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MEDITIAMO LE SCRITTURE (Vol 5) Anno C

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2013 08:20
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30/09/2013 08:11
 
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Riccardo Ripoli
Come fate a non accogliere?

Quante volte veniamo messi dinanzi ai problemi del mondo. Sentiamo parlare di atomiche, terrorismo, guerre, carestie, inondazioni, terremoti, carneficine. Queste notizie ci passano addosso come fossero acqua fresca in agosto, ci bagnano lì per lì, ci fanno fare un sussulto, ma nel giro di un attimo siamo nuovamente asciutti, passiamo freneticamente alla notizia successiva e continuiamo la nostra vita. Questo perché non possiamo fare nulla, siamo impotenti dinanzi a stragi e violenze di ogni genere, ed il risultato è che tutto ciò che arriva dall'esterno della nostra realtà acquista un significato meramente informativo. E' perciò facile fare di tutta un'erba un fascio, è facile rispondere sempre "non posso farci nulla". Ma vi siete mai fatti un esame di coscienza sulle cose che potreste fare per migliorare la vita degli altri? Il vostro primo pensiero sarà andato adesso al denaro, alle donazioni, alla beneficenza. Non è questo il succo, non è questa la soluzione ai problemi del mondo. Siamo diventati pigri, svogliati, distratti. C'è un terremoto a mille chilometri di distanza? Il massimo che dobbiamo fare è prendere il telefono, mandare un sms, ed ecco risolto il problema, due euro inviati a quella popolazione. Non è così che funziona, così è come vogliono farvi credere che funzioni, e a voi, diciamocelo chiaro, fa molto comodo. Mandate due euro e la vostra coscienza è a posto. Se un giorno dovessero chiedervi "cosa fate per gli altri?" sciorinerete una serie infinita di buone azioni: cinque per mille, sms benefici, acquisto equo e solidale. Ma vi domando, cosa avete fatto veramente per gli altri, cosa avete fatto di realmente concreto, cosa avete fatto fisicamente, come siete entrati in relazione diretta con il vostro prossimo? Quanti di voi risponderanno di aver fatto qualcosa? Il mondo ha bisogno di voi. Non c'è bisogno di andare tanto lontano per trovare qualcuno da aiutare, non si deve partire per paesi lontani per dare una mano a chi è nella sofferenza, basta scendere le scale del vostro condominio, uscire dalla vostra villetta a schiera, lasciare alle spalle anche soltanto per un'ora la vostra comoda vita per entrare in un ospedale, in una casa famiglia, in una prigione, per passeggiare per strada e vedere decine di persone senza tetto e senza amore. Non hanno bisogno di tanto, hanno bisogno di una vostra parola gentile, un sorriso, una speranza.
Non siate sordi alle tante richieste di aiuto, non tacitate la vostra coscienza mettendo mano al portafoglio, ma date un po' del vostro tempo e sarà un investimento nel futuro del mondo, nel vostro avvenire e quello dei vostri figli.
Il Signore continuamente ci chiama, anche nel Vangelo di oggi, per dirci di accogliere tutti, ma principalmente un bambino che è il più grande di tutti ai Suoi occhi. Un bambino rappresenta la speranza, la gioia di vivere, la spensieratezza, la crescita spirituale. Accogliere un bambino in affido è accogliere il Signore nelle nostre case. Quante volte ancora dovremo farci chiamare a questo nostro dovere? Si, un dovere perché non possiamo non vedere ciò che accade intorno a noi, la miseria di certe famiglie nella nostra stessa città, i segni sul viso e nel cuore di tanti bambini nelle strade e nelle scuole dove vanno i nostri figli. Non possiamo dire "non sapevo", troppo comodo, sapete eccome che ci sono oltre un milione di bimbi che aspettano che vi alziate dalla vostra comoda poltrona per aprire la porta di casa per farli entrare. Non potrete salvarne un milione, e nemmeno mille o cento, ma certamente potrete salvarne uno. Cominciate da quello che voi potreste accogliere, cominciate da uno ed il vostro esempio, la forza del vostro amore sarà contagiosa e altre famiglie accoglieranno altri bimbi, così ne aiuteremo dieci, cento, mille, un milione.
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01/10/2013 08:14
 
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Eremo San Biagio
Commento Luca 9,51-56

Dalla Parola del giorno
I discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio.

Come vivere questa Parola?
Per penetrare più a fondo nel cuore di questo comportamento di Gesù, bisogna cogliere l'intensità degli eventi descritti all'inizio del brano evangelico di oggi. La vita del Signore Gesù sta andando verso quel compimento del suo mistero di amore che, con ferma decisione (e consapevolezza di quello che sta per avvenire) sospinge Gesù a imboccare la strada per Gerusalemme. Secondo l'itinerario previsto dovrebbe attraversare anche qualche villaggio dei Samaritani che, per discordie motivate dal modo di interpretare certe quisquiglie della Legge, sono acerrimi nemici di quanti vivono a Gerusalemme. Non solo. Ma non permettono neppure a Gesù e ai suoi di sostare in mezzo a loro, dato che sono incamminati verso la città nemica. Giovanni e Giacomo che - notiamolo! - sono con Pietro gli apostoli più vicini al Signore, danno in escandescenze di fronte a questa mancanza di riguardo per il loro maestro. E chiedono a lui se non è il caso di invocare dal cielo un fuoco che li punisca a dovere.
Il testo è lapidario dicendo: "Ma Gesù si voltò e li rimproverò". Nella redazione di un altro evangelista troviamo anche le parole di quel monito: "Voi non sapete di che spirito siete".
Tutto l'episodio è una scena di vita che mi aiuta a prendermi in mano. In un'epoca come la nostra dove tutto il correre e l'efficientismo generano conflitti a non finire, è facile anche per me cedere all'ira, alla passionalità del rimprovero forte, fuori misura.

Vivo la sosta silenziosa chiedendo pace e pacatezza.

Signore Gesù, mite e umile di cuore, non finirò mai di pregarti: rendi il mio cuore simile al tuo.

La voce di un grande
Credo nel messaggio di Verità trasmesso da tutti i maestri religiosi del mondo. Ed è una mia preghiera costante quella di non avere mai un pensiero di rabbia contro i miei aguzzini, anche se cadessi vittima di un proiettile assassino, vorrei poter rendere l'anima con il ricordo di Dio sulle labbra. Sarei contento di essere svilito come un impostore se le mie labbra all'ultimo momento pronunciassero una parola di rabbia o un insulto contro il mio assalitore.
Gandhi
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02/10/2013 08:37
 
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I testi liturgici ci invitano a riflettere sulla nostra relazione con Dio e a prendere coscienza che su di essa è fondata la vera fraternità.
La prima lettura, un passo dell'Esodo, parla dell'Angelo che il Signore manda davanti al suo popolo come protettore e come guida. "Dice il Signore: "Abbi rispetto della sua presenza, ascolta la sua voce ".
Subito queste parole suscitano il sentimento della presenza di Dio. Ma il contesto biblico chiarisce che la presenza dell'Angelo indica che la relazione del popolo con Dio è ancora imperfetta, deve progredire. Dio non può rivelarsi pienamente, non può mettere il popolo in relazione immediata con se stesso perché è un popolo peccatore, ribelle, che si trova soltanto all'inizio del lungo cammino che lo condurrà alla Terra promessa, alla diretta presenza di Dio. L'Angelo è come un intermediario, colui che fa camminare verso Dio e che contemporaneamente, in un certo senso, protegge dalla sua terribile presenza, fino a quando il popolo sarà in grado di reggere di fronte alla sua maestà.
L'Angelo ci fa ascoltare la voce di Dio; secondo la Bibbia la sua presenza accanto a noi non ha altro scopo che di metterci in relazione con lui. E Dio dice: "Ascolta la sua voce, non ribellarti a lui; egli non ti perdonerebbe, perché il mio nome è in lui".
Se siamo docili a questa voce interiore, che è la voce stessa di Dio, siamo condotti progressivamente a una unione profonda con il Signore, simboleggiata nella Bibbia dalla entrata nella Terra promessa, il paese dove scorrono latte e miele, dove Dio prepara tutti i beni della salvezza.
Anche il Vangelo di oggi parla del rapporto con Dio: "Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli".
Gesù stesso ci dice come dobbiamo rapportarci gli uni agli altri e che, per rispettare veramente le persone, per avere rapporti cristiani, dobbiamo anzitutto pensare al loro rapporto con Dio. Avvicinando qualsiasi persona dobbiamo pensare che Dio l'ama, che ha dei progetti su di lei, che l'aiuta a corrispondere a questi progetti. Se ci pensiamo seriamente, il nostro atteggiamento sarà molto più positivo: avremo più pazienza, più comprensione e soprattutto più amore.
Uno dei primi Gesuiti, il beato Pietro Fabre, che viaggiava molto e doveva incontrare tante persone, avvicinare tante autorità nella sua lotta contro l'eresia protestante, aveva molta devozione agli Angeli. Quando passava nelle città, quando si preparava ad incontrare qualcuno, pregava l'Angelo custode di queste città, di queste persone e otteneva grazie mirabili. Si era messo alla presenza di Dio e questa presenza irraggiava da lui sugli altri. Se ci ispiriamo a questo esempio, ogni nostro rapporto splenderà davvero della luce del Signore, nonostante noi siamo cosi deboli e imperfetti, e camminererno sempre più, con la sua grazia, verso la sua presenza.
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03/10/2013 07:52
 
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"La messe è molta, ma gli operai sono pochi". Gli uomini sulla Terra sono circa quattro miliardi. Per una messe così grande gli operai sono davvero pochi, specialmente se pensiamo ai sacerdoti. Dobbiamo dunque pregare il Signore di mandare operai nella sua messe, pregarlo perché illumini la strada a coloro che egli chiama e dia loro la forza di rispondere.
La prima lettura parla, almeno indirettamente degli studiosi della Sacra Scrittura, che tentano di rendere più accessibile il messaggio di Dio.
Al ritorno dall'esilio, nel corso di una grandiosa cerimonia, si porta a conoscenza di questo popolo, che non vi era stato educato, la legge del Signore. Le difficoltà non erano poche e c'era anche quella della lingua, perché negli anni di esilio essi avevano parlato aramaico e la legge di Mosè è scritta in ebraico. Era quindi necessario non solo leggere, ma tradurre e trovare un sistema per rendere la legge intelligibile al popolo. Ed ecco: "I leviti spiegavano la legge al popolo... Essi leggevano nel libro della legge di Dio a brani distinti e con spiegazioni del senso e così facevano comprendere la lettura". Questo riempie la gente di commozione e di gioia: "Tutto il popolo partì per far festa, perché avevano compreso le parole che erano state loro proclamate". E proprio così:
quando c'è un contatto diretto con la parola del Signore, essa diventa motivo di festa e di vita per tutto il popolo. Gli studiosi della Bibbia hanno il dovere di rendere possibile questa festa, questa vita, questa gioia. Il loro compito è diverso da quello dei predicatori, che parlano direttamente al popolo. Essi preparano la predicazione, spiegando bene la parola di Dio, affinché la predicazione possa essere più fedele a questa divina parola e perciò più fruttuosa. In questo modo contribuiscono all'istruzione del popolo, alla sua gioia, al suo carattere veramente cristiano.
"La gioia del Signore è la vostra forza" dice Neemia popolo. La forza e la gioia vengono dalla parola di Dio che è nutrimento e luce, la più preziosa, la più grande consolazione che abbiamo sulla Terra.
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04/10/2013 08:08
 
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San Francesco ha veramente realizzato il Vangelo che la liturgia ci fa proclamare nella sua festa: ha ricevuto la rivelazione di Gesù con il cuore semplice di un bambino, prendendo alla lettera tutte le parole di Gesù. Ascoltando il passo evangelico nel quale Gesù invia i suoi discepoli ad annunciare il regno, ha sentite rivolte a sé quelle parole, che diventarono la regola della sua vita. Ed anche a quelli che lo seguirono egli non voleva dare altra regola se non le parole del Vangelo, perché per lui tutto era contenuto nel rapporto con Gesù, nel suo amore. Le stimmate che ricevette verso la fine della sua vita sono proprio il segno di questo intensissimo rapporto che lo identificava con Cristo. Francesco fu sempre piccolo, volle rimanere piccolo davanti a Dio e non accettò neppure il sacerdozio per rimanere un semplice fratello, il più piccolo di tutti, per amore del Signore.
Per lui si sono realizzate in pieno le parole di Gesù: "il mio giogo è dolce e il mio carico leggero". Quanta gioia nell'anima di Francesco, povero di tutto e ricco di tutto, che accoglieva tutte le creature con cuore di fratello, che nell'amore del Signore sentiva dolci anche le pene!
Anche per noi il giogo del Signore sarà dolce, se lo riceviamo dalle sue mani.
Nella lettera ai Galati san Paolo ci dà la possibilità di capire meglio alcuni aspetti di questo giogo con due espressioni che sembrano contradditorie ma sono complementari. La prima è: "Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo". I pesi degli altri: questo è il giogo del Signore. San Francesco l'aveva capito agli inizi della sua conversione. Raccontò alla fine della vita: "Essendo io in peccato, troppo amaro mi sembrava vedere i lebbrosi, ma lo stesso Signore mi condusse fra loro ed io esercitai misericordia con loro". Ecco il giogo, che consiste nel caricarsi del peso degli altri, anche se farlo ci sembra duro. E continua: "E partendomene, ciò che mi era apparso amaro mi fu convertito in dolcezza nell'anima e nel corpo". Per chi se ne è veramente caricato, il giogo diventa dolce.
Poche righe più avanti troviamo la seconda frase di san Paolo: "Ciascuno porterà il proprio fardello". Si direbbe in contrasto con la prima, ma nel contesto il significato è chiarissimo: si tratta di non giudicare gli altri, di essere pieni di comprensione per tutti, di non imporre agli altri i nostri modi di vedere e di fare, di guardare ai propri difetti e di non prendere occasione dai difetti altrui per imporre alle persone pesi che non sono secondo il pensiero del Signore. San Francesco si preoccupava di questo e nella sua regola scrive: "Non ritenersi primo fra i fratelli": essere umili; "Non si considerino mai come padroni": non imporre pesi agli altri; e aggiunge: "Chi digiuna non giudichi chi mangia". E la delicatezza della carità, che se vede il fardello degli altri non li critica, non li giudica, ma piuttosto li aiuta.
Prendiamo così su di noi il giogo di Cristo. Carichiamoci dei pesi degli altri e non pesiamo su di loro con critiche e giudizi privi di misericordia, perché possiamo conoscere meglio il Figlio di Dio che è morto per noi, e in lui conoscere il Padre che è nei cieli, con la stessa gioia di san Francesco.
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05/10/2013 07:27
 
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Riccardo Ripoli
Molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete

L'uomo per sua natura cerca sempre di scoprire il funzionamento del mondo, tenta costantemente di dare una spiegazione a tutto, ma avendo dei limiti non può spiegare ogni cosa, così molti interrogativi rimangono. Alcuni di essi vengono superati con l'aumento del livello culturale e di maturità sia da parte di ognuno di noi, sia da parte delle generazioni. Duecento anni fa pensare di andare sulla luna era da folli, cento anni fa si cominciava a capire che forse un giorno ce l'avremmo potuta fare, oggi è fin troppo facile. Altri misteri sono tali da sempre. I potenti della terra, con tutti i loro tesori, con la loro forza, con il loro dominio hanno dovuto arrendersi al fatto che nemmeno loro erano in grado di spiegare certi fenomeni.
Chi scopre il Vangelo, chi ne assapora e prova la sua forza, non supera tali limiti, ma li accetta per due ordini di ragioni. Principalmente perché accetta certe cose come inspiegabili e provenienti da Dio e si da pace, consapevole che prima o poi gli saranno svelati. La seconda motivazione è che molti episodi, ritenuti inspiegabili da molti, sono chiari per coloro che credono.
Un esempio su tutti. Una persona con una male incurabile, i medici non hanno soluzioni e l'unica via è attendere la morte. Da un giorno all'altro il male sparisce, la persona torna sana. I medici e quanti cerchino una soluzione scientifica non la troveranno e passeranno giorni e giorni a cercarla, morendo un giorno con il dubbio di come tale cosa sia potuta accadere. Chi ha fede, viceversa, sa benissimo che le preghiere sono arrivate a Dio che ha operato un miracolo.
A noi è successo.
Qualche anno fa un ragazzo che aveva frequentato la nostra Associazione in diurno, Sabino, ma con il quale si era instaurato un bellissimo legame che dura tutt'ora, mentre lavorava cadde dal tetto di una palazzina di tre piani.
Il Signore attutì la sua caduta facendolo atterrare su una macchina.
La cosa non fu senza conseguenze.
Prima il coma, poi al risveglio la necessità di un'operazione per asportare una parte della milza.
Come accade spesso, purtroppo, una brutta infezione colpì questo ragazzo mentre era in ospedale e da qui l'esigenza di aspettare ad operare. I medici tentarono di tutto per debellare l'infezione, ma non vi riuscirono e, in mia presenza, dissero alla mamma, nel giorno del giovedì santo, che l'indomani avrebbero dovuto operarlo ad ogni costo perché non si poteva più rimandare, ma stante l'infezione l'avvertì che si preparasse al peggio, che suo figlio sarebbe quasi certamente morto sotto i ferri.
La mamma volle che io e Roberta entrassimo per dargli l'ultimo saluto, e così, indossato camice e mascherina, entrammo nella stanza antisettica dove si trovava.
Non vi dico la nostra pena e la nostra tristezza.
Fu lui a consolarci, fu lui a riempirci il cuore dicendo "mi avete insegnato ad avere Fede, se il Signore vuole che io muoia sia fatta la Sua volontà" e ci consolava con battute e aneddoti di cose buffe che capitavano nel reparto, spesso combinate da lui.
Uscimmo con il cuore pieno di lacrime.
Nel pomeriggio ci stavamo organizzando nella sede dell'Associazione per fare quello che a Livorno chiamiamo il "giro delle sette chiese", ovvero visitare sette parrocchie e fare una preghiera in ognuna di esse in preparazione alla Santa Pasqua nel giorno del giovedì santo. C'era con noi a quel tempo una ragazzina, Serena, poco più piccola del ragazzo che era in ospedale e di lui molto amica per essere cresciuti insieme ed abitare nello stesso palazzo.
Arrivò in Associazione anche la mamma di questa bimba, anche lei tristissima perché affezionata a Sabino come fosse stato suo figlio, al che proposi a Serena di chiederle di venire con noi a fare il giro delle sette chiese e pregare per Sabino. La bimba mi rispose che la madre non era mai entrata in chiesa e mai ci sarebbe voluta entrare.
Mi venne d'istinto di proporle direttamente di unirsi a noi, e la risposta fu che sarebbe venuta volentieri perché avremmo pregato per Sabino.
Non vi dico la commozione, la partecipazione e l'intensità di quelle preghiere di tutti noi e dei nostri ragazzi, una serata che non dimenticherò mai.
Andammo a dormire colmi di Dio, di Fede, di Speranza. Avevamo fatto il pieno di amore.
La mattina dopo, mentre eravamo riuniti in Associazione con tutti i ragazzi in attesa di notizie dall'ospedale, arrivò la mamma di Serena tutta concitata per annunciarci che nella notte l'infezione era sparita, che i medici non se lo spiegavano in nessun modo e che l'operazione era stata rinviata di qualche giorno per stabilizzare il ragazzo.
Sabino oggi è vivo, e sono certo che le preghiere di quella mamma hanno fatto la differenza.
Per questo motivo sono contrario all'eutanasia. Se una persona è viva, anche quando i medici non danno più speranze di salvezza, c'è il Signore a vegliare su di lei e se è ancora viva un motivo c'è senz'altro. Dobbiamo solo accettare e continuare a starle vicino.

Molti dei commenti fatti in un anno sono diventati un libro LACRIME SILENZIOSE che potrà essere acquistato via internet scrivendo a info@zizzi.org, pensatelo come un bel regalo di Natale per portare Gesù in tante case dove non lo si conosce
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06/10/2013 09:33
 
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Commento a cura di don Angelo Sceppacerca
Commento su Lc 17,5-10

Ne basta un granello, ma a che serve la fede? Ad avere forza di perdonare. Il perdono è possibile per la forza della fede. Ne basta poca perché la fede è sempre comunione con il Dio onnipotente.

Il tema del Vangelo è la gratuità del servizio del servo, del ministero dell'apostolo perché allungano e allargano il mistero della misericordia di Dio. L'amore è gratuito e la gratuità ci fa liberi e simili al Signore. Questo è il primo servizio dei cristiani nel mondo.

Meglio che "Siamo servi inutili", è dire "Siamo servi senza utile, senza guadagno". La fatica dell'apostolo non si spiega con l'utile personale o il guadagno, ma per l'amore a Cristo Signore. Come dice san Paolo, la ricompensa più alta è predicare gratuitamente il vangelo (1Cor 9,18). Per questo tutto quello che riceve è grazia. I santi ne sono modello. E Gesù, il servo obbediente, è lo stampo.

L'offerta della malattia, delle prove, del dolore è, tra i mille volti del servizio, quello più luminoso. E la fatica chiesta al servo è soprattutto l'offerta del perdono che sta al cuore dell'esperienza cristiana e di cui tutti hanno sempre assoluto bisogno. Perdono reciproco, ma soprattutto perdono sacramentale, un ministero che rischia di essere esercitato sempre troppo poco.

Dopo la fatica nei campi, in mezzo al gregge, fuori di casa, ne viene ancora una, più intima, diretta e profonda, non più nei confronti di cose appartenenti al padrone, ma proprio verso il Signore. È il servizio della preghiera, dell'offerta nascosta, del nascondimento. È la conformità a Cristo che porta i santi a salire sulla Croce e, nello stesso tempo, a partecipare alla sua consolazione. Ma per questo meglio chiedere ai mistici e ai contemplativi. Come Gemma, Teresina, Brigida, Caterina, Teresa Benedetta, Benedetto, Francesco, Bruno...

La gloria è nel finale:...e dopo mangerai e berrai tu. Il dopo è certo come lo è questa ora.
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07/10/2013 07:12
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione

Fin da subito è giusto dire che la carità verso i poveri è la via per il raggiungimento della vita eterna. Essa è la strada maestra per chi vuole entrare domani in Paradiso e per quanti desiderano essere avvolti nel tempo dalla misericordia di Dio. L'elemosina, l'aiuto spirituale e materiale, è vero strumento di redenzione, espiazione, salvezza per chi li opera. Nessuno si faccia illusione: senza l'osservanza del comandamento della carità, nessuno mai si potrà salvare.
La carità va fatta all'uomo in sé e per questo occorre che noi lo liberiamo da ogni etichetta che la storia o il peccato dell'uomo ha scritto sul suo dorso. Queste etichette da abolire, cancellare sono: amico, nemico, vicino, lontano, familiare, straniero, forestiero, credente, non credente, ateo, religioso, fede diversa, religione differente, buono, malvagio, cattivo, onesto, disonesto, meritevole, non meritevole. Tolte queste etichette, rimane il "nudo" uomo. È la "nuda" umanità concreta, personale, che è dinanzi a noi, che noi siamo chiamati a servire, facendole tutto il bene che è nelle nostre possibilità materiali e spirituali.
Il Vangelo secondo Matteo è chiaro. L'accoglienza nel regno eterno avviene per l'amore verso il Cristo che è sul lastrico della fame, nudità, sete, solitudine, abbandono, miseria, carcere, malattia, disperazione: "Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi" (Mt 25,34-36). La vita eterna è dono, ma anche frutto della nostra carità. La salvezza eterna è dal nostro amore per il prossimo.
Ancora non siamo all'amore del Padre misericordioso che sconvolge il figlio minore e lascia senza fiato noi che meditiamo la parabola di Gesù: "Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: "Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio". Ma il padre disse ai servi: "Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato". E cominciarono a far festa" (Lc 15,20-24). Ma è questo il traguardo cui dovrà giungere la nostra carità.
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08/10/2013 08:12
 
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Riccardo Ripoli
Una sola è la cosa di cui c'è bisogno

Oggi il mondo ha bisogno di amore, di quel sentimento puro che troppo spesso confondiamo con ben altro. Si possono fare mille cose, aiutare chi ha bisogno, lavorare alacremente e produrre ottimi beni e servizi per la comunità, ma tutto è senza valore se non abbiamo amore, se non ci fermiamo un attimo nella nostra quotidianità per fare una carezza ad un bambino, per regalare un sorriso a chi desidera solo essere consolato, per avere un'attenzione verso uno dei nostri genitori.
Roberta dalla mattina alla sera corre tantissimo, è presa da mille impegni per gestire, con l'aiuto provvidenziale della sua mamma e di Carmela, i nostri dieci ragazzi in affidamento. Non so come faccia ad avere sempre tutto sotto controllo, i bimbi puliti e ordinati, le cartelle pronte la sera prima, pranzo e cena sempre ottimi e pronti, il dialogo costante con le scuole, lo sport e tanto altro ancora che potrete ben sapere se avete dei figli da crescere. Ma una cosa la contraddistingue, ha un dialogo amorevole, come solo una mamma può avere, con ognuno di loro. Ad ognuno pone la domanda giusta, si ricorda il nome dei loro compagni, si interessa sui loro primi amori, si preoccupa di sapere quando hanno compiti ed interrogazioni. Io francamente mi scordo quasi tutti questi particolari, da un lato perché inconsciamente ho demandato a Roberta che mi aggiorna facendomi alla sera un sunto delle cose più salienti che ritiene io debba sapere, dall'altro perché non ho la testa per ricordarmi tutti i particolari. Roberta li racchiude nel suo cuore di mamma, soffre per loro e con loro, si addolora quando vede che prendono la strada sbagliata, gioisce per ogni bel voto duramente conquistato più che se le avessero regalato un bellissimo gioiello. A volte l'ho criticata perché è esageratamente chioccia nei confronti dei nostri dieci pulcini, ma a dire il vero c'è ben poco da criticare quando si ama davvero con il cuore come fa lei.
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09/10/2013 07:42
 
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"Signore, insegnaci a pregare! " è la richiesta dei discepoli rivolta a Gesù, e la leggiamo nel Vangelo di oggi. Oggi dunque cercheremo di capire un po' meglio quanto grande è il nostro bisogno di imparare a pregare; soprattutto con l'aiuto della prima lettura.
L'attitudine di Giona è esattamente il contrario della prima domanda del Padre Nostro: "Padre, sia santificato il tuo nome". Giona si oppose a questa richiesta, non vuole che il nome di Dio sia manifestato. Egli lo conosce, il nome di Dio, e gli rincresce che Dio si manifesti come egli è. Infatti dice a Dio: "Io sapevo che tu sei un Dio misericordioso e clemente, longanime, di grande amore e che ti lasci impietosire riguardo al male minacciato!". Ecco qual è il "nome" di Dio, che vuol manifestarsi, e che Giona conosce da tutta la rivelazione biblica. Eppure non vuole che esso si manifesti nella sua vita: è una cosa che va contro i suoi gusti, contro la sua volontà di vivere. Egli è stato mandato a Ninive per profetizzare: "Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta! " e adesso pretende che questa profezia si realizzi, perché ne va della sua reputazione di profeta. Ma la misericordia di Dio non può mettere in atto comunque questa predizione. Dio ha inviato il suo profeta per chiamare a conversione e la sua minaccia era condizionata: "Se non vi convertite, perirete", ed ora Dio è contento che la gente di Ninive si sia convertita e di poter manifestare "il suo nome": il suo amore, la sua tenerezza, la sua misericordia. Giona invece è in collera, non vuole che il nome di Dio si manifesti. E Dio allora gli dà una lezione, perché capisca quanto profondamente egli abbia ragione di aver compassione di coloro che ha creato, come sia logico per lui perdonare, chiamare alla vita e non alla morte.
Forse non ce ne accorgiamo, ma tante volte succede anche a noi di desiderare che il nome di Dio non si manifesti come è: un Dio pieno di mitezza e di pazienza, un Dio che non interviene con violenza ma aspetta che gli uomini si convertano, un Dio che lascia sussistere il male per trarne il bene. Quante volte ci lamentiamo di Dio perché le cose non vanno come a noi sembrerebbe giusto! Noi vogliamo riuscire in quel che facciamo; noi vogliamo aver rapporti facili e tranquilli con tutti; noi vogliamo che il nostro punto di vista prevalga; noi vogliamo che i criminali siano eliminati... E Dio ci lascia sbagliare, ci lascia nelle difficoltà di rapporti, lascia che gli altri non tengano conto delle nostre opinioni, fa splendere il suo sole sui buoni e sui malvagi. Le nostre reazioni spontanee sono in contraddizione con la prima domanda del Padre Nostro:
"Sia santificato il tuo nome", perché invece diciamo: "Si realizzino le mie idee, si compiano i miei desideri, trionfi il mio modo di vedere...". E le nostre idee, i nostri desideri, le nostre prospettive sono diverse da quelle di Dio. Abbiamo dunque bisogno che il Signore ci insegni a pregare, che metta in noi un desiderio profondo della sua manifestazione.
E in primo luogo nella celebrazione eucaristica che il Signore compie la nostra educazione. Inizia con la celebrazione della sua parola, mediante la quale egli ci illumina, ci comunica il suo punto di vista, perché noi lo sostituiamo ai nostri. Ma non soltanto con la sua parola Dio ci coinvolge, ma in tutta la dinamica della sua vita, del suo sacrificio, perché impariamo davvero a pregare. "Padre, sia santificato il tuo nome", è una preghiera che possiamo capire soltanto se siamo coinvolti nel sacrificio di Cristo. Come deve essere santificato il nome di Dio? Che cosa significa per Dio "santificare il suo nome"? Lo impariamo partecipando al sacrificio di Gesù. "Padre, glorifica il tuo nome!". E dalla croce di Cristo, dalla sua vittoria nella passione che il nome di Dio è stato veramente manifestato, glorificato, santificato. E Gesù nell'Eucaristia ci coinvolge nel movimento della sua passione, tanto che possiamo pregare il Padre Nostro molto più profondamente alla fine che all'inizio della Messa. "Sia santificato il tuo nome!". Lo diciamo dopo che Gesù ha ripetuto davanti a noi il dono di se stesso: "Ecco, questo è il mio corpo dato per voi, questo è il mio sangue, il sangue della nuova alleanza". Così il nome di Dio è santificato.
Allora impariamo come esso possa essere santificato anche nella nostra vita. Quello che ci sembrava un ostacolo diventa un mezzo, se lo portiamo, per dire così, all'Eucaristia, per capire come possiamo, in ogni situazione, santificare il nome di Dio. Invece di inquietarci nelle piccole difficoltà, di disperarci in quelle grandi, impariamo poco a poco a vederle come una possibilità che l'amore del Signore ci offre per santificare il suo nome.
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10/10/2013 07:46
 
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a cura dei Carmelitani


1) Preghiera

O Dio, fonte di ogni bene,
che esaudisci le preghiere del tuo popolo
al di là di ogni desiderio e di ogni merito,
effondi su di noi la tua misericordia:
perdona ciò che la coscienza teme
e aggiungi ciò che la preghiera non osa sperare.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Luca 11,5-13
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: ?Se uno di voi ha un amico e va da lui a mezzanotte a dirgli: Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da mettergli davanti; e se quegli dall?interno gli risponde: Non m?importunare, la porta è già chiusa e i miei bambini sono a letto con me, non posso alzarmi per darteli; vi dico che, se anche non si alzerà a darglieli per amicizia, si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono almeno per la sua insistenza.
Ebbene, io vi dico: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto.
Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione?
Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!?


3) Riflessione

? Il vangelo di oggi continua parlando del tema della preghiera, iniziato ieri con l?insegnamento del Padre Nostro (Lc 11,1-4). Oggi Gesù insegna che dobbiamo pregare con fede ed insistenza, senza venir meno. Per questo usa una parabola provocatoria.
? Luca 11,5-7: La parabola che provoca. Como sempre, quando Gesù ha una cosa importante da insegnare, ricorre ad un paragone, ad una parabola. Oggi ci racconta una storia strana che culmina in una domanda e rivolge la domanda alla gente che lo ascoltava ed anche a noi che oggi leggiamo o ascoltiamo la storia: "Se uno di voi ha un amico e va da lui a mezzanotte a dirgli: Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da mettergli davanti; e se quegli dall?interno gli risponde: Non m?importunare, la porta è già chiusa e i miei bambini sono a letto con me, non posso alzarmi per darteli?. Prima che Gesù stesso dia la risposta, vuole la nostra opinione. Cosa risponderesti: si o no?
? Luca 11,8: Gesù risponde alla provocazione. Gesù dà la sua risposta: ?Vi dico che, se anche non si alzerà a darglieli per amicizia, si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono almeno per la sua insistenza?. Se non fosse Gesù, avresti avuto il coraggio di inventare una storia in cui si suggerisce che Dio aspetta le nostre preghiere con insistenza? La risposta di Gesù rafforza il messaggio sulla preghiera, cioè: Dio aspetta sempre la nostra preghiera. Questa parabola ne ricorda un?altra, anch?essa in Luca, la parabola della vedova che insiste nell?ottenere i suoi diritti davanti al giudice che non rispetta né Dio né la giustizia e che dà ascolto alla vedova solamente perché vuole liberarsi dall?insistenza della donna (Lc 18,3-5). Poi Gesù trae le proprie conclusioni per applicare il messaggio della parabola alla vita.
? Luca 11,9-10: La prima applicazione della Parabola. ?Ebbene io vi dico: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto?. Chiedere, cercare, bussare alla porta. Se chiedete, riceverete. Se bussate alla porta vi si aprirà. Gesù non dice quanto tempo dura la richiesta, bussare alla porta, cercare, ma il risultato è certo.
? Luca 11,11-12: La seconda applicazione della parabola. ?Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione?? Questa seconda applicazione lascia intravedere il pubblico che ascoltava le parole di Gesù ed anche il suo modo di insegnare sotto forma di dialogo. Lui domanda: ?Tu che sei un padre, quando tuo figlio ti chiede un pesce, gli daresti una serpe?? La gente risponde: ?No!? ??E se ti chiede un uovo, gli daresti uno scorpione?? -?No!? Per mezzo del dialogo, Gesù coinvolge le persone nel paragone e, per la risposta che riceve da loro, le impegna con il messaggio della parabola.
? Luca 11,13: Il messaggio: ricevere il dono dello Spirito Santo. ?Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!? Il dono massimo che Dio ha per noi è il dono dello Spirito Santo. Quando siamo stati creati, lui soffiò il suo spirito nelle nostre narici e noi diventammo esseri vivi (Gen 2,7). Nella seconda creazione mediante la Fede in Gesù, lui ci dà di nuovo lo Spirito, lo stesso Spirito che fece che la Parola si incarnasse in Maria (Lc 1,35). Con l?aiuto dello Spirito Santo, il processo di incarnazione della Parola continua fino all?ora della morte in Croce. Alla fine, all?ora della morte, Gesù consegna lo Spirito al Padre: ?Nelle tue mani consegno il mio spirito? (Lc 23,46). Gesù ci promette questo spirito come fonte di verità e di comprensione (Gv 14,14-17; 16,13), un aiuto nelle persecuzioni (Mt 10,20; At 4,31). Questo Spirito non si compra a prezzo di denaro al supermercato. L?unico modo di ottenerlo è mediante la preghiera. Dopo nove giorni di preghiera si ottenne il dono abbondante dello Spirito il giorno di Pentecoste (At 1,14; 2,1-4).


4) Per un confronto personale

? Come rispondi alla provocazione della parabola? Una persona che vive in un piccolo appartamento in una grande città, come risponderà? Aprirebbe la porta?
? Quando tu preghi, preghi convinto/a di ottenere ciò che chiedi?


5) Preghiera finale

Renderò grazie al Signore con tutto il cuore,
nel consesso dei giusti e nell?assemblea.
Grandi sono le opere del Signore,
le contemplino coloro che le amano. (Sal 110)
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11/10/2013 08:21
 
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Il Vangelo odierno parla della lotta tra Gesù e il demonio, una lotta che avviene nell'anima dell'uomo. Noi sappiamo di essere stati liberati dal peccato e dal demonio per la grazia di Dio e il Battesimo e poi, nel corso della vita, attraverso il sacramento della Riconciliazione. In questo brano evangelico, che contiene alcuni passaggi un po' difficili, ci fermiamo a riflettere su quello che il Signore dice alla fine: "Quando lo spirito immondo esce dall'uomo, si aggira per luoghi aridi in cerca di riposo e, non trovandone, dice: Ritornerò nella mia casa da cui sono uscito. Venuto, la trova spazzata e adorna. Allora va, prende con sé altri sette spiriti peggiori di lui ed essi entrano e vi alloggiano e la condizione finale di quell'uomo diventa peggiore della prima".
Quando il demonio è stato scacciato "da uno più forte di lui", cioè dal Signore Gesù, la "casa" è spazzata e adorna, ma c'è il pericolo che rimanga vuota. Se questo succede, il demonio può tornare e la condizione finale può diventare peggiore della prima. Che cosa vuol dire questa casa vuota? Spontaneamente noi desideriamo di essere liberati dal male e specialmente dal peccato che pesa sulla nostra coscienza; lo desideriamo e siamo contenti e riconoscenti al Signore quando egli ci libera: allora la nostra casa è pulita e ben arredata. Ma nella vita spirituale c'è un'altra tappa necessaria, che spontaneamente ci piace meno, perché in questa bella casa noi vogliamo starcene tranquilli, da padroni, senza nessuno che ci comandi. Eppure bisogna che il padrone sia un altro, sia il Signore, e questo non sempre ci piace. Quando egli ci disturba, preferiamo rimanere soli nella nostra casa, e lui ci disturba in molte maniere: con le circostanze, servendosi degli altri, con le sue richieste, mentre per noi non è spontaneo fare quello che egli vuole. Eppure, se vogliamo essere noi padroni della nostra vita, ci mettiamo in una condizione molto pericolosa: l'egoismo che si manifesta così è peggiore del peccato che prima sporcava la nostra casa, perché ci fa vivere in modo contrario all0 spirito di Dio. Si vive senza voler essere disturbati, né da Dio né dal prossimo, facendo le cose come ci pare e a comodo nostro, e può venirne una specie di sottile, profonda perversione, che fa il gioco del demonio.
Rinnoviamo oggi il proposito di lasciare che il Signore diventi il padrone della nostra casa, di lasciar cadere i nostri pensieri, le nostre preferenze, i nostri capricci, per accogliere in ogni momento i desideri suoi.
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12/10/2013 06:53
 
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Il Signore ci mostra sempre la via della gioia vera, profonda e ci aiuta a distinguere tra felicità e felicità. Nel Vangelo troviamo una cosa meravigliosa: Gesù, mentre apparentemente esprime un certo rifiuto, proclama la beatitudine di sua madre. "Beato il grembo che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte! " esclama una donna tra la folla, e Gesù risponde: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!". Non nega che per la Madonna fu una grande gioia essere sua madre, ma dice che nella sua gioia c e un elemento più profondo. Sappiamo che Maria aveva rinunciato alla maternità, che non era per lei essenziale; essenziale era essere la serva del Signore, ascoltare la parola di Dio e custodirla. Due volte nella sua vita Dio le domandò la rinuncia alla maternità: prima dell'annuncio dell'Angelo e sul Calvario, quando Maria, in un certo senso, rinnovò la sua rinuncia accettando il sacrificio del Figlio, accettando di non essere più madre di un figlio vivo. Ma domandandole questo sacrificio così grande Dio le diede molto di più: la unì a se, le rivelò i suoi disegni e fece di lei la collaboratrice a questi divini disegni, a un livello profondissimo.``In ogni chiamata di Dio ci sono molti aspetti ed è importante attaccarsi al più autentico, al più profondo. Questo si verifica anche in ogni situazione, che presenta vantaggi umani e vantaggi spirituali. C'è il rischio di attaccarsi agli aspetti più umani e di entrare in casi terribili quando questi vengono meno. Se invece guardiamo all'aspetto più profondo siamo al sicuro, perché se è necessario farne sacrificio sappiamo comunque che non viene meno il rapporto con Dio, la nostra vita segreta con lui.``Faccio un esempio concreto. Molte volte mi sento dire: "Come è fortunato di essere a Roma, nel centro della cristianità, in una città così interessante, e vicino al santo Padre!". Ed è vero: è un dono di Dio di cui devo essere riconoscente. Però, se mi attaccassi a questa situazione per i vantaggi che presenta, dimenticherei l'aspetto essenziale, al quale invece devo tenere assolutamente, ed è che sono qui per il servizio di Dio, per obbedire a lui, perché è lui che l'ha voluto.``Se abbiamo queste disposizioni, siamo sicuri che non ci mancherà mai la gioia vera, anche quando il Signore ci chiedesse il sacrificio di una situazione che ci dà gioia.``"Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano", la parola di Dio che ci rivela il suo mistero e il suo disegno d'amore, la parola che è anche la sua volontà, che è nutrimento della nostra anima, come era il cibo di Gesù.``Domandiamo per noi e per le persone che amiamo la grazia di essere attaccati a ciò che davvero è essenziale, per essere liberi di fare gioioso sacrificio al Signore di tutto quanto egli vorrà chiederci per farci crescere nel suo amore.
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13/10/2013 07:26
 
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don Luca Orlando Russo
Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato!

Questo brano ci presenta un'esperienza di condivisione fra dieci lebbrosi, ciascuno dei quali viene da un contesto sociale "normale": una famiglia, una moglie, dei figli, un'attività. Ma ecco che, irrompendo la malattia, dopo essere stati espulsi dalla società, per necessità sono costretti a vivere insieme. Cercano di aiutarsi e di tirare avanti alla meno peggio.
All'interno di questo gruppo matura la proposta di chiedere aiuto a Gesù di Nazaret che pare operi guarigioni. Si mette in moto una patetica carovana. Gesù è in viaggio verso Gerusalemme, verso la sua passione. I lebbrosi si fermano a distanza per rispettare il protocollo che regola le relazioni fra sani e lebbrosi. Per loro quest'uomo è un maestro, parla delle cose di Dio.
Luca sottolinea che Gesù "Appena li vide" senza stare lì ad accoglierli, a consolarli, a dimostrare loro quanto vuol loro bene, propone immediatamente di presentarsi ai Sacerdoti. Gesù sa benissimo che questa sua consegna è assurda. Primo perché non sono guariti: come fanno a presentarsi ai sommi sacerdoti, se non sono guariti? Soprattutto quel samaritano! Ma i lebbrosi accolgono questa parola perché la frase di Gesù suona ai loro occhi come una promessa di guarigione. Luca dice che "mentre essi andavano", durante il viaggio la guarigione si compie, cioè nel corso del loro obbedire alla parola ricevuta.
All'inizio la loro sarà stata un'obbedienza disobbediente, un'obbedienza a denti stretti, un'obbedienza incredula. Obbediscono giusto il minimo indispensabile per mettersi in cammino, ma non ci credono. Quando l'ubbidienza diviene ubbidiente il dono del Signore irrompe: sono guariti.
Cosa fare? Nove decidono di andare subito dai Sacerdoti. Hanno dei buoni motivi? Sì, hanno dei buoni motivi. Il primo motivo è che la Legge lo prescrive. Quindi, andare a Gerusalemme significa ottemperare alla Legge. Il secondo è che questa è stata la consegna di Gesù stesso. Se non vanno da Gesù, disobbediscono proprio a lui. A queste ragioni se ne aggiunge qualcun'altra, e cioè la paura che quell'uomo, nel riceverli e nel constatare che sono guariti, chieda loro qualche cosa in cambio. Ma la vera motivazione è che sotto sotto la maggior parte di questi uomini muore dalla voglia di tornare a Gerusalemme, non per presentarsi ai sacerdoti, ma per tuffarsi nuovamente nel mondo e ricominciare a vivere. La lebbra ha sottratto loro cinque, dieci, quindici, venti... anni. Adesso finalmente si spalancano le porte e non vedono l'ora di respirare la libertà, di tornare a vivere e di rifarsi, recuperare il tempo perduto. Tentare di vivere in fretta, recuperare in fretta tutti gli anni di cui la lebbra li ha defraudati. A tal punto sentono di aver diritto a questo da non riuscire a perdere due, tre, quattro ore, mezza giornata per tornare da quell'uomo e dirgli: "La promessa che ci hai fatto si è avverata, siamo guariti. Grazie". La paura che dire grazie voglia dire perdere tempo e andarci a rimettere qualche cosa, laddove Gesù chiedesse loro qualcosa.
La verità è che l'obbedienza alla Legge diventa l'alibi, il pretesto a cui questi lebbrosi guariti ricorrono per legittimare la loro ansia della vita e il bisogno di emanciparsi dalla gratuità.
Il Samaritano, invece, arriva da Gesù e loda Dio a gran voce! Riconosce che nel servizio a lui reso da Gesù vi è l'intervento di Dio. Perché nessuna parola a questo mondo può dire: "Va' dai sommi sacerdoti" e guarirmi strada facendo, se non viene da Dio. Si getta ai piedi di Gesù quasi ad abbracciarlo per ringraziarlo. E annota Luca, costernato: "Era un samaritano". Come dire che l'accoglienza del dono di Dio viene dai lontani, dai reprobi, invece che dai vicini. Ma ciò che più conta è che nel suo ritornare da Gesù, il Samaritano fa esperienza di salvezza. Infatti, scopre un dono molto più grande della guarigione e lo scopre attraverso dei segni:
? Gesù, accogliendo il samaritano, rivela il volto di un Dio che non fa preferenze di persone, ma guarda al cuore.
? Gesù non si preoccupa di sé, ma della gloria di Dio.
? Gesù non chiede niente, né prima né dopo la guarigione.
? Gesù ha accettato che gli altri nove non torneranno indietro e non ce l'ha con loro, ma per loro si rammarica
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14/10/2013 07:59
 
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Iniziamo oggi la lettera di san Paolo ai Romani. Sappiamo, dalla lettera stessa, che Paolo scrive da Corinto, nell'inverno del 5758, mentre sta per partire per Gerusalemme, dove porterà le offerte raccolte per i poveri. Nello stesso tempo egli sta pensando a viaggi ulteriori e ha intenzione di andare a Roma e di giungere poi fino in Spagna. A Roma, prima che vi venissero Paolo e Pietro, c'erà già una comunità cristiana, della quale non sappiamo come si sia formata e Paolo desiderava molto mettersi in contatto con questi cristiani che non conosceva. La solennità dell'inizio della lettera rivela quale importanza l'Apostolo attribuiva a questa Chiesa. Paolo non si preoccupa di curare il suo stile, e questo inizio è un po' irregolare e di difficile lettura, perché egli vuol dire tante cose importanti e non le dice con ordine, ma vediamo immediatamente come egli sia fiero di essere apostolo: "Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione, prescelto per annunziare il Vangelo di Dio". Anche noi Dio ha scelto; noi pure, come cristiani, siamo chiamati ad annunciare il Vangelo di Dio, certo in modo molto più modesto di lui, Apostolo delle genti. E dobbiamo sentire un santo orgoglio per questa chiamata che Dio ci ha rivolto.
Paolo sviluppa il suo pensiero. Centro di questa vocazione non è lui stesso, ma Cristo, che egli mostra nel duplice aspetto: Cristo uomo e Cristo Dio:
"(Cristo) figlio di Dio, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne". E noi vediamo già tutto il mistero di Cristo e della sua croce; tuttavia: "Costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dei morti, Gesù Cristo, nostro Signore".
Gesù Cristo, il centro di tutto il pensiero di Paolo. E la lettera rivela chiaramente come la fede sia fondamento di tutta la vita di Paolo, di tutto il suo apostolato.
Egli gli chiama tutti all'obbedienza della fede, fondandosi su Cristo, unicamente su Cristo e non su se stessi, sulla propria forza, sui propri meriti, ma sull'amore di Cristo, sull'amore di Dio che ci viene da Cristo.
Con questi sentimenti egli si rivolge "a quanti sono in Roma diletti da Dio e santi per vocazione". Sono espressioni che ci danno un senso di gioia, sia che abitiamo a Roma, sia che abitiamo altrove, perché Roma è per tutti i cristiani "'a loro città", la città dello spirito
Spesso all'inizio della Messa la liturgia ci fa ripetere il saluto di Paolo: "Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo". È il saluto cristiano, che assume e trasforma il saluto greco e quello dei Giudei.
I Giudei dicevano: "Pace!", e Paolo dice "Pace", pace che viene da Dio Padre e insieme da Gesù Cristo. I Greci si auguravano la gioia, e Paolo augura la grazia. È quasi la stessa cosa, ma più profonda.
Riceviamo questo augurio splendido di Paolo e rallegriamoci più che mai della nostra splendida vocazione.
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16/10/2013 08:23
 
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Nella prima parte della sua lettera ai Romani san Paolo dimostra che tutti hanno bisogno della misericordia di Dio: da soli non possiamo essere giusti e piacere a Dio. E nel secondo capitolo l'Apostolo si rivolge a quelli che farisaicamente si credono giusti, gente che non ha bisogno della misericordia di Dio, perché sono veramente come devono essere. San Paolo dice che pensano così di sé per una illusione molto comune, perché giudicano gli altri: "Sei inescusabile, chiunque tu sia, o uomo che giudichi, perché mentre giudichi gli altri condanni te stesso; infatti, tu che giudichi, fai le medesime cose".
E veramente un'illusione comune credersi giusti perché si giudicano gli altri. Nelle cose esterne, materiali succede che se vediamo qualcuno che sbaglia noi abbiamo l'impressione che al suo posto faremmo meglio, anche in cose in cui magari non siamo competenti. E non pensiamo che un conto è giudicare, criticare e un conto è fare e che molto probabilmente noi che critichiamo faremmo molto peggio di chi è oggetto del nostro giudizio. Così capita in campo morale, spirituale. Vedendo compiere un'azione non giusta, pensiamo, anche senza dirlo esplicitamente, che noi, nella stessa situazione, faremmo la cosa giusta. E questo non è vero perché, al posto della persona che noi giudichiamo, noi, coi nostri difetti, eviteremmo forse l'errore che lei ha commesso, ma ne faremmo degli altri.
San Paolo mette di fronte a questa situazione colui che giudica, dicendogli: "Tu che giudichi, fai le stesse cose". Infatti chi giudica, anche se può evitare molte delle cose che critica, per il fatto stesso che giudica manca gravemente alla vera giustizia e, come dice Gesù, trascura le cose più importanti, che sono la giustizia e l'amore. Giudicando ci si separa dagli altri, ci si mette in una situazione di egoismo e di orgoglio. Anche se uno facesse tutto bene, gli manca la cosa fondamentale e non può piacere a Dio. Fare il bene consiste nel mettersi con gli altri, non nel separarsi da loro: chi pretende di essere buono e si separa dagli altri, per questo stesso fatto non lo è, anzi è più profondamente cattivo di chi pecca, ma si pone in umiltà e semplicità a Dio.
Dunque san Paolo ha perfettamente ragione di dire: "Sei inescusabile, tu che giudichi gli altri, perché mentre li giudichi condanni te stesso". Dobbiamo essere tutti insieme davanti alla misericordia di Dio: è la sola strada della salvezza. Paolo lo ripeterà più avanti: è necessario accettare la grazia di Dio, che è offerta a tutti. Giudei e Greci, cristiani e pagani, peccatori e giusti devono insieme accettare la grazia di Dio. Ricordiamoci che questa è un'attitudine fondamentale per essere salvati. Siamo tutti peccatori perdonati e nessuno può separarsi dagli altri giudicandoli severamente, se vuol piacere a Dio.
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17/10/2013 08:12
 
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Nelle tre virtù teologali la speranza si trova tra la fede e la carità: si appoggia alla fede e dà slancio alla carità. Avere molta speranza è come orientarsi verso la cima di una montagna: chi vuoi raggiungerla desidera superare tutti gli ostacoli per poter contemplare il meraviglioso panorama che si gode dall'alto.
Sant'Ignazio d'Antiochia era colmo di un'immensa speranza; non assomigliava a quelli che san Paolo descrive nella lettera ai Filippesi, privi di speranza perché sono "tutti intenti alle cose della terra". Nella lettera agli Efesini san Paolo attribuisce alla mancanza di speranza tutta l'immoralità del mondo pagano: non avendo speranza, si sono abbandonati ai loro desideri impuri, che li trascinano in basso. I cristiani invece sono uomini e donne ricchi di una grande speranza, sanno di essere cittadini del cielo "e di là aspettano come Salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso".
Anche il Signore, nel Vangelo di oggi, ci anima a una grande speranza: la speranza di conservare la nostra vita per la vita eterna, di essere con lui dove egli e, cioè nella gloria del Padre, di essere onorati dal Padre: "Se uno mi serve, il Padre lo onorerà". "Chi ha questa speranza dice san Giovanni si conserva puro". E la speranza a dare la forza di resistere alle tentazioni, a dare il coraggio di resistere nelle difficoltà. Nella Colletta della messa di oggi chiediamo a Dio che la passione di sant'Ignazio di Antiochia sia per noi fonte di fortezza nella fede. Perché possiamo pregare cosi? Perché essa è una manifestazione di grande speranza. Sant'Ignazio ha avuto il coraggio di perdere la vita per guadagnarla. Scrivendo ai Romani egli dice:
"C'è in me un'acqua viva che mi sussurra: Vieni al Padre!". E l'espressione della sua speranza: la parola di Cristo è diventata in lui come una sorgente che vuol zampillare fino al Padre. Egli ardeva dal desiderio di guadagnare Cristo e per questo vedeva la necessità di essere simile a lui nella passione, di essere macinato dai denti delle belve per diventare frumento di Cristo. "Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto", leggiamo nel Vangelo. Nella sua grande speranza egli corre incontro al martirio, con un coraggio intrepido; scrive ai Romani di non intervenire per allontanare da lui quelle sofferenze che sono la ragione della sua speranza, perché grazie ad esse potrà ricevere la più grande grazia di Dio, la vittoria del martirio e infine la gloria di essere accanto a Cristo.
Ed ora Ignazio splende ai nostri occhi come un santo ardente di fervore e di amore, che ci fa vergognare dei nostri atteggiamenti di fronte alle piccole difficoltà della nostra vita. Il Signore vuol darci molto; per questo ci manda qualche sofferenza, che dovrebbe non diminuire ma far crescere la nostra speranza. Come san Paolo scrive ripetutamente, dovremmo poter dire: "Noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce la pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza". Ed è una speranza che non delude.
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18/10/2013 07:16
 
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Riccardo Ripoli
Non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada

Qualche giorno fa ero a fare funghi in bosco, assorto nella ricerca e nei miei pensieri. Passo accanto ad un cacciatore che mi chiama e mi apostrofa bonariamente dicendo "Ehi Riccardo, non si saluta più?". Nemmeno mi ero accorto della sua presenza perché andavo per la mia strada, senza distrazioni, pensando a quello che dovevo fare.
E' in questo senso che il Signore ci intima di non salutare nessuno per la strada, non per maleducazione o per non fare amicizia, ma quando abbiamo un compito da svolgere dobbiamo pensare solo a quello, senza distrazioni.
Questo non vuol dire che coloro che si occupano del prossimo non possano avere momenti di svago, ma solo che il pensiero principale debba essere quello. Nei primi anni di Associazione, quando mio padre cominciava ad accorgersi che mi stava perdendo come commercialista, che la vita per i bambini mi attirava sempre più, mi diceva che avrei potuto occuparmi dei ragazzi come volontariato e nel contempo portare avanti lo studio professionale. Riflettei molto su questo, ma arrivai alla conclusione che se si vuol far bene una cosa, si deve fare solo quella. Così a testa bassa cominciai a percorrere quel ripido sentiero. Lasciai a casa tutto ciò che mi avrebbe potuto appesantire ed armato di tanta buona volontà mi incamminai sulla strada che avevo davanti. Bisaccia, borsa, sandali sono esempi di cose materiali alle quali non sappiamo rinunciare, ma se imbocchiamo la strada segnata da Dio non avremo nulla da prendere, ci farà trovare Lui tutto ciò di cui necessitiamo. Così è stato per me sin dall'inizio. Ho chiuso con il mio passato ed ho guardato solo avanti, ed il Signore mi ha dato molto di più di ciò che avevo, molto di più di ciò che avrei potuto desiderare, molto di più di ciò che umanamente mi sarei mai meritato.
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19/10/2013 07:22
 
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san Paolo insiste sul giusto ordine delle cose: non le nostre opere vengono prima, ma l'azione di Dio, la generosità di Dio. Tutto incomincia da una promessa di Dio. Nella storia di Abramo all'inizio c'è una promessa divina, prima che Abramo abbia fatto qualcosa. "Non in virtù della legge fu data ad Abramo la promessa", perché la legge non esisteva ancora, e san Paolo lo scrive chiaramente nella lettera ai Galati: la legge fu data più di quattrocento anni dopo. La prima cosa non è dunque l'osservanza della legge, ma accogliere la promessa con piena fede: così lasciamo libertà a Dio e mettiamo la nostra vita a sua disposizione nel modo migliore. E una condizione facile aprirsi a Dio, aver fede in lui e non in noi stessi, ed è indispensabile.
Gesù lo dice nel Vangelo: bisogna confessare la fede, anche davanti agli uomini, per essere ricevuti da Dio in cielo: "Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell'uomo lo riconoscerà davanti agli Angeli di Dio". Tutta la nostra vita deve essere non uno sforzo per farsi dei meriti, ma una testimonianza di fede in Gesù e in Dio per Gesù Cristo.
Però il Vangelo ci avverte di non giudicare troppo in fretta quelli che non mostrano la loro fede, quando ci dice: "Chiunque parlerà contro il Figlio dell'uomo gli sarà perdonato, ma chi bestemmierà lo Spirito Santo non gli sarà perdonato". Sono i due aspetti della fede. C'è una manifestazione esteriore, ma la fede è fondata su una manifestazione interna dello Spirito Santo. Qualche volta può succedere che una persona trovi delle difficoltà a professare la fede, ad accettare le manifestazioni esteriori della fede nel Figlio dell'uomo, vale a dire la fede cristiana. Ebbene, non si può dire che è imperdonabile; imperdonabile è resistere allo Spirito Santo, cioè non accettare dentro di noi la testimonianza di Dio, che ci spinge verso il suo Figlio. La docilità a Dio prepara e sviluppa in noi la fede: quando c e questo intimo rapporto con lo Spirito Santo si viene alla fede ("Chi è docile a Dio viene alla Luce" dice il Vangelo giovanneo> e allora nella vita, ormai fondata sulla fede, si sviluppa pienamente il frutto dello Spirito, e la fede può giungere alla eroica testimonianza che ammiriamo nei martiri, testimonianza che non è opera umana, ma proprio frutto dello Spirito, dono di Dio in chi si apre docilmente a lui.
Domandiamo al Signore una stima sempre più profonda della fede e una crescente docilità al suo Spirito, che sviluppa in noi lo spirito di fede.
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20/10/2013 08:21
 
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don Luigi Trapelli
Gesù, quando verrà, troverà la fede sulla terra?

Dopo l'invito che Gesù aveva posto domenica scorsa di sentirci non solo sanati, ma anche salvati, vivendo l'atteggiamento del "Grazie", Gesù proclama una parabola sulla necessità di pregare sempre senza stancarsi.?
Sulla parabola non mi soffermo a lungo, perché è semplice nella sua struttura.?
I personaggi sono due: un giudice e una vedova.?
Da un lato vi è una persona senza scrupoli, che evita di fare giustizia, interessandosi solo dei propri comodi.?
Dall'altra, una povera vedova che è indifesa, ma che possiede una dote speciale: l'insistenza.?
La parabola si chiude con il giudice che accorda giustizia alla vedova, non perché ne ha voglia, ma per non essere più importunato.?
Se il giudice ha agito così nei confronti della vedova, tanto più Dio farà giustizia a coloro che lo invocheranno giorno e notte, anche se sembra all'apparenza assente, distante, lontano dalla nostra vita.?
Poi vi è la domanda finale che ci fa rimanere allibiti: ma il Figlio dell'uomo quando verrà, troverà ancora la fede sulla terra?
Bastano questi accenni per farci riflettere sull'importanza della preghiera.
La preghiera è in primo luogo un dialogo con Dio e ognuno ha il suo modo di pregare.?La preghiera non è fatta solo di formule, pure importanti, ma è un atto spontaneo ed è vissuta soprattutto nel silenzio.
Il luogo più consono è certamente la Chiesa, ma ogni ambiente può diventare ideale per la nostra preghiera.
I momenti più adatti sono sicuramente il mattino e la sera, tuttavia anche durante il giorno è bello ogni tanto fermarsi e alzare gli occhi verso Dio.?
La preghiera è lo specchio di ciò che sono, per cui la mia vita si trasforma in preghiera.?
Ogni preghiera ha senso solo se noi per primi siamo in grado di mettere in atto ciò che affermiamo.
Non possiamo pregare per la pace nel mondo o per la giustizia, quando coviamo odio e rancore verso gli altri o ci stiamo comportando con atteggiamenti ingiusti.
Sono convinto come, sia nella preghiera, sia nei rapporti interpersonali, sia importante insistere, tentare ancora e comunque pazientare.
Occorre anche saper aspettare il momento opportuno per trovare il varco, per incontrare l'altro o, comunque, pregando incessantemente nel caso del rapporto con Dio.
Nella prima lettura, Mosè finché ha le braccia alzate verso il cielo riesce a vincere la guerra, mentre quando le abbassa, perde. ?Non so se a voi capita, ma sono convinto che i momenti di maggior smarrimento avvengono quando preghiamo poco e pensiamo alla terra e non al cielo!!?
E poi vi è la frase finale di Gesù, ossia se rimarrà ancora fede sulla terra.
E' una domanda che mi pongo spesso, perché la realtà che ci circonda non è così facile e le nostre Chiese si stanno svuotando.?
Però, Gesù non parla di strutture, ma di trovare la fede sulla terra.?
E allora capisco che la fede è un dono talmente bello che rimarrà sempre, perché è aver fiducia in un Dio che ci ha donato la vita per amore.
?Per questo prego con insistenza Dio perché, come oggi capita in molti campi, o riusciamo a insistere un po' di più o altrimenti non riusciamo a ottenere nulla!?
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21/10/2013 08:08
 
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Riccardo Ripoli
Tenetevi lontano da ogni cupidigia

Le persone sono buffe perché freneticamente corrono tutta la vita per accaparrasi quanto più sia possibile. Se uno possiede una macchina lavorerà moltissimo pur di averne una più bella, se già possiede una casa si affaticherà al massimo per averne una più grande, e che dire del conto in banca? Cupidigia, accaparramento, non sapersi accontentare, non sapersi fermare. Pensare che tutto sarà eterno ci porta a sudare dalla mattina alla sera senza fermarsi, senza assaporare la vita, senza nemmeno poter godere il frutto delle nostre fatiche, ma soprattutto senza depositare nulla nel conto corrente del cielo. Eppure la vita si fermerà anche per noi e tutto quello che avremo accaparrato sarà di altri, anzi capita spesso che in molti, talvolta anche i figli, non vedono l'ora che noi moriamo per potersi impadronire di quanto abbiamo messo da parte. Oggigiorno siamo tutti ecologisti, preserviamo l'ambiente, ci scandalizziamo se qualcuno lascia una cartaccia nel bosco, ed è un bene avere questo tipo di coscienza, ma siamo stolti perché proteggiamo la natura, ma da essa non impariamo assolutamente nulla. Avete mai visto una volpe avere due tane, uno scoiattolo o una formica accumulare cibo oltre a quello che possa servirgli per trascorrere l'inverno, oppure un leone che voglia dominare su due o più territori? Ogni animale istintivamente si procura quello di cui necessita ed utilizza il tempo che gli rimane per giocare, riposare, stare con i propri figli. Noi uomini a questo dovremmo aggiungere che potremmo dedicare parte della nostra vita, del nostro tempo alle persone che per varie ragioni non riescono ad avere quello che noi siamo riusciti ad ottenere. Ci avanza del denaro? Anziché comprare la seconda casa diamo un tetto a chi è costretto a dormire sotto i ponti. Quanti progetti si potrebbero fare con un po' di soldi, con gli avanzi di tante persone, spiccioli per molti, cambiamento di vita per altri.
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22/10/2013 08:03
 
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Eremo San Biagio
Commento su Efesini 2,19

Voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio
Ef 2,19

Come vivere questa Parola?

L'autore della Lettera agli Efesini continua a descrivere, ancora con accenti lirici (cf Ef 2,14-18), il modo in cui la grazia di Dio è stata offerta a tutti, pagani o circoncisi, indistintamente; perché tutti siamo stati chiamati e, un tempo lontani, ora siamo diventati vicini, grazie al sangue di Cristo. Sulla croce egli ci ha riconciliati con Dio e tra di noi, ha portato la pace, ai lontani e ai vicini, e così ci ha resi tutti concittadini e familiari, un'unica famiglia, come un unico tempio santo, abitazione di Dio in mezzo ai popoli della terra.

Ogni muro divisorio dell'ostilità, quindi, è stato abbattuto, non ci sono più né stranieri né ospiti. Né extracomunitari, naufraghi, profughi..., muraglie di cemento armato? Sembra che ogni momento storico ne crei dei nuovi lontani, delle mura divisorie sempre meno scavalcabili.

È proprio per questo, però, che noi, resi vicini a Dio, rappacificati ed edificati sulle solide fondamenta, siamo chiamati a continuare quella costruzione ben ordinata del tempio del Signore in cui ogni persona possa trovare pace e calore di famiglia. È per questo che le nostre vesti vanno sempre tenute strette ai fianchi e le lampade accese (cf Lc 12,35): per rimetterci prontamente, a qualsiasi ora, all'opera difficile e responsabile della ri-costruzione di casa-famiglia accogliente. Dove a tavola passa a servire il Signore stesso, offrendoci abbondanza di pace, di bontà, di misericordia... - se stesso!

Vieni, Signore, ad abbattere le mura che ancora sbarrano l'accesso al tuo tempio santo. Infondi nel nostro cuore la tua pace e rendici tuoi collaboratori attenti e vigili.

Dal libro dei Proverbi (24,3-4)

Con la sapienza si costruisce una casa,
e con la prudenza la si rende salda;
con la scienza si riempiono le sue stanze
di tutti i beni preziosi e deliziosi.
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23/10/2013 07:31
 
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Noi siamo sempre avidi di gioia e di privilegi, ma il Signore ci mette in guardia affinché non sbagliamo strada. Certo, Gesù ci promette la gioia, e ci dà molta gioia anche in questa vita, dimostrandoci il suo amore; ma il suo è un amore vero e perciò esigente. Nel Vangelo la domanda di Pietro rivela la tentazione, possiamo dire normale, di ogni cuore umano che si sente privilegiato dal Signore e che, proprio per questo, ritiene che a lui sia lecito lasciarsi andare un po'. Infatti, dopo aver ascoltato questa parabola sulla necessità di essere pronti, sempre vigilanti, Pietro domanda al Signore: "Questa parabola la dici per noi o per tutti?". Noi siamo privilegiati, possiamo stare tranquilli è questo, in fondo il senso della sua domanda siamo i tuoi discepoli, ci hai detto che abbiamo autorità sugli altri, il nostro posto è migliore di quello di chiunque! E questo è vero, ma nel senso che il posto di Pietro e degli Apostoli è un posto che esige di più, perché la loro è un'autorità di servizio e non un privilegio da cui far derivare vantaggi personali, a soddisfazione del proprio egoismo.
Sempre l'egoismo tenta di infiltrarsi nei nostri pensieri e sempre è necessaria la lotta per respingerlo, sempre dobbiamo, come scrive san Paolo, liberarci dalla schiavitù del peccato per metterci al servizio di Dio, diventare "servi della giustizia". E un servizio libero, ma esigente, dell'esigenza del vero amore.
L'evangelista descrive la festa dell'egoismo. Il padrone tarda a venire e il capo dei servi comincia "a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi": è il festino sognato dall'egoista. La festa della carità è tutto il contrario e riempie il cuore di una pura gioia, perché ognuno non pensa a gioire ma a dare gioia agli altri, a darsi da fare in ogni modo per rendere più facile la gioia di tutti. Così chi è posto in autorità adempie la volontà del Signore.
"A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più". Sono parole che fanno capire il desiderio di Dio: egli ci dà molto per ricevere molto. Questo non vuol certamente dire che Dio cerca il proprio interesse, ma che vuole che portiamo frutto e che il nostro frutto rimanga.
Ringraziamo il Signore e siamogli riconoscenti per i suoi doni e chiediamogli che approfondisca in noi il senso del servizio, nella reciproca carità.
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24/10/2013 07:43
 
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a cura dei Carmelitani


1) Preghiera

Dio onnipotente ed eterno,
crea in noi un cuore generoso e fedele,
perché possiamo sempre servirti con lealtà
e purezza di spirito.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Luca 12,49-53
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!
C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!
Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. D'ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre;
padre contro figlio e figlio contro padre,
madre contro figlia e figlia contro madre,
suocera contro nuora e nuora contro suocera".


3) Riflessione

? Il vangelo di oggi ci riporta alcune frasi di Gesù. La prima, sul fuoco sulla terra, c'è solo in Luca. Le altre hanno frasi più o meno parallele in Matteo. Ciò ci riporta al problema dell'origine della composizione di questi due vangeli un problema che si risolverà in pieno solo quando potremo conversare con Matteo e Luca, dopo la nostra risurrezione!
? Luca 12,49-50: Gesù è venuto a portare fuoco sulla terra. "Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sarà compiuto!" L'immagine del fuoco ricorre spesso nella Bibbia e non ha solo un significato. Può essere l'immagine della devastazione e del castigo, e può anche essere l'immagine della purificazione e dell'illuminazione (Is 1,25; Zc 13,9). Può anche evocare protezione come appare in Isaia: "Se dovrai attraversare il fuoco, sarò con te" (Is 43,2). Giovanni Battista battezzava con acqua, ma dopo di lui Gesù battezzò con il fuoco (Lc 3,16). Qui l'immagine del fuoco è associata all'azione dello Spirito Santo che scende il giorno di Pentecoste sull'immagine delle lingue di fuoco (At 2,2-4). Immagini e simboli non hanno mai un senso unico, totalmente definito, che non permette divergenze. In questo caso non sarebbe né immagine né simbolo. E' proprio del simbolo provocare l'immaginazione degli auditori e degli spettatori. Lasciando libertà agli auditori, l'immagine del fuoco combinata con l'immagine del battesimo indica la direzione verso cui Gesù vuole che la gente volga la sua immaginazione. Il battesimo è associato con l'acqua ed è sempre l'espressione di un impegno. In un altro punto, il battesimo appare come il simbolo dell'impegno di Gesù con la sua passione: "Potete essere battezzati con il battesimo con cui io sono battezzato?" (Mc 10,38-39).
? Luca 12,51-53: Gesù è venuto a portare la divisione. Gesù parla sempre di pace (Mt 5,9; Mc 9,50; Lc 1,79; 10,5; 19,38; 24,36; Gv 14,27; 16,33; 20,21.26). Ed allora, come capire la frase del vangelo di oggi che sembra dire il contrario: "Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione". Questa affermazione non significa che Gesù fosse a favore della divisione. No! Gesù non voleva la divisione. Ma l'annuncio della verità di cui Gesù di Nazaret era il Messia diventò motivo di molta divisione tra i giudei. Nella stessa famiglia o comunità, alcuni erano a favore ed altri radicalmente contro. In questo senso, la Buona Novella di Gesù era realmente una fonte di divisione, un "segno di contraddizione" (Lc 2,34) o come diceva Gesù: "si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera". Era ciò che stava succedendo, di fatto, nelle famiglie e nelle comunità: molta divisione, molta discussione, come conseguenza della Buona Novella tra i giudei di quell'epoca, alcuni accettando, altri negando. Lo stesso valeva per l'annuncio della fraternità quale valore supremo della convivenza umana. Non tutti erano d'accordo con questo annuncio, poiché preferivano mantenere i loro privilegi. Per questo, non avevano paura di perseguire coloro che annunciavano la condivisione e la fraternità. Questa era la divisione che sorgeva e che era all'origine della passione e morte di Gesù. Era ciò che stava avvenendo. Gesù vuole l'unione di tutti nella verità (cf. Gv 17,17-23). Ancora oggi è così. Molte volte lì dove la Chiesa si rinnova, l'appello della Buona Novella diventa un "segno di contraddizione" e di divisione. Persone che per anni hanno vissuto ben comode nella routine della loro vita cristiana, non vogliono essere più scomodate dalle "innovazioni" del Concilio Vaticano II. Scomodate dai mutamenti, usano tutta la loro intelligenza per trovare argomenti in difesa delle loro opinioni e per condannare i mutamenti considerandoli contrari a ciò che pensano essere la loro vera fede.


4) Per un confronto personale

? Cercando l'unione, Gesù era causa di divisione. Oggi succede questo con te?
? Come reagisco dinanzi ai mutamenti nella Chiesa?


5) Preghiera finale

Esultate, giusti, nel Signore:
ai retti si addice la lode.
Lodate il Signore con la cetra,
con l'arpa a dieci corde a lui cantate. (Sal 33)
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25/10/2013 05:51
 
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La presenza del male nel cuore dell'uomo è una cosa terribile, che san Paolo ci descrive e che il Signore ci mostra chiamandoci ipocriti. L'uomo da solo è incapace di fare il bene, anche se lo ama e lo desidera: "C'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo". Da solo, l'uomo tende al male. Molto spesso le buone intenzioni conducono soltanto ad azioni malvage. L'uomo ha il desiderio dell'amore, che è la cosa migliore del mondo, ma in nome dell'amore noi vediamo ogni giorno famiglie distrutte, bambini abbandonati... Il desiderio di giustizia è cosa splendida nel cuore dell'uomo, ma in nome della giustizia quante volte si commettono violenze che conducono ad ingiustizie peggiori di quella a cui si voleva riparare! Anche il desiderio di perfezione è una cosa bella nel cuore dell'uomo, ma se egli pretende di realizzarlo da solo, commette il peccato del fariseo: "Io sono buono, io non sono come...". Tutto questo desiderio di bene che riempie il cuore dell'uomo è reso vano dall'orgoglio, dall'ambizione, dall'egoismo; ogni buona azione finisce per nutrire la compiacenza di sé.
L'uomo non può da solo compiere il bene che desidera. Abbiamo bisogno di un salvatore, di qualcuno che ci salvi non una volta, ma che sia sempre con noi, che sia sempre presente in noi, per salvarci in ogni nostra azione. Nessuna azione possiamo compiere da soli, perché sarebbe inevitabilmente viziata dal male. Se invece la facciamo con il nostro salvatore, aiutati da lui, con la sua ispirazione, diventa veramente una buona azione, che non ci rende orgogliosi ma ci stabilisce nell'umiltà, perché sappiamo di non poterla attribuire a noi stessi, ma solamente alla sua grazia.
Domandiamo a Gesù che ci faccia il grande dono di essere contenti della nostra incapacità a compiere il bene, perché questa consapevolezza ci spinge ad unirci sempre più a lui, nostro salvatore e nostra forza.
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26/10/2013 07:43
 
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a cura dei Carmelitani


1) Preghiera

Dio onnipotente ed eterno,
crea in noi un cuore generoso e fedele,
perché possiamo sempre servirti con lealtà
e purezza di spirito.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Luca 13,1-9
In quel tempo, si presentarono a Gesù alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici.
Prendendo la parola, Gesù rispose: "Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Siloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme?
No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo".
Disse anche questa parabola: "Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: Ecco, son tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno? Ma quegli rispose: Padrone, lascialo ancora quest'anno, finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l'avvenire; se no, lo taglierai".


3) Riflessione

? Il vangelo di oggi ci dà informazioni che ci sono solo nel vangelo di Luca e non hanno passaggi paralleli negli altri vangeli. Stiamo meditando il lungo cammino dalla Galilea fino a Gerusalemme che occupa quasi la metà del vangelo di Luca, dal capitolo 9 fino al capitolo 19 (Lc 9,51 a 19,28). In questa parte Luca colloca la maggior parte delle informazioni che ottiene sulla vita e l'insegnamento di Gesù (Lc 1,1-4).
? Luca 13,1: L'avvenimento che richiede una spiegazione. "In quel tempo, si presentarono a Gesù alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici". Quando leggiamo i giornali o quando assistiamo alle notizie in TV, riceviamo molte informazioni, ma non sempre capiamo tutto il loro significato. Ascoltiamo tutto, ma non sappiamo bene cosa fare con tante informazioni e con tante notizie. Notizie terribili come lo tsunami, il terrorismo, le guerre, la fame, la violenza, il crimine, gli attentati, ecc.. Così giunse a Gesù la notizia dell'orribile massacro che Pilato, governatore romano, aveva fatto con alcuni pellegrini samaritani. Notizie così ci scombussolano. Ed uno si chiede: "Cosa posso fare?" per calmare la coscienza, molti si difendono e dicono: "E' colpa loro! Non lavorano! E' gente pigra!" Al tempo di Gesù, la gente si difendeva dicendo: "E' un castigo di Dio per i peccati!" (Gv 9,2-3). Da secoli si insegnava: "I samaritani non dicono il vero. Hanno una religione sbagliata!" (2Rs 17,24-41)!
? Luca 13,2-3: La risposta di Gesù. Gesù ha un'opinione diversa. "Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali cadde la torre di Siloe che li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo". Gesù aiuta le persone a leggere i fatti con uno sguardo diverso ed a trarne una conclusione per la loro vita. Dice che non è stato un castigo di Dio. Al contrario. "Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo". Cerca di invitare alla conversione ed al cambiamento.
? Luca 13,4-5: Gesù commenta un altro fatto. O quei diciotto, sopra i quali cadde la torre di Siloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? Deve essere stato un disastro di cui si parlò molto in città. Un temporale fece cadere la torre di Siloe uccidendo diciotto persone che si stavano riparando sotto di essa. Il commento normale era: "Castigo di Dio!" Gesù ripete: "No vi dico, ma se non vi convertite perirete tutti allo stesso modo". Loro non si convertirono, non cambiarono, e quaranta anni dopo Gerusalemme fu distrutta e molta gente morì uccisa nel Tempio come i samaritani e molta più gente morì sotto le macerie delle mura della città. Gesù cerco di prevenire, ma la richiesta di pace non fu ascoltata: "Gerusalemme, Gerusalemme!" (Lc 13,34). Gesù insegna a scoprire le chiamate negli avvenimenti della vita di ogni giorno.
? Luca 13,6-9: Una parabola per fare in modo che la gente pensi e scopra il progetto di Dio. "Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: Ecco, son tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno? Ma quegli rispose: Padrone, lascialo ancora quest'anno, finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l'avvenire; se no, lo taglierai". Molte volte, la vigna è usata per indicare l'affetto che Dio ha verso il suo popolo, o per indicare la mancanza di corrispondenza da parte della gente all'amore di Dio (Is 5,1-7; 27,2-5; Jr 2,21; 8,13; Ez 19,10-14; Os 10,1-8; Mq 7,1; Gv 15,1-6). Nella parabola, il padrone della vigna è Dio Padre. L'agricoltore che intercede per la vigna è Gesù. Insiste con il Padre di allargare lo spazio della conversazione.


4) Per un confronto personale

? il popolo di Dio, la vigna di Dio. Io sono un pezzo di questa vigna. Mi applico la parabola. Quali conclusioni ne traggo?
? Cosa ne faccio delle notizie che ricevo? Cerco di avere un'opinione critica, o continuo ad avere l'opinione della maggioranza e dei mezzi di comunicazione?


5) Preghiera finale

Chi è pari al Signore nostro Dio
che si china a guardare
nei cieli e sulla terra?
Solleva l'indigente dalla polvere,
dall'immondizia rialza il povero. (Sal 112)
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27/10/2013 07:32
 
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La scoperta della propria piccolezza: il cuore della Missione!

In cammino verso Gerusalemme, il centro del potere politico e religioso che affama la gente di Galilea, Gesù racconta a chi si sente a posto e arrivato una storia presa dalla vita, che può fare breccia nei cuori dei farisei perché li provoca nel vivo!

Il loro nome vuol dire i "separati" dalla gente, perché il senso di superiorità e rispetto minuzioso delle regole, li fa sentire migliori degli altri. Un rischio molto forte per noi missionari-farisei! Nei giudizi sulla nostra gente non risparmiamo critiche feroci che nascondono un considerarci su un piano rialzato. E invece quanto cammino dobbiamo fare proprio noi che siamo così spesso "separati" dalle gioie e speranze, tristezze e angosce della gente!

Nella preghiera al tempio il fariseo sta in piedi per farsi vedere e ringrazia Dio per essere diverso dagli altri. Si mette in confronto, è concentrato su di sé, si auto elogia per i suoi meriti, pensando così di comprare la benevolenza di Dio per lui. Ma in fondo il suo Dio è se stesso, così al di sopra degli altri.

Ai nostri cristiani di Abéché, la "città faro dell'Islam" in Ciad, non passa proprio nel cuore e nella testa di fare confronti. Né con i musulmani né con altri. Guardano a sé, come il pubblicano che resta a distanza perché si sente indegno. Non osano fare elogi di sé, semmai il contrario. Riconoscendo la loro piccolezza chiedono nella semplicità acqua, pane, salute e lavoro. L'essenziale, senza tanti fronzoli.
E il perdono soprattutto! Delle molte cadute nel cammino e dell'adagiarsi naturale sulle logiche e mentalità della società che mira ai soldi, prestigio, potere e successo.

Come riconoscono i fratelli e sorelle musulmani che in questi giorni hanno festeggiato il "Tabaski", la festa
del sacrificio di Abramo.I pochi ciadiani che hanno potuto, sono partiti al grande pellegrinaggio alla Mecca,
per riconciliarsi con Allah e ritornare all'alleanza originaria, rappresentata dalla pietra nera della Mecca.

I nostri cristiani non sono così zelanti nel pagare la decima che potrebbe far funzionare bene tutta la
comunità. Anzi è un tasto dolente la coscienza profonda di far parte di una comunità che deve prendersi in
mano anche a livello materiale e provare la dignità di vivere la propria fiducia in Dio. Il dare con generosità e il
mettere in comune stentano ancora. Ogni gruppo tende a concentrarsi su di sé, perdendo di vista l'orizzonte dell'oltre, della comunità e più in là ancora. Lo slancio missionario e il guardare fuori di sé, verso il mondo musulmano che ci circonda non è evidente. Le ferite di una guerra per il potere lunga trent'anni, che hanno provato a dipingere di religiosa, bruciano ancora sulla pelle viva del popolo ciadiano.

E il digiuno? Ma quale digiuno per gente che digiuna forzatamente da una vita! In pieno Sahel il cibo non è
mai scontato. Come l'acqua, che i bambini vanno a prendere scavando nella sabbia degli wadi, i ruscelli,
ormai secchi e che caricano sugli asini per portare in città e guadagnare qualcosa. Ma i prezzi al mercato
sono alle stelle."Prima non era così" mi racconta Joachin, leader della comunità cristiana, da ventiquattro anni ad Abéché."Il cibo era accessibile. Ma quando sono arrivati gli organismi internazionali, le ong e la Minurcat, la forza multinazionale di pace, per la sicurezza della regione e l'accoglienza dei profughi dal Darfur, i prezzi sono volati. E' dura vivere ogni giorno così".

Non sono un modello i nostri cristiani "nomadi" di Abéché. Vengono dal sud per lavoro e non sono originari
di qui. Ma resistono assieme, lontani dalla propria terra e spesso dalle famiglie, in condizioni dure di vita e
di contesto non certo semplice. Ma sono consapevoli della propria piccolezza e dei propri limiti e questa è
la vera preghiera! Quella che fa verità con sé stessi e con gli altri. Quella che non ha pretese, che non si
sente dalla parte giusta, che non fa confronti e non può permettersi di disprezzare gli altri. Il vero dialogo
con Dio che innalza i piccoli e abbassa i grandi. Il Dio che ribalta le logiche umane e il corso della storia,
nonostante tutto.

"Credo nella potenza vera della preghiera "diceva Daniele Comboni ai suoi missionari. Quella bomba atomica di una relazione profonda con Gesù di Nazaret, che fa ti sentire talmente amato al punto che nulla può fermarti. Neanche la morte. "Io muoio ma la mia opera non morirà "dirà ai suoi missionari sul letto di morte. Carica e passione missionaria alimentano ancora il cuore di tanti che nel mondo provano il sogno di Dio, cercando di fare verità, mettendo da parte, con grande fatica, la presunzione di essere a posto e la tentazione di disprezzare gli altri. Per dire con il pubblicano:"Dio, abbi misericordia di me peccatore!"

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28/10/2013 07:29
 
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Eremo San Biagio
Commento su Efesini 2,21

In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito.
Ef 2,21

Come vivere questa parola?

Oggi festeggiamo gli apostoli Simone, chiamato zelota e Giuda di Giacomo.

Il Vangelo ci racconta che Gesù ha passato la notte in preghiera, in comunione con il Padre prima di chiamare per nome uno per uno, dodici fra i discepoli. È una scelta autorevole che forse sorprende. La missione che Gesù stesso ha ricevuto, un mandato universale, viene consegnato a uomini piuttosto modesti di doti, la maggioranza semplici pescatori.

Questo è lo stile di Dio: prende ciò che è piccolo e umile, forse per assicurare che l'uomo non può vantarsi del progetto come una sua creazione; e forse anche per rivelare il progetto poco per volta secondo la capacità dell'uomo di accoglierlo, rispettando la sua libertà. La chiamata non è pegno di fedeltà; questa dipende in gran parte dalla libertà di ciascuno. Fin dall'inizio, la Chiesa è nelle mani di uomini che cercano comunione con Dio e fra di loro ma sono anche capaci di negare e tradire Cristo. Pur tuttavia, la Chiesa nasce da Dio, dalla comunione fra Gesù e il Padre e la forza e lo sviluppo della Chiesa è sempre opera di Dio.

Nella mia pausa di contemplazione mi situo fra la folla che si accosta per ascoltare Gesù e essere guarita. Egli mi guarda nel cuore, mi chiama e mi sento attratto da lui e gradualmente entro in comunione di vita con lui, diventando anch'io suo discepolo.

Signore Gesù, insegnami a pregare, a parlare con te nell'intimo del cuore, a lasciarmi amare da te!

La voce di un grande guida spirituale

Lo Spirito è dentro di noi, è la forza di Gesù operante in noi. E' lui che guida la Chiesa di tutti i tempi perché riviva le intenzioni di Gesù e compia il suo stessocammino. Che è soprattutto una via di povertà, di umiltà, di distacco.
Carlo Maria Martini
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29/10/2013 07:38
 
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Movimento Apostolico - rito romano
A che cosa posso paragonare il regno di Dio?

Possiamo comprendere secondo pienezza di verità la parabola del granello di senape, lasciandoci aiutare da un brano tratto dal profeta Osea.

Torna dunque, Israele, al Signore, tuo Dio, poiché hai inciampato nella tua iniquità. Preparate le parole da dire e tornate al Signore; ditegli: «Togli ogni iniquità, accetta ciò che è bene: non offerta di tori immolati, ma la lode delle nostre labbra. Assur non ci salverà, non cavalcheremo più su cavalli, né chiameremo più "dio nostro" l'opera delle nostre mani, perché presso di te l'orfano trova misericordia». «Io li guarirò dalla loro infedeltà, li amerò profondamente, poiché la mia ira si è allontanata da loro. Sarò come rugiada per Israele; fiorirà come un giglio e metterà radici come un albero del Libano, si spanderanno i suoi germogli e avrà la bellezza dell'olivo e la fragranza del Libano. Ritorneranno a sedersi alla mia ombra, faranno rivivere il grano, fioriranno come le vigne, saranno famosi come il vino del Libano. Che ho ancora in comune con gli idoli, o Èfraim? Io l'esaudisco e veglio su di lui; io sono come un cipresso sempre verde, il tuo frutto è opera mia». Chi è saggio comprenda queste cose, chi ha intelligenza le comprenda; poiché rette sono le vie del Signore, i giusti camminano in esse, mentre i malvagi v'inciampano (Os 14,2-10).

Il regno dei cieli è questo piccolissimo seme perennemente irrorato dal Signore. Poiché Dio riversa su di esso tutta l'abbondanza della sua grazia e verità, il seme altro non può divenire se non un grande albero. È questa la stupenda realtà del regno di Dio. La sua vitalità non è nell'uomo, nelle cose che lui fa. Essa è solo nel suo Dio e Signore. È come se il Signore stesso fosse il germe vitale del seme ed anche l'acqua, il sole, ogni altro elemento per la sua crescita armoniosa.

All'uomo è chiesta una cosa sola: seminare la parola del Signore, questo seme incorruttibile dal quale nasce il regno di Dio. Quando la pastorale smette di seminare il buon seme della parola, essa è in tutto simile ad un contadino che anziché seminare il buon seme, si reca in una cava di sabbia, riempie il suo sacco e poi va a spargerla nei suoi campi. Può anche lavorare, sudare, consumare ogni sua energia. Dal suo campo mai spunterà un solo stelo di buon grano. Lui non lo ha seminato. Ha sparso solo sabbia. Se un contadino non arriva mai a tanta stoltezza, a meno che non sia completamente fuso di mente e di cuore, perché i pastori lo fanno, seminando parole umane, anziché solo Parola di Dio nei cuori? Non è forse questa grande insipienza?

Per la lettura della seconda parabola, quella del lievito, ci serviremo di un pensiero di San Paolo. Esso lo manifesta sia nella Prima Lettera ai Corinzi che in quella ai Galati.

Non è bello che voi vi vantiate. Non sapete che un po' di lievito fa fermentare tutta la pasta? Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità (1Cor 5,6-8).

Correvate così bene! Chi vi ha tagliato la strada, voi che non obbedite più alla verità? Questa persuasione non viene sicuramente da colui che vi chiama! Un po' di lievito fa fermentare tutta la pasta. Io sono fiducioso per voi, nel Signore, che non penserete diversamente; ma chi vi turba subirà la condanna, chiunque egli sia. Quanto a me, fratelli, se predico ancora la circoncisione, perché sono tuttora perseguitato? Infatti, sarebbe annullato lo scandalo della croce. Farebbero meglio a farsi mutilare quelli che vi gettano nello scompiglio! (Gal 5,7-12).

Come il lievito del male riesce a corrompere una intera comunità, così dobbiamo pensare anche per il lievito del bene. Esso ha però bisogno di tanta perseveranza.
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30/10/2013 06:30
 
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Il Vangelo di oggi ci dà un'impressione di severità. Gesù non risponde alla domanda che gli è stata rivolta:
"Signore, sono pochi quelli che si salvano?", non dice se sono pochi o tanti, ma esorta: "Sforzatevi di entrare per la porta stretta...". Perché non risponde? Per una preoccupazione d'amore. Chi gli domanda se i salvati sono pochi si mette su un piano teorico, di speculazione, e Gesù non vuol lasciarlo in questa attitudine di staticità, l'attitudine di chi non si dà da fare ma si accontenta di guardare da lontano. Egli vuol mettere i suoi ascoltatori in movimento perché entrino nell'amore di Dio. Invece di domandarsi se saranno pochi o tanti a salvarsi, bisogna ed è questo il desiderio del cuore di Gesù che ognuno si sforzi di entrare nel piano di Dio, di corrispondere all'amore che lo chiama: così quelli che si salvano saranno molti.
"Sono pochi quelli che si salvano?". Se Gesù avesse risposto: "Anzi, sono molti!", si sarebbero messi tranquilli, dicendosi: "I salvati saranno tanti! Non è il caso di prendersela troppo!"; se avesse risposto: "Sì, sono pochi! " sarebbero rimasti bloccati: "Se sono pochi, io non sarò certamente uno di loro!" e avrebbero mancato di fiducia e di generosità. Ora, Gesù non vuole né il primo né il secondo atteggiamento. Egli desidera accendere in noi il fuoco dell'amore e impegnarci a corrispondere con tutte le nostre forze all'amore di Dio.
"Sforzatevi di entrare". È l'inquietudine dell'amore che glielo fa dire; se non desiderasse che tutti entriamo non parlerebbe così. Ed è ancora l'inquietudine dell'amore che gli fa usare parole severe, che lo spinge a farci conoscere quale rischio corriamo se non siamo fedeli ai suggerimenti dello Spirito in noi. Egli ci fa vedere quello che accadrebbe, proprio perché non accada. E alla fine si direbbe che Gesù lasci traboccare dal suo cuore il suo ardente desiderio, che vede realizzato:
"Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio". Ecco dunque: anche nella severità di questo Vangelo noi riconosciamo Gesù, il suo amore, il desiderio della nostra salvezza, per la quale è venuto a morire.
Nella lettera di Paolo ai Romani contempliamo il disegno divino: "Quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo". Così si esprime la traduzione, ma il senso vero è: "Destinati ad assomigliare al Figlio suo".
È il suo Figlio prediletto, nel quale Dio ha posto tutto il suo amore, tutte le sue compiacenze, e vuole che noi gli assomigliamo per poterci amare, per amarci in Cristo e con lui. E tutto è ordinato al compimento di questo disegno: "Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio", che sono chiamati secondo il suo disegno di amore. E un pensiero di Dio stabilito da sempre: egli ci ha "predestinati", vale a dire destinati dal principio ad assomigliare al Figlio. "Quelli che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati". Ecco il disegno di Dio per noi. Un disegno che deve suscitare la nostra ammirazione, la nostra meraviglia e diventare in noi sorgente di fiducia e di generosità costanti. Dio ci ama, vuole che siamo perfetti, santi, uniti a lui in comunione strettissima. E fa tutto quello che è necessario perché il suo progetto diventi realtà. Sempre Dio pensa a questo suo disegno e ci ispira quello che dobbiamo fare per progredire in questa via, ci dà la forza, ci dà la luce, ci dà il desiderio di corrispondere ai suoi doni.
Un progetto così grandioso è evidentemente al di fuori di ogni possibilità umana: noi non possiamo pretendere di realizzare in noi la somiglianza con Gesù. Ma Dio ci dà il desiderio e lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza per esprimere questo anelito: "Lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili". Così incomincia a realizzarsi la nostra santità, quando ci rendiamo conto che è al di là delle nostre capacità e lasciamo che lo Spirito Santo gema in noi, perché siamo deboli, perché siamo poveri, ma con grande fiducia che Dio, il quale ci ha predestinati ad assomigliare al Figlio, vuol lavorare in noi attraverso la sofferenza del desiderio e poi nella generosità del compimento.
Ringraziamo il Signore del suo meraviglioso disegno a riguardo di ciascuno di noi e siamo pieni di gioia e di fiducia che egli lo compirà se ci abbandoniamo a lui.
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