caldo" è essere protetti). Il fuoco è la candela: è il segno della luce dello spirito (il candeliere è la luce divina); l'uomo è la candela e Dio il candelabro dove le candele ardono. La fiaccola che arde è il mistero (pensate la fiaccola, il cero del tabernacolo che sta ad indicare: "Qui c'è il Mistero"). Il fumo del fuoco è l'elemento etereo, evanescente, sottile: è l'incenso, segno di qualcosa di imprendibile. Il fuoco è fulmine che distrugge, spacca, spezza, colpisce, disintegra. Il fuoco è cenere: il fuoco brucia, trasforma, fa passare, purifica; "essere passati per il fuoco" vuol dire aver superato una prova, un momento difficile, pericoloso; la cenere indica il lutto, la rinuncia, la spogliazione, il perdere qualcosa, il lasciare andare, il bruciarsi, il perdere.
Il fuoco è fiamma, energia di vita, desiderio di vita, voglia di vivere: quanto è meraviglioso stare di fronte ad un fuoco acceso di notte! E' il fuoco che ciascuno sente dentro. Il fuoco fuori innesca il fuoco che hai dentro; la sua luce è la luce che devi portare dentro di te; il suo calore è l'amore che vive dentro di te; il suo bruciare è la forza per bruciare i tuoi mostri e i tuoi fantasmi.
Qui non c'è dubbio su ciò che Gesù vuol dire: il fuoco è passione. C'era stato già un altro che aveva portato il fuoco sulla terra: Prometeo. Aveva rubato a Zeus una scintilla di fuoco per donarla agli uomini che aveva preso in simpatia. Per quell'atto sacrilego fu severamente punito: Zeus lo incatenò sul monte Caucaso e mandò una sua aquila a divorarne ogni giorno il fegato. Poi un giorno l'eroe Eracle, osando sfidare il potente Zeus, lo liberò.
Il mito di Prometeo ha vari significati ma fa capire quanto costa vivere con il fuoco e cosa si rischia. "Se giochi con il fuoco, rischi di bruciarti", dice un proverbio. E' così: è pericoloso.
Gesù riporta il fuoco sulla terra. Gesù fu così: un uomo di fuoco! Non si poteva passargli vicino e rimanergli indifferente: o lo si amava o lo si odiava. O lo si accoglieva o lo si rifiutava. O si era con lui o si era contro di lui. O diveniva l'amore della tua vita o il tuo peggior nemico. O ti cambiava la vita e te la rovesciava come "un calzino" o ti infastidiva e ti irritava da ucciderlo.
Gesù è così: o bruci o lo bruci. Se bruci, ti infiammi per lui, ti infervori per la sua causa, ti appassioni per il suo messaggio, ti si innesca dentro un fuoco, un desiderio, un ardore che più nulla potrà spegnere.
Altrimenti lo bruci, lo fai fuori. Spesso si sente dire: "Lo brusarìa!", cioè "lo eliminerei, lo brucerei". Perché uno così è troppo intenso, troppo pericoloso, troppo "caldo", troppo forte. Gesù era "troppo" e gli uomini da "poco" non potranno mai accettarlo.

Passione viene dal greco pathos, "sentire". Passione vuol dire sentire le cose, sentire le persone, sentire la vita, entrare in ogni cosa e lasciarsi toccare e farsi toccare. Passione è fuoco. Passione è sentire.
Il contrario è superficialità, anestesia, sonno, insensibilità. L'Apocalisse dice: "Non sei né caldo né freddo per questo ti vomito" (Ap 3,16). Mia madre diceva: "Non te sé da gnente" ("Non sai da niente"): vite insipide, senza sapore, senza sussulti, senza passione.
Dov'è la passione di un uomo che viene in chiesa tutte le domeniche, che torna a casa tranquillo, non scomodato da quello che sente e che dice alla propria moglie: "Anche questa è fatta!"? No, amico, tu non conosci Gesù. Tu non hai neppure idea di chi sia. Ti sei fatto il tuo Gesù, te lo sei addomesticato perché non ti dia troppo fastidio, perché non ti "rompa" troppo, ma Lui non è così.
Dov'è la passione di un padre che parla ai suoi figli sempre e solo di quanto sia importante trovarsi un lavoro... e un buon lavoro... e una buona posizione... perché con i soldi puoi fare poi tutto...? Che figlio verrà su? Cosa dovremo aspettarci? Un lavoratore, un imprenditore, un ragioniere, un uomo di successo, ma basta, nient'altro. Che ne sarà del fuoco che gli bruciava dentro?
Dobbiamo chiedere perdono ai nostri figli se noi adulti spegniamo il fuoco che hanno dentro. Perché gli insegniamo ad essere accomodanti piuttosto che a prendere una posizione magari controcorrente; che è meglio stare nel gruppo che da soli; che è meglio andare piano e sano piuttosto che osare; che è meglio non "avere troppi grilli" per la testa per il futuro; che a sognare non ne vale la pena e che è meglio accontentarsi per non essere delusi poi; che il mondo va così e che non ci si può fare niente; che non è il caso di fidarsi e di lasciarsi andare perché si rischia di prendere una "sventola" tremenda, ecc.
Così i nostri figli arrivano a vent'anni e noi (non loro) abbiamo già spento il loro fuoco. Li abbiamo addomesticati, li abbiamo conformati, li abbiamo resi innocui, li abbiamo adattati al sistema; saranno dei bravi "operai", eseguiranno, crederanno di guidare l'auto della loro vita e invece saranno su di un treno che altri dirigono. Li avremo allevati, li avremo educati: li avremo uccisi!
Dove sono gli uomini che si indignano per ciò che la globalizzazione produce? Dove sono gli uomini che si mettono in gioco, che lottano per cambiare il sistema politico? Dove sono gli uomini in prima linea? Dov'è l'uomo che lotta per la giustizia? Dov'è finito l'ardore di un uomo, il suo coraggio, la sua energia interna? Dov'è il fuoco che arde della coerenza ai valori, della solidarietà, del bene comune, della giustizia per tutti?
"Tutti i sabati pomeriggi accompagno mia moglie al centro commerciale", ha detto fiero un uomo. "Beo!!!".
E la madre che insegna alla figlia il bricolage e il fai date, il decoupage e le 100 ricette di Suor Paola, il trucco e l'abbigliamento giusto, che le è sempre vicina e che le raccomanda di comportarsi bene quando è fuori e di trovarsi un buon partito, cosa "passerà" alla figlia? Le passerà tante regole, tante buone maniere, ma non la passione di essere donna, creatrice di vita, fuoco d'amore per il mondo e casa, utero d'accoglienza, per ogni creatura esistente. Crederà di averla educata bene perché sua figlia, come tutte, si è sposata, ha trovato un bravo marito, è stimata e guardata da tutti visto che è proprio bella. Ma invece l'avrà spenta; l'avrà addomesticata; non avrà alimentato il sacro fuoco della vita che viveva dentro di lei.
Com'è possibile che la femminilità sia così svenduta e degradata in tv? Com'è possibile che le donne non dicano niente, che lascino passare tutto, che lo scandaloso sia diventato normalità?
Il prete che "passa" cosa bisogna fare e cosa non bisogna, cosa è buono e giusto e cosa invece no; che insegna la giusta misura e l'importanza di "non scaldarsi mai", di essere sempre controllati; che preme sempre sulle virtù dell'obbedienza e dell'umiltà; che ricorda che bisogna sempre darsi agli altri ed essere buoni; che non tira troppo lunghe le prediche perché potrebbero stancare; che certe cose è meglio non dirle perché potrebbero indignare e che per non urtare l'animo sensibile di certa gente è meglio astenersi da certe prese di posizione, forse crede di essere discepolo del Cristo... ma lo crede solo lui!
Perché se il prete non passa "il fuoco di Dio" non passa Dio. Se non fa innamorare... se non fa venire voglia di liberarsi da maschere e teatrini imposti... se non produce un terremoto nella vita delle persone così come Gesù faceva con chi lo voleva seguire... se non fa vibrare dentro emozioni forti d'amore, di passione, di coraggio, di lasciare tutto e seguirlo... se non fa venire voglia di rischiare per Lui... se non fa sentire quanta bellezza c'è nel seguire un messaggio del genere che è più forte di ogni resistenza e paura... se non si sente dalle sue parole la sua passione e il suo desiderio di Vita Vera..., avrà passato regole religiose, criteri per essere accolti dalla "brava gente", galateo di buona educazione e di maniere composte, ma non il sacro fuoco della vita, non Dio.
Passione vuol dire che vivo dentro. Quando ti guardo, ti guardo, ti entro dentro, giungo fino alla tua anima e lascio che tu giunga fino alla mia. Quando ti accarezzo non ti spolvero ma ti tocco, ti percepisco, le mie mani ti passano l'amore che provo per te. Quando amo, amo, e lo faccio con tutta la passione, l'eccitazione e la vibrazione che posso. Quando c'è da intervenire, lo faccio e non mi tiro indietro per vedere intanto cosa fanno gli altri. Quando sto con te, sto con te e quando sto con me, sto con me, senza voler essere da solo quando sto con te e con te quando sono da solo. Quando sto male, lo sento e me lo permetto; e quando sono felice non mi sento in colpa d'esserlo. E soprattutto cerco di vibrare, di essere come le corde di un'arpa, che vibrano qualunque cosa le tocchino.
Etty Hillesum scriveva: "Vorrei che il mondo s'incendiasse..."; lo voleva anche Gesù: "Come vorrei che questo fuoco fosse già acceso nella tua anima. Allora sì che saprai Chi sono!".

Poi Gesù dice: "C'è un battesimo che devo ricevere e come sono angosciato finché non sia compiuto". Gesù era già stato battezzato nell'acqua del Giordano (Lc 3,21-22) ma non è quello il vero battesimo. Il vero battesimo per lui e per tutti noi è il quello di fuoco.
Le persone dicono: "Sono un cristiano battezzato". "E allora?". Non vuol dire assolutamente niente questa frase. E' come dire: "So fare una casa perché mi sono iscritto ad ingegneria".
Gesù riceverà il battesimo di fronte ai suoi avversari, ai suoi nemici, quando dovrà esporsi, schierarsi; quando si troverà da solo e quando dovrà andare fino in fondo, anche se questo gli costerà caro, molto caro.
Il battesimo di fuoco è l'attimo in cui tu vivi, traduci in vita, in scelte, in voce, in atteggiamenti ciò che dici con le parole e ciò che vorresti o ti piacerebbe fare. Il battesimo di fuoco è quando la tua energia interna e interiore, la tua passione, va per la causa di Gesù. Solo allora saprai veramente chi è Lui.

Poi Gesù continua: "Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, la divisione!".
Nell'antichità era molto conosciuta la "pax romana". Ma che pace era? Chi contestava, chi alzava la voce, chi si ribellava, veniva eliminato. Era pace?
Uno dei grandi desideri delle persone è: "Stare in pace". Ma cosa vuol dire? "Stare in pace" vorrebbe dire non alzare la voce, tacere se si è in disaccordo, non tirare fuori problemi e questioni, avere sempre un tono tranquillo, dimesso, composto. "Sta' in pace!" viene detto a volte ai giovani. Cioè: "Fa' tacere le idee nuove; quello che senti tu non ci interessa; lascia perdere questi sogni, questi ideali; non lasciarti andare all'entusiasmo". Ma è pace questa? Questo è "piattume", fine di ogni slancio, guerra alla vita, morte di Dio, massificazione.

Padre e figlio contro; madre e figlia contro; suocera e nuora contro.
Gesù, essendo un fuoco, non è indifferente. Non è come l'acqua che passa via liscia e che prende la forma del contenitore. Dove Gesù si ferma non possono che nascere scontri e divisioni perché lui costringe ad ottiche diverse e a scelte chiare e radicali.
Il figlio che vede i suoi genitori andare alla messa ogni tanto (ma sempre a Natale e Pasqua!), che si trascinano stancamente nelle giornate, sempre "dietro a brontolare", che non credono altro che nel valore della tv, del conto bancario, del "chi si può permettere di più", del "guarda quello cos'ha!", se si ribellerà gli verrà rinfacciato che è un ingrato. "Con tutto quello che facciamo per te? E' questa la tua riconoscenza? Ti abbiamo dato tutto!". Ma deve ribellarsi, per amore di Gesù; deve staccarsi da quell'ambiente morto e senza vita per non finire lui stesso nel cimitero dei vivi. Ma quando lo farà sarà accusato di pazzia e sarà rinnegato con la frase: "Non ti ho mica insegnato così, io!; ma ti ho generato io? Non sei mica mio figlio tu?". E siccome quel gesto di quel loro figlio è un'accusa alla loro vita e al loro modo di vivere, o cambieranno e si renderanno conto di quanta morte, vuoto, c'è nella loro vita o lo rinnegheranno.
La donna che si è appassionata di Gesù e che esce una volta la settimana per andare all'incontro sul vangelo o al sabato per andare a catechismo e il marito non vuole? Il marito le dice: "Che vai a fare? Sta' a casa con i tuoi figli e con me, che il Signore è più contento". Non crea divisione? Non crea problema? E che si fa? Si segue la passione interiore o ci si accontenta?
L'animatrice che va a fare una settimana al camposcuola, "mangiandosi" così una delle due settimane di ferie con il proprio fidanzato, attirandosi le ire di lui, che deve fare? Si segue il proprio cuore o ci si adegua?
La donna che sente che il proprio cuore è imprigionato in un rapporto monotono, apatico, dove il sentimento d'amore non fluisce, dove tutto è scontato, banale, solito e lui dice: "A me va bene così, sei tu che hai un problema!", che deve fare? Se segue il proprio cuore crea divisione. Meglio questa pace?
Il figlio che vuole fare fisioterapia dopo la maturità ma il padre non vuole perché ha un ristorante che funziona bene e si guadagna un sacco, vorrebbe lavorare un po' meno e lasciare che il figlio prendesse il suo posto, che fa? Si accontenta il padre che gli sarà riconoscente tutta la vita o si segue il proprio desiderio? E se si segue il proprio desiderio non ci sarà guerra? Il padre non sentirà tutto questo come un affronto? E anche se non glielo dirà mai non ne sarà deluso? Un padre quando il figlio ha fatto proprio questa scelta, un mese dopo ha fatto un piccolo infarto, e gli ha detto: "E' tutta colpa tua!".
La donna che comprende di essersi sposata con un uomo non per amore ma solo per scappare da casa per cui non ne è innamorata, non lo è mai stata, gli è andata bene così (se l'è fatta andare bene così), hanno anche due figli, ma adesso lei sente che non può lasciar languire il proprio cuore e imprigionarlo solo per dovere, che fa? Tutti, tra l'altro, li ritengono una bella coppia e li ammirano. Si segue il proprio cuore, la Vita che pulsa dentro o ci si adegua? E se si tira fuori il problema, non è una bomba per tutti? Meglio la pace, questo genere di pace?
La ragazza che chiede ai suoi genitori di fare counseling perché vorrebbe tanto poter essere d'aiuto alle persone (lo sente come una sua chiamata) ma vive da sola, ha già il mutuo e non ce la fa con i soldi, che fa?
Se chiede aiuto ai suoi genitori (magari glieli daranno i soldi, visto che ne hanno la possibilità) le diranno: "Ma che fantasie hai per la testa? Hai già il tuo lavoro, cosa cerchi? Pensa a sposarti!". Non ne nascerà un conflitto? E' meglio reprimere il proprio slancio e far finta di niente e "tenerseli belli buoni"?

Dentro di noi si è cristallizzata l'idea che seguire il Signore voglia dire essere buoni, mansueti, dolci e sorridenti. Nel passato si è santificato l'uomo che sopportava tutto, che si annullava per gli altri, l'uomo che neppure diceva una parola ma in silenzio sopportava tutte le angherie con ubbidienza e umiltà.
Ma basta guardare il vangelo. La vita di Gesù non fu così. Non fu una vita di pace, come la intendiamo noi. La sua vita fu segnata dall'inizio alla fine dal conflitto, dalla lotta, dal contrasto e dalla divisione.
Giuseppe era già in conflitto con sé e con Maria prima ancora che Gesù nascesse: "Ma vuoi dirmi che tu sei incinta per opera dello Spirito Santo? Ma non scherziamo!" (Lc 1-2).
La Santa Famiglia dovette scappare in Egitto perché non era voluta a Nazareth: furono rigettati dai loro paesani.
Gesù fu in conflitto con la sua famiglia fin dall'inizio. Un giorno, a dodici anni, a Gerusalemme, disse chiaramente ai suoi genitori: "Non impicciatevi, non intromettetevi con la mia vita perché io devo fare le cose del Padre mio" (Lc 2,41-50). Con i suoi parenti andò addirittura peggio perché un giorno tentarono di prenderlo poiché dicevano: "E' pazzo da legare, dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo intervenire e prenderlo. Questo ci scredita tutti" (Mc 3,21).
Dovunque andava e dovunque passava qualcuno tentava di ucciderlo, di calunniarlo o di metterlo alla prova per ciò che diceva e per ciò che faceva. Sacerdoti e politici non lo potevano sopportare, lo odiavano a sangue.
Sfidò i potenti del tempo andando a Gerusalemme. E' una cosa che gli esegeti ancora non riescono a comprendere: perché mai si sarebbe recato lì a Gerusalemme, città nella quale rarissimamente aveva messo piede, nell'esatto momento in cui maggiormente era preso di mira dalla repressione?
Morì di morte violenta, assassinato sulla croce e fu grande liberazione per molti. Più che una vita di pace (come la intendiamo noi: assenza di conflitti e contrasti) fu una vita di guerra.
In Gv 9 c'è l'episodio significativo del cieco nato. Per tutto il giorno quest'uomo deve lottare e rompere con chi gli è attorno. E' in conflitto con tutti. Deve rompere con la sua famiglia che lo abbandona e lo "scarica": "Risposero i suoi genitori... domandatelo a lui; ha l'età, chiedetelo a lui" 9,20-23; deve rompere con l'ideologia e con ciò che tutti credevano e consideravano vero e giusto, quindi con un mondo: "Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi?... Una cosa so: prima ero cieco e ora ci vedo" (9,34.25); deve rompere con l'autorità protettrice che lo rinnega perché non è conforme alla sua linea: "E lo cacciarono fuori" (9,34). L'unica cosa che gli rimane è Dio: "Io credo Signore" (9,38).
Il vangelo non è un rifugio per chi ha paura di lottare, di mettersi in gioco, di scontrarsi. Diventare discepoli del Maestro vuol dire seguire il suo richiamo nel nostro cuore: vuol dire diventare se stessi, realizzare ciò che Lui ha messo come germe, seme, nel nostro profondo. Lo sappiamo già: ci sarà da lottare, ci saranno conflitti, non sarà né semplice né facile.
Questo perché diventare se stessi vuol dire deludere le aspettative di chi c'è vicino; e ce lo diranno! Diventare se stessi vuol dire rispondere no a certe richieste e pressioni per conformarci all'esistente e a ciò che sempre si è vissuto; e ce la faranno pagare! Diventare se stessi vuol dire affermarsi e qualcuno lo prenderà come un entrare in competizione, come un sottrargli visibilità e spazio pubblico; e ti darà addosso! Diventare se stessi vuol dire farsi sentire, e troverai sempre chi tenterà di tacitarti e di annullarti. Diventare se stessi vuol dire prendere posizione e schierarsi, dicendo: "Io non ci sto", "pesterai i piedi" a qualcuno e si rivolterà contro di te. Diventare se stessi vuol dire denunciare l'ingiustizia e combattere l'ipocrisia, e cosi facendo ti farai una moltitudine di nemici e ti circonderai di odio. Diventare se stessi vuol dire che metti prima Lui a quelli di casa tua, ai familiari, a quelli che dicono di amarti, e così sarai tacciato come un ingrato, un pazzo, un irriconoscente, e come ti faranno sentire in colpa!
Diventare se stessi vuol dire lottare per sé. Ma quanto ti ami se neppure lotti per te? Dici di amare Dio e non sei in grado neppure di amarti? Riflettici...!

Pensiero della Settimana
Quando la vita ti da mille motivi per cadere, tu rialzati,
quando i giorni sembrano bui e senza via d'uscita, tu spera,
quando le delusioni urlano più forte dei sogni, tu costruisci,
quando le rughe solcano il tuo viso, tu sorridi,
quando ti senti solo, vieni a cercarmi,
ti parlerò di come fare a rialzarti, ma tu fa lo stesso con me.
Ne ho bisogno...: miglioriamo insieme!
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19/08/2013 07:39
 
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a cura dei Carmelitani


1) Preghiera

O Dio, che hai preparato beni invisibili
per coloro che ti amano,
infondi in noi la dolcezza del tuo amore,
perché, amandoti in ogni cosa e sopra ogni cosa,
otteniamo i beni da te promessi,
che superano ogni desiderio.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Matteo 19,16-22
In quel tempo, ecco un tale si avvicinò a Gesù e gli disse: "Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?" Egli rispose: "Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti". Ed egli chiese: "Quali?"
Gesù rispose: "Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso". Il giovane gli disse: "Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?" Gli disse Gesù: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi".
Udito questo, il giovane se ne andò triste; poiché aveva molte ricchezze.


3) Riflessione

? Il vangelo di oggi ci parla della storia di un giovane che chiese a Gesù quale è il cammino per la vita eterna. Gesù gli indica il cammino della povertà. Il giovane non accetta la proposta di Gesù, perché è molto ricco. Una persona ricca è protetta dalla sicurezza della ricchezza che possiede. Ha difficoltà ad aprire la mano della sua sicurezza. Afferrata ai vantaggi dei suoi beni, vive preoccupata in difesa dei suoi interessi. Una persona povera non ha questa preoccupazione. Ma ci sono poveri con la mentalità di ricchi. Molte volte, il desiderio di ricchezza crea in loro una grande dipendenza e rende il povero schiavo del consumismo, poiché ricerca la ricchezza dappertutto. Non ha più tempo di dedicarsi al servizio del prossimo.
? Matteo 19,16-19: I comandamenti e la vita eterna. Una persona si avvicina a Gesù e gli chiede: "Maestro, cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?" Alcuni manoscritti dicono che si tratta di un giovane. Gesù risponde bruscamente: "Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono!" Dopo risponde alla domanda e dice: "Se vuoi entrare nella vita osserva i comandamenti". Il giovane reagisce e chiede: "Quali comandamenti?" Gesù ha la bontà di enumerare i comandamenti che il giovane doveva già conoscere: "Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso". É molto significativa la risposta di Gesù. Il giovane aveva chiesto cosa fare per ottenere la vita eterna. Voleva vivere accanto a Dio! Ma Gesù ricorda solo i comandamenti che dicono rispetto per la vita accanto al prossimo! Non menziona i tre primi comandamenti che definiscono la relazione con Dio! Secondo Gesù, staremo bene con Dio solo se sapremmo stare bene con il prossimo. A nulla serve ingannarsi. La porta per giungere a Dio è il prossimo.
In Marco, la domanda del giovane è diversa: "Maestro buono, cosa devo fare per ereditare la vita eterna?" Gesù risponde: "Perché mi chiami buono? Solo Dio è buono, e nessun altro!" (Mc 10,17-18). Gesù devia l'attenzione da se stesso verso Dio, perché ciò che importa è fare la volontà di Dio, rivelare il Progetto del Padre.
? Matteo 19,20: Osservare i comandamenti, a cosa serve? Il giovane risponde: "Ho sempre osservato tutte queste cose. Che mi manca, ancora?" Ciò che segue è strano. Il giovane voleva conoscere il cammino che porta alla vita eterna. Ora, il cammino della vita eterna era e continua ad essere: fare la volontà di Dio, espressa nei comandamenti. Detto con altre parole, il giovane osservava i comandamenti senza sapere a cosa gli servivano! Se lo avesse saputo, non avrebbe fatto la domanda. E' come per molti cattolici che non sanno perché sono cattolici. "Sono nato cattolico, per questo lo sono!" E' come se fosse un'usanza!
? Matteo 19,21-22: La proposta di Gesù e la risposta del giovane. Gesù risponde: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi". Udito questo, il giovane se ne andò molto triste, perché era molto ricco. L'osservanza dei comandamenti è appena il primo grado di una scala che va molto più in là e più in alto. Gesù chiede di più! L'osservanza dei comandamenti prepara la persona per potere giungere al dono totale di sé al prossimo. Marco dice che Gesù guarda il giovane con amore (Mc 10,21). Gesù chiede molto, ma lo chiede con molto amore. Il giovane non accetta la proposta di Gesù e si allontana, "perché era molto ricco".
? Gesù e l'opzione per i poveri. Una duplice schiavitù marcava la situazione della gente all'epoca di Gesù: la schiavitù della politica di Erode, appoggiata dall'Impero Romano e mantenuta da tutto un sistema bene organizzato di sfruttamento e di repressione, e la schiavitù della religione ufficiale, mantenuta dalla autorità religiose dell'epoca. Per questo, il clan, la famiglia, la comunità, si stavano disintegrando e una grande parte della gente era esclusa, emarginata, senza dimora, né una religione e una società. Per questo c'erano diversi movimenti che, come Gesù, cercavano di rifare la vita nelle comunità: esseni, farisei e più tardi, gli zelati. Ma nella comunità di Gesù, c'era qualcosa di nuovo che la differenziava dagli altri gruppi. Era l'atteggiamento dinanzi ai poveri ed agli esclusi. Le comunità dei farisei vivevano separate. La parola "fariseo" voleva dire "separato". Vivevano separate dalla gente impura. Alcuni farisei consideravano la gente ignorante e maledetta (Gv 7,49), in peccato (Gv 9,34). Non imparavano nulla dalla gente (Gv 9,34). Gesù e la sua comunità, al contrario, vivevano in mezzo alle persone escluse, considerate impure: pubblicani, peccatori, prostitute, lebbrosi (Mc 2,16; 1,41; Lc 7,37). Gesù riconosce la ricchezza e il valore che i poveri possiedono (Mt 11,25-26; Lc 21,1-4). Li proclama beati, perché loro è il Regno, dei poveri (Lc 6,20; Mt 5,3). Definisce la sua missione così: "annunciare la Buona Novella ai poveri" (Lc 4, 18). Lui stesso vive da povero. Non possiede nulla per sé, nemmeno una pietra su cui reclinare la testa (Lc 9,58). E a chi vuole seguirlo per vivere come lui, ordina di scegliere: o Dio, o il denaro! (Mt 6,24). Ordina di scegliere i poveri, come propose al giovane ricco! (Mc 10,21) Questo modo diverso di accogliere i poveri e di vivere con loro è una dimostrazione del Regno di Dio.


4) Per un confronto personale

? Una persona che vive preoccupata per la sua ricchezza o con l'acquisto di beni che la propaganda del consumismo le offre, potrà liberarsi da tutto questo per seguire Gesù e vivere in pace in una comunità cristiana? É possibile? Cosa ne pensi?
? Cosa significa per noi oggi: "Va, vendi tutto ciò che hai e dallo ai poveri"? É possibile fare questo letteralmente? Conosci qualcuno che è riuscito a lasciare tutto per il Regno?


5) Preghiera finale

Su pascoli erbosi il Signore mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino,
per amore del suo nome. (Sal 22)
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20/08/2013 07:42
 
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Riccardo Ripoli
Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi

Molti ragazzi che si sposano restano legati a doppio filo alle famiglie di origine, in taluni casi vanno ad abitare nello stesso stabile, se non nella stessa casa, ed i genitori, specie le mamme, si intrufolano nella vita dei giovani sposi causandone, talvolta, dissapori e separazioni. Certe scelte si fanno per paura di non saper camminare da soli, di offendere un genitore, di non avere voce in capitolo per l'eredità, oppure per opportunismo e per poter sposare prima si accettano compromessi che possano minare la stabilità di un rapporto.
Molte persone fanno lavori che non gli piacciono, pur avendo valide alternative a disposizione, ma la paura di lasciare una sicurezza per fare un salto in un'altra vita con maggiori soddisfazioni ma con minori certezze fa rimandare al punto che poi ci si adegua facendo passare gli anni.
Prendere un bambino in affidamento spaventa perché si pensa a quando dovrà andar via e per questa ed altre paure si rinuncia ad accogliere un bimbo che non è amato per non turbare la nostra quotidianità, accettando di fatto un compromesso con noi stessi.
Dedicarsi agli altri, fare della nostra vita una missione, abbandonare le nostre agiatezze spaventa. Lasciare tutto per dare amore, affetto, tranquillità, insegnamenti a chi è stato bastonato dalla vita, sia esso un bambino, un povero, un drogato, un carcerato, un malato è una cosa che piace a tanti, ma che in pochi fanno. Perché siamo così codardi da rinunciare ad un sogno per paura, così stupidi da non abbracciare la Felicità in cambio di una vita monotona ed egoista? Eppure di esempi ne abbiamo tanti. Il sorriso stampato sulla faccia di chi quel salto senza paracadute lo ha fatto è invidiabile. Avete mai visto un missionario di ritorno dall'Africa dopo qualche anno di missione? Sembra un idiota quando ci racconta delle sue disavventure, dei problemi con i capivillaggio, delle autorità che lo hanno messo in prigione e rilasciato solo dopo un riscatto, delle difficoltà a reperire fondi per costruire scuole, ospedali e pozzi. Idiota perché ha il sorriso stampato in viso, perché è pieno di speranza nonostante le avversità ed il continuo pericolo di vita. Idiota perché non vede l'ora di tornare in quell'inferno rinunciando alle comodità e alla tranquillità del nostro mondo. Ma vi siete mai domandati dove attinga tutta questa forza? Vi siete mai chiesti perché coloro che hanno il coraggio, o la temerarietà, o la pazzia di fare un salto senza paracadute poi sono più felici di noi? La risposta è semplice, hanno trovato la porta per entrare in un'altra dimensione. Quel salto lo fanno gli incoscienti, i pazzi, coloro che vogliono togliersi di dosso la polvere accumulata sui loro vestiti nel passato. Fare un salto, cambiare vita, mettere gli altri al primo posto non significa rinunciare a tutto, ma vuol dire prendere in mano le redini e sollecitare altri a saltare con te. Se una persona è convinta di quello che fa', trascinerà altri, specie coloro che gli sono vicini, a fidarsi, a buttarsi con lui da un aereo per entrare nella nuova dimensione.
E' come sognare, come quando ci leggono una favola nella quale il protagonista è su un'isola dove ci sono rumori inquietanti, popolazioni indigene con cattive intenzioni, covi di pirati, squali ed altri pesci che ti impediscono di fare un bagno serenamente. Durante una passeggiata ci troviamo davanti ad un pertugio nella roccia, buio, angusto. I più ne hanno timore e vanno avanti, ma alcuni si infilano in quel buco nella montagna e vi si addentrano. Fatti pochi metri carponi intravedono una luce in lontananza e si accorgono che possono alzarsi in piedi. La curiosità ci fanno camminare spediti e dopo poco raggiungiamo una grotta piena di luce dove il leone gioca con la gazzella, il bambino accarezza il serpente che fa le fusa, il giovane aiuta l'anziano a camminare che lo ripaga con la sua saggezza.
Quante volte mi sono sentito dire "beato te", ma chi lo diceva è poi andato avanti senza fermarsi. Quante volte hanno fatto i complimenti ai nostri ragazzi per come sono bravi, ma la paura dell'affidamento non ha fatto compiere loro il passo verso l'accoglienza.
Come mai non riusciamo ad entrare in quel pertugio, anche se chi ben conosciamo ci dice "fidati, troverai una bella caverna piena di luce" e preferiamo restare a tribolare sull'isola a fuggire dai cannibali, con la paura di fare il bagno, con il timore di essere divorati da qualche belva feroce? Paura dei cambiamenti, paura di fidarsi, paura di perdere qualcosa.
Stolti. Il Signore ci dice "chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto". Così è per i missionari, così è per chi si dedica al prossimo, così è per me.
Non ero povero, non ero solo, non avevo problemi di trovare lavoro, avevo un avvenire assicurato fatto di luci e di colori, ma ho capito che quello che avevo non era gioia e sono entrato nel pertugio. Non è stata subito scelta di vita, ma sono entrato fidandomi di chi mi diceva che vi avrei trovato un'aria diversa. Da subito ho cominciato a respirare meglio e titubante, anche perché avevo ventuno anni, mi sono addentrato. Arrivava un'aria frizzantina che scuoteva i miei sensi facendomi provare ebbrezze mai sentite e pian piano mi sono ritrovato in una caverna dove la serenità e la gioia ti fanno compagnia ogni giorno. In molti da fuori del buco nella roccia mi chiamavano "torna indietro o finirai male, torna alla tua vita che è una sicurezza", ma ero ormai preso da quella meraviglia, dal vedere che i bambini avevano bisogno di me, che potevo fare qualcosa per portare all'esterno quella luce. Sono tornato spesso nel mio mondo, ma per attingervi le cose positive, gli aiuti, per dare testimonianza della luce che ho trovato, per convincere altri a seguirmi.
Ho trovato più di quello che avevo, il Signore ha mantenuto la Sua promessa. Adesso ho tanti di quei figli sparsi per il mondo che nemmeno avessi avuto dieci mogli avrei potuto averne così tanti. Ho tante persone che mi vogliono bene, tanti che camminano con me, a partire da Roberta che è entrata da subito nel pertugio con me fidandosi di questo ragazzo pazzo. Da mangiare non mi manca e le case che abbiamo ricevuto sono invidiate da tanti.
Chi non si butta, in un modo o in un altro, mi sembra come colui che ha fame, ma invitato al ristorante preferisce non entrare perché il locale da fuori sembra brutto.
Se volete essere felici, cominciate voi a dare, il Signore vi ricompenserà come ha fatto con me.
Diamo a tutti la possibilità di venire a conoscerci, di passare un periodo con noi, di valutare un tipo di vita diversa. Se non ve la sentite di saltare, di prendere un bambino in affido, di abbandonare tutto per aiutare il prossimo, venite a vedere la caverna piena di luce dove siamo noi, oppure avete paura anche di guardarvi dentro? Passare un periodo con i ragazzi, capire che l'affidamento non è solo problemi e paure, ma soprattutto gioia, soddisfazione e amore e che quest'ultime sono di gran lunga superiori alle prime vi catapulterà in una realtà sconosciuta ma che esiste realmente. Quella caverna è aperta a tutti, tante sono le entrate, non c'è solo il buco dal quale siamo passati noi. Da qualunque parte si entri, chiunque decidiamo di aiutare, siano essi bambini, malati, emarginati, stranieri, donne sole e maltrattate o barboni, ci ritroveremo tutti nella stessa caverna con il sorriso da ebeti. Forse un po' idioti e un po' incoscienti, ma sicuramente più felici ed appagati di tanti che non hanno avuto nemmeno il coraggio di avvicinarsi a quel pertugio.
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21/08/2013 07:24
 
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Riccardo Ripoli
Non posso fare delle mie cose quello che voglio?

C'è tanta invidia, tanta gelosia da parte di chi si crede giusto. Ci scandalizziamo se chi ha lavorato solo un'ora riceve la stessa ricompensa di chi abbia lavorato un'intera giornata, ci scandalizziamo se chi ha vissuto una vita di peccati e poi si pente, come il ladrone sulla croce, ottiene lo stesso trattamento da parte di Gesù rispetto a chi ha avuto una vita irreprensibile. E' gelosia e invidia, niente di più. Il Signore ci promette il Suo amore se ci comportiamo bene, se seguiamo i Sui comandamenti e ci promette anche il Suo perdono se capiamo i nostri errori. Tanto ci deve bastare. Noi facciamo il nostro lavoro, aiutiamo il prossimo, e lasciamo che sia Dio a giudicare, a separare il bene dal male, ma non erigiamoci a giudici e smettiamo di puntare il dito verso gli altri, smettiamola di pensare di essere migliori di chi non va in chiesa o non fa le preghiere tutte le sere. La nostra Fede ci dice di pregare? Bene, preghiamo. Altre persone non pregano, non vanno in chiesa ma si comportano bene, amano i bambini, curano i propri anziani, accudiscono i malati, educano i figli con sani principi? Il Signore li ama quanto ama noi, perché essere invidiosi? Non abbiamo anche noi l'amore di Dio se ci comportiamo bene? Coloro che guardano con gelosia le persone che sono amate da Dio, che giudicano gli altri e non lasciano che sia il Signore a valutare si vedranno sorpassare dagli altri che nella loro semplicità dedicano al prossimo tutta la loro vita, senza tanti clamori, senza nulla pretendere.
Il mio amico, ateo a suo dire, è mille volte migliore di me agli occhi di Dio. Io leggo il Vangelo tutti i giorni, lo commento con i miei ragazzi e so bene cosa voglia il Signore da me, eppure sbaglio mille volte al giorno, sono peccatore. Il mio amico, come tanti altri che in chiesa non vanno e non credono in Dio, ha una vita dedicata alla famiglia, si fa in quattro per gli altri, c'è sempre quando hai bisogno di lui, è un ottimo padre ed un marito fedelissimo nonostante le tante occasioni che potrebbe avere, lavoratore instancabile con un profondo senso dell'onore, dell'amicizia, della correttezza verso i colleghi anche se a volte non è contraccambiata? Il Signore gli darà una grande ricompensa quando sarà il momento, anche se non va in chiesa, anche se non crede in Lui. Perché esserne gelosi? Anzi, ne sono orgoglioso, sono fiero di avere una così brava persona come mio amico e da lui ho ricevuto critiche dolci e costruttive che mi hanno fatto aprire gli occhi su molte situazioni.
Tante volte con i miei bimbi mi trovo in questa situazione, dove uno è geloso se do un premio ad un altro. Mi tacciano di ingiustizia e borbottano alle spalle, ma li conosco bene e cerco di incentivarli, di spronarli. Così se uno è un grande lavoratore, fa bene i suoi turni, studia con profitto otterrà grande considerazione, gite, bagni in piscina, passeggiate a cavallo. Se un altro non ha voglia di fare, ma poi capisce che è bene fare ed aiuta un pochino, seppur con grande fatica, otterrà da me le stesse cose del primo. E' uno stimolo a fare meglio, un incentivo per continuare la strada intrapresa.
Ormai i ragazzi più grandi sanno che quando chiedo chi vuole qualcosa, ad esempio l'ultima fetta di cocomero o l'ultima palettata di gelato, non devono essere i più veloci ad alzare la mano, perché chi vuole non pensando che ci sono anche gli altri, è la volta che non avrà nulla a favore di chi, pur desiderando, lascia ai fratelli. Ed è così che dividiamo la fetta di cocomero o la palettata di gelato tra coloro che non si sono affannati a chiederla per primi, che spesso restano a bocca asciutta per imparare a non voler cercare sempre di essere primi.
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22/08/2013 09:16
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Matteo 22,1-14

1) Preghiera

O Dio, che hai preparato beni invisibili
per coloro che ti amano,
infondi in noi la dolcezza del tuo amore,
perché, amandoti in ogni cosa e sopra ogni cosa,
otteniamo i beni da te promessi,
che superano ogni desiderio.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Matteo 22,1-14
In quel tempo, Gesù riprese a parlare in parabole ai capi dei sacerdoti e agli anziani e disse: "Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire. Di nuovo mandò altri servi a dire: Ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e miei animali ingrassati sono già macellati e tutto è pronto; venite alle nozze. Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. E disse ai suoi servi: Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze.
Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l'abito nuziale, gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senz'abito nuziale? Ed egli ammutolì.
Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti".


3) Riflessione

? Il vangelo di oggi narra la parabola del banchetto che si trova in Matteo ed in Luca, ma con differenze significative, procedenti dalla prospettiva di ogni evangelista. Lo sfondo che conduce i due evangelisti a ripetere questa parabola è lo stesso. Nelle comunità dei primi cristiani, sia Matteo che Luca, continuava ben vivo il problema della convivenza tra i giudei convertiti ed i pagani convertiti. I giudei avevano norme antiche che impedivano loro di mangiare con i pagani. Anche dopo essere entrati nella comunità cristiana, molti giudei mantenevano l'usanza antica di non sedersi alla stesso tavolo con un pagano. Così Pietro ebbe conflitti nella comunità di Gerusalemme, per essere entrato a casa di Cornelio, un pagano e per aver mangiato con lui (At 11,3). Questo stesso problema era vivo in modo diverso nelle comunità di Luca e di Matteo. Nelle comunità di Luca, malgrado le differenze di razza, di classe e di genere, avevano un grande ideale di condivisione e di comunione (At 2,42; 4,32; 5,12). Per questo, nel vangelo di Luca (Lc 14,15-24), la parabola insiste nell'invito rivolto a tutti. Il padrone della festa, indignato per il mancato arrivo dei primi invitati, manda a chiamare i poveri, gli storpi, i ciechi, e li invita a partecipare al banchetto. Ma c'è ancora posto. Allora, il padrone della festa ordina di invitare tutti, fino a riempire la casa. Nel vangelo di Matteo, la prima parte della parabola (Mt 22,1-10) ha lo stesso obiettivo di Luca. Arriva a dire che il padrone della festa ordina di far entrare "buoni e cattivi" (Mt 22,10). Ma alla fine aggiunge un'altra parabola (Mt 22,11-14) sul vestito di festa, che insiste in ciò che è specifico dei giudei, la necessità di purezza per potere comparire dinanzi a Dio.
? Matteo 22,1-2: L'invito a tutti. Alcuni manoscritti dicono che la parabola fu raccontata per i capi dei sacerdoti e per gli anziani del popolo. Questa affermazione può servire perfino di chiave di lettura, perché aiuta a capire alcuni punti strani che appaiono nella storia che Gesù racconta. La parabola comincia così: "Il Regno dei Cieli è simile a un re che fece una festa di nozze per suo figlio". Questa affermazione iniziale evoca la speranza più profonda: il desiderio della gente di stare con Dio per sempre. Diverse volte nei vangeli si allude a questa speranza, suggerendo che Gesù, il figlio del Re, è lo sposo che viene a preparare le nozze (Mc 2,19; Apoc 21,2; 19,9).
? Matteo 22,3-6: Gli invitati non vogliono venire. Il re invita in modo molto insistente, ma gli invitati non vogliono venire. "Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero." In Luca sono i doveri della vita quotidiana ad impedire di accettare l'invito. Il primo dice: "Ho comprato un terreno. Devo vederlo!" Il secondo: "Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli!" Il terzo: "Ho preso moglie. Non posso andare!" (cf. Lc 14,18-20). Secondo le norme e le usanze dell'epoca, quelle persone avevano il diritto e perfino il dovere di non accettare l'invito fatto (cf Dt 20,5-7).
? Matteo 22,7: Una guerra incomprensibile. La reazione del re dinanzi al rifiuto è sorprendente. "Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città". Come interpretare questa reazione così violenta? La parabola fu raccontata per i capi dei sacerdoti e per gli anziani del popolo (Mt 22,1), i responsabili della nazione. Molte volte, Gesù aveva parlato loro sulla necessità di conversione. Pianse perfino sulla città di Gerusalemme e disse: "Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi. Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stingeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata." (Lc 19,41-44). La reazione violenta del re nella parabola si riferisce probabilmente al fatto secondo la previsione di Gesù. Quaranta anni dopo, Gerusalemme fu distrutta (Lc 19,41-44; 21,6;).
? Matteo 22,8-10: Il banchetto non viene abolito. Per la terza volta, il re invita la gente. Dice ai suoi servi: "Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze. Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali". I cattivi che erano esclusi, per essere considerati impuri, dalla partecipazione nel culto dei giudei, ora sono invitati, specificamente, dal re a partecipare alla festa. Nel contesto dell'epoca, i cattivi erano i pagani. Anche loro sono invitati a partecipare alla festa delle nozze.
? Matteo 22,11-14: Il vestito della festa. Questi versi raccontano che il re entrò nella sala della festa e vide qualcuno senza l'abito della festa. E il re chiese: 'Amico, come hai potuto entrare qui senz'abito nuziale? Ed egli ammutolì". La storia racconta che l'uomo fu legato mani e piedi e fu gettato fuori nelle tenebre. E conclude: "Molti sono i chiamati, ma pochi eletti". Alcuni studiosi pensano che si tratti di una seconda parabola che fu aggiunta per mitigare l'impressione che rimane della prima parabola, dove si parla di "cattivi e buoni" che entrano per la festa (Mt 22,10). Pur ammettendo che non è certo l'osservanza della legge che ci dà la salvezza, bensì la fede nell'amore gratuito di Dio, ciò in nulla diminuisce la necessità di purezza del cuore quale condizione per poter comparire dinanzi a Dio.


4) Per un confronto personale

? Quali sono le persone che sono normalmente invitate alle nostre feste? Perché? Quali sono le persone che non sono invitate alle nostre feste? Perché?
? Quali sono i motivi che oggi limitano la partecipazione di molte persone nella società e nella chiesa? Quali sono i motivi che certe persone addicono per escludersi dal dovere di partecipare alla comunità? Sono motivi giusti?


5) Preghiera finale

Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
Non respingermi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito. (Sal 50)
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23/08/2013 07:18
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Il primo dei comandamenti

La frantumazione della legge aveva fatto degenerare in uno sterile formalismo la religiosità del popolo d?Israele. Finalmente c?è qualcuno che cerca l?essenziale e vuole scoprire una gerarchia nella selva dei precetti: ?Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?? L?interrogante non è mosso proprio da zelo autentico; è un dottore della legge che ritiene ancora una volta di mettere in imbarazzo il Signore. La richiesta conserva comunque tutta la sua validità ed importanza. Gesù, sapendo di parlare con un fariseo, riprende un testo del Deuteronomio, dove è contenuta la Toràh, il cammino della vita. Secondo Gesù tutto s?incentra nell?appello all?amore a Dio e al prossimo: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti». È un?anticipazione del comandamento nuovo che lo stesso Gesù scandirà e non solo a parole. Ci appaiono evidenti le motivazioni teologiche del comando del Signore: Dio è amore nella sua essenza, egli è il nostro creatore e Signore, ci ha creati per sé, per amore e ci ha quindi legati a se con vincoli indissolubili da vivere, sperimentare e godere nel tempo e nell?eternità. Creatore e creatura, come genitore e figlio, istintivamente, salvo aberranti deviazioni, sono uniti dall?amore. Quando poi prendiamo coscienza che quell?amore si spinge fino all?immolazione, al dono della vita in una ineguagliabile passione, fino alla morte, il bisogno di ricambiare quell?immenso dono diventa urgenza insopprimibile. Facciamo un prodigioso passaggio dalla somiglianza connaturale, impressa in noi con la creazione, a quella soprannaturale scaturita dalla redenzione. Non siamo quindi più schivi ed estranei di Dio, ma figli ed eredi e come tali abbiamo l?onore e l?ardire di chiamarlo con l?appellativo di Padre. È poi normale che in lui ci scopriamo anche fratelli, essendo figli dell?unico Signore che sta nei cieli. Accomunàti dall?unica fede, amati dall?unico Padre, in cammino verso lui insieme come umanità e come chiesa, la nostra fraternità non può non essere vissuta che nell?amore, in Dio, nostro Padre, Padre di tutti.
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23/08/2013 07:19
 
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Quanto illuminante è la risposta di Gesù al dottore della legge che l'interrogava su quale fosse il più grande comandamento! Quanto è entusiasmante questa risposta! U più grande comandamento infatti è quello dell'amore: "Amerai il Signore Dio tuo; amerai il prossimo tuo". In proposito possiamo notare alcune cose sorprendenti.
La prima è che Gesù non ha scelto un comandamento del Decalogo, uno dei dieci comandamenti. Eppure sarebbe sembrato più normale: secondo la Bibbia i dieci comandamenti sono stati rivelati da Dio stesso, anzi incisi da lui sulle due tavole di pietra; non sono forse i più importanti? Eppure Gesù non ha citato nessuno di essi, ma ha scelto un brano del Deuteronomio e un altro del Levitico. Perché?
Lo possiamo indovinare se riflettiamo sulla natura dei dieci comandamenti. Sono per lo più una serie di divieti: Non rubare; non uccidere; non testimoniare il falso; non avere cupidigia...; o anche precetti, ma ristretti: Osserva il sabato; onora i genitori... Esprimono le condizioni necessarie per non uscire dalla relazione con Dio.
Invece Gesù ha scelto precetti positivi, dinamici, che ci lanciano avanti: "Amerai con tutto il cuore". Chi avrà mai finito di progredire in questa direzione, chi raggiungerà questa meta? "Amerai con tutto il cuore, con tutte le forze, con tutta la mente". Amare il prossimo senza limiti... La parabola del buon Samaritano ci mostra in che modo Gesù intendeva il prossimo: ciascuno deve farsi prossimo a tutti i bisognosi che incontra.
Un'altra cosa sorprendente è che la domanda concerneva un solo comandamento: "il più grande" e nella sua risposta invece Gesù ne ha aggiunto un secondo:
"Amerai il tuo prossimo". E, cosa più sorprendente ancora, Gesù dichiara che "il secondo è simile al primo". Chi avrebbe mai pensato questo? Noi li vediamo molto diversi, questi due comandamenti. "Amerai il Signore Dio tuo": Dio, la perfezione stessa, Dio pieno di amore, Dio che non ha nessun difetto si deve amare, è chiaro. Invece: "Amerai il prossimo tuo": uomini difettosi, miserabili, talvolta tanto sgradevoli e ostili... Come dire che il secondo comandamento è simile al primo? Eppure Gesù ha dichiarato questo. E tutto il Vangelo, tutto il Nuovo Testamento va in questo senso: l'amore del prossimo è inseparabile dall'amore che diamo a Dio; amando il prossimo, amiamo veramente Dio; non amando il prossimo, non possiamo pretendere di amare Dio. La corrente di amore che viene da Dio la dobbiamo accogliere in noi non passivamente, fermandola a noi stessi. Se facciamo così non riceviamo veramente l'amore di Dio. La dobbiamo invece ricevere in modo attivo, cioè non possiamo amare veramente Dio, se non accettiamo di amare con Dio, e quindi di amare tutti gli esseri, tutte le persone che Dio ama. Soltanto così siamo nell'amore di Dio, e l'amore di Dio in noi diventa perfetto, come dice san Giovanni.
Questa rivelazione evangelica definisce lo scopo di tutta la nostra vita. Non abbiamo altro programma, se siamo veramente cristiani: progredire nell'amore. Ciascuno deve trovare la forma di amore che corrisponde alla propria vocazione, non ci sono due forme identiche di progresso nell'amore; però siamo tutti uniti in questo stesso orientamento: amare. Non c'è altro comandamento. "Amerai il Signore... Amerai il tuo prossimo.. .". Essere uniti nell'amore è l'ideale cristiano.
La prima lettura preparava la lezione evangelica, perché dimostra come una straniera, che non faceva parte del popolo di Dio, anzi apparteneva a un popolo disprezzato dagli Israeliti (Rut era una moabita), mossa da un affetto fedele e generoso per la suocera vedova e desolata, si è trovata per il fatto stesso in relazione privilegiata con Dio, diventando una antenata di Davide e quindi di Cristo. Amore del prossimo e amore di Dio si sono trovati strettamente collegati. La fedeltà generosa agli affetti umani mette in rapporto profondo con la fedeltà di Dio.
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24/08/2013 09:05
 
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Riccardo Ripoli
Vieni e Vedi

Tutti quanti siamo chiamati ad andare a vedere cosa succede fuori dal nostro mondo, dalla nostra realtà. Le notizie al telegiornale, le associazioni che operano nei vari campi di assistenza alle persone, la fame nel mondo, le guerre, le calamità naturali. Tutti sono richiami per la nostra anima, cuore, intelletto. Stimoli che quasi mai accogliamo. Nessuno di noi può, da solo, cambiare il mondo, ma ognuno di noi può dare un bicchier d'acqua a chi ha sete, un tozzo di pane a chi ha fame, una parola gentile a chi incontra per la strada, qualche minuto di compagnia a chi giace in ospedale, una lettera con poche righe a chi è in carcere. Quanti di voi alzano il sedere dalle proprie comode poltrone per andare a vedere la pena che c'è nel quartiere accanto al vostro? Alcuni sono chiamati con forza dal Signore, magari dopo tante richieste cadute nel vuoto. Così è accaduto a me. Fino a ventuno anni amavo la bella vita e poco mi preoccupavo di chi soffriva, o meglio me ne sarei anche preoccupato se avessi ascoltato i messaggi che arrivavano dall'esterno della mia sfera di cristallo ove mi ero comodamente rinchiuso. Esistevano le mie vacanze, la mia casa, la mia famiglia, il mio mangiare, le mie amicizie e non vedevo altro. Non era cattiveria o egoismo, era grande pigrizia, paura forse di vedere cose che preferivo rimanessero fuori dalla mia vita. Così è per molte persone, hanno il loro lavoro, la famiglia, le amicizie, le piccole comodità quotidiane ed allora perché andare altrove? Perché guardare in altre direzioni? Sono malati? Qualcuno li curerà. Sono in carcere? Peggio per loro. Sono bambini abusati? Ci pensino i servizi sociali. Ma dove pensate di andare ancora indossando i paraocchi e girandovi da tutte le parti pur di non guardare, pur di non vedere che ci sono realtà brutte per le quali basterebbe anche un'ora sola a settimana sottratta al parrucchiere, alla palestra, ad una cena con gli amici per dare gioia e speranza ad una persona, per sostenere un'associazione che si batte per i diritti di qualcuno, per ... per dare un senso alla propria vita, un senso che sia quello di benessere agli altri, ma soprattutto a noi stessi.
Quando il Signore ha chiamato in Paradiso la mia mamma, è come se mi avesse svegliato dal mio torpore con un fortissimo richiamo. Io sono di carattere duro e se Gesù non mi avesse scrollato con forza la polvere che negli anni avevo accumulato, probabilmente non sarei più riuscito ad andare verso gli altri. Ma voi non aspettate che il Signore gridi con forza il vostro nome per destarvi e camminare sulla strada che vi ha indicato. Non è detto che la via che vi siete scelti sia sbagliata, anzi per la maggior parte di voi è certamente un bel cammino di amore verso il coniuge, i figli, i parenti. Dio non vi chiede di cambiare le vostre scelte, di andare in missione o mettervi davanti ad un carro armato per evitare che uccida degli innocenti, vi chiede di prendere un sentiero che corre parallelo alla vostra vita e che vi porta a fare solo una piccolissima deviazione, durante la quale non perderete di vista i vostri cari, gli affetti, le abitudini e le comodità. In questo sentiero vedrete cose che non avete mai visto, le collocherete nel giusto spazio, le valuterete. Solo questo vi chiede Dio "vieni e vedi". Certo è il primo passo per poi fare, ma vi chiede solo "vieni e vedi".
Ognuno si immagina le situazioni diverse da come sono nella realtà, le adatta alla propria mentalità, le valuta in base alle proprie esperienze, ma non si preoccupa mai di andare a toccarle con mano, a parlare con i personaggi che animano quelle storie, perché se lo facesse si accorgerebbe che la realtà è ben diversa dalle fantasie che ci siamo fatti.
Ogni persona che incontro nel mio cammino, vuoi che sia virtuale su internet o reale, la invito a venirci a conoscere, a vedere la nostra realtà. Non chiedo nulla, desidero solo che le persone si rendano conto che esiste un mondo diverso dal loro, ove ci sono bambini e ragazzi che non hanno famiglia o dove ci sono problemi. Di centinaia e centinaia di persone che invito ogni anno, solo pochissimi varcano la soglia di casa, complici a volte la pigrizia, gli impegni, l'egoismo, non so e non sta a me giudicare, ma una cosa è certa, perdono una grande occasione, quella di poter vedere che l'idea che hanno di bambini che soffrono le pene dell'inferno oppure di ragazzi tremendi è completamente sbagliata. I nostri ragazzi sono solari, accoglienti, pieni di affetto verso chi viene a far loro visita anche solo per un'ora, educati e compiti, migliori di tanti altri di cosiddetta "buona famiglia". Lo dico con l'orgoglio di un padre, supportato dalle testimonianze di coloro che hanno avuto la fortuna di incontrarli. Si, la fortuna, perché chi viene a vedere torna a casa con una carica maggiore, si rende conto che aiutare un bambino, accoglierlo in casa, prenderlo in affido non è un sacrificio, ma una grande gioia. Si rende conto che se da soli non possiamo cambiare il mondo, possiamo però cambiare la vita già segnata di quel ragazzo. Da qui a fare qualcosa per il prossimo è tutt'altra cosa, ma questa è un'altra storia e sta a voi decidere se scriverla. Ma andare e vedere non vi costa nulla e se non lo farete avrete perso una grande occasione per crescere.

Ieri era un giorno particolare per me, il giorno in cui raggiungevo l'età della mia mamma. Ho superato mia madre in "anzianità" e non è stata una bella sensazione. Questo per dirvi che anche dopo oltre ventisei anni si continua a soffrire, ma il grazie a Dio è grande perché mi ha dato l'opportunità di vedere un mondo diverso dal mio e di goderne per l'aiuto che posso portare a tanti bimbi. Il Signore ha un progetto per ciascuno di noi, non solo quale sia quello che ha riservato a me, ma so che ieri è stato il giorno "perfetto", una giornata senza arrabbiature di rilievo, tutti al mare anche con amici esterni, una bella pescata, una giornata di sole, mare calmo e limpido come era da tanto che non si vedeva nella mia città. Come fosse stata una dolce carezza dall'alto che Gesù ha voluto darmi in questo giorno particolare.
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25/08/2013 07:21
 
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don Marco Pozza
L'incognita del giudizio divino

Sono curiosi di sapere se la compagnia sarà numerosa oppure no. Perché chi pone una domanda siffatta - "Signore, sono tanti quelli che si salvano?" - lascia per lo meno intendere di essere sicuro di far parte di quella schiera di salvati. Forse gradirebbero d'essere di aiuto a Cristo nella selezione della truppa, una specie di club a numero chiuso con tanto di casting per l'ingresso; tanto per dare ragione di quel "rigare dritto" che tanto è loro costato nella vita di quaggiù in previsione futura. Forse non avevano ancora capito - nonostante i Vangeli dell'estate - che di Lui non devono temere i peccatori: mai, nella storia, s'era mai sentito proclamare come Buona una notizia che riaccredita fiducia a chi nella vita ha deragliato. Paura, invece, dovranno provarla i presunti giusti, coloro che in nome di un'appartenenza religiosa si sono convinti d'aver strappato in anticipo il lasciapassare per il Cielo. Fregati in prossimità dell'arrivo, senza tanta grazia: "Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio". Che è come dire: "quaggiù il mondo regge sulle vostre previsioni, lassù del mio Regno faccio quello che il Padre mio mi dirà. Ovvero: non basterà essersi seduti, aver mangiato o aver bevuto in compagnia di Cristo per assicurarsi un posto nell'Eterno ma saranno altri i parametri adottati nelle praterie del Cielo. Laddove "ci sono ultimi che saranno primi e ci sono primi che saranno ultimi". Punto e a capo.

E' tutto un mondo che va in pezzi. Ma il mondo continuerà ad andare avanti e per ora andò avanti anch'io. Restiamo senz'altro un po' impoveriti, ma io mi sento ancora così ricca, che questo vuoto non m'è entrato ancora dentro. Però dobbiamo tenerci in contatto col mondo attuale e dobbiamo trovarci un posto in questa realtà; non si può vivere solo con le verità eterne: così rischieremmo di fare la politica degli struzzi. Vivere pienamente, verso l'esterno come verso l'interno, non sacrificare nulla della realtà esterna a beneficio di quella interna e viceversa: considera tutto ciò come un bel compito per te stessa.
(E. Hillesum, Diario, Adelphi Edizioni, Milano 2012, 98-99)

C'è una porta: tutte le porte sono fatte per essere attraversate, hanno una soglia da abitare, nascono come collegamento tra il dentro e il fuori di una casa. Ci sono porte scorrevoli e porte automatiche, porte di legno e porte in ferri battuto, porte blindate e porte di vetro. Qui, invece, non si dice nulla del materiale della porta; ciò che la rende particolare è la larghezza che attesta il Vangelo: è una porta stretta. Abbinata ad un verbo di fatica: "sforzatevi di entrare". E' la splendida onestà dei Vangeli, laddove nessuno osa porgere delle illusioni ma dell'Eterno si parla sempre in termini di onesta organizzazione. Una porta strana: non tiene badge di riconoscimento, non si apre con le impronte digitali, non conosce un codice d'ingresso. Tant'è vero che vi entrano gli sgraditi e gli inattesi, quelli dell'Oriente e dell'Occidente, quelli della periferia e del degrado, gli sfigati della storia e gli oppressi dei regimi: i dimenticati dell'uomo. Che beffa', signori/e: eppure gli altri hanno mangiato e bevuto, si sono eretti ad organi di rappresentanza e hanno lautamente brindato al Suo passaggio, ne parlavano con sbalorditiva disinvoltura e ne inanellavano splendide cantilene. Eppure per costoro, presunti salvati, il benvenuto è tragico: Non so di dove siete (...) Allontanatevi voi tutti, operatori di iniquità". Una vita vissuta "a rigare dritto" nella convinzione di conoscere Cristo davvero. Per poi scoprire, sulla soglia dell'Eterno, d'essersi incamminati su un'immagine di Cristo sbagliata o, per lo meno, imperfetta. A nulla varrà la loro compostezza d'uomini e di donne.
Era il razzismo dei tempi antichi, forse il più pericoloso e il padre di tutti gli altri: quello religioso. Dio non ci sta: allarga gli orizzonti, spalanca le finestre, imbarazza la storia perché, dal canto suo, l'Amore non può essere imprigionato in una gretta salvezza gestita da uomini colorati di porpora e di bisso. L'illusione di Dio: la storia non conosce traccia più amara d'essersi immaginati un Dio a propria misura e compiacimento, una vita cristiana vissuta come una piacevole escursione su paesaggi più o meno abbelliti di colori cristiani. Gli infami di quaggiù un giorno potrebbero diventare gli esempi di Lassù, accolti e benvoluti dallo sguardo di un Dio che, nel più inatteso degli imbarazzi, non conosce chi ha mani pulite e piedi di velluto - e che muoiono nuovi di zecca per la paura di sbagliare - ma sembra prediligere i piedi massacrati e le mani logore di chi, cercandoLo, s'è imbattuto in strade d'errore e di miseria. Ma ha tenuto aperta la fessura della porta all'inatteso di Dio. Credendo per davvero nella Misericordia.
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26/08/2013 07:15
 
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Riccardo Ripoli
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini

Quante persone che hanno un minimo di potere su qualcuno, siano essi politici, religiosi di qualunque credo, educatori, professori e persino gli stessi genitori lo esercitano in maniera indegna. Dietro alla giusta necessità di regole si impongono gioghi che ledono la libertà dell'individuo. Va bene dare una direzione, altrimenti che guide saremmo, ma non è giusto obbligare a scelte personali. Purtroppo il confine è molto labile ed è pertanto facile cadere in errore. Io per primo con i miei ragazzi mi interrogo costantemente se alcune regole sono giuste, se certe imposizioni hanno ragione di esistere. Non è facile capire. Ti interfacci con altri e vedi che qualcuno la pensa come te ed altri no, e sei al punto di partenza. Allora guardi ai risultati e vedi che in un caso come nell'altro ci sono comportamenti corretti ed altri scorretti. Così cerchi di capire quale sia la cosa migliore da fare nel contesto in cui si vive e prendi una decisione, ma la riprova empirica deve poi essere alla base di ogni valutazione successiva, insieme alle critiche di persone che conoscono il tuo contesto di vita. Nei 26 anni trascorsi ad oggi con i ragazzi in affidamento ho cambiato molto del mio modo di pensare, l'interazione con loro, le regole. Ho sempre cercato, e spero di esserci riuscito, di non imporre le mie idee, ma è naturale che le ho sempre espresse e quasi sempre i ragazzi mi sono venuti dietro. Non ho così mai imposto loro di frequentare la chiesa, di credere in Dio, di pregare, ma ho cercato sin dall'inizio di far capire loro l'importanza del Signore nella nostra vita, di farlo conoscere attraverso il Vangelo, con l'incontro con le persone che potessero parlar loro di Gesù non solo a parole ma con la loro stessa esistenza. Sono stati liberi, e lo sono ogni giorno, di decidere cosa fare, se entrare in chiesa o meno, se pregare oppure no, se leggere il Vangelo o lasciarlo nel cassetto, se partecipare alle riunioni ove si parla di valori e di principi. Tra i miei ragazzi c'è chi crede profondamente, chi all'acqua di rose e chi non crede e viene in chiesa perché in qualche modo si sente obbligato visto che tutti vanno, o forse perché non hanno il coraggio di esprimere una propria opinione, magari per mancanza di vere motivazioni oppure per timore di deludere o per l'incapacità a confrontarsi su certi argomenti.
Mi sento talvolta come avessi imposto loro la mia Fede, ma come fare perché ciò non accada? Come fare per lasciarli liberi veramente? Ritengo che sia cosa assai difficile perché quando si è calati in una famiglia che va in chiesa viene spontaneo andare in chiesa, così se si è in una famiglia di atei è difficile che ad un bambino venga la voglia di andare a pregare un Dio che forse nemmeno conosce.
Penso che lasciare libero il proprio figlio sia ben altro che dirgli "sei libero di fare cosa vuoi". La libertà passa attraverso la conoscenza poiché un ragazzo non sarà mai autonomo nelle sue decisioni fin tanto che non avrà visto e toccato con mano le alternative possibili. Come è possibile che un ragazzo possa veramente scegliere se seguire gli insegnamenti di Gesù se nessuno si è mai adoperato di farglieLo conoscere? Se un genitore è ateo è difficile che possa spiegare al figlio i misteri della Fede e la bellezza del messaggio del Signore, ma dovrebbe dargli l'opportunità e creare le condizioni affinché il bimbo possa conoscere ed imparare il Vangelo, e solo allora sarà libero di decidere.
Bene ha fatto una coppia di nostri carissimi amici a inserire la figlia presso di noi per una vacanza estiva e lasciare che la bimba si avvicinasse a Dio senza preclusioni. Dal canto nostro l'abbiamo lasciata libera di partecipare alle riunioni serali, che partono dal Vangelo del giorno, e lei pian piano si è interessata sempre più riscoprendo certi valori dai quali si era allontanata, ritornando a pregare, leggere il Vangelo e andare alla Messa, in completa autonomia dai genitori che, bravissimi, l'hanno lasciata libera di fare pur avendo idee diverse su taluni aspetti.
Ma fa un grave errore chi obbliga il figlio a non frequentare la chiesa, a brontolarlo se legge il Vangelo, a portarlo con forza fuori da un contesto di Fede. Così come sbagliano taluni sacerdoti puntando il dito su certe persone perché non la pensano in maniera identica a loro, giudicandole e condannandole. Di fatto ottengono spesso il risultato che costoro si allontanano dalla chiesa per dissapori e perpetrano i loro errori perché nessuno li ha presi ed educati con amore e pazienza come Gesù ci ha insegnato.
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27/08/2013 09:28
 
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Riccardo Ripoli
Pulisci prima l'interno del bicchiere, perché anche l'esterno diventi netto

Apparire oggi sembra essere diventata l'essenza del nostro vivere. Si è accettati se si indossa un bell'abito, se si è pettinati alla moda, se abbiamo l'ultimo modello di macchina, se le nostre scarpe sono all'ultimo grido, se doniamo a tutti grandi sorrisi.
Al mercato scegliamo i pomodori più rossi, quelli più tondi, grossi e perfetti. Nella scelta delle persone con cui uscire cerchiamo coloro che come noi fanno mille salamelecchi e non importa se sono privi di sostanza.
Apparire. Solo questo conta ed è ciò che i ragazzi stanno imparando. E' giusto tenersi, vestirsi bene, ma a tutto c'è un limite. Quando si ha timore di dire la propria opinione per non suscitare le ire del nostro interlocutore, quando una camicia o una pettinatura valgono più dello scherzare, quando si cura il proprio aspetto più della propria anima, quando si fa vedere di essere bravi ragazzi e magari si ruba, quando si fanno grandi sorrisi ad una persona mentre si parla male di lui o si trama alle sue spalle è ipocrisia, falsità. Si pulisce bene l'esterno del bicchiere che tutti vedono, ma si lascia sporco l'interno, si pulisce la nostra facciata, ma dentro siamo sporchi con cattivi pensieri e propositi.
I ragazzi che vanno in affidamento hanno dovuto lottare duramente per non affogare, hanno dovuto imparare a fare buon viso a cattivo gioco, ingoiare ogni sorta di cattiveria senza poterla denunciare, ed è per questo che l'affidamento è così importante, perché si deve spezzare una catena, si deve impedire che questi ragazzi continuino una vita di falsità ed a loro volta la insegnino ai figli. Facile non è davvero perché hanno radicato dentro sé queste brutte abitudini, ma è estremamente necessario se vogliamo che la nostra società migliori. La falsità non è propria di ragazzi che hanno avuto problemi, ma è dilagante anche tra coloro che sono considerati di "buona famiglia". E' un mal costume talmente radicato che ormai sembra essere l'unica cosa che conta: apparire.
Il seme dell'onestà, della trasparenza, della sincerità è però in mezzo a noi, è dentro di noi e dobbiamo farlo emergere, dobbiamo coltivare le piccole piantine perché un domani siano un bellissimo bosco e sconfiggano le erbacce nate dall'ipocrisia. Si, erbacce, altro non sono. Come sarà il rapporto tra due coniugi fondato solo sulla bellezza o sull'apparenza? Non crescerà e seccherà alle prime difficoltà, ed il grande numero di separazioni e divorzi lo conferma. Un rapporto, di qualunque natura, basato sul dialogo aperto anche a costo della lite, su valori e principi che rendono la pianta ancorata saldamente al terreno fa sì che l'unione tra due persone duri per sempre.
Ai miei ragazzi insegno sempre ad essere onesti, a dire come la pensano, a rischiare di rovinare un rapporto pur di essere franchi perché è così che lo metteranno alla prova. Ho litigato tante volte nella mia vita, ma i veri amici mi sono sempre accanto pronti a scusare le mie intemperanze e a criticare le mie idee sbagliate. Nell'adolescenza organizzavo in casa mia, con il benestare dei miei genitori, grandi feste con sessanta, ottanta persone. Quanti amici avevo, come ero contento. Al momento in cui morì mia madre mi ritrovai solo, quasi nessuno di quei ragazzi era disponibile al dialogo, a dare una parola di conforto, a donare un sorriso a chi per anni li aveva accolti in casa credendoli amici.
Ricordate il film "la storia infinita"? Il nulla stava prendendo il sopravvento sui sogni, il bene stava soccombendo dinanzi al dilagare del male, ma è bastato che un ragazzino credesse ancora ai sogni per farli rivivere e sconfiggere il nulla. Il bene è talmente forte che basta una briciola per annientare il male anche se ha le sembianze di una montagna. Chi non è falso non si scoraggi, abbia il coraggio di dire la propria idea, di farsi il segno della croce se crede in Dio, di criticare le cattive abitudini ovunque gli sia possibile. Ogni piccolo gesto buono richiamerà l'attenzione del nostro prossimo e potrà essere per lui di stimolo per emergere, per prendere coraggio e sconfiggere l'ipocrisia che sta prendendo il sopravvento in molte persone. Un piccolo gesto può cambiare il mondo. Sporchiamoci le mani per pulire la faccia di chi soffre, prendiamo un bambino in affido anche se saremo criticati, diciamo al professore che non faccia politica a scuola, discutiamo con il genitore che bestemmia. Nessuno è troppo grande o troppo potente per non essere criticato, non soccombiamo all'ipocrisia e alla falsità.
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28/08/2013 07:13
 
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a cura dei Carmelitani


1) Preghiera

O Dio, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli,
concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi
e desiderare ciò che prometti,
perché fra le vicende del mondo
là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...



2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Matteo 23,27-32
In quel tempo, Gesù parlò dicendo: ?Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all?esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. Così anche voi apparite giusti all?esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d?ipocrisia e d?iniquità.
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che innalzate i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti, e dite: Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non ci saremmo associati a loro per versare il sangue dei profeti; e così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli degli uccisori dei profeti. Ebbene, colmate la misura dei vostri padri!?



3) Riflessione

? Questi due ultimi ?Guai a voi...? che Gesù pronunciò contro i dottori della legge ed i farisei del suo tempo, riprendono e rafforzano lo stesso tema dei due ?Guai a voi...? del vangelo di ieri. Gesù critica la mancanza di coerenza tra la parola e la pratica, tra ciò che è interiore e ciò che è esteriore.
? Matteo 23,27-28: Il settimo ?Guai a voi...? contro coloro che sembrano sepolcri imbiancati. ?voi apparite giusti all?esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d?ipocrisia e d?iniquità?. L?immagine di ?sepolcri imbiancati? parla da sola e non ha bisogno di commenti. Gesù condanna coloro che hanno un?apparenza fittizia di persona corretta, ma il cui interno è la negazione totale di ciò che vogliono far apparire fuori.
? Matteo 23,29-32: L?ottavo ?Guai a voi...? contro coloro che: ?innalzano sepolcri ai profeti, ma non li imitano. I dottori e i farisei dicevano: ?Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non saremmo stati complici della morte dei profeti?. E Gesù conclude dicendo: le persone che parlano così ?confessano che sono figli di coloro che uccideranno i profeti?, poi loro dicono ?i nostri padri?. E Gesù termina dicendo: ?Ebbene, colmate la misura dei vostri padri!? Infatti, in quel momento loro avevano già deciso di uccidere Gesù. Così stavano colmando la misura del loro padri.



4) Per un confronto personale

? Ancora due espressioni ?Guai a voi?, ma due motivi per ricevere una critica severa da parte di Gesù. Quale dei due è in me?
? Qual è l?immagine di me che cerco di presentare agli altri? Corrisponde a ciò che di fatto sono davanti a Dio?



5) Preghiera finale

Beato l?uomo che teme il Signore
e cammina nelle sue vie.
Vivrai del lavoro delle tue mani,
sarai felice e godrai d?ogni bene. (Sal 127)
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29/08/2013 06:37
 
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Riccardo Ripoli
Anche se nell'ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri

L'atteggiamento di chi ascolta è sempre positivo. Ascoltare per meditare e riflettere è sempre cosa buona. Il mettere in pratica ciò che ci viene detto è però ben altra cosa.
Quando qualcuno ci dice che sbagliamo a fare qualcosa, solitamente ci arrabbiamo perché prendiamo l'appunto come un giudizio non solo al nostro operato, ma alla nostra persona. Restare perplessi se ci viene detto che sarebbe giusto fare una determinata cosa in altro modo è normale, ma non per questo dobbiamo sentirci giudicati. Se una persona che stimo, che so amica, che mi vuole bene mi esprime un suo dubbio su un mio atteggiamento o comportamento, non mi sento giudicato, ma cerco di riflettere su quello che mi ha detto, anche se ciò che mi ha espresso dovesse essere lontano mille miglia dal mio modo di pensare.
Abbiamo il dovere di criticare le azioni sbagliate, non solo nei confronti dei ragazzi, sui quali abbiamo un potere maggiore, ma anche verso gli amici, il partner e persino chi in qualche modo ha un potere su di noi, sia esso il datore di lavoro, i genitori o i politici.
Giovanni con pacatezza e moderazione ha avuto il coraggio di dire ad Erode ciò che stava sbagliando, attirandosi le ire di molti, ma non per questo rinunciando ad esprimere il proprio parere con determinazione, anche a costo della propria vita.
Erode, dal canto suo, si è rivelato attento alle critiche, ma purtroppo debole nel non voler cambiare e soprattutto incapace di contrastare chi voleva il male di Giovanni.
Chi vogliamo essere noi? Giovanni, Erode, Erodiade oppure uno che ascolta le critiche, ci riflette e cerca di cambiare?
La critica, il rimprovero, il biasimo non fanno mai piacere. Sono sempre una coltellata che si riceve, specie se a farle sono persone alle quali vogliamo bene, anzi, ci fanno ancora più male. Ma dobbiamo capire che se ci criticano non è per danneggiarci, ma solo per farci capire un altro punto di vista, che potrebbe anche non essere condiviso, ma sicuramente motivo di dialogo e di crescita per entrambi.
Mettersi in una situazione di contrasto, mantenere le proprie posizioni senza valutare le opzioni che ci vengono proposte, arrabbiarsi, sentirsi giudicati sono atteggiamenti di chiusura verso l'altro che portano a scontri inutili che fanno solo danno ad entrambi, impedendo la crescita dell'individuo e del rapporto, sia esso con i figli, tra coniugi o con gli amici.
La debolezza di ognuno di noi ci porta spesso a erigere muri dentro i quali ci barrichiamo, ed ogni tentativo da parte di altri di entrare nel nostro bastione lo consideriamo un attacco da respingere a qualunque costo. Quando ci facciamo l'idea che una cosa sia giusta, per principio non ammettiamo che qualcuno ci dica che sia sbagliata, eppure sarebbe tanto costruttivo capire il punto di vista dell'altro in una posizione di ascolto e di valutazione, seppur esprimendo tutte le perplessità, magari dopo averci dormito una notte sopra.
Camminare insieme non vuol dire che si debba fare come la pensa uno dei due, significa che se non troviamo un accordo dovremmo almeno fare le cose una volta in un modo, ed una volta in un altro. Laddove uno dei due prende il sopravvento significa che manca il dialogo, significa che uno deve subire e soffrire per poi trovarsi magari a scontrarsi continuamente per piccole cose.
Capita che ai ragazzi si insegnino delle cose, si discuta con loro di valori e principi, si spieghi il perché di certe regole, si accetti il loro contraddittorio, si trovino spesso dei punti in comune facendo loro delle concessioni. Una volta però stabilito un valore o una regola da seguire, i ragazzi spesso cercano di eluderla facendo delle cose di nascosto o eseguendo male i loro compiti o doveri, come lo studiare. E' qui il difficile di essere genitori perché si deve trovare la via giusta per far loro capire non tanto la validità della regola, quanto la necessità di prendersi la responsabilità di fare la cosa giusta anche quando non ci sono "guardiani" a controllare il loro operato. Man mano che il ragazzo si adeguerà, dopo averle capite, alle regole del vivere in famiglia e nella società, aumenterà la fiducia in lui da parte di coloro che incontrano sul proprio cammino. Se, di contro, cercherà sempre di fare la cosa che più gli piace o che gli fa comodo, mettendo da parte i propri doveri, nascondendo certe azioni con bugie e falsità si troverà prima o poi in un vicolo cieco, solo, senza nessuno che gli dia fiducia e che gli voglia bene.
La cosa negativa dei ragazzi è quella di sentirsi uomini e donne arrivati, di sapere cosa sia giusto e cosa no, di pensare che qualunque cosa venga detta loro sia un affronto per il quale offendersi, ma non capiscono che il mondo reale non è quello che vedono con gli occhi della gioventù, è ben altro. Nella vita di un adulto ci sono responsabilità che non possono essere aggirate: se al lavoro ti comporti male sei licenziato, se rubi vai in prigione, se stai tutto il giorno a dormire la tua casa va in rovina e non hai niente da mangiare. Diventare adulti è per i ragazzi solo la libertà di fare ciò che vogliono, uscire di casa è visto come una liberazione, ma senza avere gli strumenti giusti è come voler andare a riparare un'auto senza avere chiavi inglesi e cacciaviti.
Crescere è fatica, tanto per un ragazzo quanto per un bambino, ma è necessario per vivere in pace con gli altri e con sé stessi. Non pensate alle critiche come delle coltellate, ma come il parere di un medico che vuole aiutarvi a capire quale sia la fonte di un certo malessere, che sia vostro o di altri, che fa star male la famiglia in cui si vive.
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