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MEDITIAMO LE SCRITTURE (Vol 5) Anno C

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2013 08:20
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01/04/2013 07:33
 
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Eremo San Biagio
Commento su Atti 2,28

"mi hai fatto conoscere le vie della vita, mi colmerai di gioia con la tua presenza"
Atti 2,28

Come vivere questa Parola?

Forte dello Spirito Santo e illuminato da Lui che era sceso a Pentecoste sui discepoli nel cenacolo, Pietro non è più l'uomo di prima: generoso sì ma pavido di fronte a qualsiasi opposizione. Sembra di vederlo alzarsi e proclamare con una forza di tutto inedita che quel Gesù, condannato a morte dagli stessi Giudei è risorto. E questa entusiastica proclamazione trova la sua conferma nel discorso di Pietro con quel suo appropriarsi delle parole di un salmo famoso: il salmo 15 che recita così: "Mi indicherai il sentiero della vita gioia piena alla tua presenza".

Si tratta del salmo proposto dai liturgisti proprio come responsoriale di questo giorno.
Sì, certe verità, opportunamente ripetute diventano in noi bagaglio dell'intelligenza, conforto e certezza del cuore.

Signore, continua a rendermi fedele all'ascolto della tua Parola. Dammi di vedere chiaramente il cammino della vera vita, cioè conforme ai tuoi insegnamenti. E poi colma il mio cuore di gioia così che trabocchi anche su chi mi sta accanto.


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02/04/2013 07:25
 
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padre Lino Pedron


Dopo aver costatato la tomba vuota, Pietro e l'altro discepolo ritornarono nel cenacolo: là li troverà Gesù la sera di quello stesso giorno. I due discepoli lasciano il luogo della tomba, invece Maria rimase presso il sepolcro e piangeva. Agli angeli che le chiedono la ragione del suo pianto, essa rispose: "Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto" (v. 13).
A questo punto entra in scena Gesù, fuori dal sepolcro, in piedi, ma Maria non lo riconosce. Non solo qui, ma anche nel brano della pesca miracolosa il Risorto non è conosciuto immediatamente. Gesù si fa conoscere da Maria chiamandola per nome: egli è il buon pastore che conosce le sue pecore e le chiama per nome (cfr Gv 10,3-4. 27). Maria, appena sentito il suo nome, riconosce subito Gesù e gli dice: "Rabbunì" che significa "Maestro mio".
Matteo narra che le pie donne abbracciarono i piedi di Gesù, appena lo incontrarono (Mt 28,9). Giovanni fa intendere un gesto simile da parte della Maddalena, perché il Risorto le dice: "Non trattenermi, infatti non sono ancora salito al Padre" (v. 17). Quindi Gesù affida alla discepola una missione per i suoi discepoli: annunziare loro che sta per ascendere al Padre. I discepoli sono fratelli di Gesù, perciò Dio è il Padre dei credenti in Cristo.
Maria Maddalena esegue l'ordine affidatole dal Risorto, annunziando ai discepoli: "Ho visto il Signore" e raccontando quello che le aveva detto (V. 18). Questo lieto messaggio costituisce il vertice di tutto il brano Gv 20,1-18. Esso si è aperto con l'esclamazione dolorosa: "Hanno portato via il Signore" (v. 2) e si chiude con l'esplosione gioiosa: "Ho visto il Signore" (v. 18).
L'incontro di Gesù con la Maddalena e l'annuncio fatto dalla donna ai fratelli contengono un grande messaggio per il discepolo di ogni tempo: il Signore è vivo e ognuno deve cercarlo in un cammino di fede, sicuro che se farà la sua parte, il Signore non tarderà a venirgli incontro e a farsi conoscere.
Un monaco del XIII secolo descrive questo incontro tra Cristo e Maria, mettendo sulla bocca di Gesù queste parole: "Donna, perché piangi? Chi cerchi? Colui che tu cerchi, già lo possiedi e non lo sai? Tu hai la vera ed eterna gioia e ancora tu piangi? Questa gioia è nel più intimo del tuo essere e tu ancora la cerchi al di fuori? Tu sei là, fuori, a piangere presso la tomba: Il tuo cuore è la mia tomba. E lì io non sto morto, ma riposo vivo per sempre. La tua anima è il mio giardino. Avevi ragione di pensare che io fossi il giardiniere. Io sono il nuovo Adamo. Lavoro nel mio paradiso e sorveglio tutto ciò che qui accade. Le tue lacrime, il tuo amore, il tuo desiderio, tutte queste cose sono opera mia. Tu mi possiedi nel più intimo di te stessa senza saperlo ed è per questo che tu mi cerchi fuori. E' dunque anche fuori che io ti apparirò, e così ti farò ritornare in te stessa, per farti trovare nell'intimo del tuo essere colui che tu cerchi altrove" (Anonimo, Meditazione sulla passione e risurrezione di Cristo, 38: PL 184, 766).
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03/04/2013 06:40
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto

Dopo la sua risurrezione Gesù compie la grandissima opera della ricomposizione della fede in Lui dei suoi discepoli che era andata un frantumi il giorno della sua crocifissione. Quanto Gesù fa deve essere per noi monito ed insegnamento. Spetta alla persona che è l'oggetto della fede fondare la fede nei cuori e riedificare quella che è andata smarrita, che è confusa, frantumata, errata, non perfettamente vera.
Se questo compito non viene svolto, la fede o non nasce o si smarrisce o vive in noi in modo falso o ereticale, o addirittura scompare per sempre. Oggi moltissima fede è malata. La responsabile è dei soggetti che sono oggetto della fede. Ognuno deve ricostruire o fondare la fede nella sua persona. È dalla sua persona che la fede si apre a Cristo Gesù e da Cristo Gesù si eleva fino al Padre nostro che è nei cieli.
La fede è così delicata che basta un nulla perché si frantumi o si riduca in polvere. Le tentazioni contro la fede sono molteplici. Se si perde la fede, vi è anche un crollo nella carità e nella speranza. La fede è il motore di tutta la vita spirituale, che a sua volta è il motore di tutta la vita sociale in ogni sua componente. Vi è un solo modo per ridare la fede: leggere la propria storia partendo dalla Parola della Scrittura, che è il fondamento di ogni verità sulla persona e sulla sua storia. La sola Scrittura però non è sufficiente. Occorre che noi manifestiamo che tutta la nostra vita è conforme alla Parola di Dio contenuta nella Scrittura. Scrittura e vita, Parola e storia sono l'unico seno in cui nasce e si sviluppa la vera fede. Gesù spiega la Scrittura. Manifesta la sua verità. Viene riconosciuto. Nasce la fede. Si rinnova la speranza. Si compie la missione. Si testimonia la verità di Cristo. Si confessa la sua nuova vita.
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04/04/2013 08:13
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Aprì loro la mente per comprendere le Scritture

Oggi Gesù ci insegna una terza via perché la fede vera possa essere donata all'uomo. Il fondamento della fede è sempre uno: la Parola di Dio, la sua Santa Rivelazione. Sappiamo che la risurrezione di Gesù è il principio ermeneutico per la comprensione secondo verità di tutta la rivelazione dell'Antico Testamento. Gli Apostoli sono confusi. Mancano proprio di questo principio ermeneutico. Gesù si rivela nel suo corpo risorto. Essi però mancano del vero principio teologico che fondi in essi la verità di quanto stano vedendo. Loro pensano di trovarsi dinanzi ad un fantasma.
Sempre la vera realtà di Dio è un fantasma, se manchiamo della retta fede nella Parola del Signore. Sempre ci troviamo dinanzi a fantasmi di ogni genere, quando la verità della rivelazione non è in noi. Cosa fa oggi Gesù? Dona ai suoi discepoli la comprensione immediata di tutta la Scrittura. Apre loro la mente per comprendere in un istante ciò che Legge, Salmi, Profeti, dicono sul Messia del Signore. Questa via non è da tutti percorribile. Occorre che la persona chiamata a "creare" la fede nel cuore dei suoi fratelli, sia colma, ricca, piena di Spirito Santo, dal momento che l'intelligenza, la sapienza, la saggezza per leggere, conoscere, interpretare la Parola è solo frutto e dono dello Spirito del Signore.

Conosco una persona che un giorno si trovò in grave difficoltà dinanzi ad un cuore nel quale doveva essere infusa la fede. Non servivano i ragionamenti. Non avevano forza le argomentazioni. Perdeva valore ogni parola del cuore e della mente. Una ragazza non credente chiese a questa persona il fondamento della sua fede in Cristo Gesù e nella Chiesa. Quella comincia a farle una stupenda lezione di teologia fondamentale, le parla dei segni di credibilità, di altre cose che riteneva fossero vitali per aprire il suo cuore alla fede. Dinanzi ad essa però un muro. Le sue parole la lasciavano insensibile. Ad ogni frase l'altra rispondeva con mille obiezioni e altre mille difficoltà a credere. Si è sentita perduta e nel suo cuore gridò: "Signore, vedi, non posso aprire questo cuore alla fede. Non ho la tua grazia e né la tua verità. Parlo di teologia, il suo cuore vuole qualcosa che io non ho e non credo possa mai avere. Se tu venissi, in un istante lei si aprirebbe alla tua verità, come tutte le persone che hai incontrato lungo la tua strada quando eri sulla nostra terra". Ancora non aveva finito la preghiera, quando alle sue spalle vede l'Ispiratrice - Fondatrice del Movimento Apostolico che le dice: "Non ti affannare". Poi guarda quella ragazza. Lo Spirito Santo che era in Lei penetra nel suo cuore e quella subito scoppia in un pianto di purificazione. Sembrava si assistere all'incontro della Vergine Maria con la cugina Elisabetta. Una sola parola e quel cuore era divenuto di carne. Questa è la potenza dello Spirito Santo.
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05/04/2013 07:36
 
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Eremo San Biagio
Commento su Atti 4,1-4

Pietro e Giovanni [...] insegnavano al popolo e annunciavano in Gesù la risurrezione dai morti. Li arrestarono e li misero in prigione fino al giorno dopo, dato che ormai era sera. Molti però di quelli che avevano ascoltato la Parola credettero e il numero degli uomini raggiunse circa i cinquemila.
Atti 4,1-4

Come vivere questa Parola?

Dentro una narrazione scarna, essenziale, l'autore degli Atti degli Apostoli narra quello che è capitato a Pietro e Giovanni dopo che, nel nome di Gesù, hanno ottenuto da Dio la guarigione dello storpio.

Colpiscono almeno tre cose: la perseveranza con cui i due apostoli (un tempo così timorosi) annunciano con grande coraggio il Cristo risorto; l'irritazione di questi capi che, a causa della loro cattiva coscienza, non sopportano che sia proclamato il nome del Signore risorto. E infine colpisce il fatto che, nonostante le cose si mettano al peggio così che Pietro e Giovanni sono arrestati, molti si aprono a credere.

Davvero chi opera, in questa vicenda, è lo Spirito Santo di cui -dice il testo- Pietro è ricolmo. È in forza di Lui che si rende evidente come non solo chi è guarito ha potuto esserlo "nel nome di Gesù Cristo il Nazareno", ma questo Gesù è "la pietra che scartata" dai capi del popolo, "è diventata testata d'angolo della Chiesa", e "in Lui solo c'è salvezza".

Oggi, nel mio rientro al cuore, mi lascerò persuadere dalla forza dello Spirito che la salvezza del mio vivere è Gesù.

Signore, dammi di testimoniare con la vita il tuo mistero di resurrezione che sono chiamata a celebrare nella Fede. Che io costruisca la mia vita su di te, mia ?pietra angolare' di salvezza".

La voce del Concilio

La Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà all'uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza perché l'uomo possa rispondere alla suprema sua vocazione; non è dato in terra un altro nome agli uomini in cui possano salvarsi.

Gaudium et spes
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06/04/2013 07:27
 
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Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura

La notizia dei sette demòni dai quali Maria di Magdala è stata liberata dal Signore così è narrata con semplicità dal Vangelo secondo Luca: "In seguito egli se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio. C'erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni" (Lc 8,1-3). È una notizia scarna, semplice, essenziale. Null'altro.

Sui sette demòni ecco invece cosa ci rivela il Vangelo: "Quando lo spirito impuro esce dall'uomo, si aggira per luoghi deserti cercando sollievo e, non trovandone, dice: "Ritornerò nella mia casa, da cui sono uscito". Venuto, la trova spazzata e adorna. Allora va, prende altri sette spiriti peggiori di lui, vi entrano e vi prendono dimora. E l'ultima condizione di quell'uomo diventa peggiore della prima»"(Lc 11,24-26). Alla luce di questo brano, la condizione di Maria di Magdala era veramente disastrosa. Era essa veramente sotto il potere de diavolo in maniera portentosa.

Ricordando questa notizia, il Vangelo intende rivelarci una delle missioni speciali del Messia. Questa missione particolare ci viene ricordata anche da Pietro nella casa di Cornelio: "Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui. E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti. E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio. A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome»" (At 10,37-43). A noi che pensiamo che la religione cristiana sia annunziare solo qualche verità morale, il Vangelo oggi ci rivela che il regno di Dio si costruisce togliendo il demonio dal cuore e dal corpo degli uomini, soprattutto dalla mente, dall'intelligenza, dai pensieri, dalla volontà. Un cristianesimo di sole parole, è purissima vanità, inutilità. Esso è potenza contro lo spirito del male.

Oggi Gesù manda i suoi discepoli in tutto il mondo a proclamare il Vangelo ad ogni creatura. Il Vangelo deve essere dato a tutti, sempre, in ogni luogo, in ogni tempo. Deve però essere dato nella forma del Vangelo e cioè con i poteri di Cristo Gesù che sono di scacciare i demòni dalla vita dei loro fratelli e di liberare il loro corpo da ogni infermità e malattia. Cioè il Vangelo è potenza di parola e di opera, di segni e di prodigi. È dono dello Spirito Santo, nel quale è ogni nostra forza, intelligenza, sapienza, ma anche capacità di conversione e di santificazione. Per questo è necessario che prima il demonio venga cacciato dalla nostra vita e lo si può cacciare in un solo modo: abolendo vizio, peccato, disobbedienza, imperfezione, ogni altra schiavitù spirituale. Il mondo si libera da liberati e si santifica da santificati.
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07/04/2013 09:02
 
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don Alberto Brignoli
Dubitare, interrogarsi, credere...

Non è poi così vero che pretendere delle certezze nella vita di fede sia segno di mancanza di fede. Addirittura, oserei dire che nemmeno il dubbio, in un'esperienza credente, è sintomo di poca fede. Sinceramente, ho sempre provato una certa simpatia per coloro che di fronte ad una realtà così misteriosa e piena di fascino come l'Assoluto si sono posti degli interrogativi, a volte magari anche un po' sfrontati e spregiudicati, ma che sicuramente sono sintomo di un desiderio di ricerca.
Non mi riferisco solo ai filosofi, ai maestri del sospetto, ai pensatori laici di ogni epoca o agli scienziati che sottopongono la Rivelazione a tutta una serie di prove oggettive che la Rivelazione spesso non può e non ha nemmeno intenzione di offrire;
mi riferisco pure e soprattutto ai grandi credenti di ogni religione e in modo particolare ai santi della nostra tradizione cristiana, pochi dei quali possono vantare una vita ascetica e spirituale priva di ombre, di incertezze, di dubbi ed anche di incoerenze.
Dal Principe degli Apostoli che non riesce ad imitare il suo Maestro nel camminare sulle acque perché dubita della sua presenza, fino a giungere alle recenti scoperte di testi di Madre Teresa di Calcutta in cui definisce se stessa in uno stato di "notte perenne" rispetto a Dio, passando attraverso le esperienze drammatiche della spiritualità dell'angoscia di Giovanni della Croce, di Teresa d'Avila, dello stesso Francesco d'Assisi...
Per cui, è inutile dare dell'ateo o del miscredente a Tommaso, solo perché ha voluto vederci chiaro di fronte al Maestro, morto in croce, ma che tutti affermavano aver visto nuovamente in vita... Non siamo forse così anche noi, spesso? Se non addirittura peggio, visto che il nostro cammino di fede non sempre riesce ad arrivare ad espressioni così belle come quelle di Tommaso quest'oggi: "Mio Signore e mio Dio"...
Siamo onesti: chi di noi non ha mai avuto dubbi di fede? Chi di noi, pur professandosi credente e cercando di condurre una vita il più possibile coerente con gli insegnamenti del Vangelo, non si è mai posto delle domande, implicite o esplicite, su Dio?
"Sarà esistito storicamente, Gesù di Nazareth? O non sarà un'invenzione di alcuni mistici un po' fanatici?"; "Ma questo fatto della Resurrezione dai Morti, com'è conciliabile con gli elementi scientifici sulla vita che abbiamo attualmente in mano?"; "Il Corpo di Cristo...Amen...Credo...ma sarà davvero così? Non è forse più pane...?"; "Se Dio esiste davvero ed è buono, perché c'è il male nel mondo? E perché lui lo permette? Certo, colpa dell'uomo...e le catastrofi? E i terremoti? E le malattie incurabili?"; "Perché mai devo credere in Dio, se anche da un punto di vista puramente umano posso comportarmi come si comporta un credente, e magari anche meglio?"; "Dov'è Dio, quando abbiamo bisogno di lui...?"
... Potremmo proseguire all'infinito, citando paradigmatiche domande che ogni uomo, chi più e chi meno, si è posto nella vita, spesso senza trovare un'adeguata risposta, ma non per questo smettendo di essere uomo di fede, o inevitabilmente dichiarandosi miscredente o ateo...ammesso che l'ateismo esista, se per ateo intendiamo uno che non crede in un'entità superiore a quella umana, in qualcosa che ci sovrasta, ci domina, ci riempie di fascino, e ci fa interrogare sul senso dell'esistenza.
No, un ateo così non può esistere. Può esistere un ateo che non dia a questa entità "altra" il nome di Dio; ma non credo esistano uomini sulla terra che non si lascino interpellare da una realtà superiore a quella puramente umana o che non si facciano interrogare dal Mistero. E che non sentano la difficoltà di dare senso al proprio esistere.
Perché tutti siamo così, un po' santi e un po' dannati, un po' credenti e un po' atei, un po' devoti e un po' dubbiosi. Tutti.
Anche - oserei dire soprattutto - coloro che hanno più familiarità con Dio, anche noi che viviamo delle "cose di Dio", anche noi che abbiamo consacrato la nostra vita a lui.
Se noi come uomini di Chiesa vivessimo un'esperienza di Dio priva di domande, di interrogativi, di battute d'arresto, correremo il rischio di essere gente senza prove, e quindi senza sofferenze, e quindi senza passioni.
Dio liberi me e ogni altro prete dall'essere un prete senza passione per Lui, un prete che non fa fatica a stargli dietro, un prete per nulla "appassionato" di Dio, un prete che non carica sulle sue spalle la croce e non lo segue, perché ciò vorrebbe dire che non siamo degni di essere chiamati suoi discepoli!
Dio ci liberi da una fede talmente sicura di sé da diventare orgogliosa, superba, oppressiva, disprezzante nei confronti di chi fa fatica a credere perché provato dalla vita!
E Gesù liberi la sua Chiesa da uomini e donne che per il solo fatto di essersi consacrati a lui si sentono incrollabili nella fede, imperturbabili e perfetti.
La Chiesa, oggi, non ha bisogno di "signori" e di "divinità" della fede perché oggi come allora c'è un solo Signore e un solo Dio, quello che ha pazienza, che ti usa misericordia, ti rialza quando la tua fede vacilla e poi cadi, e che ti porta poi a professare come Tommaso "Tu sei il Mio Signore; Tu sei il Mio Dio".
La Chiesa oggi ha bisogno di testimoni credibili della fede, di gente che fa fatica, che a proposito di Dio ha mille dubbi al giorno, ma che nonostante tutto è capace di affidarsi a Dio e andare avanti, perché sa che è lui che conduce la nostra vita.
Occorre, soprattutto, gente che non vive la sua esperienza di fede come un fatto isolato, ma come un momento di condivisione con una comunità di fratelli, che vive delle stesse gioie e delle stesse fatiche della fede.
L'errore di Tommaso non è stato il suo dubitare, ma il fatto di voler fare a meno di stare con i suoi fratelli, di separarsi da loro già la sera stessa di Pasqua, di volersi costruire una fede a sua misura. Tommaso salverà la sua fede "otto giorni dopo", cioè la domenica, cioè il Giorno del Signore, il giorno in cui accetterà di tornare a riunirsi con la comunità, pur senza togliere tutta la fatica del credere.
Perché nessun cristiano, per quanto personalmente perfetto, può sperare di salvarsi senza il riferimento a una comunità di fede.
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08/04/2013 08:27
 
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Riccardo Ripoli
Tutta la casa si riempì del profumo dell'unguento

Il Signore ci dice "non sappia la tua destra ciò che fa la sinistra" perché ciò che facciamo per il prossimo deve essere un dono fatto non per farsi ammirare o per ricevere qualcosa in cambio, ma è comunque importante che ciò che viene fatto serva da esempio agli altri per migliorarsi aiutando il prossimo. Ci sono certi insegnamenti che sembrano andare in contraddizione con altri, ma non è così.
Avete mai attraversato la città alla mattina presto verso le cinque in bicicletta o a piedi?
Si sente, in certi punti, un fortissimo odore di pane appena sfornato, un aroma delizioso che invoglia ad andare a prendere un pezzo di schiacciata, soffice, calda, profumata.
Eppure il fornaio ha cotto il pane nel silenzio e nel nascondimento del suo forno, magari in una viuzza laterale e ben poco frequentata, ma l'aroma che deriva dal suo lavoro parla per lui, racconta di come quella farina sia stata impastata con il lievito e con l'acqua, racconta di quanta fatica occorra la sua preparazione, la sveglia presto, il forno da accendere, i locali da pulire. Ecco, il panettiere non ha detto a nessuno del suo lavoro, ma chiunque passi lì vicino sa tutto, gioie e dolori.
Non lo avvertono tutti, ma solo coloro che si svegliano presto, che vanno peregrinando per la strada con calma e tranquillità
Certo coloro che escono alle otto, che prendono l'autobus o la macchina, che sono distratti da mille luccichii e discorsi difficilmente potranno carpire la fragranza di quell'aroma, a meno che non entrino nel panificio, magari per un loro interesse.
Non c'è bisogno di gridare ai quattro venti il nostro operato verso chi curiamo, l'aroma di una tale azione si effonde nell'aria e raggiunge coloro che sono attenti, alla ricerca di qualcosa che dia loro pace e serenità.
Ultimamente sono molte le persone che ci chiedono di fare volontariato con noi e tratto comune a tutti è il dire che in casa nostra si respira una bella atmosfera.
I nostri sforzi, le fatiche nel quotidiano per far si che i ragazzi siano sempre ben lavati, nutriti, vestiti, preparati a scuola, ma sopratutto che abbiano valori dentro di loro, principi che emanino un buon profumo e attirino altri verso l'affidamento.
Pensiero sbagliato comune a tante persone che non conoscono il mondo dell'affido se non per sentito dire, è che i ragazzi siano tutti difficili, pieni di rabbia, problematici e che accoglierne uno in casa vorrebbe dire rovinarsi la vita.
Stupidaggini. Certo, ci sono ragazzi difficili, così come possono esserci all'interno di famiglie "normali", ma sono una piccola percentuale. I ragazzi che arrivano in affidamento hanno alle spalle una famiglia non facile, ma hanno anche tanta voglia di essere amati e di amare. Con l'affido il nostro compito è quello di accoglierli e cospargerli di tutti quei profumi che la vita ci ha donato a piene mani. Quell'unguento che metteremo loro addosso sprigionerà un aroma così buono da invogliare tante altre persone all'accoglienza.
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09/04/2013 07:25
 
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Eremo San Biagio
Commento su Atti 4,32

La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un'anima sola
At 4, 32

Come vivere questa Parola?

Con poche ma essenziali pennellate, Luca ci offre quest'oggi un ritratto ideale della Chiesa delle origini, sintetizzato in quel "un cuor solo e un'anima sola".

Un'immagine idilliaca che, ovviamente, non va presa alla lettera. Altri passi del Nuovo Testamento lasciano intravvedere un tessuto umano non molto dissimile dall'attuale: intreccio di nobili tensioni e meschinità. Lo ritroviamo anche nel gruppo apostolico ancora vivente il Maestro.

Ciò però non faceva perdere di vista la meta. Quel "Padre che siano uno" riecheggiava nei cuori mantenendo alta la tensione, così che le fragilità venivano, non scusate o sminuite, ma come riassorbite da quel più di amore a cui ognuno si sentiva chiamato.

Qui Luca mette l'accento sui bisogni materiali a cui si cercava di rispondere nel segno della carità, Paolo, a sua volta, metterà il dito sulla necessità di seguire con amore i più deboli perché nessuno si perda. Modalità diverse di vivere la fraternità, prestando attenzione all'altro e pronti, all'occorrenza, a pagare di persona pur di soccorrere chi si fosse trovato in difficoltà.

In una parola: sono i cuori che si dilatano così che ognuno accoglie e si sente accolto, comprende e si sente compreso. Le diversità permangono, ma i cuori si fondono in un unico slancio di amore che attinge a Cristo: è lui il fulcro, il centro di unità verso cui ognuno converge, apportando la ricchezza e anche il limite che lo definisce.

Concedimi, Signore, di non perdere mai di vista te e il tuo anelito di unità, e insegnami le vie della comunione.

La voce di un padre apostolico

Siate una cosa sola: un'unica preghiera, un'unica supplica, un'unica mente, un'unica speranza nell'amore, un'unica gioia purissima: questo è Gesù Cristo e nulla è meglio di Lui! Accorrete dunque tutti a quell'unico tempio di Dio, intorno a quell'unico altare che è Gesù Cristo: egli è uno, e procedendo dall'unico Padre, è rimasto a lui unito, e a lui è ritornato nell'unità
S.Ignazio di Antiochia
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10/04/2013 07:34
 
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padre Lino Pedron

Commento a Gv.3,16-21

Questi pochi versetti esprimono molto bene il carattere universale della salvezza operata dal Cristo, che trova la sua origine nell'iniziativa misteriosa dell'amore di Dio per gli uomini. Il fatto che il Padre ha mandato a noi il suo Figlio per salvarci è la più alta manifestazione di Dio che è Amore (cfr 1Gv 4,8-16).
La missione di Gesù è quella di portare agli uomini la salvezza: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chi crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (v.16). La scelta fondamentale dell'uomo è questa: accettare o rifiutare l'amore del Padre che si è rivelato in Cristo. Questo amore non giudica e non condanna il mondo, ma lo salva: "Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui" (v. 17).
Il giudizio è un fatto attuale: avviene nel momento in cui l'uomo si incontra con Gesù. Chi crede, aderendo esistenzialmente alla persona del Figlio di Dio, non è giudicato; chi lo rigetta è già giudicato e condannato al presente, perché ha rifiutato Dio.
Chi accetta Gesù evita la perdizione e ottiene la vita, chi invece lo rifiuta è già condannato perché si autoesclude dalla salvezza eterna. Chi rifiuta il Salvatore, rifiuta la salvezza.
Le opere del mondo sono malvagie perché ispirate dal maligno. Il mondo è completamente in balia del maligno se non va verso Gesù. La radice di queste opere maligne è la mancanza di fede in Gesù. Chi è sotto l'influsso del maligno odia Gesù, luce del mondo, e non vuole aderire alla sua persona perché aderisce al demonio.
"Chi fa la verità" è l'opposto di "chi fa il male". Fare la verità è assimilare la rivelazione di Gesù. La fede in Gesù è dono del Padre e ha come scopo la vita di comunione con Dio. Le opere del discepolo sono fatte in Dio (v. 21) perché hanno la loro origine nel Padre. Dio è l'origine e il fine della vita di fede.
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11/04/2013 08:50
 
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padre Lino Pedron

Commento a Gv 3,31-36

"Chi viene dall'alto è al di sopra di tutti". Queste parole spiegano perché nessuno dev'essere geloso della superiorità di Gesù: egli viene dall'alto, da Dio; il Battista e tutti gli altri vengono dalla terra. Il Figlio incarnato rende testimonianza delle realtà celesti che continuamente vede, perché vive in continuo rapporto d'amore con il Padre (cfr Gv 1,18).
"Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza" (v. 33). L'evangelista ripete quanto aveva già detto Gesù in 3,11: "Voi non accogliete la nostra testimonianza". Ma l'orizzonte dell'incredulità è allargato, perché si afferma che nessuno accoglie la testimonianza di Gesù. Questa generalizzazione è esagerata, ma vuol dire che tutti dovrebbero credere in Gesù e invece non ci crede quasi nessuno.
Il v. 33 riprende in senso positivo le precedenti affermazioni negative sulla mancata accoglienza della rivelazione di Gesù. La fede dei discepoli offre la prova che Dio è veritiero. "Accogliere la testimonianza del rivelatore che viene dall'alto è dare, attraverso di lui, l'assenso a Dio stesso, è riconoscere la veracità divina nella parola stessa dell'inviato: Dio infatti parla in lui; egli coinvolge automaticamente Dio" (Mollat).
Il v. 34 spiega le precedenti affermazioni sull'autenticità della rivelazione di Gesù. Egli è l'unico autentico rivelatore definitivo inviato dal Padre. Chi accoglie la sua testimonianza costituisce la prova irrefutabile che Dio è veritiero, ossia si rivela veramente e autenticamente nel suo Figlio. L'inviato del Padre rivela la parola di Dio e comunica la salvezza perché egli solo può comunicare lo Spirito senza misura.
Il v. 35 spiega perché Gesù può donare lo Spirito: "Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa". Questo amore del Padre per il Figlio è lo Spirito Santo.
Sant'Agostino commenta: "Il Padre ama il Figlio, ma lo ama come Padre il Figlio, non come padrone il servo; lo ama come Figlio Unigenito, non come figlio adottivo. Per questo gli ha dato tutto in mano. Cosa vuol dire tutto? Vuol dire che il Figlio è potente quanto il Padre... Essendosi dunque degnato di mandare il Figlio, non pensiamo che ci sia stato mandato un inferiore al Padre; mandando il Figlio, il Padre ci ha dato un altro se stesso" (PL 35, 1509).
Nel v. 36 si sviluppa la tematica della fede e dell'incredulità e si prospetta la situazione di chi crede e di chi non crede. Chi crede nel Figlio ha la vita eterna. Chi non crede nel Figlio non partecipa alla vita eterna. Nella prima Lettera di Giovanni leggiamo: "Dio ci ha dato la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio. Chi ha il Figlio, ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita. Questo io vi ho scritto perché sappiate che possedete la vita eterna, voi che credete nel nome del Figlio di Dio" (5,11-13).
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12/04/2013 08:46
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Giovanni 6,1-15

1) Preghiera

Padre misericordioso,
che hai voluto che il tuo Figlio
subisse per noi il supplizio della croce
per liberarci dal potere del nemico,
donaci di giungere alla gloria della risurrezione.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Giovanni 6,1-15
In quel tempo, Gesù andò all'altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberiade, e una grande folla lo seguiva, vedendo i segni che faceva sugli infermi. Gesù salì sulla montagna e là si pose a sedere con i suoi discepoli.
Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Alzati quindi gli occhi, Gesù vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: "Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?" Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per fare. Gli rispose Filippo: "Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo". Gli disse allora uno dei discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: "C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma che cos'è questo per tanta gente?" Rispose Gesù: "Fateli sedere".
C'era molta erba in quel luogo. Si sedettero dunque ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che si erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero. E quando furono saziati, disse ai discepoli: "Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto". Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d'orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato. Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, cominciò a dire: "Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo!" Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo.


3) Riflessione

? Oggi inizia la lettura del VI Capitolo di Giovanni che mette dinanzi a noi due segni o miracoli: la moltiplicazione dei pani (Gv 6,1-15) ed il camminare sulle acque (Gv 6,16-21). Poi viene menzionato il lungo dialogo sul Pane di Vita (Gv 6,22-71). Giovanni mette il fatto vicino alla festa di Pasqua (Gv 6,4). L'approccio centrale è il confronto tra l'antica Pasqua dell'Esodo e la nuova Pasqua che avviene in Gesù. Il dialogo sul pane di vita chiarirà la nuova pasqua che avviene in Gesù.
? Giovanni 6,1-4: La situazione. Nell'antica pasqua, la moltitudine attraversa il Mar Rosso. Nella nuova pasqua, Gesù attraversa il Mare di Galilea. Una grande moltitudine seguì Mosè. Una grande moltitudine segue Gesù in questo nuovo esodo. Nel primo esodo, Mosè sale sulla Montagna. Gesù, il nuovo Mosè, sale anche lui sulla montagna. La moltitudine seguiva Mosè che realizza grandi segnali. La moltitudine segue Gesù perché aveva visto i segnali che realizzava per i malati.
? Giovanni 6,5-7: Gesù e Filippo. Vedendo la moltitudine, Gesù confronta i discepoli con la fame della gente e chiede a Filippo: "Dove possiamo comprare pane perché costoro abbiano da mangiare?" Nel primo esodo, Mosè aveva ottenuto cibo per la gente affamata. Gesù, il nuovo Mosè, farà la stessa cosa. Però Filippo, invece di guardare la situazione alla luce della Scrittura, guardava con gli occhi del sistema e rispose: "Non bastano duecento denari!" Un denaro era il salario minimo di un giorno. Filippo constata il problema e riconosce la sua totale incapacità per risolverlo. Si lamenta, però non presenta nessuna soluzione.
? Giovanni 6,8-9: Andrea ed il ragazzo. Andrea, invece di lamentarsi, cerca una soluzione. Trova un ragazzo con cinque pani e due pesci: Cinque pani d'orzo e due pesci erano la razione giornaliera di un povero. Il ragazzo consegna la sua razione giornaliera! Lui avrebbe potuto dire: "Cinque pani e due pesci, ma cos'è questo per tutta questa gente? Non servirà a nulla! Dividiamo tutto questo fra di noi, tra due o tre persone!" ma invece, ha il coraggio di dare i cinque pani ed i due pesci per alimentare 5000 persone (Gv 6,10)! Chi fa così, o è pazzo o ha molta fede, credendo che per amore di Gesù, tutti si dispongono a dividere il loro cibo come fece il ragazzo!
? Giovanni 6,10-11: La moltiplicazione. Gesù chiede alla gente di sedersi per terra. Poi moltiplica il cibo, la razione del povero. Dice il testo: "Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che si erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero". Con questa frase, scritta nell'anno 100 dopo Cristo, Giovanni evoca il gesto dell'Ultima Cena (1Cor 11,23-24). L'Eucaristia, quando è celebrata come si deve, porterà le persone a condividere come spinse il ragazzo a dare tutta la sua razione per essere condivisa.
? Giovanni 6,12-13: Gli avanzi di dodici canestri. Il numero dodici evoca la totalità della gente con le sue dodici tribù. Giovanni non informa se avanzarono anche pesci. A lui interessa evocare il pane come simbolo dell'Eucaristia. Il vangelo di Giovanni non ha la descrizione della Cena Eucaristica, però descrive la moltiplicazione dei pani, simbolo di ciò che deve avvenire nelle comunità mediante la celebrazione della Cena Eucaristica. Se tra i popoli cristiani ci fosse una vera e propria condivisione, ci sarebbe cibo abbondante ed avanzerebbero dodici canestri per molta altra gente!
? Giovanni 6,14-15: Vogliono farlo re. La gente interpreta il gesto di Gesù dicendo: "Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo!" L'intuizione della gente è giusta. Gesù di fatto è il nuovo Mosè, il Messia, colui che la gente stava aspettando (Dt 18,15-19). Ma questa intuizione era stata deviata dall'ideologia dell'epoca che voleva un grande re che fosse forte e dominatore. Per questo, vedendo il segno, la gente proclama Gesù Messia e chiede di farlo re! Gesù nel percepire ciò che poteva avvenire, si ritira da solo sulla montagna. Non accetta questo modo di essere messia ed aspetta il momento opportuno per aiutare la gente a fare un passo.


4) Per un confronto personale

? Davanti al problema della fame nel mondo, tu agisci come Filippo, come Andrea o come il ragazzo?
? La gente voleva un messia che fosse re forte e potente. Oggi, molti vanno dietro a leaders populistici. Cosa ci dice il vangelo di oggi su questo?


5) Preghiera finale

Il Signore è mia luce e mia salvezza,
di chi avrò paura?
Il Signore è difesa della mia vita,
di chi avrò timore? (Sal 26)
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13/04/2013 08:48
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Predicate il Vangelo ad ogni creatura.

La Chiesa ci propone nella Festa di San Marco Evangelista un brano molto importante, si tratta dell?ultima apparizione del Risorto ai suoi discepoli ai quali viene affidato un mandato missionario universale. Sappiamo benissimo che l?ascensione al cielo non era l?abbandono di Gesù, ma solo un suo momentaneo allontanamento. Nel frattempo gli apostoli avrebbero dovuto prolungare l?opera di salvezza, annunciando il suo ?vangelo? ad ogni creatura. Perciò essi vengono rivestiti di un compito di rappresentanza vicaria di Cristo, da realizzare ed estendere per tutto l?arco della storia. E? attraverso degli uomini che Cristo verrà ormai annunciato ad altri uomini. E? questo il suo mandato testamentario: ?andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura...?
Due cose sono da sottolineare in questo comando del Signore. Prima di tutto la sua ?universalità?: è in tutto il mondo che vengono inviati gli apostoli; il vangelo deve essere predicato ad ogni creatura, senza escludere nessuna razza umana, in qualunque parte della terra essa abiti. In secondo luogo, si esige l?accoglienza per fede, del dono del vangelo, congiunto con il rito del battesimo, che anche simbolicamente significa la rinascita a vita nuova, come un autentico lavaggio dalle sozzure della vita precedente. Dunque ?fede? e ?battesimo?, intimamente congiunti e vissuti dai cristiani, sono le ?vie? che portano alla salvezza. Lasciamoci quindi condurre da Gesù dove non vorremmo andare, anche se egli ci lega con la malattia o ci fa stendere le braccia per la preghiera e per la morte.
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14/04/2013 07:52
 
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Monastero Domenicano Matris Domini
Commento su Atti 5,27b-32.40b-41; Salmo 29/30; Apocalisse 5,11-14; Giovanni 21,1-19.

Collocazione del brano

Ci troviamo al termine del vangelo di Giovanni. Il capitolo 21 è infatti l'ultimo, anche se, per le sue caratteristiche sembra proprio essere un'aggiunta posteriore, redatta da uno dei discepoli di Giovanni, forse lo stesso editore del quarto Vangelo. In questo capitolo si parla in particolare del ruolo dell'apostolo Pietro e di quello del discepolo che Gesù amava, con tutta probabiltà Giovanni. Sembra sia stato scritto poco dopo la Prima lettera di Giovanni, cioè dopo il 90 d.C.. In quel periodo forse le comunità giovannee soffrivano per la mancanza di una struttura solida. Forse questo brano fu scritto proprio per favorire un loro avvicinamento alle comunità petrine. Ecco dunque affermata in esso l'importanza dell'apostolo Pietro, non dimenticando però la perspicacia e la sensibilità del "discepolo che Gesù amava".

Nella lettura di questa domenica i versetti 20-25, riservati in particolare a Giovanni e alla conclusione del IV vangelo non si leggono e si dà invece importanza alla riabilitazione di Pietro e all'incarico che egli riceve da Gesù di pascere le sue pecore e i suoi agnelli. Si tratta dell'ultimo racconto delle apparizioni di Gesù che leggiamo in questo tempo pasquale.

Lectio

Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così:

I fatti di cui parla questo primo versetto sono l'apparizione di Gesù ai discepoli e a Tommaso, di cui abbiamo letto la domenica scorsa. Si fondono qui due tradizioni: quella di Giovanni e quella sinottica. Infatti Giovanni non ricorda l'appuntamento che Gesù risorto fissa in Galilea con i suoi discepoli (presente invece in Matteo e Marco). Il lago di Tiberiade ci indica che lo scenario è passato dalla Giudea (Gerusalemme) alla Galilea. Giovanni aveva menzionato il lago di Tiberiade solo una volta, nell'episodio della moltiplicazione dei pani (Gv 6,1). Il verbo manifestarsi è un termine "tecnico" nel vangelo di Giovanni e lo attraversa tutto a partire dalla testimonianza del Battista (1,31).

2si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli.

Le circostanze di questa apparizione di Gesù ai suoi discepoli è del tutto diversa da quella precedente. Là avevamo i discepoli indicati come gruppo, chiusi in casa per timore dei Giudei. Qui ci sono sette discepoli, cinque dei quali sono ben identificati, che sembrano essere ritornati alla loro terra di origine e alle loro attività abituali, come se non fosse accaduto niente di strano. Giovanni non dice mai nel suo vangelo che Pietro esercitasse il mestiere di pescatore. E' questo uno degli indizi della tradizione sinottica che entra in quest'ultimo capitolo di Giovanni. Vediamo ora i nomi di questi discepoli. Simon Pietro spesso è ricordato con questi due nomi nel vangelo di Giovanni. Gesù stesso gli aveva dato il nome di Pietro (cf. Gv 1,40-42).

Tommaso viene ricordato (anche con il soprannome) in Gv 11,16 e 20,24. Natanaele, sconosciuto ai Sinottici, è uno dei primi chiamati (Gv 1,45-51), ma solo qui si dice di lui che fosse di Cana di Galilea. E' vicino a Tommaso per la sua confessione di fede nei confronti di Gesù (cf. Gv 1,49 e Gv 20,28). I figli di Zebedeo (Giacomo e Giovanni) non vengono mai chiamati così in Giovanni. Vi sono poi due altri discepoli sono anonimi, come quelli ricordati all'inizio del Vangelo (cf. 1,35). La presenza di questi due personaggi misteriosi apre e chiude il racconto di Giovanni.

3Disse loro Simon Pietro: "Io vado a pescare". Gli dissero: "Veniamo anche noi con te". Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.

Pietro prende l'iniziativa e tutti sono d'accordo con lui. Vanno a pescare, ma come nell'altro racconto di pesca (Lc 5,1-11) non prendono nulla. Nei sinottici la pesca è metafora del lavoro apostolico. Anche nel IV Vangelo resta come sfondo. I mancati risultati della pesca suggeriscono che il lavoro apostolico non dà alcun frutto se non è compiuto in unione a Gesù (cf. il paragone dei tralci e della vite in Gv 15,4-5).

4Quando già era l'alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. 5Gesù disse loro: "Figlioli, non avete nulla da mangiare?". Gli risposero: "No".

Comincia un nuovo giorno e un personaggio misterioso si presenta sulla riva del lago. Gesù stette, è ancora il verbo della persona viva, che sta in piedi, già trovato in Gv 20,19.26. Come in altri racconti di apparizione, Gesù non si fa riconoscere subito. Chiama i suoi discepoli in modo familiare, figlioli, (paidìa). La sua domanda è al fine di riannodare i rapporti con loro.

6Allora egli disse loro: "Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete". La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci.

Così dà loro un consiglio, che viene subito accolto ed eseguito. Il fianco destro, il più nobile dell'uomo, notoriamente il più favorevole (per es. Gn 48,13-15; Mt 25,33). La destra indica inoltre la potenza divina.

Con questo fatto si dimostra anche la signoria che Gesù ha sulla natura. Vi è anche un valore simbolico. La pesca prefigura l'attività dei "pescatori di uomini", l'opera di evangelizzazione che diviene efficace solo se vi è la presenza di Gesù.

7Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: "È il Signore!". Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare.

Si riprende qui il tema del paragone tra Pietro e il discepolo che Gesù amava e il loro diverso modo di riconoscere e interagire con Gesù. In Gv 20,3-8 il discepolo che Gesù amava vede le bende e crede. Qui è il primo a riconoscere Cristo nello straniero sulla riva. Quindi lo dice a Pietro. Quest'ultimo, senza curarsi della pesca miracolosa, si getta nell'acqua, con la sua consueta impetuosità, per raggiungere il suo maestro.

Prima di gettarsi in mare si cinge la veste, per non essere impedito nel nuoto. Svestito qui va inteso che portava solo una tunichetta per avere maggior agilità nel compiere la pesca.

8Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.

L'evangelista non ci racconta cosa faccia Pietro dopo essersi gettato in mare. L'attenzione si volge agli altri discepoli che si avvicinano alla riva con la barca e la rete molto pesante.

9Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane.

I discepoli non vedono più Gesù ma il fuoco e il cibo. Il termine con cui traduciamo fuoco di brace (antrakìa) si trova solo in Gv 18,18: Pietro fuori del palazzo del sommo sacerdote si scalda a un fuoco insieme a quelli che avevano arrestato Gesù. Sembra quindi che qui cominci la riabilitazione di Simon Pietro.

10Disse loro Gesù: "Portate un po' del pesce che avete preso ora". 11 Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò.

Gesù ha preparato la colazione, ma vuole che anche i suoi discepoli vi contribuiscano. Nel gesto di Pietro si vede la sua predominanza. I discepoli non avevano cercato o non erano riusciti ad issare la rete a bordo della barca. Pietro lo fa da solo: è lui il padrone della barca, a lui Gesù darà l'impegno di pascere le sue pecore. Il numero 153 ha dato spazio a numerose interpretazioni, nessuna delle quali convince. Citiamo solo quella più famosa. San Girolamo, che tradusse per primo tutta la Bibbia in latino dice che i naturalisti di lingua greca distinguevano 153 specie di pesce. La cifra significherebbe così la totalità della famiglia umana.

Possiamo tenere questo dato semplicemente come indicazione di un grosso quantitativo. Infatti la frase seguente dice che nonostante fossero molti, la rete non si spezzò. Il simbolo è chiaro: anche se la Chiesa raduna tante genti rimane unita e compatta sotto la guida di Pietro.

12Gesù disse loro: "Venite a mangiare". E nessuno dei discepoli osava domandargli: "Chi sei?", perché sapevano bene che era il Signore.

Gesù offre ai suoi da mangiare il pane di vita. I discepoli ormai hanno capito che si tratta di lui. Non c'è bisogno di tante domande, sarebbe mettere in dubbio la sua presenza e la sua divinità, cosa che per i discepoli è ormai assodata.

13Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. 14Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.

Le parole sono quelle della cena eucaristica (cf Gv 6,11). E' un gesto di riconciliazione. La comunione tra il maestro e i suoi discepoli si è ormai ristabilita. Come a Emmaus il Signore risorto mangia con i suoi. Cristo è presente nella comunità ecclesiale durante la frazione del pane. L'indicazione del terzo incontro tra Gesù e i suoi può essere vista come un raccordo al capitolo 20.

15 Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: "Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?". Gli rispose: "Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene". Gli disse: "Pasci i miei agnelli". 16Gli disse di nuovo, per la seconda volta: "Simone, figlio di Giovanni, mi ami?". Gli rispose: "Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene". Gli disse: "Pascola le mie pecore". 17Gli disse per la terza volta: "Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?". Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: "Mi vuoi bene?", e gli disse: "Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene". Gli rispose Gesù: "Pasci le mie pecore.

Comincia qui la seconda parte del brano. Gli altri discepoli scompaiono, rimane solo Gesù con Pietro. Dopo aver riconciliato a sé tutti i discepoli, Gesù dà a Pietro il suo specifico mandato. Gesù chiede a Pietro per tre volte se lo ama. Questo numero riporta ai tre rinnegamenti di Pietro. Questi versetti sono molto densi di significato. Innanzitutto Pietro viene chiamato con il suo nome originario (Simone figlio di Giovanni): è come una seconda chiamata. Poi gli chiede se lo ama più di costoro. Questo può essere inteso in due sensi: se Pietro ama Gesù più di quanto ami gli altri discepoli, o se ama Gesù più di quanto possano amarlo gli altri discepoli. Questa seconda interpretazione sarebbe in linea con il carattere impetuoso di Pietro che durante l'ultima cena aveva affermato che avrebbe dato la vita per Gesù (Gv 13,38). In questa linea la risposta di Pietro "Tu lo sai che ti voglio bene" sarebbe un indizio della sua conversione a uno stile meno esagerato (grazie alla consapevolezza di essere stato un traditore e uno spergiuro). Ancora: in linea con il racconto di Luca 22,24-27 (la parabola dei servi a cui viene condonato il debito), Pietro essendo più peccatore dei suoi compagni dovrebbe sicuramente amare di più degli altri, poiché gli è stato perdonato di più.

Alla risposta di Pietro, Gesù affida a lui il suo gregge. La domanda e la risposta si ripete per tre volte, con diverse sfumature. Gesù chiede "mi ami", usando il verbo agapao e la terza volta phileo . Pietro usa solo quest'ultimo verbo. Alcuni studiosi pensano sia solo una questione di stile, ma i due verbi nel greco biblico presentano alcune differenze di significato. Agapao è il verbo che esprime affetto ma anche fedeltà nell'agire. Lo si trova nel discorso di addio: "Se mi amate, custodirete i miei comandamenti". Gesù che vuole affidare a Pietro la cura dei credenti gli chiede una fedeltà a tutta prova. Pietro, grazie al suo rinnegamento e al perdono di Gesù, ha capito la lezione e mette le mani avanti: "Tu sai che ti amo". E' come se gli dicesse "Valuta tu il mio amore per te". Egli da solo non può valutare la sua capacità di amore fedele. Gesù gli affida la cura del suo gregge, come il Pastore Buono di Gv 10, anche Pietro dovrà fare in modo che le pecore abbiano la vita, le dovrà conoscere, dovrà offrire la propria vita per loro.

18In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi". 19Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: "Seguimi".

Il brano termina con una profezia riguardante Pietro. Il tempo della gioventù (ti vestivi da solo e andavi) è il tempo in cui Pietro aveva dimostrato tanta buona volontà, ma poi aveva rinnegato Gesù. Egli in quel tempo voleva seguire Gesù e dare la vita per lui (Gv 13,36-38). Gesù gli aveva detto "Dove vado io per ora non puoi seguirmi". Ora invece è venuto il tempo in cui Pietro lo può seguire. Nella vecchiaia avrebbe teso le mani e sarebbe andato dove non voleva. E' il tempo di dare la vita per Gesù. Pietro fu martirizzato a Roma sotto Nerone nel 64 d.C. e molto probabilmente fu crocifisso. Pietro avrebbe steso le mani per essere arrestato oppure per essere anche lui inchiodato alla croce.

La morte di Pietro avrebbe glorificato il Signore. Anche per la morte di Gesù il vangelo di Giovanni parla di glorificazione (cf Gv 12,33; 13,31). La morte di Gesù e del suo discepolo non è un fatto accidentale, ma una testimonianza della grandezza e dell'amore del Padre.

Il colloquio tra Gesù e Pietro termina con la parola "Seguimi". Gesù ha detto a Pietro tutto quello che lo aspetta. Adesso può rinnovare il suo invito a seguirlo.

Meditatio

- Ti è mai capitato di fare una pesca inutile, cioè un'attività che non dava risultati perché compiuta senza affidarti al Signore? Cosa l'ha resa feconda?
- Secondo te perché è "il discepolo che Gesù amava" a riconoscere Gesù per primo?
- Qual è la qualità del tuo amore per Gesù? Quale missione ti affida?

Colletta (III domenica di Pasqua)

Padre misericordioso, accresci in noi la luce della fede, perché nei segni sacramentali della Chiesa riconosciamo il tuo Figlio, che continua a manifestarsi ai suoi discepoli, e donaci il tuo Spirito, per proclamare davanti a tutti che Gesù è il Signore. Egli è Dio...

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15/04/2013 08:21
 
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Commento a cura di don Nunzio Capizzi

Il cibo che non perisce

Lettura
Il brano presenta anzitutto la folla che, non trovando né il Maestro né i discepoli, va in cerca di Gesù (vv. 22-24). Quando lo trovano, Gesù li rimprovera di cercarlo per il pane che perisce e li esorta a darsi da fare per quello che non perisce, che porta su di sé il sigillo del Padre (vv. 25-27). Per procurarsi questo "pane" bisogna credere in lui (vv. 28-29).

Meditazione
La folla cerca Gesù e, trovatolo, parla con lui. In particolare, la gente chiede quando il Maestro sia giunto nella zona «di là dal mare» (v. 25).
Gesù non risponde alla loro domanda, ma a ciò che la muove, e sposta così l'attenzione ad un altro livello: «Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati» (v. 26). Si può cercare Gesù solo perché garantisce il pane materiale per sopravvivere, oppure perché si è visto nel pane il segno di lui che si dona. Si può cercare il dono del Signore o il Signore del dono. La folla che seguiva Gesù si era accontentata di essere saziata, ma non aveva colto e interpretato il significato del segno. Anche la nostra vita è piena di segni divini, ma ci sforziamo di comprenderli? Desideriamo il Signore del dono o il dono del Signore?
Il Signore parla con l'intento di raddrizzare l'ambiguità della ricerca della folla, per tirarla fuori dall'orizzonte egoistico in cui essa si trova, affinché possa accogliere il cibo «che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo darà» (cfr. v. 27). La folla capisce che deve cercare il "pane che non perisce" e che deve fare uno sforzo personale. Pertanto chiede: «Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?» (v. 28).
Gesù risponde che c'è una sola opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato (cfr. v. 29). Dio compie in noi questa opera, dal momento che «tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me» (Gv 6,37). L'opera di Dio è attirare tutti al Figlio. Noi siamo chiamati a lasciare che Dio metta un legame tra noi e il Figlio, un legame di fede totale, in modo che ogni nostra azione sia un'occasione per staccarci da noi stessi e appoggiarci sempre più su Gesù, il Signore.

Preghiera:
Padre santo, concedici di saper cogliere i segni che ci rivolgi nel nostro vissuto quotidiano, attiraci al tuo Figlio e fa' che, nella sua carne donata per noi, riconosciamo il pane che ci comunica la vita divina.

Agire:
Durante la giornata cercherò, con fede, di prestare attenzione e di cogliere, negli incontri, nelle parole... i segni di Dio.
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16/04/2013 07:57
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Giovanni 6,30-35

1) Preghiera

O Dio, che apri la porta del tuo regno
agli uomini rinati dall'acqua e dallo Spirito Santo,
accresci in noi la grazia del Battesimo,
perché liberi da ogni colpa
possiamo ereditare i beni da te promessi.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Giovanni 6,30-35
In quel tempo, la folla disse a Gesù: "Quale segno tu fai perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo".
Rispose loro Gesù: "In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo".
Allora gli dissero: "Signore, dacci sempre questo pane". Gesù rispose: "Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete".


3) Riflessione

? Il Discorso del Pane di Vita non è un testo da essere discusso e sezionato, bensì deve essere meditato ed esaminato più volte. Per questo, anche se non si capisce del tutto, non c'è da preoccuparsi. Questo testo del Pane di Vita esige tutta una vita per meditarlo ed approfondirlo. Un testo così, la gente deve leggerlo, meditarlo, pregarlo, pensarlo, leggerlo di nuovo, ripeterlo, rigirarlo, come si fa con una buona caramella in bocca. Si gira e gira fino ad esaurirsi. Chi legge superficialmente il quarto Vangelo può avere l'impressione che Giovanni ripeta sempre la stessa cosa. Leggendo con più attenzione, ci si renderà conto che non si tratta di ripetizione. L'autore del quarto Vangelo ha un suo proprio modo di ripetere lo stesso tema, ma a un livello sempre più alto e profondo. Sembra una scala a chiocciola. Girando, si giunge allo stesso punto, ma a un livello più alto o più profondo.
? Giovanni 6,30-33: Quali segni fai tu perché vediamo e possiamo crederti? La gente aveva chiesto: Cosa dobbiamo fare per realizzare l'opera di Dio? Gesù risponde: "L'opera di Dio è credere in colui che ha mandato", cioè, credere in Gesù. Per questo la gente formula la nuova domanda: "Quale segno fai tu perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi?" Ciò significa che loro non capirono la moltiplicazione dei pani come un segno da parte di Dio per legittimare Gesù dinanzi alla gente quale mandato da Dio! Loro continuano ad argomentare: in passato, i nostri padri mangiarono la manna che fu data loro da Mosè! Loro la chiamavano "pane del cielo" (Sap 16,20), ossia "pane di Dio". Mosè continua ad essere il grande leader, in cui credere. Se Gesù vuole che la gente creda in lui, deve compiere un segno più grande di quello che compì Mosè. "Quale opera compi?"
? Gesù risponde che il pane dato da Mosè non era il vero pane del cielo. Venuto dall'alto, sì, ma non era il pane di Dio, poiché non garantisce la vita a nessuno. Tutti loro morirono nel deserto (Gv 6,49). Il pane del vero cielo, il pane di Dio, è quello che vince la morte e dà vita! E' quello che scende dal cielo e dà vita al mondo. E' Gesù stesso! Gesù cerca di aiutare la gente a liberarsi dagli schemi del passato. Per lui, la fedeltà al passato, non significa rinchiudersi nelle cose antiche e non accettare il rinnovamento. Fedeltà al passato vuol dire accettare la novità che giunge come frutto del seme piantato nel passato.
? Giovanni 6,34-35: Signore, dacci sempre di questo pane! Gesù risponde chiaramente: "Io sono il pane di vita!" Mangiare il pane del cielo è lo stesso che credere in Gesù ed accettare il cammino che lui ci insegna, cioè: "Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera!" (Gv 4,34). Questo è l'alimento vero che sostenta la persona, che cambia la vita e dà vita nuova. Questo ultimo versetto del vangelo di oggi (Gv 6,35) sarà ripreso come primo versetto del vangelo di domani (Gv 6,35-40).


4) Per un confronto personale

? Fame di pane, fame di Dio. Quale delle due predomina in me?
? Gesù disse: "Io sono il pane di vita". Lui toglie la fame e la sete. Quale esperienza ho di questo nella mia vita?


5) Preghiera finale

Sii per me, Signore, la rupe che mi accoglie,
la cinta di riparo che mi salva.
Tu sei la mia roccia e il mio baluardo,
per il tuo nome dirigi i miei passi. (Sal 30)
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16/04/2013 07:58
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Giovanni 6,30-35

1) Preghiera

O Dio, che apri la porta del tuo regno
agli uomini rinati dall'acqua e dallo Spirito Santo,
accresci in noi la grazia del Battesimo,
perché liberi da ogni colpa
possiamo ereditare i beni da te promessi.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Giovanni 6,30-35
In quel tempo, la folla disse a Gesù: "Quale segno tu fai perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo".
Rispose loro Gesù: "In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo".
Allora gli dissero: "Signore, dacci sempre questo pane". Gesù rispose: "Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete".


3) Riflessione

? Il Discorso del Pane di Vita non è un testo da essere discusso e sezionato, bensì deve essere meditato ed esaminato più volte. Per questo, anche se non si capisce del tutto, non c'è da preoccuparsi. Questo testo del Pane di Vita esige tutta una vita per meditarlo ed approfondirlo. Un testo così, la gente deve leggerlo, meditarlo, pregarlo, pensarlo, leggerlo di nuovo, ripeterlo, rigirarlo, come si fa con una buona caramella in bocca. Si gira e gira fino ad esaurirsi. Chi legge superficialmente il quarto Vangelo può avere l'impressione che Giovanni ripeta sempre la stessa cosa. Leggendo con più attenzione, ci si renderà conto che non si tratta di ripetizione. L'autore del quarto Vangelo ha un suo proprio modo di ripetere lo stesso tema, ma a un livello sempre più alto e profondo. Sembra una scala a chiocciola. Girando, si giunge allo stesso punto, ma a un livello più alto o più profondo.
? Giovanni 6,30-33: Quali segni fai tu perché vediamo e possiamo crederti? La gente aveva chiesto: Cosa dobbiamo fare per realizzare l'opera di Dio? Gesù risponde: "L'opera di Dio è credere in colui che ha mandato", cioè, credere in Gesù. Per questo la gente formula la nuova domanda: "Quale segno fai tu perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi?" Ciò significa che loro non capirono la moltiplicazione dei pani come un segno da parte di Dio per legittimare Gesù dinanzi alla gente quale mandato da Dio! Loro continuano ad argomentare: in passato, i nostri padri mangiarono la manna che fu data loro da Mosè! Loro la chiamavano "pane del cielo" (Sap 16,20), ossia "pane di Dio". Mosè continua ad essere il grande leader, in cui credere. Se Gesù vuole che la gente creda in lui, deve compiere un segno più grande di quello che compì Mosè. "Quale opera compi?"
? Gesù risponde che il pane dato da Mosè non era il vero pane del cielo. Venuto dall'alto, sì, ma non era il pane di Dio, poiché non garantisce la vita a nessuno. Tutti loro morirono nel deserto (Gv 6,49). Il pane del vero cielo, il pane di Dio, è quello che vince la morte e dà vita! E' quello che scende dal cielo e dà vita al mondo. E' Gesù stesso! Gesù cerca di aiutare la gente a liberarsi dagli schemi del passato. Per lui, la fedeltà al passato, non significa rinchiudersi nelle cose antiche e non accettare il rinnovamento. Fedeltà al passato vuol dire accettare la novità che giunge come frutto del seme piantato nel passato.
? Giovanni 6,34-35: Signore, dacci sempre di questo pane! Gesù risponde chiaramente: "Io sono il pane di vita!" Mangiare il pane del cielo è lo stesso che credere in Gesù ed accettare il cammino che lui ci insegna, cioè: "Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera!" (Gv 4,34). Questo è l'alimento vero che sostenta la persona, che cambia la vita e dà vita nuova. Questo ultimo versetto del vangelo di oggi (Gv 6,35) sarà ripreso come primo versetto del vangelo di domani (Gv 6,35-40).


4) Per un confronto personale

? Fame di pane, fame di Dio. Quale delle due predomina in me?
? Gesù disse: "Io sono il pane di vita". Lui toglie la fame e la sete. Quale esperienza ho di questo nella mia vita?


5) Preghiera finale

Sii per me, Signore, la rupe che mi accoglie,
la cinta di riparo che mi salva.
Tu sei la mia roccia e il mio baluardo,
per il tuo nome dirigi i miei passi. (Sal 30)
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17/04/2013 09:21
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Ne' fame, ne' sete?

"Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me; colui che viene a me, non lo respingerò...". Il Signore, buon pastore, non può respingere le sue pecore che, disperse per i pascoli, sono richiamate ad entrare nell'unico ovile che protegge e rassicura... Il Signore, pane di vita, non può sottrarsi alla mensa alla quale accorriamo affamati... se anche siamo scomposti e maldestri, abbiamo in noi la grazia della fede, dono che sostiene la nostra preghiera, che ci fa comprendere che il Signore è seduto accanto a noi, per volontà del Padre e per suo desiderio ardente. Lo Spirito ci comunica queste verità, ci conduce come Chiesa attraverso situazioni che non possono trovarci silenti e privi di bene: come vera famiglia radicata in Cristo siamo chiamati ad andare di paese in paese per diffondere la sua parola, a prostrarci cantando inni al Signore, ad esortare per vedere e lodare insieme il suo mirabile agire sugli uomini. Siamo eredi di una forza di amore e di donazione che ci rende vivi; "Dio ci ha salvati mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito santo, effuso da lui su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, perché giustificati dalla sua grazia diventassimo eredi, secondo la speranza, della vita eterna". Tutto è divenuto prezioso per il dono che Cristo ha fatto di sé, e tutto possiamo rendere prezioso se anche noi ci doniamo come carne che si consuma per nutrire la Chiesa. Vi fu grande gioia nell'ascoltare la voce dello Spirito e ancora oggi può esserci se rispondiamo ai richiami che ci invitano a superare il nostro limite, se, come i discepoli di un tempo, vediamo il Signore che colma il cuore di gioia. Dio Padre ci ha consegnato a Cristo che con il suo braccio legato al nostro, ci strattona nella corsa sulla pista della croce; ... "questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell'ultimo giorno".
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18/04/2013 07:28
 
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Eremo San Biagio
Commento su Giovanni 6, 44

"Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato"
Gv 6, 44

Come vivere questa parola?

Il lungo discorso di Gesù procede, ma ora gli interlocutori sono più definiti; non è più la folla di prima; ora il dialogo è con i Giudei che sono più diffidenti ma raffinati, scaltri e provocatori. Partono da questa considerazione: Ma chi si crede di essere questo qui? Come può dire di sé che è disceso dal cielo? La risposta di Gesù è adeguata a questo pubblico e la sua parola si fa più tagliente e definita. Gesù pone la questione sulla capacità di ri-conoscere. Ci sono insegnamenti che Dio offre a tutti ( tutti saranno istruiti da Dio)e questo è il suo modo di attrarre. Niente di coercitivo, niente che possa far pensare a determinismi o plagio. Un'attrazione legata al desiderio di conoscere; questa via alla conoscenza, intesa in senso pieno come intima condivisione, se accettata dall'uomo, porta all'ascolto, all'apprendimento e permette di arrivare a Cristo (" Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me." v 45). Non venire a Cristo, non arrivare a lui, significa aver volutamente diminuito la propria capacità di conoscere, comprendere le cose e scegliere.

La sottile ironia che pervade queste espressioni di Gesù, introduce una seconda provocazione: se faceva tanto scandalo alle orecchie dei Giudei che Gesù si definisse "pane di vita", cosa penseranno davanti all'espressione: il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo?
Oggi, Signore veniamo a te, nel desiderio di conoscerti; ascoltando la tua parola, impariamo come muoverci verso te, impariamo l'unico movimento di carità che può animare e rendere felice la nostra vita.

La voce di san Paolo

"Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo. Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla. Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo a essere arso, e non avessi amore, non mi gioverebbe a niente." 1 Cor 13, 13
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19/04/2013 07:22
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Chi sei o Signore?

Siamo sempre liberi di scegliere, ma anche il Signore è libero di proporsi in modo forte e decisivo quando il cuore si indurisce. Non possiamo riconoscerlo subito se non comprendiamo più la Misericordia, se il linguaggio dell'amore diventa per noi indecifrabile, ma... ardiamo dal desiderio di sapere chi è che ci avvolge di calda luce e ci attrae così fortemente. Per soddisfare questa conoscenza dobbiamo accettare di essere presi per mano perché è davvero difficile vedere nella sofferenza in cui vive un cuore irrigidito. Ci viene chiesto di attendere nella fede pregando incessantemente in un dialogo intimo e vivo con il Risorto che ci è vicino come ha promesso. Così vicino che, accostandoci alla mensa possiamo vederlo e mangiarlo, assimilarlo ed essere assimilati da lui per un meraviglioso mistero di fusione tra finito e infinito. Sant'Efrem dice: Ha trasferito "il genere umano nella casa della vita" perché "chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me ed io in lui". Allora sei la mia casa, o Signore, in Te amo rientrare quando l'affanno consuma la pace, quando la stanchezza affievolisce il passo, ma anche quando le tue creature mi danno gioia e il mio cuore si dilata in un mondo nel quale è stata vinta la morte. Per la tua Risurrezione, o Cristo, gioiscono i cieli e la terra; è l'inevitabile canto di lode della natura redenta dal tuo sangue che è donata e si dona in un circolo infinito di amore... "Venite, offriamo il nostro amore come sacrificio grande e universale, eleviamo cantici solenni e rivolgiamo preghiere a colui che offrì la sua croce in sacrificio a Dio per rendere ricchi tutti noi del suo inestimabile tesoro".
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20/04/2013 06:36
 
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Movimento Apostolico - rito romano
E noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio

L'errore dei Giudei non è nella mancanza di fede in Cristo Gesù. È non fede nel Padre, in Dio. Essi non sanno chi è Dio. Non sanno che il Dio nel quale credono è amore eterno ed infinito, carità senza misura, divina onnipotenza illimitata. Ignorano che il loro Dio mai finora si è fermato al già acquisito. Sempre il Signore ha manifestato ai figli di Israele questo loro vizio di fede: fermarsi alle opere date da Lui nel passato storico.

Voi siete i miei testimoni - oracolo del Signore - e il mio servo, che io mi sono scelto, perché mi conosciate e crediate in me e comprendiate che sono io. Prima di me non fu formato alcun Dio né dopo ce ne sarà. Io, io sono il Signore, fuori di me non c'è salvatore. Io ho annunciato e ho salvato, mi sono fatto sentire e non c'era tra voi alcun Dio straniero. Voi siete miei testimoni - oracolo del Signore - e io sono Dio, sempre il medesimo dall'eternità. Nessuno può sottrarre nulla al mio potere: chi può cambiare quanto io faccio?». Così dice il Signore, vostro redentore, il Santo d'Israele: «Per amore vostro l'ho mandato contro Babilonia e farò cadere tutte le loro spranghe, e, quanto ai Caldei, muterò i loro clamori in lutto. Io sono il Signore, il vostro Santo, il creatore d'Israele, il vostro re». Così dice il Signore, che aprì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque possenti, che fece uscire carri e cavalli, esercito ed eroi a un tempo; essi giacciono morti, mai più si rialzeranno, si spensero come un lucignolo, sono estinti: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto. Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi. (Is 43,10-21).

Non avendo in Dio che è capace di trasformare la carne e il sangue di Cristo in cibo e in bevanda di vita eterna, dicono a Gesù: "Questa parola è dura. Chi può ascoltarla?". Tutte le parole della fede sono dure per la mente e il cuore dell'uomo. Nessuna è comprensibile. Esse sono tutte portatrici di un mistero insondabile. Ma risiede proprio in questo la fede: fondare la propria vita non sulla Parola di Dio, ma sul Dio che dona la Parola. È Dio che deve essere ritenuto degno di fede. Una volta che questo processo si compie nel cuore, allora ogni Parola di Dio è credibile, perché detta da Lui, non perché comprensibile e accettabile per se stessa. Per se stessa sarà sempre dura.

È quanto opera Pietro nella sua professione di fede. Lui salta il mistero del pane della vita. Esso è troppo alto per la sua mente. È infinitamente oltre il suo orizzonte culturale, sociale, religioso, di fede. Lui non crede nelle parole di Gesù, crede in Gesù che dice parole di verità, santità, giustizia, pace, carità, vita eterna. Se Gesù è l'uomo dalla parola sempre vera, quanto oggi ha detto del pane di vita, è verità. Credendo fermamente in Gesù, Pietro crede in tutto ciò che Lui dice, anche se è incomprensibile e inafferrabile per qualsiasi mente umana.

Quella di Pietro deve essere per tutti la dinamica perenne della fede. Questo vuol dire che l'annunciatore della Parola di Gesù deve essere credibile allo stesso modo di Gesù che era annunciatore della Parola del Padre. "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi". Come io sono credibile per il Padre, voi dovete esserlo per me. Non vi dovrà esistere alcuna differenza. La similitudine con Gesù dovrà essere perfetta. È questa similitudine la vera via della fede oggi, domani, sempre.
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21/04/2013 06:43
 
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Monastero Domenicano Matris Domini
Commento su Atti 13,14.43-52; Salmo 99/100; Apocalisse 7,9.14b-17; Giovanni 10,27-30

Collocazione del brano

Ogni anno la IV domenica del tempo pasquale è dedicata a Gesù buon pastore e ci propone diversi brani del capitolo 10 di Giovanni. Il testo proposto per l'anno C è molto breve, solo quattro versetti, ma di una profondità straordinaria. La seconda parte del capitolo 10 (Gv 10,22-39), da cui è tratto questo brano, è ambientata a Gerusalemme, sotto il portico di Salomone, durante la festa della Dedicazione del Tempio.

Questa festa ricordava la nuova consacrazione del tempio di Gerusalemme, compiuta nel 165 a.C. dopo le profanazioni compiute da Antioco Epifane (narrate in 1Mac. 1,54-59; 4,36-39). Le celebrazioni durano tuttora per otto giorni e cadono attorno alla metà di dicembre. Il portico di Salomone si trovava sul lato orientale del Tempio ed era una dei colonnati che circondavano la grande spianata del tempio ed era protetta dal vento da una muraglia. Mentre Gesù stava passeggiando sotto questo portico viene raggiunto da un gruppo di Giudei. Questo incontro con i Giudei, sarà l'ultimo. Dopo la risurrezione di Lazzaro essi decideranno di uccidere Gesù (Gv 11,50). In questo ultimo incontro i Giudei chiedono a Gesù di dire apertamente se egli sia davvero il Cristo. Egli risponde loro di averlo già detto apertamente e di averlo anche dimostrato con le proprie opere, ma che loro non essendo sue pecore non gli avevano ancora creduto. Seguono dunque i versetti che la liturgia ci propone oggi.

Lectio

27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.

Gesù comincia dunque il suo discorso con la descrizione delle sue pecore. E' interessante notare che durante la festa della Dedicazione si leggeva Ezechiele 34, un'invettiva del profeta contro i cattivi pastori. E in realtà il discorso di Gesù riguardante il buon Pastore sembra proprio una ripresa delle parole di Ezechiele, volte al positivo. In Ezechiele Dio prometteva che Lui stesso si sarebbe preso cura delle pecore. Nel discorso di Gesù sul buon Pastore questa promessa si avvera. Ma per gioire delle cure del buon Pastore bisogna essere Sue pecore.

Quali sono dunque le caratteristiche di queste pecore? Prima di tutto esse ascoltano la voce del pastore. Vi è una relazione di fiducia e di affetto. Le pecore ascoltano il pastore e si lasciano conoscere da lui, lo seguono, cosa che invece i giudei con cui Gesù stava parlando non facevano: non lo ascoltavano, non volevano farsi conoscere da Lui per quello che erano e non lo seguivano. Inutile che gli chiedessero se fosse veramente il Cristo, se non volevano seguirlo.

28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.

Questa relazione di affetto non avrà mai fine. In questa frase viene ripetuta la parola eterno, una gioia che non può finire, una vita in pienezza. Anche se ci saranno nemici, coloro che tenterà di strappare le pecore dalla mano del Pastore, costoro non potranno prevalere, perché il Pastore è più forte.

29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre.

Da dove viene la forza di Gesù buon Pastore? Dal fatto che l'incarico gli è stato dato dal Padre stesso. E' il Padre che ha affidato al Figlio le pecore. Il Padre è il più grande di tutti, è lui che ha la mano talmente forte che nulla gli può essere sottratto. Ritornano con forza alcuni temi ricorrenti del Vangelo di Giovanni: "questa è la volontà di coui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato" (Gv 6,39).

Questo è il felice destino di chi riconosce di essere pecora del Signore. Il discorso del pastore e delle pecore ci riporta al mandato di Pietro (Gv 21, 15-19) che abbiamo letto la scorsa domenica. Il gregge che il Padre ha affidato a Gesù, ora è nelle mani di Pietro.

30Io e il Padre siamo una cosa sola".

In base a questo mandato Gesù può ricordare la profonda unità di intenti e di azione del Padre e del Figlio. Essi sono una cosa sola. Qui Giovanni ci ricorda ancora la divinità di Gesù che ha cominciato a dichiarare nel Prologo del suo Vangelo. Questa affermazione scandalizzerà molto i Giudei: nel versetto seguente è detto che portarono pietre per lapidarlo, senza però riuscirci (cf. Gv 31-39).

Meditatio

- Confronta il capitolo 34 del profeta Ezechiele con il capitolo 10 del Vangelo di Giovanni. Quali sono le cose in comune? Quali quelle che si oppongono a vicenda?
- Nel vangelo di questa domenica e anche in altre pagine del vangelo, i fedeli vengono paragonati a delle pecore. Quali sentimenti suscita in me questo paragone? Mi sembra offensivo o mi può essere di aiuto?
- Come descriveresti la tua relazione con il Signore?
Preghiamo (colletta della IV domenica di Pasqua - anno C)

O Dio, fonte della gioia e della pace, che hai affidato al potere del tuo figlio le sorti degli uomini e dei popoli, sostienici con la forza del tuo Spirito, e fa' che nelle vicende del tempo non ci separiamo mai dal nostro pastore che ci guida alle sorgenti della vita. Egli è Dio...
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22/04/2013 08:10
 
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padre Lino Pedron
Gv 10,1-10
Io sono la porta delle pecore.

Questo brano è la continuazione del capitolo precedente. Il discorso sulla porta e il buon Pastore spiega e interpreta il significato dell'epilogo drammatico della professione di fede del cieco guarito.
Chi è espulso dalla sua comunità politica o religiosa, a motivo della sua testimonianza nel Signore Gesù, entra a far parte del gregge di Cristo e in esso trova vita abbondante e salvezza perfetta.
I capi del popolo giudaico con il loro comportamento si sono manifestati ladri e briganti (v. 8), non pastori d'Israele. Il cieco guarito, scomunicato dai giudei, non vivrà come pecora senza gregge e senza pastore; egli ha già incontrato il buon Pastore e con la sua professione di fede è già entrato nell'ovile del Signore attraverso la porta che è Gesù.
L'espressione "In verità, in verità vi dico" (v. 1) preannuncia rivelazioni molto importanti e profonde. L'immagine della porta (v. 1) significa che per essere veri pastori del gregge di Dio bisogna passare per la porta che è Cristo. Egli infatti è il luogo della presenza di Dio, è la via d'accesso al Padre ed è il nuovo tempio definitivo.
Chi ignora Cristo e rifiuta la sua persona è un ladro e un brigante, cioè non può guidare le pecore ai pascoli della vita eterna, ma causa rovina e morte. In concreto, i giudei e i farisei, che non vogliono accettare la mediazione salvifica di Gesù, sono ladri e briganti. Così pure i ribelli, gli zeloti e i guerriglieri come Barabba, che hanno provocato sommosse popolari, non essendo entrati nella comunità d'Israele attraverso la porta stabilita da Dio, sono causa solo di rovina e di morte. Il vero pastore del gregge di Dio entra per la porta che è Gesù e si mette in rapporto con le pecore attraverso Gesù.
Con la frase "chiama le proprie pecore per nome e le conduce fuori" (v. 3), Gesù fa capire la sua azione di condurre le sue pecore fuori dal recinto della sinagoga. Il cieco guarito, che è stato espulso dalla comunità giudaica, in realtà è stato condotto fuori dalla sinagoga dal buon Pastore ed è stato introdotto nell'ovile di Cristo che è la Chiesa.
Come Dio ha condotto Israele fuori dall'Egitto, così Gesù si mette alla testa del suo gregge per farlo uscire dal giudaismo. Con questa azione la Chiesa è separata radicalmente dalla sinagoga.
Data l'incomprensione delle sue parole enigmatiche, Gesù riprende le immagini precedenti e le chiarisce: la porta delle pecore è lui, i ladri e i briganti sono i falsi pastori d'Israele. Gesù è il mediatore per avere accesso al gregge di Dio, è la via per giungere al Padre (Gv 14,6), è la strada obbligata per mettersi in comunione con le sue pecore.
La porta, nel linguaggio biblico, significa anche la città o il tempio (cfr Sal 87,1-2; 112,2; ecc.). Gesù quindi proclama di essere il luogo dove si trova la salvezza. Egli è stato mandato dal Padre nel mondo affinché l'umanità peccatrice fosse salvata per mezzo di lui (Gv 3,17). Perciò le pecore che vogliono avere la vita eterna in pienezza non possono fare a meno della sua azione mediatrice: devono entrare nella vita eterna per la porta che è Cristo.
Questa mediazione salvifica non è qualcosa di oppressivo, ma il mezzo per godere perfetta libertà e per sperimentare la pienezza della vita.
Il Figlio di Dio non è venuto nel mondo per uccidere e per portare alla rovina l'umanità, come fanno i falsi pastori, ma per salvare tutti.
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23/04/2013 07:13
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore

I Giudei, persone scaltre e furbe, vogliono far uscire Cristo allo scoperto. Gli chiedono che manifesti loro la sua vera identità: "Fino a quando ci terrai nell'incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente". È questa una richiesta ambigua, a motivo del loro cuore che è ambiguo. Essi non chiedono per sapere, bensì per condannare, accusare, lapidare, mettere a morte. Se Gesù avesse risposto loro apertamente, direttamente, si sarebbe condannato a sicura morte per lapidazione.

Gesù risponde loro per via indiretta. Se voi volete sapere chi io sono, osservate le mie opere. Vedetele con occhi che cercano la verità e con mente che sa discernere ciò che viene da Dio e ciò che viene dall'uomo. Sono le mie opere - dice Gesù - che mi rendono testimonianza. Queste attestano che io sono da Dio, o che Dio agisce in me e per me. Sono le mie opere che attestano Dio nella mia vita.

Gesù rinvia al Padre. In fondo i Giudei non devono credere in Cristo Gesù. Sono invitati a credere in Dio, nel Padre. Mai vi potrà essere vera fede in Gesù se non è vera fede nel Padre. I Giudei credano che il Padre è in Gesù e da questa fede potranno aprirsi alla fede in Gesù. Non giungeranno certo alla professione di fede nella divinità di Gesù, ma almeno crederanno che Lui è dal Padre o che il Padre lo ha inviato. È questo l'inizio della fede. Senza questa inizio, nessuna cammino, progresso, perfezione potrà mai esistere. Manca il primo fondamento, la base per l'edificazione della vera fede.

I Giudei non credono in questa verità di Dio e di Gesù, perché non sono sue pecore. Non sono perché essi non si sono lasciati donare da Dio a Lui. Dio avrebbe voluto dare tutti i Giudei a Cristo, ma questi si sono rifiutati di ascoltare la voce del Padre che parlava loro attraverso la voce umana di Cristo Signore. Se loro invece fossero pecore di Gesù, tutto cambierebbe. Saprebbero ascoltare ogni parola di Gesù e guardare le sue opere con occhi diversi, occhi di verità, giustizia, santità, occhi capaci di attraversare il visibile e giungere fino al Dio invisibile che sempre agisce per mezzo di Gesù Signore. Occhi che vedono con un cuore che crede e ama il suo Pastore. Il vero problema dei Giudei non è Cristo Gesù. È invece il Padre, Dio. Loro non hanno una fede vera nel Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe. Se avessero una fede vera, saprebbero che il loro Dio è il Dio che oggi cammina con l'uomo e non ieri. Ieri è passato. Oggi bisogna camminare con Lui. Oggi ascoltare la sua voce. Oggi scegliere nuovamente Lui secondo la novità di verità e di carità che viene a portarci. È quanto insegna la Lettera agli Ebrei, che invita ad ascoltare oggi la voce del Signore.

In verità Mosè fu degno di fede in tutta la sua casa come servitore, per dare testimonianza di ciò che doveva essere annunciato più tardi. Cristo, invece, lo fu come figlio, posto sopra la sua casa. E la sua casa siamo noi, se conserviamo la libertà e la speranza di cui ci vantiamo. Per questo, come dice lo Spirito Santo: Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori come nel giorno della ribellione, il giorno della tentazione nel deserto, dove mi tentarono i vostri padri mettendomi alla prova, pur avendo visto per quarant'anni le mie opere. Perciò mi disgustai di quella generazione e dissi: hanno sempre il cuore sviato. Non hanno conosciuto le mie vie. Così ho giurato nella mia ira: non entreranno nel mio riposo. Badate, fratelli, che non si trovi in nessuno di voi un cuore perverso e senza fede che si allontani dal Dio vivente. Esortatevi piuttosto a vicenda ogni giorno, finché dura questo oggi, perché nessuno di voi si ostini, sedotto dal peccato. (Eb 3,5-13).
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24/04/2013 08:04
 
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Eremo San Biagio
Commento su Giovanni 12,46

«Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre».
Gv 12,46

Come vivere questa Parola?

Nel vangelo secondo Giovanni questo brano (Gv 12,44-50) chiude tutta la prima parte e quindi introduce nella seconda, quella dell'ora di Gesù, della sua Pasqua. Per questo è significativa la ripresa della tematica della luce che incontriamo all'inizio del Vangelo, solitamente proclamato nel periodo natalizio: «In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta... Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo...» (Gv 1,4-5.9).

Lo scopo della venuta del Cristo nel mondo è chiara, fin dall'inizio: illuminare! Ogni uomo! La luce allontana il buio, dissipa le tenebre. La luce è la vita! Può succedere che qualcuno preferisca restare nel buio? Che non voglia vedere la luce? Che non voglia riconoscere chi gli offre la salvezza dalle tenebre, la vita eterna? Che ascolta le parole del Salvatore, ma non le osserva?

Gesù non condanna, illumina! Chi accoglie la sua luce, compie il primo atto di fede. Mentre le tenebre iniziano a diradarsi, noi, illuminati, possiamo essere "luce" per gli altri attorno a noi.

Dal canto "Sale e luce" di Giosy Cento:

Luce della terra sei Gesù, infinito amore, verità,
noi saremo luce, ma solo insieme a te, luce di risorti vivi in te. [...]
Pasqua luminosa sei Gesù, non c'è più la notte intorno a noi.
Tu sei sole e sale, la gloria tua Signore splende e accende in noi la santità.
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25/04/2013 08:08
 
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Il servizio al Vangelo

Lettura
Il brano, prescritto per l'odierna festa dell'evangelista Marco, costituisce la parte finale del suo Vangelo. In essa, l'attenzione è portata dapprima sull'apparizione agli Undici, ai quali il Risorto dà il mandato di proclamare il Vangelo «ad ogni creatura». Nel contesto, emerge l'insistenza del Risorto sulla fede e sul battesimo, come condizioni necessarie per la salvezza, e l'elenco dei segni che accompagneranno i credenti. Successivamente, l'attenzione è orientata all'ascensione di Gesù e all'inizio della missione dei discepoli.

Meditazione
Il Risorto ha dato ai suoi discepoli la missione di andare in tutto il mondo, per predicare il Vangelo «ad ogni creatura. Paolo ha parlato del suo servizio all'annuncio del «mistero», rivelato in Cristo, per invitare «tutte le genti» all'ubbidienza della fede (cfr. Rm 16,26). La Chiesa, come ha scritto Giovanni Paolo II, nell'enciclica Redemptoris missio, «non può sottrarsi al mandato esplicito di Cristo» e, conseguentemente, «non può privare gli uomini della "buona novella" che sono amati e salvati da Dio». Nel segno ecclesiale, posto accanto e dentro il mondo, brilla quindi la luce del Vangelo, che accompagna e illumina il cammino della storia degli uomini e delle donne.
I discepoli di ieri e di oggi hanno, pertanto, un solo debito nei confronti della storia del mondo, del contesto culturale: quello di annunciare il Vangelo, senza mescolarlo ad altro, senza fare un discorso secondo la sapienza umana, per non rendere vana la croce di Cristo e per non rendere impossibile la manifestazione dello Spirito e della sua potenza (cfr. 1Cor 1,17; 2,1-5).
Nel contesto del servizio al Vangelo, emerge l'importanza della testimonianza dei cristiani. Il loro vissuto, per Paolo, costituisce il primo documento della fede: «la nostra lettera siete voi, lettera scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini. È noto, infatti, che voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori» (2Cor 3,2-3).

Preghiera:
Signore, concedi che noi tuoi discepoli di oggi, come i tuoi discepoli di ieri, troviamo la forza di vincere le nostre comodità, di partire e di andare nel mondo, in ogni luogo, per servire il Vangelo, e per essere, con la nostra vita, un segno della tua presenza salvifica. Non saremo soli, tu opererai con noi e confermerai le nostre parole.

Agire:
Nell'ambiente di vita o di lavoro, con qualche gesto o parola, farò un servizio al Vangelo.

Commento a cura di don Nunzio Capizzi
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26/04/2013 07:57
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me

Quanto Gesù oggi chiede ai suoi discepoli, è legge universale della fede. Sempre la fede deve essere duplice, mai unica, sempre in due persone, mai in una sola. Deve essere fede nell'inviato e nell'Inviante. Non due fedi separate e distinte: una nell'inviato e nell'altra nell'Inviante, ma una sola fede, la stessa che è nell'Inviante deve essere nell'inviato. Se questa unita è assente, non vi è vera missione di salvezza.

Questa verità viene manifestata a noi già dalla prima missione della storia. Il primo missionario è stato Mosè. In lui si è compiuta questa unità di fede. Quella dei figli di Israele era fede in Dio e fede in Mosè, una sola fede, non due. Questa unità deve essere tanto alta, da considerarsi un'unica fonte di fede, non due. I soggetti sono due, la fede è però una sola. È quanto ci rivela il Libro dell'Esodo.

Allora Mosè stese la mano sul mare. E il Signore durante tutta la notte risospinse il mare con un forte vento d'oriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero. Gli Israeliti entrarono nel mare sull'asciutto, mentre le acque erano per loro un muro a destra e a sinistra. Gli Egiziani li inseguirono, e tutti i cavalli del faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri entrarono dietro di loro in mezzo al mare. Ma alla veglia del mattino il Signore, dalla colonna di fuoco e di nube, gettò uno sguardo sul campo degli Egiziani e lo mise in rotta. Frenò le ruote dei loro carri, così che a stento riuscivano a spingerle. Allora gli Egiziani dissero: «Fuggiamo di fronte a Israele, perché il Signore combatte per loro contro gli Egiziani!». Il Signore disse a Mosè: «Stendi la mano sul mare: le acque si riversino sugli Egiziani, sui loro carri e i loro cavalieri». Mosè stese la mano sul mare e il mare, sul far del mattino, tornò al suo livello consueto, mentre gli Egiziani, fuggendo, gli si dirigevano contro. Il Signore li travolse così in mezzo al mare. Le acque ritornarono e sommersero i carri e i cavalieri di tutto l'esercito del faraone, che erano entrati nel mare dietro a Israele: non ne scampò neppure uno. Invece gli Israeliti avevano camminato sull'asciutto in mezzo al mare, mentre le acque erano per loro un muro a destra e a sinistra. In quel giorno il Signore salvò Israele dalla mano degli Egiziani, e Israele vide gli Egiziani morti sulla riva del mare; Israele vide la mano potente con la quale il Signore aveva agito contro l'Egitto, e il popolo temette il Signore e credette in lui e in Mosè suo servo (Es 14,21-31).

Gesù chiede ai suoi Apostoli che abbiano una doppia fede: in Lui e nel Padre suo, in Lui e in Dio. Un'unica fede, non due. Cristo Gesù è vera Parola del Padre. Il Padre parla per mezzo di Lui. Alla sua Parola si deve accordare la stessa fede che si accorda alla Parola di Dio. Avere fede in Gesù vuol dire anche che Lui è oggi la vera Parola del Padre. Tutte le altre vanno interpretate, aggiornate, lette, comprese, a partire da questa sua Parola. È questa la sola regola ermeneutica secondo la quale leggere quanto Gesù sta dicendo ai suoi Apostoli. Dio sta parlando loro per mezzo di Lui.

Questo stesso principio della duplice fonte di fede vale per Gesù e i suoi discepoli. Ogni discepolo di Gesù deve poter sempre dire: Abbiate fede in Gesù e abbiate fede in me. La sua parola deve essere Parola di Gesù allo stesso modo che la Parola di Gesù è Parola di Dio, del Padre suo. Quando questa unità si costruisce, allora la parola del discepolo sarà ricca di opere di salvezza e di conversione.

Come la Parola di Gesù è Parola del Padre nello Spirito Santo di verità e Gesù dimorava nello Spirito Santo, così deve essere per ogni suo discepolo. Questi deve dimorare nello Spirito della verità perché la sua parola sia verità e quindi degna sempre di fede vera. Se il discepolo vive fuori dello Spirito di verità, allora nessuna sua parola potrà dirsi verità e a nessuna potrà accordarsi la fede. Senza fede è il fallimento, perché solo la parola degna di fede è credibile e solo su di essa si può costruire la vita.
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28/04/2013 09:16
 
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Ileana Mortari - rito romano
Vi do un comandamento nuovo

Ispirandosi al genere letterario dei "discorsi di addio" e utilizzando alcune tradizioni degli "addii di Gesù", Giovanni ha composto nei capitoli 13-17 del suo vangelo un lungo e straordinario discorso che il Nazareno pronuncia prima di affrontare la sua Ora. Queste pagine sono di una profondità spirituale senza paragoni, anche nello stesso quarto evangelo, e il breve brano proposto dalla liturgia ne costituisce il vertice.

Siamo di fronte infatti a quello che è stato giustamente definito il "testamento spirituale" di Gesù, imperniato su due motivi fortemente sottolineati dall'evangelista e strettamente legati tra di loro: la glorificazione del Figlio dell'uomo e il comandamento nuovo dell'amore.

Se nell'Antico Testamento la gloria divina è la manifestazione della potenza di Dio nelle forme sensibili del fuoco o della nube, nel Nuovo - e particolarmente nel quarto evangelo - essa compare come inscindibilmente legata alla persona e all'azione di Gesù.

Nel Verbo incarnato abita e si rivela la gloria del Figlio unico di Dio che splende nelle tenebre (prologo); essa accompagna il Profeta di Nazareth "potente in parole ed opere", ma soprattutto rifulge nella sua morte, in quella misteriosa Ora in cui "il principe di questo mondo viene gettato fuori" (Giov. 12,31) e nella sua resurrezione.

All'occhio credente dell'evangelista proprio l'ora più oscura nella vita terrena di Gesù - quella del fallimento e della sconfitta segnata dalla condanna a morte - si rivela come l'ora della glorificazione perché in Lui, che ama fino al dono della propria vita, si manifesta la vera natura della potenza di Dio, che è potenza di amore. Per questo "Dio è stato glorificato in Lui" (v.31). E' la più grande delle teofanie!


Ma l'Ora della Passione-glorificazione è anche l'ora del distacco di Gesù dai suoi discepoli ("ancora per poco sono con voi" - v.33), l'ora delle ultime volontà. Egli, ben consapevole di ciò che lo attende, dal momento in cui Giuda è uscito nel buio della notte per mandare ad effetto il suo tradimento, si rivolge ai discepoli con grande affetto - espresso dal termine "figliuoli" che ricorre solo qui - e comunica il suo testamento spirituale, quel "comandamento" dell'amore, in cui si concentra l'eredità più profonda che lascia loro.

Infatti è ancora soprattutto nel vangelo di Giovanni che emerge come l'amore ("agape" in greco) sia all'origine, al cuore e al termine dell'opera divina in Gesù Cristo. Egli non è venuto, non ha agito e non è morto che per amore: verso il Padre e verso tutti gli uomini ai quali il Padre lo ha inviato. E ora, nell'attesa del Suo ritorno, anche gli uomini potranno e dovranno amarsi allo stesso modo di Gesù.

"Dovranno" amarsi? E' possibile "comandare" l'amore? O non è forse meglio che tale sentimento vada rispettato nella sua spontaneità?

Un'attenta analisi dei termini e del contesto scritturistico consente di andare oltre una visione "precettistica" delle parole di Gesù.


Anzitutto Egli "dona" (questo è il primo significato di "didomi") un "comandamento" nuovo, e quest'ultimo non è tanto un ordine o una legge, analoga a quella del Primo Testamento, ma piuttosto una disposizione, un incarico, una possibilità di "entrare nella volontà del Padre" che Gesù rivela e che Egli stesso attua donando la sua vita.


Inoltre la novità di tale "comandamento" e quella dell'amore rivelato e vissuto da Gesù non è cronologica, ma qualitativa. Si tratta di qualcosa di assolutamente originale, non paragonabile a situazioni precedenti e superiore a qualsiasi forma di amore. "Amate i vostri nemici", Egli aveva detto nel Discorso della montagna e nel momento della sua morte avrebbe pronunciato parole di perdono verso i suoi persecutori.

Così l'espressione "come Io vi ho amato" ha un duplice significato. Quello immediato, comparativo, richiama l'esempio di Gesù che poco prima ha lavato i piedi ai discepoli; dunque viene proposto l'amore nella sua dimensione di servizio umile e gratuito. Ma la frase può essere tradotta anche con "poiché Io vi ho amato". Cioè: è solo in forza dell'immenso amore di Gesù che anche noi, nella nostra piccolezza, possiamo amare i fratelli. E questo è molto confortante!


Infine - e siamo all'ultimo versetto della pericope - solo dall'amore che avranno gli uni per gli altri, potranno venire riconosciuti i discepoli di Gesù. Il che spiega molto bene la ragione del "comandamento": come Egli viene riconosciuto Figlio perché è unito al Padre e lo ama fino al dono della sua vita, così i discepoli di Gesù saranno riconosciuti da tutti come i "suoi" se saranno uniti tra loro da un tale amore.


Sappiamo bene quanto sia difficile vivere questo comandamento non solo verso i nemici, ma anzitutto tra i fratelli nella fede della comunità cristiana! Eppure Gesù ha potuto pronunciare quelle parole proprio perché è Lui a darci non solo l'esempio, ma la possibilità e la forza di amare così. O non è forse vero che solo chi si sa e si sente amato è capace a sua volta di amare?
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29/04/2013 08:07
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
La vergine saggia e sapiente.

Nel vangelo che la liturgia ci presenta oggi possiamo intravvedere la grande santa senese come la vergine saggia e prudente, che, in attesa dell?incontro con lo Sposo divino, ha preso con se la lampada e si è munita di olio. In questa parabola evangelica possiamo scoprire tutte le preclari virtù che hanno adornata la patrona dell?Europa. Lei è la donna sapiente, che ha compreso appieno l?essenza della religiosità autentica: ha dedicato tutta la sua vita ad un incontro personale con Cristo, si è lasciata umilmente illuminare dalla luce radiosa dello Spirito Santo e ha trovato nell?amore al Signore la realizzazione piena della sua vita. Abbondando così di olio, ha tenuto costantemente accesa la sua lampada, anche nel cuore della notte, e ha saputo irradiare la sua luce a tutto il mondo ecclesiastico e civile del suo tempo. Aveva appreso la vera sapienza e la vera prudenza, non dai libri, ma dal cuore stesso del suo Sposo divino, dalla fonte stessa della verità e della vita. Si è trovata pronta all?incontro con lui e la lampada luminosissima della sua vita, ha riflesso luce ovunque e a tutti. Ha squarciato le tenebre della notte del suo tempo e ancora ai nostri giorni, con i suoi scritti, con i suoi esempi con la sua intercessione irradia luce di sapienza, ci si mostra come modello sublime di vita e come celeste patrona. Lei ci ricorda che è da stolti restare senza olio, affondare nel buio e mancare all?appuntamento con il Signore. Ci indica ancora la fonte inesauribile della vera sapienza e soprattutto alle donne di ogni epoca, addita i motivi profondi per affermare e difendere la propria dignità. Indica a tutti di non cedere alla facile tentazione di confidare nelle proprie forze per non cadere nell?illusione di un superficiale perbenismo. Restare al buio e privi di olio, vedersi esclusi dal convito dello sposo per un colpevole ritardo è un grave peccato che guasta la vita di molti. Essere sempre pronti, con le lampade accese è la virtù del viandante sapiente e saggio, è la virtù del cristiano vero.
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30/04/2013 07:39
 
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Eremo San Biagio
Commento su Giovanni 14,27

Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.
Gv 14,27

Come vivere questa Parola?

Quanto è importante accogliere questa parola del Signore in tutta la sua portata, soprattutto oggi, in questo nostro mondo pieno di conflittualità e di proposte di una falsa pace.

La pace che ci lascia in eredità il Signore è quella che Egli chiama "la mia pace". Quindi bisogna essere ben persuasi che è anzitutto un dono, "frutto dello Spirito" come dice S. Paolo nella lettera ai Galati, un dono da ottenere con la preghiera. Anzi, la pace, se vogliamo coglierla nella sua identità più profonda, è Gesù stesso, che con la sua morte in croce "ha abbattuto il muro di divisione, l'inimicizia" che era tra gli uomini. Gesù poi precisa. Egli ci dà la sua pace in modo diverso da come la dà il mondo.

La falsa pace del mondo è una specie di quieto vivere, un far pace con le proprie passioni, un lasciare che l'ego prenda il sopravvento e s'illuda di avere in mano il mondo, la vita. Invece è proprio il groviglio dei vari egoismi che scatena poi, a livello personale e sociale, l'orrore della guerra. La pace è dono del Signore ma c'invita alla conversione del cuore. È in questo senso che Gesù ha potuto dire: "Non crediate che io sia venuto a portare la pace sulla terra, ma una spada": quella spada che è la forza stessa della sua Parola puntata contro il male sempre pronto a rigurgitare in noi.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, chiedo allo Spirito Santo di diventare un uomo, una donna di pace. Mi soffermerò a considerare che è importante creare un'opinione pubblica contraria alla guerra; ma non basta. È dal di dentro, dall'interiorità del cuore, che si costruisce la pace vera, duratura: quella che edifica famiglie, comunità, popoli nuovi, all'insegna delle Beatitudini.:

Signore, fa' che con la spada della tua Parola ogni giorno io combatta la buona battaglia che sconfigge le passioni disordinate. Tu però dammi la tua pace, dammi te stesso. Diventi la mia vita un'irradiazione continua della tua pace.

La voce di un contemplativo del 14° secolo

«Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: Pace a voi!». Non la pace di questo mondo, perché dovevano andare incontro a molte avversità, ma la pace del cuore e la pace dell'eternità, la prima nel tempo presente, la seconda nel futuro.
Ludolfo di Sassonia
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