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MEDITIAMO LE SCRITTURE (Vol 5) Anno C

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2013 08:20
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03/03/2013 07:52
 
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Ileana Mortari - rito romano
Vedremo se porterà frutti per l'avvenire

Nel rito romano la liturgia quaresimale privilegia, in ogni anno del ciclo triennale, una particolare tematica; l'anno C è imperniato sulla conversione-penitenza, argomento centrale della pericope odierna, che prende spunto da due fatti di cronaca realmente accaduti al tempo di Gesù e di cui si ha notizia solo grazie al 3° vangelo.

Riguardo al primo avvenimento, pare che - secondo lo storico ebreo Giuseppe Flavio - intorno al 35 d. Cr. sotto il dominio romano ci fosse stata un'insurrezione e alcuni si fossero rifugiati nel tempio ritenendosi al sicuro. Invece i Romani entrarono e li uccisero, proprio mentre si stava facendo il sacrificio rituale.

Secondo un'altra ipotesi, Pilato fece massacrare un gruppo di pellegrini galilei (probabili simpatizzanti del movimento zelota), mentre sacrificavano i loro agnelli, forse in occasione della Pasqua, quando anche i laici partecipavano ai sacrifici nel tempio. Tremenda fu l'impressione per questa strage avvenuta in un luogo religioso, anche perché il sangue delle vittime si era mescolato a quello dei sacrifici, profanando nel modo più grave e offensivo uno spazio sacro destinato al culto e durante un rito liturgico.

I connazionali avevano dato alla morte violenta dei galilei la seguente spiegazione: Dio è giusto e, se ha punito quelle persone con la morte, vuol dire che essi erano peccatori; secondo una nota regola ebraica, "non c'è castigo senza colpa". Era diffusa la credenza popolare secondo cui ogni disgrazia è conseguenza e pena di determinati peccati. E' un modo di pensare che esiste tuttora perché evidentemente fa comodo e tranquillizza la coscienza: questo male a me non è accaduto; quindi sono a posto.

Tale valutazione aveva alla base una concezione "teologica". Infatti, secondo alcune correnti religiose del giudaismo, molto presenti anche al tempo di Gesù (cfr. Gv.9,2 sul cieco nato), la malattia e la morte violenta erano considerate come una punizione che Dio infliggeva per i peccati commessi, che soltanto lui conosceva. Più in generale sventure e dolori erano un castigo legato al peccato. Il rabbino Ammi insegnava: "Non c'è morte senza peccato, né sofferenza senza colpa". Ancora oggi c'è chi ama vedere nelle disgrazie il "dito di Dio giudice".

Gesù non condivide affatto simile spiegazione, né condanna il potere oppressivo e tirannico dei Romani capaci di tanta repressione e brutalità (come forse si aspettavano i suoi interlocutori), non guarda al passato per stabilire colpe e colpevoli, ma invita a guardare avanti e coglie l'occasione per dare un insegnamento sul giudizio di Dio: la disgrazia caduta sui galilei è il segno del giudizio che incombe su tutti gli uomini (perché tutti sono peccatori), a meno che non si convertano.

Dunque il male che è nel mondo e nell'uomo deve diventare motivo e occasione di revisione di vita e di conversione. E l'essere scampati alla strage non è sintomo di innocenza, ma piuttosto una "tregua", una possibilità ulteriore che ci è data per convertirci.

Poi Gesù stesso prende l'iniziativa di commentare un altro fatto. Cause imprecisate fanno crollare la torre di Siloe (un'opera difensiva che si trovava nella cinta muraria a sud-est di Gerusalemme, accanto alla sorgente di Siloe) e ben diciotto persone muoiono schiacciate dalle pietre. Anche in questo caso - osserva il Maestro - le vittime non erano certo più colpevoli degli altri abitanti della città.

"No, io vi dico, ma se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo" (v.5). Queste minacce di stampo profetico, ripetute una seconda volta, vogliono far capire a chi ascolta che tutti sono peccatori e che tutti indistintamente hanno bisogno di conversione, una conversione urgente, non rimandabile, alla quale il Signore invita in modo solenne e autorevole ("io vi dico" - vv.3 e 5). Non ci sono garanzie sulla storia futura, la nostra vita può cessare da un momento all'altro: per questo è bene non rimandare la conversione.

Parrebbe questo un discorso duro e perentorio, in cui prevale il volto corrucciato di Dio. Ma Luca, l' "evangelista del perdono e della misericordia", si affretta ad aggiungere alle parole di minaccia la parabola del fico sterile, che nel terzo vangelo ha collocazione e contenuti diversi rispetto ai sinottici, e che consente di approfondire il tema del giudizio divino. Quest'ultimo si abbatte inesorabilmente su coloro che non si convertono; ma l'intenzione più profonda, l'intenzione originaria di Dio è che "Egli non vuole la morte del malvagio, ma che il malvagio si converta dalla sua malvagità e viva" (Ez.33,11)

Di qui la parabola del fico infruttuoso. Il fico è noto simbolo anticotestamentario del popolo di Israele e il primo significato del testo è: Dio stigmatizza la condotta del popolo ebraico e la sottopone a giudizio, in quanto esso non ha saputo riconoscere e cogliere nella presenza di Gesù il dono che il Padre gli faceva; nei "tre anni di sterilità", che evidentemente alludono al tempo del ministero del Messia, Israele non ha saputo cogliere il tempo opportuno a lui riservato.

Tuttavia il vignaiolo-Dio (cfr. Gv.15,1: "il Padre mio è l'agricoltore") vuole concedere ancora del tempo per dare frutto; non solo, ma Egli si preoccupa di zappargli intorno, lavorare il terreno, mettergli il concime; cioè, fuor di metafora: Dio offre ancora una possibilità al suo popolo e, più in generale, si prende cura come nessuno di ciascuno di noi, "perde tempo per noi", fa di tutto per portarci a fruttificare. Egli è un Dio paziente che lavora la zolla della nostra esistenza e spera sempre di raccogliere qualche frutto.

Ritroviamo in questi versetti l'esperienza dell'attesa, che attraversa tutto il Vangelo di Luca.
Un'attesa che contiene il valore della pazienza, della capacità di guardare sempre oltre i limiti e le apparenti sconfitte della vita, così da riscoprire una possibilità di salvezza per tutti.

CONVERSIONE è dunque la parola d'ordine del testo odierno: nell'originale greco ("metànoia") indica il "cambiare mentalità", scelte, giudizio, decisioni.

Convertirsi è passare dal modo di pensare e di agire proprio di chi è condizionato dal mondo, a un modo di pensare, agire, comportarsi guidato da Cristo e dal suo vangelo. Convertirsi è lasciare che il Vangelo entri nella propria vita così che, passo dopo passo, possa occupare tutta la nostra esistenza.

La QUARESIMA è il tempo più propizio, che la Chiesa, davvero nostra Madre, ci offre ogni anno per fare la revisione della nostra vita, interrogarci alla luce della Parola, riprendere o intensificare il dialogo con il Signore. Magari ci accorgiamo di non aver prodotto molti frutti, di aver perso o sprecato del tempo; ma il Vangelo di oggi ci rincuora non poco. Basta che lo vogliamo, abbiamo sempre al nostro fianco quel Dio-agricoltore che ci aiuta a dissodare il nostro terreno e, se saremo davvero in comunione con Lui, i frutti non mancheranno! E, come il vignaiolo della parabola, quando scopriamo che un fratello assomiglia al fico infruttuoso, sappiamo attivarci in suo favore?
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04/03/2013 07:37
 
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Eremo San Biagio
Commento su Luca 4,27

C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro.
Lc 4,27

Come vivere questa Parola?

Gesù ha appena detto che nessuno è profeta nella propria patria, affermando che la sua è presenza profetica, anzi ben più che profetica come di lui aveva detto il suo precursore Giovanni Battista.

Ma quello che Gesù qui vuol sottolineare va oltre. Egli ha consapevolezza di non essere stato inviato solo per gli Ebrei, ma per ogni uomo che nell'unico Padre-Dio, è suo fratello. Per questo qui rievoca il profeta Eliseo che, tanti secoli prima, aveva ottenuto la guarigione di Naaman, abitante della Siria.

Dal brano emergono perle d'insegnamento diverse. Quella di grande attualità per noi riguarda il modo con cui, da cristiani, siamo chiamati a relazionarci con gli immigrati o, comunque con gente di altre etnie.

Abbattere i muri di preconcetto, diffidenze e cose del genere. Non generalizzare. Dal comportamento di una persona o di una famiglia è sbagliato trarne motivo per condannare, in blocco, gli altri. Aver premure, attenzioni e propensione all'aiuto per ognuno, senza discriminazioni di sorta.

Signore, non cessare di aprire il mio cuore, troppo spesso chiuso e manipolato da opzioni di comodo, da una mentalità di egoico campanilismo.

La voce di uno scienziato

E' più difficile disaggregare un pregiudizio che un atomo.
Albert Einstein, 1879-1955
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05/03/2013 08:25
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette

La nostra è la fede e la religione del perdono. È però una religione e una fede del perdono assai particolare, singolare, unico. Non è l'offensore che chiede perdono all'offeso, è invece l'offeso che dona la vita per l'offensore e lo invita a lasciarsi riconciliare con Lui. È questo il grande mistero dell'amore di Dio. San Paolo aveva compreso molto bene questo mistero e così lo annunzia e rivela ai Corinzi.

L'amore del Cristo infatti ci possiede; e noi sappiamo bene che uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro. Cosicché non guardiamo più nessuno alla maniera umana; se anche abbiamo conosciuto Cristo alla maniera umana, ora non lo conosciamo più così. Tanto che, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio. Poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti: Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza! (2Cor 5,14-6.2).

Altra verità essenziale, vitale, sostanziale della nostra fede e religione è il mistero che avvolge ogni discepolo di Gesù. Ogni cristiano è uno strumento eletto del Padre. Il Padre fa di lui una vittima di espiazione perché siano cancellati, in Cristo, con Cristo, per Cristo, tutti i peccati dei suoi fratelli. Quanto si compie in Cristo Gesù, che è stato fatto da Dio sacrificio per il peccato, deve compiersi in ogni suo discepolo, anche lui fatto dal Padre sacrificio per il peccato del mondo. Al cristiano è chiesto di consacrare e di offrire la sua vita a Dio per la salvezza di ogni altro uomo.

Il cristiano, in questa ottica di salvezza, non è colui che perdona sempre per sempre, è anche soprattutto colui che offre la sua vita al Padre per la conversione e il perdono dei peccati del mondo intero. Se lui è questa vittima di espiazione dei peccati di tutta la terra, diverrebbe assai incomprensibile il suo non perdono. Al cristiano nessuno deve chiedere perdono. Lui ha già perdonato. Lui già si è offerto per la redenzione dei suoi nemici, persecutori, calunniatori, denigratori, traditori. Pensare un cristiano che non perdona è l'assurdo degli assurdi. È come se il sole fosse senza raggi e senza fuoco.
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06/03/2013 08:29
 
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padre Lino Pedron


Gesù adempie le Scritture realizzando nella sua persona ciò che esse dicevano di lui. L'adempimento della Legge da parte di Gesù non è di ordine puramente dottrinale: è l'impegno stesso della sua vita e della sua morte.
Egli non è venuto per frustrare le attese dell'Antico Testamento, ma per realizzarle: non vuota la Legge del suo contenuto, ma la riempie fino all'ultimo livello, portandola fino alla sua più alta espressione.
Gesù non è un avversario di Mosè, ma non è nemmeno un suo discepolo; è al contrario il vero legislatore che Dio ha inviato agli uomini di tutti i tempi, di cui Mosè era solo un precursore.
Alla venuta del Messia, Mosè è invitato a scomparire (cfr Mt 17,8). La Legge era incompleta non perché non esprimesse la volontà di Dio, ma perché la esprimeva in un modo imperfetto e inadeguato. Anche i minimi dettagli della Legge conservano il loro eterno valore, soprattutto se la Legge è quella rinnovata da Cristo (v. 18).
Gesù compie la Legge, che manifesta la volontà del Padre, amando i fratelli. L'amore non trascura neanche un minimo dettaglio, anzi manifesta la propria grandezza nelle attenzioni minime.
Le realtà più solide, il cielo e la terra, potranno cadere ma non cadrà un iota, cioè la particella più piccola della Legge, finché non sia attuata. Non si tratta di salvaguardare l'adempimento del codice fin nelle sue minime prescrizioni, ma di comprenderne il profondo contenuto che sopravvive nel Vangelo: l'amore. Con la proclamazione del Vangelo l'Antico Testamento non finisce, ma si attua nel Nuovo.
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07/03/2013 08:22
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Luca 11,14-23

1) Preghiera

Dio grande e misericordioso,
quanto più si avvicina la festa della nostra redenzione,
tanto più cresca in noi il fervore
per celebrare santamente la Pasqua del tuo Figlio.
Egli è Dio e vive e regna con te...

2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Luca 11,14-23
In quel tempo, Gesù stava scacciando un demonio che era muto. Uscito il demonio, il muto cominciò a parlare e le folle rimasero meravigliate. Ma alcuni dissero: "È in nome di Beelzebul, capo dei demoni, che egli scaccia i demoni". Altri poi, per metterlo alla prova, gli domandavano un segno dal cielo.
Egli, conoscendo i loro pensieri, disse: "Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull'altra. Ora, se anche satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno? Voi dite che io scaccio i demoni in nome di Beelzebul. Ma se io scaccio i demoni in nome di Beelzebul, i vostri discepoli in nome di chi li scacciano? Perciò essi stessi saranno i vostri giudici. Se invece io scaccio i demoni con il dito di Dio, è dunque giunto a voi il regno di Dio.
Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, tutti i suoi beni stanno al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via l'armatura nella quale confidava e ne distribuisce il bottino.
Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde".

3) Riflessione

? Il Vangelo di oggi è di Luca (Lc 11,14-23). Il testo parallelo di Marco (Mc 3,22-27) è stato già meditato alla fine di gennaio.
? Luca 11,14-16: Le diverse reazioni dinanzi all'espulsione di un demonio. Gesù aveva scacciato un demonio che era muto. L'espulsione produce due reazioni diverse. Da un lato, la moltitudine delle persone che rimangono ammirate e meravigliate. La gente accetta Gesù e crede in lui. Dall'altro, coloro che non accettano Gesù e non credono in lui. Tra questi ultimi, alcuni dicevano che Gesù scacciava i demoni in nome di Beelzebul, il principe dei demoni, e gli altri volevano un segno del cielo. Marco informa che si trattava di scribi venuti da Gerusalemme (Mc 3,22), che non erano d'accordo con la libertà di Gesù. Volevano difendere la Tradizione contro le novità di Gesù.
? Luca 11,17-22: La risposta di Gesù è divisa in tre parti:
1ª parte: Paragone del regno diviso (vv. 17-18ª). Gesù denuncia l'assurdità della calunnia degli scribi. Dire che lui scaccia i demoni con l'aiuto del principe dei demoni vuol dire negare l'evidenza. E' la stessa cosa che dire che l'acqua è secca, e che il sole è oscurità. I dottori di Gerusalemme lo calunniavano, perché non sapevano spiegare i benefici che Gesù compiva nei riguardi della gente. Avevano paura di perdere il comando. Si sentivano minacciati nella loro autorità dinanzi alla gente.
2ª parte: perché espellono i vostri figli? (vv.18b-20) Gesù provoca gli accusatori e chiede: "Ma se io scaccio i demoni in nome di Beelzebul, i vostri discepoli in nome di chi li scacciano?" Che rispondano e si spieghino! Se io espello il demonio con il dito di Dio, è dunque giunto a voi il Regno di Dio!"
3ª parte: quando arriva il più forte, lui vince il forte (vv.21-22). Gesù paragona il demonio ad un uomo forte. Nessuno, se non una persona più forte, può rubare in casa di un uomo forte: Gesù è il più forte. Per questo riesce ad entrare in casa e ad afferrare l'uomo forte. Riesce a scacciare i demoni. Gesù afferra l'uomo forte ed ora ruba nella casa, cioè, libera le persone che erano sotto il potere del male. Il profeta Isaia aveva usato questo stesso paragone per descrivere la venuta del messia (Is 49,24-25). Per questo Luca dice che l'espulsione del demonio è un segnale evidente che il Regno di Dio è giunto.
? Luca 11,23: Chi non è con me è contro di me. Gesù termina la sua risposta con questa frase: "Chi non è con me, è contro di me. E chi non raccoglie con me, disperde". In un'altra occasione, anche a proposito di un'espulsione del demonio, i discepoli impediranno ad un uomo di usare il nome di Gesù per scacciare un demonio, perché non era del loro gruppo. Gesù rispose: "Non glielo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi!" (Lc 9,50). Sembrano due frasi contraddittorie, ma non lo sono. La frase del vangelo di oggi è detta contro i nemici che hanno un preconcetto contro Gesù: "Chi non è con me, è contro di me. E chi non raccoglie con me, disperde". Il preconcetto e la non accettazione rendono impossibile il dialogo e rompono l'unione. L'altra frase è detta per i discepoli che pensavano di avere il monopolio su Gesù: "Chi non è contro di voi, è per voi!" Molte persone che non sono cristiane praticano l'amore, la bontà, la giustizia, molte volte in modo assai migliore dei cristiani. Non possiamo escluderli. Sono fratelli ed operai nella costruzione del Regno. Noi cristiani non siamo padroni di Gesù. Al contrario: Gesù è il nostro signore!

4) Per un confronto personale

? "Chi non è con me, è contro di me. E chi non raccoglie con me, disperde.". Come avviene questo nella mia vita?
? "Non glielo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi!" Come avviene questo nella mia vita?

5) Preghiera finale

Venite, applaudiamo al Signore,
acclamiamo alla roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia. (Sal 94)
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08/03/2013 07:26
 
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Eremo San Biagio
Commento su Osea 14,2

Io li guarirò dalle loro infedeltà, li amerò profondamente.
Os 14,2

Come vivere questa Parola?

La Liturgia della Parola di questa settimana è veramente ricca di sollecitazioni alla conversione; i brani dell'Antico Testamento contengono parole accorate del desiderio che Dio ha di noi.

Oggi un testo di Osea: una preghiera penitenziale che contiene una richiesta di perdono e anche alcuni propositi da porre in azione. Ed è Dio stesso a suggerire le parole che il popolo deve dire per chiedere perdono. Ed è bellissimo! Le parole che desidera noi gli diciamo non sono un elenco di peccati, ma il riconoscimento della sua signoria: "accetta ... la lode delle nostre labbra". E i propositi che ci suggerisce di fare vanno nella stessa direzione.

Diceva una mistica contemporanea, Gabrielle Bossis, che a Dio basta che noi volgiamo lo sguardo verso di Lui e che sussurriamo il suo nome, perché Egli si precipiti verso di noi come un'aquila sui suoi piccoli in pericolo, e ci tiri su, in alto al riparo. Ci guarisce dall'infedeltà, ci ama profondamente; è per noi rugiada, frescura; ci esaudisce e veglia su di noi.

Di che temere, allora? Ascoltiamo l'invito della quaresima e torniamo al nostro Dio: non con ira ci accoglie, né con giudizio, ma con amore profondo e tenerezza!

Oggi, nella pausa contemplativa, visualizziamoci sulle ali di Dio, portati in alto e diciamo:

Nessuno ci può salvare, solo presso di te si trovano grazia e misericordia.

Le parole di un grande profeta

Se ci disarmiamo, se ci liberiamo dal possesso di noi stessi, se ci apriamo al Dio-Uomo che fa nuove tutte le cose, Lui cancella il nostro cattivo passato e ci dà un tempo nuovo, nel quale tutto è possibile.
Patriarca Atenagora
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09/03/2013 07:34
 
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padre Lino Pedron
Commento di Lc 18,9-14
Il pubblicano tornò a casa giustificato, a differenza del fariseo.

In questo brano abbiamo due modelli di fede e di preghiera. Da una parte il fariseo che sta davanti al proprio io. Egli è sicuro della sua bontà, giustifica se stesso e condanna gli altri. Dall'altra il pubblicano che, sentendosi lontano da Dio e non potendo confidare in sé, si accusa e invoca il perdono.
Il fariseo non sta davanti a Dio, ma a se stesso, non parla con Dio, ma con se stesso. La sua preghiera non è un dialogo, ma un monologo. Essa sembra un ringraziamento a Dio, ma in realtà è una strumentalizzazione di Dio per il proprio autocompiacimento. Egli si appropria dei doni di Dio per lodare se stesso invece del Padre e per disprezzare i fratelli invece di amarli.
Se la preghiera non è umile, è una separazione diabolica dal Padre e dai fratelli. E' lo stravolgimento massimo: in essa si usa Dio per cercare il proprio io. E' il peccato allo stato puro.
Il fariseo accusa gli altri di essere rapaci proprio mentre lui sta cercando di appropriarsi della gloria di Dio. Accusa gli altri di essere ingiusti, ossia di non fare la volontà di Dio, mentre lui trasgredisce il più grande dei comandamenti: l'amore per Dio e per il prossimo. Accusa gli altri di essere adulteri mentre lui si prostituisce all'idolo del proprio io, invece di amare Dio.
La religiosità che egli vive è solo esteriore; dentro c'è presunzione, ma anche molta grettezza, cattiveria, arroganza che lo spinge a giudicare con disprezzo il fratello peccatore che ha preso posto in lontananza.
Matteo scrive che i farisei assomigliano ai sepolcri imbiancati, belli all'esterno, ma pieni di putridume all'interno (23,27). All'esterno il fariseo è un perfetto credente, ma, dentro, i suoi pensieri e i suoi sentimenti sono totalmente diversi da quelli di Dio, che ama tutti indistintamente e in primo luogo i peccatori.
Il nostro fariseismo esce proprio tutto e bene quando preghiamo. La preghiera è lo specchio della verità: ci fa vedere che abbiamo dentro tutto il male che vediamo negli altri. Non c'è preghiera vera senza umiltà, e non c'è umiltà senza la scoperta del proprio peccato, anche del peggiore: quello di considerarsi giusti.
La preghiera del pubblicano è quella dell'umile: penetra le nubi (cfr Sir 35,17). E' simile a quella dei lebbrosi e del cieco (cfr Lc 17,13; 18,38); è la preghiera che purifica e illumina. E' una supplica con due poli: la misericordia di Dio e la miseria dell'uomo. L'umiltà è l'unica realtà capace di attirare Dio: fa di noi dei vasi vuoti che possono essere riempiti da Dio.
La fede che giustifica viene dall'umiltà che invoca la misericordia. La presunzione della propria giustizia non salva nessuno. Il giusto non è giustificato finché non riconosce il proprio peccato.
Senza umiltà non c'è conoscenza vantaggiosa né di sé né di Dio, e si rimane sotto il dominio del maligno.
Se il peccato è la superbia e il peccatore è il superbo, l'umiltà che il vangelo richiede ad ogni credente è quella di riconoscere la propria umiliante realtà di fariseo superbo.
L'autore dell'Imitazione di Cristo sintetizza perfettamente l'insegnamento di questa parabola: "A Dio piace più l'umiltà dopo che abbiamo peccato che la superbia dopo che abbiamo fatto le opere buone".
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10/03/2013 06:22
 
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don Marco Pozza
Il capretto e le prostitute. Uno scoop da Dio

Col patrimonio in tasca anzitempo. Quel figlio ne ha le scatole piene dell'aria di casa: meglio i porci, le ghiande e le donne. Storia nota, purtroppo; storia che ci fa commuovere invece che ribaltare, storia di un uomo e di un Dio che, nonostante tutto si cercano. Il figlio è partito perché Dio ci lascia liberi, perché senza libertà non si danno quei movimenti autentici del cuore che Egli va cercando. Dio ti lascia partire. Sempre. Anche se il rischio di non rivederti mai più è grande. Ti lascia partire: poi si mette alla finestra. E quando ti vede in fondo al viale polveroso, si trasforma!
Sei verbi da gustare al rallentatore. "Lo vide". Il figlio è ancora lontano. Il figlio forse non intravede il Padre. Il figlio ha la testa bassa. Non importa: il padre già lo vede. Occhi che s'aprono. Occhi che cercano. Occhi che piangono.
"Si commosse". Il tempo di vedere la sagoma di quel figlio nostalgico e il cuore del Padre ha un sussulto: si commuove. Si commuove perché possiede un cuore di padre e uno di madre. Perché custodisce la severità e la tenerezza, il piglio severo e l'anima delicata. Si commuove perché la sua è una mani che accarezza. Mano che consola. Mano che nutre. Mano che incoraggia. Mano che dice: "Buonanotte". Mano che aspetta. Mano protesa, mano che costruisce, mano che rialza, mano come di un padre!" Sei stato brigante? Alza gli occhi e guardalo: appena ti scorge da lontano, non solo si commuove, ma si mette a correre! Corre, anche se nel mondo orientale correre non è dignitoso per un anziano. Corre, perché l'altro che viene verso di lui, il giovane, correre non può, tanto la fame lo ha sfinito. Corre perché l'amore fa scattare dentro una molla che lo sblocca. Corre, come Zaccheo che s'aggrappa al pari di una scimmia sul sicomoro. Se ne infischia della formalità, appende la sua dignità sul naso della gente e corre. E correndo accorcia la distanza che lo separa dal suo bambino. Si, anche oggi quello è suo figlio! Un Dio che corre: ma come fai a non commuoverti?
E poi rovescia la sua umanità. L'ha visto da lontano, ha sentito il cuore scoppiare, s'è messo a correre e adesso "si getta al collo". Si getta! Non s'appoggia, l'abbraccia, si posa. No: si getta! Sai perché? Perché Dio sa che, in fondo in fondo, siamo tutti malati di "coccolite": abbiamo tutti bisogno di qualcuno che ci abbracci, che ci stringa fino al sorgere della luce, che ci guardi e ti dica "ti voglio bene". Piccoli o grandi non importa: basta essere uomo per aver bisogno d'amore! Dio lo sa. E ti inchioda in un abbraccio! Ti fa piangere, perché abbracciandoti ti impedisce di inginocchiarti, t'impedisce di chiedere perdono. Delicatezza, sorpresa, amore! Ti porta in braccio Dio. Sai perché? Ti porta in braccio per poterti baciare!
"Il Padre - sintetizza la penna di Luca - lo baciò". Abbracciare è tanto. Baciare è di più. Dio punta al massimo. Indignarsi! Macché! Rimproverarlo? Macché! Insultarlo? Macché! E allora vai, baciamolo! Cristo bacia l'uomo: cioè guarda in faccia l'uomo, appoggia le sue labbra sulle sue, gli fa sentire il respiro, e il respiro diventa la sua voce! Lo bacia, perché il bacio è tutto. Il bacio racchiude tutto. Il bacio dice tutto: sto bene con te, ti amo, ti desidero, ti sono vicinissimo. Attento: ad una persona che baci non puoi dare del lei, devi dare del tu. Ad una persona che ti bacia, non puoi parlare con paura! Si dice che Dio tenga ogni persona per un filo. Bene, quando uno commette un errore un peccato, il filo si spezza. Allora Dio riannoda il filo. E così va a finire che più uno si allontana, più Dio se lo avvicina. Fino a baciarlo! L'ha baciato. E pensare che quel zingaro era convinto che il padre non ne volesse più saper di lui, dopo quella stupida avventura, che il padre non potesse più dei suoi colpi di testa. Invece si rende conto che il Padre non ne può più della sua assenza, non può più sopportare la sua lontananza ("Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo..."). L'unico "risarcimento danni" richiesto per il patrimonio sperperato in quella maniera è di non rifiutare i segni di un amore che non ne poteva più di aspettare.


"Per far crescere dei bei fiori in un giardino ci vuole il concime. E' il nostro passato. Dio se ne serve per farci crescere. Quando lo sterco esce dal sedere del cavallo è troppo caldo, troppo acido, troppo denso. Puzza, è disgustoso. Se lo spandi subito sui fiori e sulle sementi, li brucia e li distrugge. Il concime bisogna farlo riposare, seccare, deve decomporsi lentamente. Con il tempo diventa malleabile, inodore, leggero, fecondo. E' allora che dà i fiori più belli e la crescita migliore. Dio si serve del nostro passato come concime per la nostra vita. Per farci crescere. Ma se tiene la testa nel tuo passato ancora caldo, quello ti soffoca. Bisogna lasciarlo riposare. Dentro di noi, col tempo e con la grazia, senza accorgercene, ciò che non va si decompone. Dobbiamo amare ciò di cui proviamo vergogna e che ci sembra ignobile. Quel concime diventerà fonte di fecondità. Il nostro passato, la nostra sofferenza, le nostre disavventure, le nostre grida, sono un canto nella lingua dei poveri. Non si può essere oggi senza essere stati ieri".
(Tim Guénard, Più forte dell'odio, Tea 2007)


Il padre aspetta, ma per il fratello quel figlio potrebbe morire. Non si rende conto che pure lui dovrebbe far ritorno ammettendo, finalmente, di avere parecchie cose da farsi perdonare. Certo: farsi perdonare quella sua regolarità senza slanci, il suo perbenismo indisponente, le sue sfacciate moine, la pretesa di essere figlio esemplare senza accettare il figlio di suo padre. Farsi perdonare l'ubbidienza senza gioia, il lavoro interessato (interessato ad un miserabile capretto), l'atmosfera gelida che con la sua presenza crea nella casa. Farsi perdonare l'allergia alla festa e al perdono. Farsi perdonare che per la sorte del fratello non si è dato pensiero. Che per l'angoscia del padre - che ogni giorno se ne stava a spiare attraverso l'inferriata - non ha provato tenerezza. "Figlio, tutto ciò che è mio è tuo". Proprio questo gli fa paura. Gli fa paura di "fare suo" il cuore di papà, il suo amore senza misura. Si trattasse di amministrare giustizia e castighi, non avrebbe difficoltà alcuna. Ma qui si tratta di prodigare. E rimane lì, piantato sulla soglia di casa.
Condannato ad invecchiare sognando capretti e nutrendosi di borbottamenti. Incapace di gustare un cuore c'è tornato a vivere.
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11/03/2013 08:19
 
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padre Lino Pedron


Nel racconto del secondo segno di Cana il protagonista è un pagano. I giudei, i samaritani e i pagani erano le tre categorie che formavano l'umanità. Questi tre gruppi sono valutati in base alla loro fede in Gesù. I giudei non credono nel loro messia: Nicodemo con il suo scetticismo ne è il tipico rappresentante (Gv 3,1-12). Gli eretici samaritani invece accettano la testimonianza di una donna e soprattutto quella di Gesù, pur non avendo visto alcun prodigio (Gv 4,1-41). Il pagano crede alla parola di Gesù, ancor prima di vedere il segno (Gv 4,46-50).
La seconda visita di Gesù a Cana si riallaccia alla prima, in occasione delle nozze (Gv 2,1ss). I due miracoli di Cana costituiscono una grande inclusione di questa prima parte del vangelo di Giovanni. In essa Giovanni descrive la prima rivelazione di Gesù nelle tre principali regioni della Palestina: la Galilea, la Giudea e la Samaria, e alle tre categorie di persone che le abitavano: gli israeliti ortodossi, gli eretici samaritani e i pagani.
Dalla Samaria Gesù ritorna in Galilea perché non era stato accolto a Gerusalemme, nonostante avesse operato numerosi prodigi. Il funzionario regio di Cafarnao era al servizio di Erode Antipa, il tetrarca della Galilea. Il viaggio da Cafarnao a Cana è abbastanza disagiato: 26 chilometri in salita.
Gesù richiama subito il centurione alla fede vera, fondata sulla sua parola e non sui segni. Come i samaritani, anche questo pagano crede prontamente alla parola di Gesù e diventa, in tal modo, modello di fede per i discepoli.
Egli è tanto in ansia per la salute del figlio che non si preoccupa dell'ammonimento di Gesù, ma gli ripete con insistenza di scendere a Cafarnao prima che suo figlio muoia.
In antitesi con i giudei che non credono alle parole di Gesù, questo pagano crede immediatamente. Nell'apprendere che il figlio era guarito nell'ora nella quale Gesù gli aveva parlato, il funzionario credette, e con lui tutta la sua famiglia.
Nelle scelte, anche importanti, della nostra vita non dobbiamo cercare dei segni per credere. La parola di Gesù può bastarci per le decisioni grandi e anche per le scelte quotidiane. Dio ci ha già detto tutto in Gesù.
In caso di malattia cerchiamo ansiosamente medici, medicine, ospedali, interventi chirurgici. Gesù, Signore della vita e della morte, ha qualche significato e qualche peso nella nostra lotta contro il male e la morte?
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12/03/2013 08:47
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
La vera guarigione

Capita ai fedeli di ogni religione di riporre la loro speranza in segni e luoghi particolari, ove si ritiene che la presenza della divinità sia particolarmente segnata ed efficace. Al tempo di Gesù si radunavano intorno ad una piscina numerosi malati di ogni genere; questi quando l?acqua si agitava s?immergevano convinti che il primo di loro che scendeva veniva guarito dal suo male. Una sfida contro il tempo, una sfida tra poveri ed infermi. Uno di questi, malato da trentotto anni, isolato e senza speranza, che vedeva da sempre vanificato ogni tentativo di calarsi nella piscina, sempre battuto da qualcuno più sollecito, attira l?attenzione di Gesù. Su di lui egli vuole operare un ?segno? che indichi a tutti la nuova acqua in cui tutti si possono immergere e tutti possono trovare la salvezza. Egli ne aveva parlato privatamente durante una della visite notturne che Nicodemo faceva al Signore. Rinascere nell?acqua e nello spirito è la novità del Cristo, è il sacramento del Battesimo e il nostro ?passaggio?, la nostra pasqua. Anche una donna peccatrice aveva ascoltato e sperimentato il discorso di Gesù sulla nuova acqua, che purifica e rinnova. La salvezza ormai non è più solo un annuncio ed una promessa, ma è la realtà del Cristo che tutto rinnova, che si presenta all?umanità come l?unico salvatore del mondo. Ci sorprende ancore e ci irrita la grettezza mentale e la miopia spirituale dei Giudei, legati ancora ad un passato ormai deformato e logoro. Si appigliano ancora alla legge antica e alle minuziose prescrizioni della legge e mentre si scandalizzano che il malato guarito, obbedendo a Gesù, prenda sulle spalle il suo lettuccio in giorno di Sabato, non sono capaci di riflettere che proprio loro impongono sulle spalle della gente pesanti fardelli che loro non osano toccare neanche con un dito. Cristo ci ha liberati da tutti i pesi delle nostre infermità, ci ha liberati anche dal pesante fardello delle legge perché ci ha dato il comandamento nuovo dell?amore.
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13/03/2013 07:28
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato

I Giudei hanno una legge di non salvezza, non redenzione, non carità, non vera giustizia. Loro non hanno il Dio di oggi. Vivono con il Dio di ieri. E neanche, perché manca a questo Dio mille e più anni di rivelazione. Gesù invece vive con il Dio di questo istante, di quest'ora, anzi di questo attimo. Lui sa cosa in quest'opera particolare della storia il Padre gli sta chiedendo e lo compie con pronta ed immediata obbedienza. Gesù e il Padre vivono una relazione di perfetta comunione nella verità dello Spirito Santo. I Giudei invece sono senza lo Spirito del Signore. Hanno la lettera della Legge, ma non la verità di essa. La verità della Legge è data solo dallo Spirito del Signore che loro non possiedono e mai potranno possedere finché combatteranno il solo che glielo può dare loro senza misura, con somma abbondanza.
I Giudei accusano Gesù di violazione della legge del Sabato. Gesù risponde semplicemente che Lui sta compiendo tutto in perfetta imitazione del Padre. Il Padre agisce di Sabato e anche Lui agisce. Se Dio, che è il Legislatore assoluto, compie in giorno di Sabato un lavoro, anche il Figlio lo può compiere. Ogni uomo lo può compiere. Se Dio in giorno di Sabato non può astenersi dall'amare con grande pietà e compassione le sue creature, neanche Gesù si potrà mai fermare. Ogni uomo è chiamato alla perfetta imitazione del Padre celeste. Questa è la sua vocazione.
Ma Gesù disse loro: «Il Padre mio agisce anche ora e anch'io agisco». Per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo, perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio. Gesù riprese a parlare e disse loro: «In verità, in verità io vi dico: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa', anche il Figlio lo fa allo stesso modo. Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, perché voi ne siate meravigliati. Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole. Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato. In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. In verità, in verità io vi dico: viene l'ora - ed è questa - in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l'avranno ascoltata, vivranno. Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso, e gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell'uomo. Non meravigliatevi di questo: viene l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e usciranno, quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna. Da me, io non posso fare nulla. Giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.
Il Padre ha costituito il Figlio suo unico e solo Mediatore. Ogni cosa l'ha posta nelle sue mani. Tutto ciò che è del Padre è del Figlio. Al Figlio dobbiamo tributare lo stesso onore, la stessa fede, la medesima obbedienza che tributiamo al Padre celeste. Senza alcuna differenza. Come niente è impossibile al Padre, così niente è impossibile al Figlio. Il Padre dona la vita ed anche il Figlio la dona. Il Padre risuscita ed anche il Figlio risuscita. Il Padre crea ed anche il Figlio crea. Il Padre è la vita ed anche il Figlio è la vita. Vi è tra i Giudei e Cristo Gesù una differenza di divinità, mediazione, obbedienza, ascolto, così alta da escludere ogni possibile punto di incontro. Con Gesù ci si può incontrare solo convertendosi a Lui, accogliendolo nella sua verità, ascoltando nella sua Parola, obbedendolo in ogni suo comando. Giudei e Cristo non solo alla pari. Neanche quanto a verità e a comprensione della Legge. Essi hanno una Legge stantia, senza Dio e senza l'uomo. Possiedono una Legge senza verità e santità, senza vita. Gesù possiede una Legge di vita, verità, santità, giustizia perfetta.
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14/03/2013 08:00
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Giovanni 5,31-47

1) Preghiera

O Padre, che ci hai dato la grazia
di purificarci con la penitenza
e di santificarci con le opere di carità fraterna,
fa' che camminiamo fedelmente
nella via dei tuoi precetti,
per giungere rinnovati alle feste pasquali.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Giovanni 5,31-47
In quel tempo, Gesù disse ai Giudei: "Se fossi io a render testimonianza a me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera; ma c'è un altro che mi rende testimonianza, e so che la testimonianza che egli mi rende è verace.
Voi avete inviato messaggeri da Giovanni ed egli ha reso testimonianza alla verità. Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché possiate salvarvi. Egli era una lampada che arde e risplende, e voi avete voluto solo per un momento rallegrarvi alla sua luce.
Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato. E anche il Padre, che mi ha mandato, ha reso testimonianza di me. Ma voi non avete mai udito la sua voce, né avete visto il suo volto, e non avete la sua parola che dimora in voi, perché non credete a colui che egli ha mandato.
Voi scrutate le Scritture credendo di avere in esse la vita eterna; ebbene, sono proprio esse che mi rendono testimonianza. Ma voi non volete venire a me per avere la vita.
Io non ricevo gloria dagli uomini. Ma io vi conosco e so che non avete in voi l'amore di Dio. Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi ricevete; se un altro venisse nel proprio nome, lo ricevereste. E come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo?
Non crediate che sia io ad accusarvi davanti al Padre; c'è già chi vi accusa, Mosè, nel quale avete riposto la vostra speranza. Se credeste infatti a Mosè, credereste anche a me; perché di me egli ha scritto. Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?"


3) Riflessione

? Giovanni, interprete di Gesù. Giovanni è un buon interprete delle parole di Gesù. Un buon interprete deve avere una duplice fedeltà. Fedeltà alle parole di colui che parla, e fedeltà al linguaggio di chi ascolta. Nel vangelo di Giovanni, le parole di Gesù non sono trasmesse letteralmente, bensì sono tradotte e trasposte al linguaggio della gente, delle comunità cristiane del primo secolo, lì in Asia Minore. Per questo motivo, le riflessioni del vangelo di Giovanni non sono sempre facili da capirsi. Poiché in esse si mescolano le parole di Gesù e le parole dell'evangelista stesso che rispecchia il linguaggio della fede delle comunità dell'Asia Minore. Per questo, non basta lo studio erudito o scientifico di Gesù. E' necessario tenere in noi anche il vissuto comunitario della fede. Il vangelo di oggi è un tipico esempio della profondità spirituale e mistica del vangelo del discepolo amato.
? Illuminazione reciproca tra vita e fede. Qui vale ripetere ciò che Giovanni Cassiano disse nei riguardi della scoperta del senso pieno e profondo dei salmi: "Istruiti da ciò che noi stessi sentiamo, non percepiamo il testo come qualcosa che abbiamo solo udito, ma come qualcosa che abbiamo sperimentato e tocchiamo con le nostre mani; non come una storia strana ed inaudita, ma come qualcosa che diamo a luce dal più profondo del nostro cuore, come se fossero sentimenti che fanno parte del nostro essere. Ripetiamolo, non è la lettura (lo studio) ciò che ci fa penetrare nel senso delle parole, bensì la propria esperienza acquisita precedentemente nella vita di ogni giorno" (Collationes X,11). La vita illumina il testo, il testo illumina la vita. Se, a volte, il testo non dice nulla, non è per mancanza di studio o per mancanza di preghiera, ma semplicemente per mancanza di profondità nella propria vita.
? Giovanni 5,31-32: Il valore della testimonianza di Gesù. La testimonianza di Gesù è vera, perché lui non si auto-promuove, né esalta se stesso. "Un altro dà testimonianza di me", cioè il Padre. E la sua testimonianza è vera e merita di essere creduta.
? Giovanni 5,33-36: Il valore della testimonianza di Giovanni Battista e delle opere di Gesù. Anche Giovanni Battista dette testimonianza a Gesù e lo presenta alla gente come l'inviato di Dio che deve venire a questo mondo (cf. Gv 1,29.33-34; 3,28-34). Per questo, anche se è molto importante la testimonianza di Giovanni, Gesù non dipende da lui. Lui ha un testimone a suo favore che è più grande della testimonianza di Giovanni, e cioè, le opere che il Padre compie per mezzo di lui (cf Gv 14,10-11).
? Giovanni 5,37-38: Il Padre dà testimonianza a favore di Gesù. Anteriormente, Gesù aveva detto: "Chi è di Dio, ascolta le parole di Dio" (Gv 8,47). I giudei che accusavano Gesù non avevano la mente aperta a Dio. Per questo, non riescono a percepire la testimonianza del Padre che giunge loro attraverso Gesù.
? Giovanni 5,39-41: La scrittura stessa dà testimonianza a favore di Gesù. I giudei dicono di aver fede nelle scritture, però in realtà, loro non capivano la Scrittura, poiché la Scrittura parla di Gesù (cf. Gv 5,46; 12,16.41; 20,9).
? Giovanni 5,42-47: Il Padre non giudica, ma affida il giudizio al figlio. I giudei si dicono fedeli alla Scrittura di Mosè e, per questo, condannano Gesù. In realtà, Mosè e la scrittura parlano di Gesù e chiedono di credere in lui.


4) Per un confronto personale

? La vita illumina il testo ed il testo illumina la vita. Hai sperimentato questo qualche volta? ? Cerca di approfondire il valore della testimonianza di Gesù.


5) Preghiera finale

Il Signore sostiene quelli che vacillano
e rialza chiunque è caduto.
Il suo regno è regno di tutti i secoli,
il suo dominio si estende ad ogni generazione. (Sal 144)
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15/03/2013 06:16
 
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Eremo San Biagio
Commento su Giovanni 7,27

Ma costui sappiamo di dov'è, il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia.
Gv 7,27

Come vivere questa parola?

È la festa delle capanne e Gesù va di nascosto a Gerusalemme per non scontrarsi con le autorità religiose. Arrivato nel Tempio si mette ad insegnare alla gente, perplessa sulla sua identità: si chiedono, questo Gesù è veramente il Messia? Perché i capi religiosi non si pronunciano? Conosciamo la provenienza di quest'uomo, città e famiglia ... non dovrebbe essere così per il Messia?

Gesù cerca di far comprendere che la loro conoscenza è parziale. La sua vera provenienza è da Dio che lo ha mandato ed egli è veritiero. Gesù non nomina Dio in questo brano ma gli ascoltatori capiscono bene a chi si riferisce. Cercano di arrestarlo ma non è ancora giunta la sua ora. Da questo momento gli scontri con i capi aumentano portando Gesù sempre più verso la passione e la gloria.

Gesù è venuto proprio per aprire tutti ad una conoscenza più completa di Dio, per rivelare in forma umana l'amore di Dio per noi.

Molti, però, oggi come ieri, si accontentano di ciò che hanno imparato da piccoli o di ciò che pensano di sapere; non si preoccupano di andare più in là. Questo è il momento favorevole di prendere in mano la Bibbia, pregando lo Spirito Santo perché ci apra il cuore all'accoglienza di Gesù.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, ripeto con umile amore: Tu sei il Cristo, il mio salvatore!

La voce di una scrittrice

Perché chiedersi "Cosa sarebbe stato se ...?" e cercare motivi logici e razionale per spiegare il passato? Oggi è un nuovo giorno e noi, a ogni giorno che passa, percorriamo un altro tratto del nostro cammino. La possibilità che ci offre oggi, è la possibilità di oggi.
Marlo Morgan
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16/03/2013 09:00
 
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padre Lino Pedron


La parola "Cristo" indica il "consacrato" di Dio, che avrebbe realizzato le attese definitive del popolo di Dio, portando la pace e la pienezza dei beni della salvezza.
Non tutti gli ascoltatori di Gesù vedono in lui il Cristo: alcuni ritengono impossibile tale riconoscimento per la sua provenienza dalla Galilea: la Scrittura infatti è molto esplicita a questo riguardo (cfr Gv 7,41-42).
Nella scena finale di questo capitolo, i sommi sacerdoti e i farisei argomentano allo stesso modo. La sentenza dei capi: "Dalla Galilea non sorge profeta" (v. 52) chiude l'ultimo atto di questo dramma sull'origine del Messia.
In Gv 7,30 vi era già stato un tentativo per arrestare Gesù; esso però era andato a vuoto perché non era ancora giunta l'ora della sua passione e risurrezione. Anche in 7,44 il tentativo dei giudei non riesce.
La risposta delle guardie mette in risalto il fascino che emanava da Gesù. Nella loro semplicità questi uomini sono presi da stupore e da ammirazione per le parole di Gesù. I farisei invece reagiscono con stizza e manifestano apertamente la loro animosità e il loro accecamento. Per essi Gesù è un seduttore che abbindola la gente ignorante (cfr Gv 7,12; Mt 27,63).
L'arroganza dei farisei raggiunge il colmo quando considera maledetto il popolo che non conosce la Legge: si trattava di contadini, di analfabeti, di servi. Questo disprezzo dei dotti per gli ignoranti e gli umili è bene documentato negli scritti giudaici.
Non tutti i capi però condividevano questo atteggiamento ostile dei sommi sacerdoti e dei farisei. Nicodemo dissentì dal giudizio dei suoi colleghi ed ebbe il coraggio di prendere le difese di Gesù appellandosi alla legge mosaica. Nella Legge è prescritto di ascoltare le cause di tutti i fratelli senza avere riguardi personali (Lv 19,15; Dt 1,16-17) e di indagare con diligenza per evitare false testimonianze (Dt 19,15-20). I capi del popolo reagiscono alla contestazione di Nicodemo circa la legalità del loro atteggiamento e lasciano trasparire sdegno e irritazione.
In merito all'origine del Messia la Scrittura è chiara: il Cristo è un discendente di Davide (2Sam 7,12-16; Is 11,1-2; Ger 23,5-6; 33,15; Sal 89,5.37) e deve sorgere da Betlemme di Giudea (Mi 5,1). Quindi il profeta di Nazaret non poteva essere assolutamente il Messia.
Giovanni ora può chiudere questa parte dello scontro tra Gesù e le autorità giudaiche, facendoci capire che la vita di Gesù è ormai volta verso l'epilogo della croce.
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17/03/2013 09:13
 
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don Luca Orlando Russo
Neanch'io ti condanno

Nel vangelo di questa quinta domenica di Quaresima scribi e farisei sono uniti per mettere Gesù alla prova, per verificare se il suo insegnamento regge alla prova dei fatti. Tentano di metterlo in difficoltà: se Gesù dovesse affermare che l'adultera va condannata, cadrebbe in contraddizione con il suo insegnamento sul perdono e entrerebbe in conflitto con l'autorità romana alla quale spetta di condannare a morte; se, al contrario, avesse affermato che l'adultera va perdonata si sarebbe messo contro la legge di Mosè.
L'istituto della lapidazione ebraica prevedeva che i testimoni buttassero la prima pietra, assumendosi la responsabilità della condanna. Con la frase "Chi è senza peccato scagli la prima pietra", Gesù non dice: "Come fai a giudicare l'altro tu che sei peccatore, chi ti credi di essere!" Se questo fosse il significato della sua frase, delegittimerebbe tutti i tribunali che non si basano sulla purezza dei giudici, ma sulla legge. Forse intende dire: "Chi, in coscienza, è convinto che con la lapidazione si elimina il male dalla società, e da noi stessi, cominci".
Con quale tono e stato d'animo Gesù pronuncia questa frase?
Gesù non divide l'umanità tra buoni e cattivi; non è complice dell'adultera, non la difende, colpevolizzando gli altri. Desidera accogliere anche scribi e farisei, non solo perché accoglie tutti, ma perché guarda con simpatia a coloro che hanno il coraggio di affrontare il problema della giustizia. Sa che lapidare non è divertente per nessuno. Le parole di Gesù sono dette con amore. Gesù si china prima e dopo aver parlato per assumere un atteggiamento disarmato, che permetta ai presenti di ragionare serenamente. Un atteggiamento altezzoso avrebbe alimentato quella rivalità che acceca le coscienze.
I più anziani sono i primi a partire, non perché sanno d'essere peccatori, quanto perché sanno che queste esecuzioni capitali non solo non danno pace, ma soprattutto non hanno mai cambiato nulla, tant'è vero che questa adultera non è la prima e non sarà nemmeno l'ultima.
Il primo a partire ha avuto coraggio e anche noi guardiamo a lui con simpatia.
Il cuore dell'uomo non cambia quando si instaura un clima di paura, attraverso istituti giuridici come quello della lapidazione, anche se la paura può sortire, al momento, qualche effetto. Il Signore sa che il problema va affrontato diversamente, per questo invia nel mondo Suo Figlio. Ed è questo è il punto importante di questa storia. Come affronta Gesù il problema della giustizia? Egli prende su di sé il peccato del mondo.
Volendo, allora, esplicitare le sue parole all'adultera, possiamo pensare che Gesù si sia rivolta all'adultera così: "Donna, sono disposto a pagare per te. Se c'è bisogno che muoia qualcuno per ristabilire l'ordine sociale, preferisco morire io affinché tu possa avere la possibilità di ricominciare. Ho fiducia in te e nella mia capacità di amarti. Penso che se tu contemplerai il mio morire per te, ti sentirai talmente amata e accolta, da non sentire più il bisogno di commettere adulterio, perché diventerò io la sorgente di quell'amore che da sempre cerchi e per sperimentare il quale hai commesso adulterio. Ora va', ma se trovi difficoltà a tornare a casa, non disperarti, sappi che la mia comunità è sempre disposta ad accoglierti".
Signore, grazie, per come, con la tua Passione e con la tua Morte, tu fai giustizia concretamente, affrontando i problemi alla radice. Fa' che anche io possa contemplare la tua disponibilità a morire per me, affinché il mio cuore si sazi di Te e non sia più schiavo dell'avidità che mi porta a farmi e a fare del male. Amen!
Buona domenica e buona settimana!
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17/03/2013 09:22
 
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Dalle «Lettere pasquali» di sant'Atanasio, vescovo
(Lett. 14, 1-2; PG 26, 1419-1420)
Celebriamo la vicina festa del Signore con autenticità di fede

Il Verbo, Cristo Signore, datosi a noi interamente ci fa dono della sua visita. Egli promette di restarci ininterrottamente vicino. Per questo dice: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20).
Egli è pastore, sommo sacerdote, via e porta e come tale si rende presente nella celebrazione della solennità. Viene fra noi colui che era atteso, colui del quale san Paolo dice: «Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato» (1 Cor 5, 7). Si verifica anche ciò che dice il salmista: O mia esultanza, liberami da coloro che mi circondano (cfr. Sal 31, 7). Vera esultanza e vera solennità è quella che libera dai mali. Per conseguire questo bene ognuno si comporti santamente e dentro di sé mediti nella pace e nel timore di Dio.
Così facevano anche i santi. Mentre erano in vita si sentivano nella gioia come in una continua festa. Uno di essi, il beato Davide, si alzava di notte non una volta sola ma sette volte e con la preghiera si rendeva propizio Dio. Un altro, il grande Mosè, esultava con inni, cantava lodi per la vittoria riportata sul faraone e su coloro che avevano oppresso gli Ebrei. E altri ancora, con gioia incessante attendevano al culto sacro, come Samuele ed il profeta Elia.
Per questo loro stile di vita essi raggiunsero la libertà e ora fanno festa in cielo. Ripensano con gioia al loro pellegrinaggio terreno, capaci ormai di distinguere ciò che era figura e ciò che è divenuto finalmente realtà.
Per prepararci, come si conviene, alla grande solennità che cosa dobbiamo fare? Chi dobbiamo seguire come guida? Nessun altro certamente, o miei cari, se non colui che voi stessi chiamate, come me, «Nostro Signore Gesù Cristo». Egli per l'appunto dice: «Io sono la via» (Gv 14, 6). Egli è colui che, al dire di san Giovanni, «toglie il peccato del mondo» (Gv 1, 29). Egli purifica le nostre anime, come afferma il profeta Geremia: «Fermatevi nelle strade e guardate, e state attenti a quale sia la via buona, e in essa troverete la rigenerazione delle vostre anime» (cfr. 6, 16).
Un tempo era il sangue dei capri e la cenere di un vitello ad aspergere quanti erano immondi. Serviva però solo a purificare il corpo. Ora invece, per la grazia del Verbo di Dio, ognuno viene purificato in modo completo nello spirito.
Se seguiremo Cristo potremo sentirci già ora negli atri della Gerusalemme celeste e anticipare e pregustare anche la festa eterna. Così fecero gli apostoli, costituiti maestri della grazia per i loro coetanei ed anche per noi. Essi non fecero che seguire il Salvatore: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito» (Mt 19, 27).
Seguiamo anche noi il Signore, cioè imitiamolo, e così avremo trovato il modo di celebrare la festa non soltanto esteriormente, ma nella maniera più fattiva, cioè non solo con le parole, ma anche con le opere.
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18/03/2013 07:36
 
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Eremo San Biagio
Commento su Salmo 22

"Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne tutti i giorni del mia vita"
Ps 22

Come vivere questa parola?

La liturgia di oggi ci ripropone il vangelo di domenica scorsa, di ieri. Come per dirci di non dimenticare quella novità che, in Gesù, aveva investito la donna adultera, trasformandola in risorta. Quel "va e non peccare più" ci risuona nelle orecchie e nel cuore, assumendo un tono forse di ammonimento, ma certamente più di esortazione ad amare la fedeltà che ci ha salvato, corrispondendo con una vita che, riconoscente, tende alla vera fedeltà.

Il salmo 22 ci offre le parole per invocare in questa condizione: abbiamo sperimentato la bontà e la fedeltà e ora constatiamo che esse ci sono compagne per tutti i giorni della nostra vita. L'amore costante di Dio produce il bene nella nostra storia, la sua fedeltà si fa punto di riferimento per le scelte che siano chiamati a fare; un Dio Padre e Madre allo stesso tempo che alimenta e cura la nostra persona e si pone come testimone sicuro, come solida roccia che dimostra come e a chi affidarsi, lasciando liberi di decidere se fare altrettanto o sperimentare altro.

Signore, la tua fedeltà educhi, accompagni e sostenga la nostra fedeltà. Non è facile amarti con cuore indiviso e appassionarci alla sorte dei nostri fratelli con intensità. Le ore di ogni giorno ci squilibrano verso di loro, portandoci a mischiare motivazioni nobili e altre più interessate. Ma tu, Signore non abbandonarci!

La voce di un testimone del nostro tempo

La fedeltà è il segno del soprannaturale, perché il soprannaturale è eterno.
Simon Weil
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19/03/2013 08:13
 
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padre Lino Pedron


Questa genealogia [di Gesù] si ispira al primo libro delle Cronache 1,34; 2,1-15; 3,1-18; e al libro di Rut 4,18-22. Per l'ebreo la storia si esprime in termini di genesi, di generazione. Nella Bibbia c'è una sola storia, quella di una promessa fatta da Dio ad Abramo, padre dei credenti (cf. Is 51,1-2), manifestatasi nel re Davide (cf. Is 9,6; 11,1-9) e adempiuta in Gesù (cfr Gal 3,28-29).
Il primo versetto di questo brano è il titolo della genealogia, ma può essere contemporaneamente il titolo di tutto il vangelo. L'espressione "libro della genesi" richiama il titolo del primo libro della Bibbia e suggerisce che il vangelo è il racconto della nuova creazione. L'evangelista Giovanni si pone sulla stessa linea mettendo all'inizio del suo vangelo le parole "in principio", riprese direttamente dal libro della Genesi 1,1.
Come figlio di Davide, Gesù porta a pieno compimento le promesse che Dio aveva fatto per mezzo dei profeti (2Sam 7,1ss; Is 7,14ss). Come figlio di Abramo realizza perfettamente la promessa fatta al capostipite del popolo di Dio: "In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra... Ti renderò molto, molto fecondo; ti farò diventare nazioni e da te nasceranno dei
re" (Gen 17,6; cf. Gal 3,8-29).
La genealogia mette in evidenza la continuità tra la storia d'Israele e la missione di Gesù e ci prepara a capire il vangelo, secondo il quale la Chiesa fondata da Gesù (Mt 16,18) è il vero Israele di Dio e l'erede di tutte le sue promesse. Al versetto 16 la struttura dell'albero genealogico bruscamente si spezza. Stando al susseguirsi delle generazioni precedenti, avremmo
dovuto leggere: Giacobbe generò Giuseppe e Giuseppe generò Gesù. Leggiamo invece:" Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale fu generato (da Dio) Gesù chiamato il Cristo". Questo verbo in forma passiva "fu generato" (in
greco eghennethe) esprime l'azione di Dio, che verrà richiamata esplicitamente nel brano seguente:" Quel che è generato in lei viene dallo Spirito santo" (Mt 1,20).
Nel versetto 17 Matteo attribuisce una grande importanza al numero 14. Questo numero è la somma di valori numerici delle tre lettere dell'alfabeto ebraico che formano il nome di Davide (daleth, waw, daleth = 4+6+4). Questo versetto esprime una tesi teologica: sottolineando la cifra di Davide moltiplicata per tre (la cifra tre è simbolica: esprime la realtà dell'uomo nella sua continuità, nel suo permanere nell'essere), Matteo pone l'accento su Davide e sulla continuità della sua discendenza, argomento che svilupperà nel brano seguente.
Nella genealogia di Gesù Cristo, Matteo ci ha dato una visione teologica del susseguirsi delle generazioni. Ora prosegue questa sua concezione presentando il ruolo e la missione di Giuseppe dal punto di vista di Dio. Giuseppe è un uomo giusto (v. 19). Il suo problema non è principalmente la situazione nuova che si è creata con la sua promessa sposa Maria, ma il suo rapporto con questo bambino che sta per nascere e la responsabilità che egli sente verso di lui. Giuseppe è detto giusto perché sintetizza nella sua persona l'atteggiamento dei giusti dell'Antico Testamento e in particolare quello di Abramo (cf. Mt 1,20-21 con Gen 17,19).
La giustizia di Giuseppe non è quella "secondo la legge" che autorizza a ripudiare la propria moglie, ma quella "secondo la fede" che chiede a Giuseppe di accettare in Maria l'opera di Dio e del suo Spirito e gli impedisce di attribuirsi i meriti dell'azione di Dio.Di sua iniziativa Giuseppe non ritiene di poter prendere con sé una persona che Dio si è riservata. Egli si ritira di fronte a Dio, senza contendere, e rinuncia a diventare lo sposo di Maria e il padre del bambino che sta per nascere;
per questo decide di rinviare segretamente Maria alla sua famiglia.
Giuseppe è giusto di una giustizia che scopriremo nel seguito del vangelo, quella che si esprime nell'amore dato senza discriminazioni a chi lo merita e a chi non lo merita (Mt 5,44-48) ed è riassunto nella "regola d'oro": "Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro" (Mt 7,12). L'uomo giusto è misericordioso come Dio è misericordioso.
La crisi di Giuseppe ha lo stesso significato dell'obiezione di Maria in Luca 1,29. Maria era turbata perché non sapeva che cosa significasse il saluto dell'angelo. Giuseppe è incerto perché non sa spiegarsi ciò che è avvenuto in Maria. Maria può chiedere la spiegazione all'angelo, ma Giuseppe non sa a chi rivolgersi; per questo decide di mettersi in disparte aspettando che qualcuno venga a liberarlo dalle sue perplessità.
Matteo mette in rilievo l'identità messianica di Gesù affermando la sua discendenza da Davide, al quale Dio aveva promesso un discendente che avrebbe regnato in eterno sulla casa di Giacobbe (cf. Lc 1,33; 2Sam 7,16). Quindi, secondo la genealogia, Gesù è il discendente di Davide non in virtù di Maria, ma di Giuseppe (v. 16). E' per questo che Matteo presenta Giuseppe come destinatario dell'annuncio con il quale gli viene dato l'ordine di prendere Maria con sé e di dare il nome a Gesù. Giuseppe, riconoscendo legalmente Gesù come figlio, lo rende a tutti gli effetti discendente di Davide. Gesù verrà così riconosciuto come figlio di Davide (Mt 1,1; 9,27; 20,30-31; 21,9; 22,42).
Il nome di Gesù significa "Dio salva". La promessa di salvezza contenuta nel nome di Gesù viene presentata in termini spirituali come salvezza dai peccati (v. 21). Anche per Luca la salvezza portata da Gesù consiste nella remissione dei peccati (Lc 1,17). In queste parole c'è il netto rifiuto di un messianismo terreno: Gesù non è venuto a conquistare il regno d'Israele o a liberare la sua nazione dalla dominazione straniera.
La singolarità dell'apparizione dell'angelo consiste nel fatto che essa avviene in sogno. Matteo forse presenta Giuseppe secondo il modello del patriarca Giuseppe, viceré d'Egitto (Gen 37,5ss). La cosa importante è che l'apparizione dell'angelo chiarisce con sicurezza che la direttiva viene da Dio.
Nel versetto 22 troviamo la prima citazione dell'Antico Testamento. Questa è preceduta dalla formula introduttiva: "Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta". Con questa espressione Matteo vuol darci l'idea del compimento delle intenzioni di Dio contenute nella Scrittura. E' importante notare che attraverso il profeta ha parlato Dio.
Con la citazione di Isaia 7,14 Matteo presenta la generazione di Gesù come un parto verginale. Gesù quale Emmanuele, Dio con noi, costituisce un motivo centrale del vangelo di Matteo. Questa citazione di Isaia forma un'inclusione con l'ultima frase del vangelo: "Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo" (Mt 28,20).
Giuseppe, uomo giusto, si desta dal sonno e agisce. L'esecuzione descrive la sua obbedienza. Pur prendendo con sé Maria, egli non la conosce. Il conoscere indica già in Gen 4,1 il rapporto sessuale. L'imposizione del nome di Gesù ad opera di Giuseppe assicura di fronte alla legge la discendenza davidica del figlio di Maria.
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20/03/2013 07:57
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Giovanni 8,31-42

1) Preghiera

Risplenda la tua luce, Dio misericordioso,
sui tuoi figli purificati dalla penitenza;
tu che ci hai ispirato la volontà di servirti,
porta a compimento l'opera da te iniziata.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Giovanni 8,31-42
In quel tempo, Gesù disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: "Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi". Gli risposero: "Noi siamo discendenza di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi tu dire: Diventerete liberi?"
Gesù rispose: "In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre; se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. Gli risposero: "Il nostro padre è Abramo".
Rispose Gesù: "Se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo! Ora invece cercate di uccidere me, che vi ho detto la verità udita da Dio; questo, Abramo non l'ha fatto. Voi fate le opere del padre vostro".
Gli risposero: "Noi non siamo nati da prostituzione, noi abbiamo un solo Padre, Dio!" Disse loro Gesù: "Se Dio fosse vostro Padre, certo mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato".


3) Riflessione

? Nel vangelo di oggi, continua la riflessione sul capitolo 8 di Giovanni. In forma di circoli concentrici, Giovanni approfondisce il mistero di Dio che avvolge la persona di Gesù. Sembra una ripetizione, perché sempre ritorna a parlare dello stesso punto. In realtà, è lo stesso punto, ma ogni volta a un livello più profondo. Il vangelo di oggi affronta il tema della relazione di Gesù con Abramo, il Padre del popolo di Dio. Giovanni cerca di aiutare le comunità a capire come Gesù si colloca all'interno dell'insieme della storia del Popolo di Dio. Le aiuta a percepire la differenza che c'è tra Gesù ed i giudei, ed anche tra i giudei e gli altri: tutti noi siamo figli e figlie di Abramo.
? Giovanni 8,31-32: La libertà che nasce dalla fedeltà alla parola di Gesù. Gesù afferma ai giudei: "Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi". Essere discepolo di Gesù è lo stesso che aprirsi a Dio. Le parole di Gesù sono in realtà parole di Dio. Comunicano la verità, perché fanno conoscere le cose come sono agli occhi di Dio e non agli occhi dei farisei. Più tardi, durante l'ultima Cena, Gesù insegnerà la stessa cosa ai discepoli.
? Giovanni 8,33-38: Cos'è essere figlio e figlia di Abramo? La reazione dei giudei è immediata: "Noi siamo discendenza di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi tu dire: Diventerete liberi?" Gesù ribadisce facendo una distinzione tra figlio e schiavo e dice: "Chi commette il peccato è schiavo del peccato. Lo schiavo non rimane per sempre in casa, ma il figlio rimane per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero". Gesù è il figlio e vive nella casa del Padre. Lo schiavo non vive nella casa del Padre. Vivere fuori dalla casa, fuori di Dio vuol dire vivere nel peccato. Se loro accettassero la parola di Gesù potrebbero diventare figli e raggiungere la libertà. Non sarebbero più schiavi. E Gesù continua: "Io so che voi siete discendenza di Abramo, ma state cercando di uccidermi, perché la mia parola non entra nella vostra testa". Subito appare ben chiara la distinzione: "Io parlo delle cose che ho visto quando ero con il Padre, anche voi dovete fare ciò che avete udito dal padre vostro". Gesù nega loro il diritto di dire che sono figli di Abramo, perché le loro opere affermano il contrario.
? Giovanni 8,39-41a: Un figlio di Abramo compie le opere di Abramo. Loro insistono in affermare: "Il nostro Padre è Abramo!" come se volessero presentare a Gesù un documento della loro identità. Gesù ribadisce: "Se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo! Ora invece cercate di uccidere me, che vi ho detto la verità udita da Dio; questo, Abramo non l'ha fatto. Voi fate le opere del padre vostro". Tra le linee, suggerisce che il loro padre è satana (Gv 8,44). Suggerisce che sono figli della prostituzione.
? Giovanni 8,41b-42: "Se Dio fosse vostro Padre, certo mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato". Usando parole diverse, Gesù ripete la stessa verità: "Chi appartiene a Dio ascolta le parole di Dio". L'origine di questa affermazione viene da Geremia che dice: "Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo. Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Riconoscete il Signore perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore; poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato" (Ger 31,33-34). Ma loro non si apriranno a questa nuova esperienza di Dio, e per questo non riconosceranno Gesù come inviato del Padre.

4) Per un confronto personale

Libertà che si sottomette totalmente al Padre. Esiste qualcosa di questo tipo in te? Conosci persone così?
Qual è l'esperienza più profonda in me che mi spinge a riconoscere Gesù come mandato da Dio?

5) Preghiera finale

Benedetto sei tu, Signore, Dio dei padri nostri.
Benedetto il tuo nome glorioso e santo.
Benedetto sei tu nel tuo tempio santo glorioso.
Benedetto sei tu sul trono del tuo regno. (Dn 3,52)
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21/03/2013 06:52
 
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padre Lino Pedron


Gesù riprende la tematica dell'immortalità derivante dall'osservanza della sua parola. In 5, 24 aveva assicurato il passaggio dalla morte alla vita per chi ascolta la sua parola, cioè crede nella sua rivelazione e vive secondo essa. Cristo è la risurrezione e la vita, perciò chi crede in lui, anche se sperimenterà la morte temporale, eviterà la morte eterna, cioè l'inferno (cf. Gv 11,25-26).
Gesù fa dipendere la vita eterna e l'immortalità dall'ascolto della sua parola, dall'adesione esistenziale e pratica al suo messaggio. In antitesi con il diavolo menzognero che ingannò i nostri progenitori con la sua parola falsa (cf. Gen 2,17; 3,2ss) e portò nel mondo la morte (cf. Sap 2,24), Gesù, con la sua parola divina, è fonte di vita e di immortalità.
La reazione dei giudei è scomposta e oltraggiosa. L'affermazione di Gesù è veramente inaudita per un semplice uomo, perché anche i personaggi più grandi della storia della salvezza sono morti. Se Gesù non fosse il Figlio di Dio, la sua pretesa di donare l'immortalità sarebbe assurda.
La risposta pacata di Gesù fa vedere la sua grandezza eccezionale. Nella frase finale di questo dialogo drammatico (v. 58), Gesù proclama esplicitamente la sua divinità e quindi anche la sua superiorità anche di fronte al più grande patriarca del popolo ebraico, Abramo.
L'affermazione dei giudei che ritengono Dio loro padre è falsa. Essi ignorano del tutto Dio perché non osservano la sua parola. La conoscenza di Dio infatti non si riduce alla sfera speculativa, ma si acquista e si dimostra osservando i suoi comandamenti. La conoscenza vera di Dio e del suo Figlio si riduce all'amore concreto e operativo.
Alla domanda dei giudei: "Sei tu forse più grande del nostro padre Abramo?", Gesù risponde che il padre del popolo ebraico era completamente orientato verso il tempo del Messia e visse in funzione di lui. La nascita dl suo figlio Isacco fu motivo di gioia (cf. Gen 18,1-15; 21,1-7) perché in lui si realizzavano le promesse messianiche. All'annuncio di questo lieto evento il patriarca rise (cf. Gen 17,17), ossia si rallegrò e gioì, perché nella nascita di suo figlio previde la discendenza dalla quale sarebbe nato il Cristo. Abramo vide il giorno di Gesù, come Isaia vide la sua gloria (cf. Gv 12,41) e Mosè scrisse di lui (cf. Gv 5,46): tutto l'Antico Testamento è in funzione di Gesù.
"Gli dissero allora i giudei: 'Non hai ancora quarant'anni e hai visto Abramo?'". Questo intervento finale dei giudei prepara la solenne proclamazione della divinità di Gesù. Notiamo che essi deformano e capovolgono l'affermazione di Gesù. Egli ha detto che Abramo vide il suo giorno. Essi rovesciano il soggetto e l'oggetto e fanno dire a Gesù di aver visto Abramo. Per gli
increduli giudei è inconcepibile che Gesù sia oggetto della contemplazione di Abramo, tanto sono lontani dal comprendere la vera identità del Figlio di Dio.
"In verità in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io sono". La risposta di Gesù è il vertice di tutto il dialogo drammatico del capitolo 8. Essa contiene la proclamazione esplicita della divinità di Gesù. Contrapponendosi al più grande patriarca dell'Antico Testamento, del quale la Scrittura descrive la vita e la morte, Gesù si presenta come l'"Io sono", il Vivente, il vero Dio, Jahvè in persona.
La reazione dei giudei conferma il significato divino dell'espressione usata da Gesù. Per loro è un bestemmiatore, perché si è proclamato Dio e quindi merita la lapidazione come prescrive la legge di Mosè (cf. Lv 24,16).Questo nascondersi di Gesù ha un profondo significato teologico: è l'eclissi del Sole, che è il Logos incarnato, dinanzi all'incredulità dei suoi interlocutori.
Il capitolo 9 continuerà questo tema della luce di Cristo nell'episodio della guarigione del cieco.
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22/03/2013 07:42
 
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padre Lino Pedron


Il dialogo con i giudei, riportato nei capitoli 7 e 8 aveva avuto come epilogo il tentativo di uccidere Gesù a sassate. Qui tentano ancora una volta di lapidarlo. Le parole di Gesù di essere una cosa sola con Dio si rivelano scandalose agli orecchi degli increduli giudei.
Gesù dimostra di essere il Figlio di Dio con una duplice argomentazione, quella della Scrittura e quella delle opere straordinarie compiute nel nome del Padre. Gesù reagisce in modo pacato al gesto violento dei suoi avversari: "Vi ho mostrato molte opere buone da parte del Padre; per quale di queste opere mi lapidate?" (v. 32). I giudei replicano che lo vogliono lapidare per la bestemmia pronunciata, perché si proclama Dio. Gesù argomenta dal Sal 81, di valore incontestabile per i giudei, che se dei semplici uomini sono chiamati dei e figli dell'Altissimo, quanto più è Figlio di Dio colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo per essere il rivelatore definitivo e il salvatore universale.
La seconda argomentazione di Gesù a prova della sua divinità è costituita dalle opere eccezionali compiute nel nome del Padre (cfr Gv 10,37-38). E' il Padre che, nel Figlio, compie le sue opere (cfr Gv 14,10-11).
I giudei sarebbero senza colpa se Gesù non avesse compiuto opere che nessun altro al mondo ha mai fatto; ma ora non sono scusabili per questo peccato (cfr Gv 15,23-25). Le opere eccezionali compiute da Gesù hanno una finalità ben precisa: favorire la fede nella sua divinità: "Credete alle opere, affinché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io sono nel Padre (Gv 10,38).
Gesù si ritira a Betania, non il villaggio di Lazzaro, ma una località situata sulla sinistra del Giordano dove il Battista aveva svolto il suo primo ministero (cfr Gv 1,28). Questo ritorno di Gesù nel luogo dove aveva avuto inizio la sua rivelazione pubblica forma un'inclusione solenne tra Gv 1,28ss e 10,40ss. Forse l'evangelista vuole insinuare che la sua manifestazione davanti al mondo iniziata a Betania si conclude, dopo essersi infranta contro il muro dell'incredulità dei giudei.
Queste persone che vanno da Gesù (v. 41) indicano il movimento della fede. I nuovi discepoli constatano che le cose dette da Giovanni Battista sul conto di Gesù erano vere. Queste persone che credono esistenzialmente nel Figlio di Dio si rivelano come pecore di Cristo: ascoltano la sua voce e lo seguono (cfr Gv 10,27).
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23/03/2013 07:35
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione

La profezia di Caifa dice la verità eterna di Cristo Gesù. Lui è il Servo sofferente del Signore. In questo senso è vera profezia. Profezia di Dio, nello Spirito Santo. La Lettera agli Ebrei professa la stessa verità su Cristo Signore. Leggiamo con attenzione.

Per questo bisogna che ci dedichiamo con maggiore impegno alle cose che abbiamo ascoltato, per non andare fuori rotta. Se, infatti, la parola trasmessa per mezzo degli angeli si è dimostrata salda, e ogni trasgressione e disobbedienza ha ricevuto giusta punizione, come potremo noi scampare se avremo trascurato una salvezza così grande? Essa cominciò a essere annunciata dal Signore, e fu confermata a noi da coloro che l'avevano ascoltata, mentre Dio ne dava testimonianza con segni e prodigi e miracoli d'ogni genere e doni dello Spirito Santo, distribuiti secondo la sua volontà. Non certo a degli angeli Dio ha sottomesso il mondo futuro, del quale parliamo. Anzi, in un passo della Scrittura qualcuno ha dichiarato: Che cos'è l'uomo perché di lui ti ricordi o il figlio dell'uomo perché te ne curi? Di poco l'hai fatto inferiore agli angeli, di gloria e di onore l'hai coronato e hai messo ogni cosa sotto i suoi piedi. Avendo sottomesso a lui tutte le cose, nulla ha lasciato che non gli fosse sottomesso. Al momento presente però non vediamo ancora che ogni cosa sia a lui sottomessa. Tuttavia quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti.

Conveniva infatti che Dio - per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, lui che conduce molti figli alla gloria - rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza. Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli, dicendo: Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, in mezzo all'assemblea canterò le tue lodi; e ancora: Io metterò la mia fiducia in lui; e inoltre: Eccomi, io e i figli che Dio mi ha dato. Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all'impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova. (Eb 2,1-18).

Quello che non si deve mai fare è dare compimento materiale alla profezia. Questa si compie da sé. Non deve essere portata a compimento da alcuno. Altro è che Gesù debba morire per Giudei e Pagani e altro è decidere di ucciderlo. La profezia deve sempre rimanere parola. Mai deve essere trasformata in atto, in storia, altrimenti non è più profezia. Diviene omicidio. Il potere di uccidere non appartiene al profeta. A lui appartiene il potere di annunciare la verità, solo la verità. Null'altro.

Notiamo ancora una volta la somma prudenza di Gesù. Sapendo che i Giudei lo cercavano per ucciderlo, si ritira in luoghi isolati, nei quali non vi sono possibilità di sgradevoli sorprese. Ancora non ha attestato la verità in modo ufficiale nel Sinedrio.
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24/03/2013 07:24
 
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COMMENTO ALLE LETTURE della Domenica delle Palme
a cura di don Gianni Caliandro


"Il Signore Dio mi ha aperto l'orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori". Il canto del servo che oggi ascoltiamo nella prima lettura mette in relazione la forza di "presentare il dorso ai flagellatori", e cioè di affrontare la violenza ingiusta senza opporvisi, all'ascolto di Dio. è a Dio che bisogna imparare a non opporre resistenza, prima che ai flagellatori. Perché è prima di tutto la proposta che Dio ti fa - quella di vivere un amore radicale, senza cedere mai alla violenza - a trovare dentro di noi una resistenza fortissima. Non è possibile che questa sia la volontà di Dio, non è possibile che Dio voglia che non rispondiamo al male e alla palese menzogna di una situazione ingiusta e inautentica. Le vittime innocenti, chi le vendica, se anche Dio non fa niente? È questa la grande domanda posta dal racconto della passione di Gesù che ascoltiamo oggi, ma è anche la domanda che sale nel cuore quando viviamo personalmente una situazione difficile, in cui sembrano vincere i prepotenti e i bugiardi, i violenti e gli arroganti. Eppure la volontà di Dio è quella che risplende nell'atteggiamento di Gesù, che tanti anni dopo la sua morte paolo descrivere in quel canto che ascoltiamo nella seconda lettura: "umiliò se stesso?facendosi obbediente fino alla morte". Per obbedienza Gesù è giunto alla morte. Di nuovo il rapporto tra obbedienza a Dio e morte. Ma perché?
E le domande aumentano man mano che leggiamo il grande racconto della passione. Sin dall'inizio le parole di Gesù ai discepoli sono strane, enigmatiche: «Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così chi ha una sacca; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una. Perché io vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: "E fu annoverato tra gli empi".
Infatti tutto quello che mi riguarda volge al suo compimento». Ed essi dissero: «Signore, ecco qui due spade». Ma egli disse: «Basta!». Che cosa vuol dire il Signore? Per lui è arrivato il momento della lotta. Si tratta di una lotta interiore, che avviene prima di tutto dentro di lui. Ma essa riguarderà anche i suoi discepoli, che dovranno fare i conti con un aspro combattimento interiore: davvero scegliere di ascoltare Dio, e di fare la sua volontà, porta sulla strada della croce, della non-violenza che accetta di rimanere disarmati e nudi mentre si fanno i conti con l'ingiustizia, la menzogna, la violenza? Occorre prepararsi, ed attrezzarsi, perché la lotta è dura. Le spade che gli sono presentate sono rifiutate, perché proprio questo è in gioco: la sapienza divina che rifiuta la violenza anche di fronte alla violenza, e cerca un'altra strada di salvezza.
E che Gesù si riferisse non alla spada di ferro, alle armi della fede e della preghiera si vede bene nel racconto dell'Orto degli Ulivi, prima dell'arresto: «Pregate, per non entrare in tentazione». È la preghiera l'arma che tiene lontani dalla tentazione. Di quale tentazione si tratta? Di quella di prendere le spade, appunto, cioè di rispondere alle contraddizioni e alla violenza delle situazioni della vita con altrettanta violenza, finendo solo per moltiplicare così il male. La preghiera è quella che ti mette nel cuore l'energia per contrapporti al male con il bene, e così seguire Gesù.
«Non trovo in quest'uomo alcun motivo di condanna» dirà Ponzio Pilato ai capi dei sacerdoti. Ecco: quando un uomo fa l'esperienza del male, e si mantiene innocente, senza motivi di condanna: questa è la volontà di Dio. la via di Gesù è la via dell'innocente che rimane tale anche perché decide di non rispondere al male che gli si infligge con il male che egli infligge agli altri.
Alla fine si racconta delle donne che preparano aromi e oli profumati. Quella preparazione sarà inutile, perché esse non troveranno più il corpo di Gesù nel sepolcro. Risvegliandolo dalla morte, Dio metterà il suo sigillo sulla vicenda di questo innocente, che non ha nessun motivo per essere condannato, e che sceglie di percorrere fino in fondo la strada della mitezza e della non violenza, accettando persino di essere ucciso, pur di non diventare vendicativo, cattivo, ingiusto. Dio, facendolo risorgere, dirà a tutti: questo è davvero la vita umana come la voglio io, questo è l'Adamo uscito dalle mie mani all'inizio, l'innocente che lotta per rimanere innocente, anche di fronte all'esperienza del male. Ma arrivare a scegliere di vivere così, come Gesù, secondo la volontà di Dio, nell'amore, non è semplice, né spontaneo. È frutto di una lotta, che inizia dallo scegliere di obbedire alla Parola di Dio, di ascoltarla, di metterla in pratica anche nelle situazioni difficili e dolorose.
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25/03/2013 10:14
 
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padre Lino Pedron
Commento a Gv.12,1-11

In questo brano è accentrato il contrasto tra la generosa dimostrazione d'amore di Maria e la gretta irritazione di Giuda Iscariota.
Gesù era stato a Betania qualche giorno prima per risuscitare Lazzaro e se ne era allontanato dopo la decisione del sinedrio di ucciderlo. Ora la famiglia degli amici fa una cena un onore di Gesù. Maria, ungendo i piedi di Gesù, fa un gesto di squisita cortesia, secondo l'usanza giudaica, come segno di omaggio all'ospite.
Una libbra corrisponde a 330 grammi e il prezzo di trecento denari allo stipendio di trecento giornate lavorative.
L'intervento di Giuda mette in risalto la fede e l'amore di Maria per il Signore. Questa donna, in uno slancio di generosità, si è prodigata in un gesto di tenerezza senza badare a spese; al contrario Giuda Iscariota; con la sua contestazione, manifesta la grettezza del suo cuore. Egli non era preoccupato delle necessità dei poveri, ma desiderava che quella somma finisse nella cassa comune della comunità di Gesù, di cui era amministratore, per rubarla (v. 6).
"Lasciatela fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura" (v. 7) Con questa frase Gesù vuole spiegare che il gesto della donna ha un significato profetico, perché preannuncia l'unzione del suo corpo prima della sepoltura.
"I poveri li avete sempre con voi". Con queste parole Gesù non vuole scoraggiare l'assistenza e il soccorso ai poveri, ma vuole ricordare il primato che si deve riservare a Dio in tutte le circostanza della vita.
Con la frase "non sempre avete me" (v. 8) evidentemente Gesù parla della sua vita terrena che avrà termine tra qualche giorno. La sua presenza come risorto, invisibile ma reale, non cesserà mai (cfr Gv 14,16; Mt 28,20).
Dinanzi al comportamento del popolo che crede in Gesù, la reazione dei sommi sacerdoti rasenta la follia, perché decretano di uccidere anche Lazzaro per far scomparire questa testimonianza così eloquente a favore della divinità di Gesù. L'ostinazione dei capi nel male raggiunge il parossismo.
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26/03/2013 09:52
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Giovanni 13,21-33.36-3

1) Preghiera

Concedi a questa tua famiglia, o Padre,
di celebrare con fede
i misteri della passione del tuo Figlio,
per gustare la dolcezza del tuo perdono.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Giovanni 13,21-33.36-38
In quel tempo, mentre Gesù era a mensa con i suoi discepoli, si commosse profondamente e dichiarò: "In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà". I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: "Di', chi è colui a cui si riferisce?" Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: "Signore, chi è?" Rispose allora Gesù: "È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò". E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone. E allora, dopo quel boccone, satana entrò in lui. Gesù quindi gli disse: "Quello che devi fare fallo al più presto".
Nessuno dei commensali capì perché gli aveva detto questo; alcuni infatti pensavano che, tenendo Giuda la cassa, Gesù gli avesse detto: "Compra quello che ci occorre per la festa", oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. Preso il boccone, egli subito uscì. Ed era notte.
Quand'egli fu uscito, Gesù disse: "Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete, ma come ho già detto ai Giudei, lo dico ora anche a voi: dove vado io voi non potete venire".
Simon Pietro gli dice: "Signore, dove vai?" Gli rispose Gesù: "Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi". Pietro disse: "Signore, perché non poso seguirti ora? Darò la mia vita per te!" Rispose Gesù: "Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m'abbia rinnegato tre volte".


3) Riflessione

- Siamo al terzo giorno della Settimana Santa. I testi del vangelo di questi giorni ci mettono dinanzi a fatti terribili che condurranno alla prigione ed alla condanna di Gesù. I testi non ci espongono solamente le decisioni delle autorità religiose e civili contro Gesù, ma anche i tradimenti e i negoziati dei discepoli che resero possibile la presa di Gesù da parte delle autorità e contribuirono enormemente ad aumentare la sofferenza di Gesù.
- Giovanni 13,21: L'annuncio del tradimento. Dopo aver lavato i piedi ai discepoli (Gv 13,2-11) ed aver parlato dell'obbligo che abbiamo di lavarci i piedi a vicenda (Gv 13,12-16), Gesù si commuove profondamente. E non è da meravigliarsi. Lui stava compiendo quel gesto di servizio e di dono totale di sé, mentre accanto a lui uno dei discepoli stava tramando come tradirlo quella stessa notte. Gesù esprime la sua commozione dicendo: "In verità, in verità vi dico, uno di voi mi tradirà!" Non dice: "Giuda mi tradirà", ma "uno di voi". E' qualcuno del suo circolo di amicizia che lo tradirà.
- Giovanni 13,22-25: La reazione dei discepoli. I discepoli si impauriscono. Non si aspettavano questa dichiarazione e cioè che uno di loro sarebbe stato il traditore. Pietro fa segno a Giovanni di chiedere a Gesù chi dei dodici avrebbe commesso il tradimento. Segno questo che non si conoscevano bene tra di loro, non riuscivano a capire chi potesse essere il traditore. Segno, cioè, che l'amicizia tra di loro non aveva raggiunto la stessa trasparenza di Gesù con loro (cf. Gv 15,15). Giovanni si inclinò vicino a Gesù e gli chiese: "Chi è?"
- Giovanni 13,26-30: Gesù indica Giuda. Gesù dice: è colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò. Prende un pezzo di pane, lo intinge e lo porge a Giuda. Era un gesto comune e normale che i partecipanti ad una cena usavano fare. E Gesù disse a Giuda: "Quello che devi fare, fallo al più presto!" Giuda aveva una borsa comune. Era incaricato di comprare le cose e di dare l'elemosina ai poveri. Per questo, nessuno percepì nulla di speciale nel gesto e nelle parole di Gesù. In questa descrizione dell'annuncio del tradimento c'è l'evocazione del salmo in cui il salmista si lamenta dell'amico che lo tradì: "Perfino il mio amico, in cui avevo fiducia e che mangiava il mio pane, è il primo a tradirmi" (Sal 41,10; cf. Sal 55,13-15). Giuda si rende conto che Gesù era a conoscenza di tutto (Cf. Gv 13,18). Ma pur sapendolo, non torna indietro e mantiene la decisione di tradire il suo Maestro. E' questo il momento in cui avviene una separazione tra Giuda e Gesù. Giovanni dice che satana entrò in lui. Giuda si alza ed esce. Si mette dalla parte dell'avversario (satana). Giovanni commenta: "Era di notte". Era oscurità.
- Giovanni 13,31-33: Comincia la glorificazione di Gesù. E' come se la storia avesse aspettato questo momento di separazione tra la luce e le tenebre. Satana (l'avversario) e le tenebre entrano in Giuda quando lui decide di eseguire ciò che stava tramando. In quel momento si fece luce in Gesù che dichiara: "Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito!" Tutto ciò che succederà d'ora in poi è un conto alla rovescia. Le grandi decisioni erano già state prese sia da parte di Gesù (Gv 12,27-28) ed ora da parte di Giuda. I fatti si precipitano. E Gesù lo annuncia: "Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete, ma come ho già detto ai Giudei, lo dico ora anche a voi: dove vado io voi non potete venire". Manca poco al passaggio, alla Pasqua.
- Giovanni 13,34-35: Il comandamento nuovo. Il vangelo di oggi omette questi due versi sul nuovo comandamento dell'amore, e comincia a parlare dell'annuncio della negazione di Pietro.
- Giovanni 13,36-38: Annuncio della negazione di Pietro. Insieme al tradimento di Giuda, il vangelo parla anche della negazione di Pietro. Sono i due fatti che contribuiscono di più al dolore di Gesù. Pietro dice che è disposto a dare la vita per Gesù. Gesù lo richiama alla realtà: "Tu sei disposto a dare la vita per me? In verità, in verità ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m'abbia rinnegato tre volte". Marco aveva scritto: "Prima che il gallo canti due volte, tu mi avrai rinnegato tre volte" (Mc 14,30). Tutti sanno che il gallo canta rapidamente. Quando al mattino il primo gallo comincia a cantare, quasi nello stesso tempo tutti i galli cantano insieme. Pietro è più rapido nella sua negazione che il gallo a cantare.


4) Per un confronto personale

- Giuda, l'amico, diventa il traditore. Pietro, l'amico, nega Gesù. Ed io?
- Mi metto nella situazione di Gesù e penso: come affronta la negazione ed il tradimento, il disprezzo e l'esclusione?


5) Preghiera finale

Sei tu, Signore, la mia speranza,
la mia fiducia fin dalla mia giovinezza.
Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno,
dal seno di mia madre tu sei il mio sostegno. (Sal 70)
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27/03/2013 07:23
 
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Commento a cura di don Gian Franco Poli
Seguire Cristo nella verità

Lettura
Il Mercoledì Santo la Chiesa ci invita a riflettere sulla storia di Giuda Iscariota, un apostolo di Gesù che è stato con Lui, che ha ascoltato la Sua Parola, che ha visto le opere da Lui compiute e che comunque sceglie di tradirlo. Giuda continua a stare con Gesù e attende il momento propizio per consegnarlo ai sommi sacerdoti; vive con ipocrisia e divisione il suo rapporto con Cristo, tanto da rivolgersi a Gesù che parlava del suo traditore, dicendo: «Sono forse io Signore?». Gesù risponde, come spesso ha fatto con i farisei, con i capi del popolo: «Tu l'hai detto», sottolineando che è Giuda stesso a condannarsi. Gesù va avanti nell'attuazione del disegno di Dio su di Lui, e fa preparare tutto il necessario per festeggiare la Pasqua.

Meditazione
La Chiesa ci fa ricordare in questo giorno il tradimento di Giuda e dobbiamo stare bene attenti a non cadere in facili accuse. La Parola è sempre per noi, per l'oggi; la figura di Giuda, che tradisce il Maestro, che con ipocrisia continua a stare con Lui e con gli altri discepoli, deve servirci perciò da specchio, per verificare qual è il nostro posto nella Chiesa, come procede la nostra vita al seguito di Cristo. Altro passo importante è l'indicazione che Gesù dà ai suoi per trovare un luogo dove celebrare la Pasqua. Come per l'asino utilizzato per entrare a Gerusalemme (Mc 11,1-11), così anche in questo caso Gesù chiede l'aiuto dell'uomo, chiede di lasciarlo entrare nella sua casa, di mettere a disposizione se stesso perché il progetto di Dio si realizzi. Il sacrificio pasquale richiede la nostra partecipazione, non possiamo restare indifferenti, come se la cosa non ci interessasse, e continuare a vivere rivolti verso i nostri impegni, i nostri affetti, le nostre responsabilità. Il sacrificio di Cristo per noi ci spinge ad uscire allo scoperto e a partecipare alla sua morte e alla sua resurrezione.

Preghiera
Signore, oggi mi mandi a dire che "il tuo tempo è vicino". Concedimi la grazia di non fuggire dalla croce, ma di abbracciarla con amore. Amen.

Agire
Desidero fare spazio a Gesù e mettere da parte, durante il triduo pasquale, i tanti impegni, le preoccupazioni, le attività per vivere più pienamente questo tempo di Grazia.
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28/03/2013 07:48
 
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padre Lino Pedron


Gesù ha cominciato la sua vita per opera dello Spirito Santo, ora comincia la sua opera nella potenza dello stesso Spirito Santo.
Lo Spirito lo conduce in Galilea: Là era iniziata la sua vita, là comincia la sua opera. Nella disprezzata "Galilea dei pagani" zampilla la salvezza per la forza dello Spirito.
L'operare dello Spirito Santo provoca ammirazione e fama, che si diffonde per tutti i paesi all'intorno. Lo Spirito agisce in estensione: la sua forza vuole mutare il mondo, santificarlo, riportarlo a Dio.
In una città della Galilea, di nome Nazaret, Gesù fu concepito e allevato, giunse a maturità e dovette cominciare la sua opera secondo la volontà dello Spirito. Il suo inizio porta l'impronta di questa città insignificante e non credente, che si scandalizza del suo messaggio e cerca di assassinarlo. Il suo inizio parte dal nulla, dalla mancanza di fede dei suoi compaesani, dal peccato, dal rifiuto... Eppure Gesù comincia!
Comincia nella sinagoga annunciando che lo Spirito Santo è sopra di lui e che Dio l'ha mandato a portare la salvezza ai poveri, ossia a tutti, perché tutti siamo poveri.
Alla lettura segue la spiegazione, che è riassunta in una frase piena di penetrazione e di forza: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi" (v. 21). La parola di Dio ha la sua radice nel passato, ma si realizza nell'"oggi", ogni volta che la Parola è annunciata. La Scrittura trova il suo compimento nell'orecchio dell'uditore che ascolta e obbedisce.
Anche per il lettore del vangelo il problema dell'attualizzazione della Parola consiste prima di tutto nell'ascolto del vangelo: l'obbedienza ad esso ci rende attuali all'oggi di Dio, contemporanei di Gesù, moderni, perché in Cristo ogni uomo trova il suo compimento.
Gesù annunzia e insieme porta il tempo della salvezza. Che il tempo della salvezza sia iniziato e che il Salvatore sia ormai presente, lo si può comprendere solo accogliendo questo messaggio. Non lo si vede né lo si sperimenta. Il messaggio della salvezza esige la fede; e la fede viene dall'ascolto, è risposta a una proposta.
Tutto il vangelo è un ascolto della parola di Gesù che ci rende contemporanei a lui: nell'obbedienza della fede, accettiamo in lui l'oggi di Dio che ci salva.
La profezia, che ora si compie, è il programma di Gesù. Egli non se l'è scelto da sé, ma gli è stato preparato dal Padre. Egli è l'Inviato del Padre. In lui il Padre visita gli uomini.
Gesù opera con la parola e con i fatti, con l'insegnamento e la potenza. Il tempo della grazia è sorto per i poveri, per i prigionieri e per gli oppressi. Il grande dono portato da Gesù è la libertà: libertà dalla cecità fisica e spirituale, libertà dalla miseria e dalla schiavitù, libertà dal peccato.
Finché Gesù rimane in terra, dura l'"anno di grazia del Signore". Cristo è anzitutto il donatore della salvezza, non il giudice che condanna. E' il centro della storia, la più grande delle grandi opere di Dio.

La parola di Gesù non è un commento alla promessa di Dio giunta a noi per mezzo dei profeti, ma è la realizzazione che compie ciò che era promesso: è la buona notizia che è giunto tra noi colui che era stato promesso.
La Scrittura si compie sempre "oggi" e negli "orecchi" di chi ascolta. La parola di Gesù è chiamata "parola di grazia": in lui la grazia e la benevolenza di Dio si sono rese visibili e operanti.
Invece di aprirsi nella fede e lasciarsi coinvolgere nel dono di Dio, i suoi compaesani si bloccano e si irritano. Il messaggio viene accolto, ma il messaggero viene rifiutato. Il rifiuto nasce perché il messaggero pretende di essere ascoltato come inviato da Dio. La patria di Gesù lo rifiuta perché è un cittadino qualunque e non porta prove per sostenere la sua pretesa di essere l'Inviato da Dio.
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29/03/2013 07:33
 
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don Alberto Brignoli
La Verità della Croce

"Che cos'è la verità?".
Con questa lapidaria domanda, Pilato termina la propria requisitoria nei confronti di Gesù, prima di entrare in quel turbine fatto di dichiarazioni e di smentite, di sentenze e di ricorsi, di veleni, minacce ed episodi di concussione (quanta attualità, in tutto questo...) che porterà alla condanna di Gesù, nella paradossale convinzione della sua assoluta innocenza.
"Che cos'è la verità?".
Gesù, nel suo interrogatorio di fronte a Pilato, risponde a tutte le domande che gli vengono poste, eccetto che a due: una è questa, l'altra è quella relativa alla sua origine, alla sua essenza: "Di dove sei?", vale a dire "Qual è la tua origine, la tua essenza, la tua identità?".
Chi sei, Gesù? Qual è la verità sulla tua persona, sulla tua dottrina, sul tuo messaggio?
Gesù non risponde perché la sua risposta la darà più avanti. La sua risposta è la croce, perché la croce è la sua vera identità;
perché è la croce, la verità sull'uomo.
Del resto, chi può negarlo? Chi non l'ha mai incontrata sulla sua strada? Chi di noi può dire: "Non so cosa sia la croce"?
È talmente diffusa che non può non essere vista; è talmente universale che non c'è luogo della terra in cui non ne esista traccia; è talmente evidente che non può essere ignorata; e soprattutto, è talmente dolorosa che non può non essere avvertita sulla propria pelle. C'è chi la sente su di sé con maggior intensità, c'è chi invece ha tanta forza da sopportarla quasi con naturalezza.
E ad ognuno di noi si manifesta in maniera diversa: sarà prolungata come una malattia grave, per sé o per qualcuno dei propri cari, oppure breve come un malessere passeggero; sarà pesante come uno stato di disperazione profonda dentro il quale non si intravede una luce, oppure leggera come una piccola delusione; sarà sconvolgente come quando il cuore va in frantumi, oppure impercettibile come una piccola scossa che ci risveglia da un sonno: ma è pur sempre croce.
E ci colpisce tutti: grandi e piccini, giovani e anziani, in ogni istante della vita. E la si sente frequente, molto più che la gioia: al punto che spesso arriviamo a pensare che la vita sia tutta una croce, una serie di croci, una dietro l'altra, il cui peso e il tuo carico poco a poco ti schiacciano, e cadi non una, e nemmeno tre volte soltanto, ma in continuazione, sentendoti sempre più debole e sempre più incapace a portarla.
Sì, perché è un bel dire che "la croce portata con abnegazione ti tempra e ti rende più forte di fronte alla vita": queste cose di solito le dici quando la croce che hai sulle spalle non è troppo pesante.
Ma quando la croce si chiama povertà, miseria, guerra, fame, violenza, disperazione, voglia di farla finita, mancanza di amore, mancanza di lavoro, insicurezza per il futuro, malattia terminale, o infinito male di vivere...ti resta solo una speranza: che tutto finisca presto, e che giunga il Destino, oppure Dio - se hai la fortuna di crederci - a mettere la parola "fine" su tutto.
Ci fosse anche solo, ogni tanto, un Simone di Cirene qualsiasi a rendere meno pesante la nostra Via Crucis...
Oggi, sulla via del Calvario, questa speranza assume un Volto, sia pur insanguinato.
È il Volto di Colui che, nonostante la disperazione del Getsemani, non ha paura di caricarsi sulle spalle la sua e la nostra croce.
È il Volto di Colui che vive la sua Passione fino in fondo perché non ha altra Passione che l'uomo, e l'uomo in croce. "Appassionato", appunto: innamorato dell'uomo al punto di aiutarlo - nonostante da lui sia spesso schernito, flagellato, preso in giro e bestemmiato - a portare la sua croce quotidiana.
"Magra consolazione" - potrà pensare qualcuno - "sapere che la croce pesa meno del solito: finché nessuno ce la toglie di dosso, rimarrà comunque!".
È vero: magra consolazione. Ma sono talmente poche le altre possibilità che la nostra natura umana ci offre che vale la pena scommettere su questa: una spalla amica, una mano vicina, che ci allevia - sia pur parzialmente - l'inconcluso dolore di una croce che dalle nostre spalle, purtroppo, non riusciremo mai a scrollarci di dosso.
E poi, a scommettere su un Dio uomo che si carica sulle spalle una parte delle nostre croci non si sbaglia mai.
Se dovesse andar male...tant'è, la croce ce l'eravamo già caricata dalla nascita.
Dovesse andar bene, però, può pure succedere che da una croce riesca a rifiorire una speranza di vita.
E tra l'altro, con l'Uomo della Croce, da circa duemila anni succede proprio così.
"Che cos'è la verità?".
Una croce sulle spalle: portata, sopportata, sofferta, condivisa.
E - alla fine - risorta.
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30/03/2013 07:25
 
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don Alberto Brignoli
Ostinarsi a credere nella Vita

Quante volte, nella vita, abbiamo provato a risorgere da situazioni difficili, spesso senza riuscirci. Chissà, magari un giorno abbiamo sperimentato il buio della depressione, di quel "male di vivere" che ti corrode dentro e chi ti fa vedere e sentire tutto pesante, impossibile da portare avanti, quasi catastrofico. Abbiamo chiesto aiuto, e quasi tutti, anche tra coloro che pensavamo fossero nostri amici, ci hanno detto di no, che loro non potevano fare molto, che ci volevano persone competenti.... E quando finalmente abbiamo trovato le persone competenti, ci siamo sentiti dire che molto dipendeva da noi e dalla nostra capacità di reagire... certo...e quando poi esci dallo studio medico e torni a casa e questa capacità di reagire ti manca e ti ritrovi solo, che fai?
Magari un giorno il "male che ti corrode dentro" era proprio un male fisico, di quelli che uccidono, e forse non ha colpito te, altrimenti non saresti qui a riflettere, però ha colpito i tuoi affetti, e i volti concreti che essi hanno, quelli del tuo papà, della tua mamma, del tuo sposo, della tua figlia, del tuo fratello, della tua amica... e te li ha portati via. È il mondo intero che ti cade addosso... e anche lì, per quanto possa avere persone buone che stanno al tuo fianco, alla fine sei solo, solo con il tuo dolore...
O magari il male ce l'hai dentro perché te l'ha fatto qualcun altro, magari proprio quel qualcuno che non ti aspetteresti mai, quello di cui ti fidavi di più, quello "che mangiava il pane con te", quello che amavi più di ogni altra cosa al mondo, quelli con cui ti sei sentito "un metro sopra il cielo"... e che poi invece ti ha sbattuto tre metri sotto terra, perché la terra ti è crollata sotto i piedi e ti ha sepolto. Poi è anche arrivata l'amica che ti ha detto: "Ci sono passata anch'io"... "Devi rifarti una vita"... "Dai, sei ancora giovane"... però intanto la tua dignità è stata ferita, e i cerotti sul cuore te li devi mettere, ancora una volta, da solo...
E magari (anzi, questo senza troppi "magari") ti ha fatto del male chi ti ha detto che "da qualche parte bisognerà tagliare con le spese", per cui tu domani sei a casa dal lavoro, alla meno peggio in cassa integrazione, d'altronde è crisi per tutti, tranne per chi non fa mai parte dei "tutti", perché lui, oltre che il verbo "essere" conosce anche i verbi "avere", "potere" e "tener stretto"... però tu intanto sei a casa, e non è vero che "trovi sempre qualcosa da fare", perché a 45 anni per questa società sei già vecchio, e soprattutto, un'altra volta, sei solo...
Sai cosa conviene fare? Chiedere aiuto a gente come Nicodemo e Giuseppe di Arimatèa: pensare che sia stata tutta una bella favola, e rotolarci davanti una bella pietra, a ?sto sepolcro della vita!
Ma io, se credo ancora in Lui, a questo non ci sto.
Perché a me è stato detto che quella pietra, per quanto pesante fosse, era stata rotolata via, e che il sepolcro era vuoto.
A me hanno raccontato che alcune donne stavano incerte fuori dal sepolcro vuoto e qualcuno ha detto loro che non è certo tra i morti che va cercato chi è vivo...
E mi hanno raccontato anche di due uomini depressi che tornavano da un comizio finito in tragedia perché hanno ucciso il loro leader politico, e che fermandosi a mangiare un boccone in un locale gli è parso di vederlo ancora vivo a tavola con loro, e che erano talmente contenti che sono tornati dagli altri amici del partito a dir loro che non era finito nulla, e che aveva ancora senso lottare.
E mi hanno pure detto che dei pescatori che avevano perso la barca, le reti, la licenza e il posto di lavoro, e che han cercato comunque di pescare tutta la notte, ma inutilmente, e che invece all'alba si son sentiti dire: "Non mollare, getta ancora la rete", e han fatto il colpo dell'anno!
E che tutta ?sta gente, alla fine, si è ritrovata insieme, un pomeriggio di primavera, in montagna, ed ha ascoltato una Parola piena di vita: "Non siete soli, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo".
È per colpa di "quella" Parola che io non voglio credere al dolore come ultima e definitiva parola.
È per colpa di Colui che l'ha pronunciata che credo che l'Amore sia più forte anche della morte.
È per colpa di quel sepolcro vuoto e di quelle parole che allora parvero un vaneggiamento che io voglio ostinarmi, nonostante tutto, a credere ancora nella Vita.
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31/03/2013 10:04
 
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padre Gian Franco Scarpitta
La riconquista divina dell'uomo

Aria di stupore in Maria di Magdala quando giunge al sepolcro. Vede che, inspiegabilmente, la pietra che ostruiva l'ingresso è stata ribaltata e il cadavere di Gesù è sparito. Probabilmente avrà pensato in un primo momento ad una profanazione, ad un prelevamento illecito di cadavere; visto che si rivolge a Simon Pietro avanzando quell'ipotesi; potrebbe aver pensato allo spostamento della salma in altro luogo. Non ha immaginato subito la risurrezione.
Solo dopo che Simon Pietro e l'altro discepolo corrono al sepolcro, dopo aver constatato, si "vede" e si "crede". L'evidenza dei fatti induce a considerare che il cadavere non può essere stato trafugato né spostato: le bende sono sparse sul pavimento, ma il sudario è ben piegato in un angolo.Il masso è stato ribaltato in un tempo relativamente breve, per giustificare che qualcuno lo abbia forzatamente rimosso e in caso di furto o di prelevamento di cadavere rumori e boati avrebbero certo richiamato l'attenzione di tutti. Uno degli evangelisti ci informa del resto che si era provveduto a sigillare il sepolcro e a mettere degli uomini di guardia, onde evitare che i discepoli stessi trafugassero il cadavere per inventare il fatto della risurrezione. Insomma, è impossibile concepire la sparizione del corpo di Gesù con giustificazioni concrete e ordinarie. Cristo è Risorto e l'evento misterioso della tomba vuota, unica attestazione dei vangeli canonici, ce ne dà un lume. La tomba vuota è un aiuto a che noi consideriamo la risurrezione del Cristo come un evento per nulla mitologico o fantasioso, ma come un dato storico accertato.
Tuttavia il nostro Credo non si incentra sulla tomba vuota. Quella è solo una via di ausilio. La vera fede ci invita piuttosto ad affidarci semplicemente all'evento: Cristo è risorto e noi ne siamo certi. E' il cuore che ce ne dà le ragioni e la prova più convincente, quella che a noi da maggiori soddisfazioni esaurienti è per noi quella della fede. Che Cristo sia risorto ce lo dicono i Vangeli, lo comprovano le testimonianze degli apostoli e dei discepoli che nella storia primitiva del cristianesimo affronteranno la morte pur di divulgare questo avvenimento, ce ne parla la tradizione orale e vivente della Chiesa e questo è sufficiente perché noi crediamo, cioè aderiamo liberamente e con disinvoltura.
La resurrezione di Cristo interpella infatti il nostro cuore, intende affascinarci e sollecitarci come evento di Rivelazione nell'amore e non già come scientifica evidenza.
Lo stesso Gesù Cristo, Figlio di Dio, che si era umiliato nell'Incarnazione e che aveva esternato lo spasimo d'amore per l'umanità, affrontando il buio del sepolcro, ha avuto la meglio sulla morte, è uscito trionfante dalla sfida che essa le aveva inferto. E ha sconfitto la morte definitivamente. Anzi, la stessa morte da lui presa di petto nel sepolcro è stata fautrice di vita anche per altri, poiché nel frattempo della morte si sono recuperate le anime dannate.
Adesso che è risorto, Gesù non è più lo stesso di quando era ancora fra i suoi mentre predicava in Galilea compiendo miracoli: ha assunto connotati di gloria e di incorruttibilità, è diventato un corpo elevato, con proprietà che appartengono solo a Dio, ma questo non impedisce che lo si possa identificare con il Crocifisso che dalla morte è passato alla vita.
La risurrezione di Gesù non va confusa con la riabilitazione di un cadavere, quale era stata quella di Lazzaro, della figlia di Giairo o di altri personaggi biblici (vedi il figlio della vedova di Zarepta o il fanciullo della Sunamita) o quale potrebbe essere ai nostri giorni un fenomeno di mancata morte cerebrale; essa riguarda invece il passaggio dalla morte alla vita del Figlio di Dio, la vittoria di Gesù sul peccato e sulla morte, la riconquista definitiva dell'uomo da parte di Dio. L'uomo è infatti avvinto dalla risurrezione di Cristo nella misura in cui egli vuole risuscitare con lui e partecipare della sua stessa gloria; fin quando continueremo a prediligere il peccato e ad estromettere Dio dal nostro quotidiano, fin quando faremo di Cristo solo un soprammobile o un fantoccio di cui servirci per mera parvenza esteriore, procacceremo solamente in noi stessi la morte e la distruzione. Fintanto che la nostra etica e il nostro pensare saranno affette da relativismo e indifferentismo, fino a quando la nostra religiosità non si trasforma in vera cultura radicale, fino a quando confonderemo la devozione con il fanatismo e con l'idolatria, non permetteremo mai a Cristo di risorgere in noi e inconsapevolmente opteremo per la nostra disfatta. Fino a quando l'odio, la violenza, la vendetta e la sopraffazione a danno dei poveri e degli indifesi saranno i nostri criteri insani di convivenza e di giustizia sommaria, inconsapevolmente lasceremo Cristo nel sepolcro, procurando a noi stessi la morte, semplicemente per il fatto che non vogliamo risorgere con lui.
Come invece sottolinea Paolo, "Cristo risuscitato non muore più" (Rm 6, 9 - 10) e "Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti"(1Cor 15, 20) perché tutti ricevessimo la vita, poiché come in Adamo peccatore abbiamo tutti avuto la morte, così in lui noi avessimo vita piena. Chi decide di vivere in Cristo si decide per la vita, chi a Cristo si oppone o si ostina su altre vie, si ostina a morire definitivamente.
L'evento della risurrezione è Pasqua, cioè passaggio dalla morte alla vita che non può che suggerire la gioia per quanti desiderano vivere. La risurrezione è gioia per chi dispera di se stesso in quanto trova nel Risorto la sua motivazione e la sua forza; essa è la letizia di quanti hanno ritrovato in Dio il proprio orientamento dopo lo smarrimento del peccato, la speranza per quanti ancora il peccato rende vittime. Cristo Risorto rincuora e da vigore agli sfiduciati, gli abbandonati e risolleva i derelitti. Cristo Risorto è lo sprone per quanti gettano la spugna, la forza per quanti si ritrovano deboli e oppressi, il sorriso di quanti sono costretti al dolore sia fisico che spirituale. Soprattutto Cristo Risorto è la vita piena per tutti coloro che, magari proprio in questi giorni, hanno perso la vita nonché coraggio e sollievo per coloro che sono costretti a piangere la loro repentina assenza. In Cristo risorto vi è la novità di Dio e questa novità è la vita perenne, la vita della gloria alla quale anche noi siamo chiamati.
A tutti quanti, comunico la gioia indefinita del Risorto.
BUONA PASQUA DI SERENITA' e di GIOIA NEL SIGNORE
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