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MEDITIAMO LE SCRITTURE (Vol 5) Anno C

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2013 08:20
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30/08/2013 07:15
 
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San Paolo augurava ai Tessalomcesi il dono divino del progresso nell'amore e nella santità: "Il Signore vi faccia crescere e abbondare nell'amore". Questo dono divino va accolto attivamente e perciò è la lettura di oggi l'Apostolo invita i suoi cristiani a vivere in conformità con la grazia che ricevono continuamente.
Possiamo notare che la sua esortazione è permeata di meravigliosa delicatezza, una delicatezza che purtroppo la traduzione del lezionario non consente di apprezzare adeguatamente. Infatti il lezionario dice:
"Fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù", il che suggerisce da parte dell'Apostolo una viva preoccupazione di fronte a una situazione di grave necessità: non si supplica se non c'è un bisogno urgente. Invece Paolo non ha scritto "vi supplichiamo", ma semplicemente: "vi chiediamo e preghiamo", parole che lasciano intravedere un animo tranquillo. il seguito della lettera conferma pienamente la tranquillità dell'apostolo, perché dice: "Avete appreso da noi come comportarvi in modo da piacere a Dio, e così già vi comportate" (la parola usata da Paolo letteralmente è"camminare", una parola dinamica): "Avete appreso da noi come camminare in modo da piacere a Dio e così già camminate": siete in cammino, andate avanti. Quindi san Paolo riconosce che i Tessalonicesi sono sulla buona via e che progrediscono.
Il comportamento cristiano non è regolato da leggi astratte, ma viene dettato dal desiderio di piacere a una persona, cioè a Dio stesso. Questo dà un orientamento molto diverso: non conformarsi a una legge, ma cercare di piacere a una persona. È molto diverso.
Che cosa chiede allora Paolo? "Vi chiediamo e preghiamo dice letteralmente di "abbondare" di più". Già in precedenza aveva scritto: "Il Signore vi faccia crescere e abbondare nell'amore": è una grazia desiderata. A questa grazia bisogna corrispondere con un comportamento adeguato; si tratta allora di "abbondare di più". Questi termini sono molto caratteristici della mente e dell'animo di Paolo, che ha un temperamento dinamico e vuole quindi comunicare questo dinamismo ai suoi cristiani.
Effettivamente l'ideale cristiano non è evitare il peccato per sfuggire al castigo; è invece quello di progredire continuamente in una vita di fede e di amore. Chi cerca soltanto di evitare il peccato, si trova in un'atmosfera piuttosto deprimente, negativa e rischia molto di cadere, perché fissare l'attenzione soltanto sui peccati da evitare aumenta piuttosto la tentazione. Chi invece si preoccupa di andare avanti, di progredire, in modo positivo, evita senza pensarci il peccato, ne è preservato grazie al dinamismo della sua vita spirituale.
San Paolo poi insiste sulla santificazione. Abbiamo già visto che non separa mai carità e santità: l'amore cristiano è un amore santo, la santità cristiana è santità di amore. E in questo passo mette l'accento su un aspetto importante della santificazione cristiana, cioè la castità: "Questa è la volontà di Dio scrive la vostra santificazione: che vi asteniate dall'immoralità sessuale, che ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto".
San Paolo è realista nel suo apostolato; sa che l'immoralità sessuale è una tentazione forte, perché l'istinto sessuale ha una potenza tremenda. Per chi vive nella ricerca della propria felicità, la tentazione è quasi insuperabile; invece chi cerca di progredire nell'amore generoso normalmente supera questo genere di tentazione, che in fondo è una tentazione di egoismo particolare. E san Paolo insiste che l'immoralità sessuale non è compatibile con la relazione autentica con il Signore:
"La volontà di Dio è la vostra santificazione: che vi asteniate dall'immoralità sessuale". I cristiani non possono vivere da pagani, che non conoscono Dio; debbono avere rispetto per il proprio corpo e mantenerlo nella santità. E un atteggiamento molto positivo: non si tratta di una paura del sesso, ma di un rispetto del corpo e quindi di un uso del sesso che sia compatibile con la vocazione cristiana, con l'amore generoso, e non con la ricerca sfrenata del piacere.
"Dio dice Paolo non ci ha chiamati all'impurità, ma alla santificazione". Se Dio ci ha chiamati, ci dà la grazia, quindi possiamo vincere, dobbiamo vincere le tentazioni, possiamo avere la mentalità dei vincitori, una mentalità allegra, gioiosa, per niente triste o preoccupata.
Dio ci ha chiamati alla santificazione, perché abbiamo una relazione personale con lui: Dio è santo e ci vuole santi per la pienezza della nostra gioia. il messaggio di Paolo è esigente, però è un messaggio che ci guida alla pienezza della gioia.
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31/08/2013 07:35
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
I talenti, doni da fruttificare

Nell'attesa del Signore che viene non dobbiamo restare inoperosi e sfaccendati. Non ci è lecito neanche nascondere, con il pretesto di una falsa umiltà, nascondere il prezioso talento che il buon Dio ci ha affidato. Sin dalla creazione egli ha dotato l'uomo di doni particolari affinché diventi il custode e il continuatore della sua opera. Oltre però a quest'impegno che riguarda tutta l'umanità, ad ognuno di noi ha dato un certo numero di talenti, secondo un suo arcano disegno. I talenti sono i doni di anima e di corpo che ci rendono concretamente capaci di operare per la gloria di Dio e per il bene nostro e del nostro prossimo. Ai suoi occhi non è importante che noi stiamo ad arrovellarci il cervello per valutare quali e quanti sono i suoi doni, ciò che conta che tutti, pochi o tanti, siano messi doverosamente a frutto e ciò anche perché egli ci premia con la stessa misura sia se abbiamo fatto fruttificare un solo talento, sia se ne abbiamo moltiplicati cinque: «Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone». Il premio è la gioia, che ha una duplice manifestazione: sulla terra è la gratificazione che sgorga dall'operare il bene, nel cielo è la beatitudine eterna. Scopriamo poi che ancora una volta la fedeltà al Signore trae origine dall'amore che abbiamo verso di lui, come l'infedeltà ha le sue radici nel concezione erronea che abbiamo del nostro Dio e Signore: «Signore, - sono le parole del servo infedele - so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo». Forse sono ancora tanti che pensano a Dio come un uomo duro e troppo esigente per cui nei suoi confronti nutrono solo paura e non amore.
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01/09/2013 09:13
 
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don Alberto Brignoli
A partire dagli ultimi

Quando osservavo la gente in Bolivia contare con le dita della mano, all'inizio rimanevo perplesso e divertito. Sì, perché mentre noi contiamo dall'uno al cinque partendo dal pollice per arrivare al mignolo, laggiù contano nella maniera esattamente contraria, ossia partendo dal mignolo, il dito più piccolo, per arrivare al dito più grande. E credo che questo avvenga in diversi altri paesi del Sud del mondo. Del Sud del mondo, appunto. Quel Sud in cui chi è "primo" - perché numericamente più consistente e umanamente più significativo - non è "il più grande", ma esattamente il contrario, ovvero il più piccolo.
Forse - a me piace pensarlo così - anche Gesù contava a partire dal mignolo. E non perché fosse del Sud del mondo, ma perché era "piccolo", si era fatto piccolo, da grande che era. Non è nato piccolo, come molta gente in varie, troppe parti del mondo. Lui era nato grande, era grande per via della paternità da cui proveniva. Poi, in un lento processo di annullamento (di "kenosis", come viene definita in teologia, lo "svuotamento"), ha imparato a mettersi dalla parte degli ultimi e a farsi, appunto, ultimo e piccolo. Lo ha imparato pure lui, in tanti modi: anche partecipando - quando era invitato - a qualche banchetto in suo onore, offertogli certamente non da ultimi e poveri, ma da gente potente che bramava ascoltare il Maestro, fondamentalmente per metterlo alla prova, per "osservarlo", come dice il brano di Vangelo di oggi.
Ed egli non si fa attendere, e risponde allo sguardo di osservazione con uno sguardo di uguale intensità e attenzione: anch'egli osserva, osserva e nota come molti di essi scelgano i primi posti ai banchetti. Forse anche osservando i farisei, che tutto facevano meno che annullarsi e svuotarsi, Gesù apprende ad annullarsi e a farsi ultimo e povero, terminando questo suo cammino solo tre giorni prima di risorgere, sulla croce. E allora, è un gioco facile per l'evangelista mettere in bocca a Gesù, sulla scorta del suo "spogliare se stesso fino alla morte di croce", le espressioni della strana parabola di quest'oggi. Strana, perché non è la narrazione di un evento o di una storia di vita quotidiana: è il discorso rivolto in prima persona a coloro che erano suoi commensali, quasi a dire loro "Avete sbagliato a sedervi dove siete seduti, perché facendo così dimostrate ben poca umanità".
Che cosa c'entra l'essere "umani" con i primi posti ai banchetti? C'entra, eccome! Mettersi ai primi posti non è certo una lezione di umiltà: significa considerarsi i primi, i migliori, quelli degni di posti d'onore a fianco del padrone di casa. Certo, qualcuno che si sieda ai primi posti ci vuole: ma stai tranquillo che non sei tu - pare dirci il Signore - e comunque anche se sei tu, è scaltro e intelligente non farlo, per evitare di essere sbattuti indietro a causa di un commensale più importante di te. La chiave per essere umani, però, non sta in questo spostamento, magari fatto intenzionalmente per essere poi chiamati con orgoglio ad andare più avanti: la nostra umiltà sarebbe pelosa, la nostra intenzionalità diabolica.
Si è umani quando si rimane a contatto con la terra, con l "humus" da cui siamo provenuti e da cui ancora proviene ogni uomo. E come vi proviene, così vi ritorna. Qui serve però qualcosa che sappia di terra, che non ci faccia mai perdere il gusto delle cose "di lassù". Ecco la virtù dell'umiltà (stessa radice, guarda un po', di "humus" e di "umano"): chi si umilia sarà "esaltato", favoloso verbo ebraico e greco che indica la risurrezione. Perché non c'è morte eterna per chi è umile e sa di terra: è destinato a risorgere. Non così chi fa di tutto per assicurarsi una vita lunga, quasi eterna, senza difficoltà, grazie a potenti amicizie che condividano con lui i lussi di una vita mondana e gli agi di un'umanità storpiata ma che non si rende conto di esserlo.
Questi non risorgerà, perché continuerà a contare quante persone sono presenti al suo banchetto. E le conterà a partire dal pollice, dal più grande, fino agli insignificanti personaggi che possono anche - se vogliono - assistere al banchetto da fuori, tant'è, rimanendo fuori i giochi sono fatti.
Ma il Maestro ci stupisce di nuovo ed inizia a contare dal dito più piccolo, e allora al suo banchetto invita questi insignificanti rimasti fuori: poveri, storpi, zoppi, ciechi...quattro gruppi di persone.
Ne manca uno, per completare il conteggio con le dita di una mano...il quinto sei tu! Ma...su quale dito della mano ti trovi?
Se hai riempito la sala di gente che non ha nulla da darti in cambio, allora, in questo caso, va bene pure il pollice: al resto del banchetto, ci pensa lui.
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02/09/2013 07:11
 
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a cura dei Carmelitani


1) Preghiera

O Dio, nostro Padre,
unica fonte di ogni dono perfetto,
suscita in noi l?amore per te e ravviva la nostra fede,
perché si sviluppi in noi il germe del bene
e con il tuo aiuto maturi fino alla sua pienezza.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Luca 4,16-30
In quel tempo, Gesù si recò a Nazaret, dove era stato allevato; ed entrò, secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; apertolo trovò il passo dove era scritto: ?Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l?unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore?.
Poi arrotolò il volume, lo consegnò all?inserviente e sedette. Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui. Allora cominciò a dire: ?Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi?.
Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: ?Non è il figlio di Giuseppe??
Ma egli rispose: ?Di certo voi mi citerete il proverbio: Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria!? Poi aggiunse: ?Nessun profeta è bene accetto in patria. Vi dico anche: c?erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova in Sarepta di Sidóne. C?erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato se non Naaman, il Siro?.
All?udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio. Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò.


3) Riflessione

? Oggi iniziamo la meditazione del Vangelo di Luca, che si prolungherà tre mesi fino alla fine dell?anno liturgico. Il vangelo di oggi parla della visita di Gesù a Nazaret e della presentazione del suo programma alla gente della sinagoga. In un primo momento, la gente rimane ammirata. Ma, subito dopo, quando si rende conto che Gesù vuole accogliere tutti, senza escludere nessuno, la gente si ribella e vuole ucciderlo.
? Luca 4,16-19: La proposta di Gesù. Spinto dallo Spirito Santo, Gesù ritorna in Galilea (Lc 4,14) e inizia ad annunciare la Buona Notizia del Regno di Dio. Si reca nelle comunità, insegna nelle sinagoghe e giunge a Nazaret, dove era cresciuto. Ritorna nella comunità, dove ha partecipato fin da piccolo, per trenta anni. Il sabato, come era solito fare, Gesù si reca alla sinagoga per partecipare alla celebrazione e si mette in piedi per fare la lettura. Sceglie il testo di Isaia che parla di poveri, carcerati, ciechi e oppressi (Is 61,1-2). Questo testo rispecchia la situazione della gente della Galilea al tempo di Gesù. L?esperienza che Gesù aveva di Dio, Padre d?amore, gli dava uno sguardo nuovo per valutare la realtà. In nome di Dio, Gesù prende posizione in difesa della vita del suo popolo e, con le parole di Isaia, definisce la sua missione: (1) annunciare la Buona Notizia ai poveri, (2) proclamare ai prigionieri la liberazione, (3) ridare la vista ai ciechi, (4) restituire la libertà agli oppressi e, riprendendo l?antica tradizione dei profeti, (5) proclamare ?un anno di grazia da parte del Signore?. Gesù proclama l?anno del giubileo!
? Nella Bibbia, l? ?Anno del Giubileo? era una legge importante. Inizialmente, ogni sette anni (Dt 15,1; Lev 25,3) era necessario restituire le terre al clan delle origini. Così si impediva la formazione di latifondi e si garantiva alle famiglie la sopravvivenza. Bisognava perdonare anche i debiti e riscattare le persone rese schiave (Dt 15,1-18). Non fu facile realizzare l?anno del giubileo ogni sette anni (cf Ger 34,8-16). Dopo l?esilio, si decise di realizzarlo ogni cinquant?anni (Lev 25,8-12). L?obiettivo del Giubileo era, e continua ad essere, quello di ristabilire i diritti dei poveri, accogliere gli esclusi e reintegrarli nella convivenza. Il giubileo era uno strumento legale per ritornare al senso originale della Legge di Dio. Era un?occasione offerta da Dio per fare una revisione del cammino, scoprire e correggere gli errori e ricominciare tutto da capo. Gesù inizia la sua predicazione proclamando un Giubileo, ?Un anno di grazia da parte del Signore?.
? Luca 4,20-22: Unire Bibbia e Vita. Terminata la lettura, Gesù attualizza il testo di Isaia dicendo: ?Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi!? Assumendo le parole di Isaia come parole sue, Gesù da ad esse un senso pieno e definitivo e si dichiara messia che viene per adempiere la profezia. Questo modo di attualizzare il testo provoca una reazione di discredito da parte di coloro che si trovano nella sinagoga. Restano scandalizzati e non vogliono saperne nulla di lui. Non accettano che Gesù sia il messia annunciato da Isaia. Dicevano: ?Non è il figlio di Giuseppe?? Rimangono scandalizzati perché Gesù parla di accogliere i poveri, i ciechi e gli oppressi. La gente non accetta la proposta di Gesù. E così nel momento in cui presenta il progetto di accogliere gli esclusi, lui stesso è escluso.
? Luca 4,23-30: Superare i limiti della razza. Per aiutare la comunità a superare lo scandalo e farla capire che la sua proposta faceva parte della tradizione, Gesù racconta due storie conosciute della Bibbia, la storia di Elia e quella di Eliseo. Le due storie criticano la chiusura mentale della gente di Nazaret. Elia fu mandato alla vedova di Sarepta (1 Re 17,7-16). Eliseo fu mandato ad occuparsi dello straniero della Siria (2 Re 5,14). Spunta qui la preoccupazione di Luca che vuole mostrare che l?apertura verso la tradizione viene già da Gesù. Gesù ebbe le stesse difficoltà che stavano tenendo le comunità al tempo di Luca. Ma la chiamata di Gesù non calmò gli animi, anzi! Le storie di Elia e di Eliseo produssero ancora più rabbia. La comunità di Nazaret giunge al punto di voler uccidere Gesù. Ma lui conserva la calma. La rabbia degli altri non riesce ad allontanarlo dal proprio cammino. Luca ci indica che è difficile superare la mentalità del privilegio e della chiusura mentale.
? É importante notare i dettagli in uso nell?Antico Testamento. Gesù cita il testo di Isaia fino a dove dice: "proclamare un anno di grazia da parte del Signore". Non cita il resto della frase che dice: "ed un giorno di vendetta del nostro Dio". La gente di Nazaret si scaglia contro Gesù perché lui pretende di essere il messia, perché vuole accogliere gli esclusi e perché ha omesso la frase sulla vendetta. Loro volevano che il Giorno di Yavè fosse un giorno di vendetta contro gli oppressori del popolo. In questo caso, la venuta del Regno non sarebbe stata una vera mutazione o conversione del sistema. Gesù non accetta questo modo di pensare, non accetta la vendetta (cf. Mt 5,44-48). La sua nuova esperienza di Dio Padre/Madre lo aiutava a capire meglio il senso delle profezie.


4) Per un confronto personale

? Il programma di Gesù è quello di accogliere gli esclusi. Noi accogliamo tutti o escludiamo qualcuno? Quali sono i motivi che ci spingono ad escludere certe persone?
? Il programma di Gesù è veramente il nostro programma, il mio programma? Quali sono gli esclusi che dovremmo accogliere meglio nella nostra comunità? Chi o cosa ci dà la forza per svolgere la missione dataci da Gesù?


5) Preghiera finale

Quanto amo la tua legge, Signore;
tutto il giorno la vado meditando.
Il tuo precetto mi fa più saggio dei miei nemici,
perché sempre mi accompagna. (Sal 118)
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03/09/2013 08:39
 
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Riccardo Ripoli
Taci, esci da costui!

Sicuramente vi sarà capitato di parlare con qualcuno che si stava comportando male dicendogli di non sprecare la propria vita, di cambiare strada, di abbandonare il male e scegliere il bene. Almeno una di queste volte forse siete stati ascoltati e, seguendo i vostri consigli, ha cominciato a camminare sulla retta via. Costui è così diventato una bandiera, un inno al bene. Quante persone nel vederlo passeggiare lungo il corso principale, o partecipare a feste e manifestazioni avranno detto "ma lui non era quello che ... si drogava, che rubava, che è stato in prigione per. Eppure guardalo adesso come è cambiato, guarda come si comporta, il bene che fa" e si domanderanno come abbia fatto a compiere una simile trasformazione, di chi sia il merito.
Non c'è "pubblicità" migliore per il bene del male che si trasforma.
L'Associazione che ho fondato in memoria della mia mamma cerca di aiutare tanti ragazzi ad uscire da brutte situazioni che si intrecciano tra familiari e personali. Non sempre riusciamo a recuperarli, ma spesso ci riusciamo ed il loro comportamento educato, con valori e principi, con modi affettuosi conquista tutti coloro che li incontrano, portando molti a valutare la possibilità di prendere un bambino in affido o almeno aiutare coloro che, come noi, aiutano i ragazzi.
Il male, il demonio è il miglior alleato che abbiamo per combattere le cose negative di questo mondo.
Combattere il male con amore, senza condannare il peccatore, ma solo togliendo dalle sue spalle il bagaglio negativo che, spesso suo malgrado, si porta dietro, significa arruolarlo a vita nell'esercito di coloro che portano avanti una campagna contro il male. E' per questo che Gesù ci insegna a dialogare con coloro che sbagliano, ci insegna ad amarli nonostante i loro errori perché al loro interno convivono due anime, una bianca ed una nera. Dobbiamo imparare a separarle, in noi e negli altri, e a far si che la prima prenda il sopravvento sulla seconda. Non è certo facile, ma è meno difficile di quanto sembri. Il Signore ci mostra che basta parlare, convincere, far vedere la luce alle tenebre perché queste si dissolvano.
Pensate a quando fate un incubo, magari non riuscite a svegliarvi e vivete con pena e doloro quella situazione, ma basta che qualcuno faccia entrare nella stanza ove dormite un po' di luce, ed ogni pensiero negativo scompare restando solo il ricordo di un brutto sogno, di una notte di paura, ma con un futuro davanti a noi di gioia e di speranza per la giornata che è appena iniziata. Anzi, faremo di tutto per non avere di nuovo tali incubi, magari mangiando meno la sera o risolvendo i problemi che li hanno generati, e così è per coloro che escono dal tunnel del male, faranno di tutto per non rientrarvi.
Le vostre parole possono salvare il mondo, non abbiate paura di scacciare il demone cattivo che trovate nel vostro prossimo. Urlerà, vi dirà ogni sorta di cattiveria, vi minaccerà, ma non potrà nulla contro di voi se avrete la Fede di poterlo sconfiggere, se con determinazione gli direte di andarsene.
Che fatica ripetere le cose ai miei ragazzi continuamente, eppure non mi fermo, non mollo la presa, non smetto di parlar loro della bellezza di una vita onesta e, ne sono certo, un giorno capiranno e la parte cattiva che dentro di loro gli suggerisce cattive azioni non verrà più ascoltata ed il male sarà costretto ad andarsene perché non troverà più in loro terreno fertile. Non vi scoraggiate, a volte sono battaglie lunghe, ma il guadagno è grande e certo ed avrà un enorme effetto domino.
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04/09/2013 07:28
 
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All'inizio di questa ventiduesima settimana abbiamo visto come Gesù a Nazaret abbia resistito alla tendenza possessiva dei suoi compaesani, costringendoli ad accettare di non essere i destinatari privilegiati del suo ministero e dei suoi miracoli. Chi vuol impossessarsi di Gesù egoisticamente, per proprio profitto e godimento non lo riceve affatto, perché l'unione con lui non è possibile se non nell'amore generoso, nell'apertura di cuore. Nel Vangelo di oggi lo stesso orientamento viene confermato, la stessa lezione ci viene data, questa volta a Cafarnao, città dove Gesù si era recato dopo la sua visita a Nazaret. Lì, dopo aver insegnato con autorità nella sinagoga, andò nella casa di Simon Pietro. "La suocera di Simon Pietro era in preda ad una grande febbre. Lo pregarono quindi per lei", con grande fiducia nell'efficacia della sua parola. Effettivamente Gesù, "chinatosi sull'ammalata, intimò alla febbre e la febbre la lasciò". Ne risultò che a questa notizia "tutti quelli che avevano infermi colpiti da mali di ogni genere li condussero a lui". Con una bontà straordinaria Gesù ebbe cura di ciascuno di loro:
"Imponendo su ciascuno le mani, li curava". Come è significativa questa attenzione personale di Gesù per ciascuno! Egli dirà più tardi: "Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me"; il buon pastore "chiama le sue pecore per nome", le conosce una per una.
Occuparsi personalmente di ogni singola persona è certamente una grande fatica. Gesù l'affrontava generosamente. Si capisce quindi facilmente che quando, il giorno seguente, egli andò altrove, "le folle lo cercarono e, raggiuntolo, lo volevano trattenere perché non se ne andasse via da loro". Gesù aveva suscitato la gratitudine, la stima, l'ammirazione. ~ suo ministero aveva ottenuto pieno successo. La reazione naturale sarebbe di approfittarne, cedendo al desiderio della gente. Gesù invece non cede, non accetta di fermarsi a Cafarnao.
Dichiara: "Bisogna che io annunzi il regno di Dio anche nelle altre città". Con questa risposta corre il rischio di deludere la gente; però egli è consapevole di avere una missione più ampia. Non è venuto per cercare il proprio successo, bensì per fare la volontà del Padre, che l'ha mandato in cerca delle pecore smarrite, dovunque si trovino.
Con questo atteggiamento dinamico Gesù rivela al mondo la stupenda generosità di Dio. L'amore divino è sconfinato, non accetta limiti, cerca di salvare tutti, va incontro anche ai propri nemici, per proporre la riconciliazione e l'unione.
A questo proposito possiamo osservare una grande differenza tra il ministero di Gesù e quello di Giovanni Battista. La vocazione del Battista, infatti, non fu di andare in cerca della gente. Egli si mise a predicare non in una città, ma in un luogo disabitato. Non andava verso la gente; era la gente a venire da lui. Gesù invece prese ad annunziare il regno di Dio dove stava la gente; si muoveva, "andava predicando nelle sinagoghe della Giudea". Anche san Matteo dice: "Percorreva tutte le città e i villaggi, predicando il Vangelo del regno e curando ogni malattia e infermità" (Mt 9,35). Così Gesù mise in moto "la missione": è stato il primo missionario. Risorto, estese questa missione al mondo intero. Agli undici Apostoli disse: "Andate e ammaestrate tutte le nazioni" (Mt 28, 19); "Andate intutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16, 15). Apparve poi a Paolo sulla strada di Damasco per fare di lui l'"Apostolo delle nazioni" (Rm 11,13; cfr.At9, 15;22, 15;26, 1718). Nellaprimalettura di oggi vediamo che Paolo si rallegra della diffusione del Vangelo che "in tutto il mondo fruttifica e si sviluppa" (Col 1, 6).
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05/09/2013 07:38
 
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Riccardo Ripoli
Abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti

"Vorrei tornare bambino". Quante volte abbiamo udito questa frase, magari noi stessi l'abbiamo spesso pronunciata. Perché vorremmo tornare bambini? Un cucciolo d'uomo ha mille limitazioni che l'adulto non ha, meno libertà, eppure sovente vorremmo tornare ad esserlo. Il motivo è da ricercare nella spensieratezza. Ogni problema ci veniva risolto, venivamo condotti in posti che nemmeno immaginavamo potessero esistere, avevamo sempre da mangiare senza doverlo cucinare, la casa pulita senza doverla ordinare, i vestiti lavati senza dover fare nemmeno una lavatrice. Avevamo fiducia nei nostri genitori che volevano solo il nostro bene e ci accudivano in ogni nostra necessità.
Perché oggi si è persa questa fede? perché siamo cresciuti? E cosa ci abbiamo guadagnato? Pene, pensieri, tanto lavoro a volte buttato via. E' giusto crescere, maturare, ma dovremmo imparare a conservare nella teca del nostro cuore quella fiducia che un tempo ci ha resi tanto felici. Dovremmo imparare a seguire il tedoforo, colui che prima delle olimpiadi porta la fiamma olimpica che passa di mano in mano. Inizialmente la fiamma della fiducia è nelle mani dei nostri genitori, ma crescendo ed avvicinandosi alla maturità siamo portati a non seguirla, a voler fare per conto nostro, eppure quella fiamma viene raccolta, da terra o dalle mani dei nostri genitori, da Dio che vuole indicarci la strada da seguire per giungere fino allo stadio dove sarà grande festa. Se la seguissimo la fiducia nei nostri papà e mamma si trasformerebbe in Fede verso il Signore, e questo ci permetterebbe di essere come dei bambini adulti, liberi cioè di fare le scelte che Gesù ci consiglia e ci fa vedere. Oggi molte persone hanno perso la Fede, oppure tengono gli occhi chiusi ed hanno paura a seguire il tedoforo che continuamente ci sprona e ci mostra la strada da seguire.
Molti dicono di non credere perché non conoscono la bellezza della Fede, altri sono disillusi dalla chiesa o dal comportamento di chi si professa credente, ma sono scuse perché si ha paura. Si, è così, molti non hanno Fede perché sono spaventati dall'idea di seguire il tedoforo, impauriti dal pensero di abbandonarsi tra le braccia di chi, magari al prezzo di qualche sacrificio, potrebbe portarci a vedere la luce olimpica in tutta la sua bellezza. Che male c'è ad essere un po' bambini ed avere Fede? Lasciarsi guidare nelle scelte della vita, rivolgersi a Qualcuno quando si ha un problema come facevamo quando eravamo piccoli. Quante volte siamo caduti e ci siamo messi a piangere perché ci faceva male un ginocchio? Non è forse bastato un bacino di papà o di mamma sull aparte dolorante per far passare il male? Perché non permettiamo a Dio di prenderci per mano, guidarci, curare le nostre ferite? Lasciamo che siano gli altri a condurci per i sentieri del mondo, a leccare le nostre ferite, a curare i nostri mali. Quante volte siete rimasti delusi dalle persone che credevate amiche, che pensavate volessero il vostro bene. Quanti matrimoni falliti per aver avuto fiducia in chi si è approfittato di noi? E nonostante questa immensa mole di batoste continuiamo imperterriti ad avere piena fiducia nel prossimo. Non è sbagliato, anzi è bellissimo dare ad altri la possibilità di fare la cosa giusta, ma allora perché non fidarsi di Dio. Perché un sacerdote si è comportato male con voi? Perché la Chiesa ha regole che voi non capite o non condividete? Perché chi ha Fede si coporta male? Ed allora? Date un'opportunità a tutti coloro che incontrate e non la date a chi almeno prova, talvolta sbagliando, a seguire la dottrina di Gesù? Ma se gli altri sbagliano cosa ha questo a che fare con Dio? E' come se il mio matrimonio fosse andato a rotoli e smettessi di credere nell'amore. Mi possono tradire mille mogli, mille mariti, gli amici o i figli, ma l'Amore in quanto tale continuerà ad esistere e non sarà certo per colpa dei tanti tradimenti che la parola Amore non verrà più pronunciata, ricercata, vissuta, apprezzata, ambita. Così è per Dio, la Chiesa, i sacerdoti, i fedeli possono sbagliare centinaia di volte, ma Dio è l'essenza della Fede e non smetterà di esistere solo perché qualcuno o tanti si comportano male.
La Fede ha un grande potere, quello di preservare la parte bella dell'essere bambini.
Gesù disse ai suoi futuri apostoli "gettate le reti" ed essi obbedirono perché la speranza era stata alimentata da Gesù, da chi poco prima aveva parlato alle folle dando valori e principi, insegnando il vero significato della parola Amore. Fede significa seguire una filosofia che Cristo ci ha lasciato attraverso le pagine del Vangelo. Non lasciate che altri chiudano i vostri occhi per non farvi vedere la fiamma che il tedoforo sta portando verso lo stadio anche per illuminare la vostra strada. Se non lo conoscete leggete il Vangelo, ascoltate le Parole di Dio, cercate di capire come queste siano attuali ed applicabili ai giorni d'oggi. Quello che cerco di fare ogni giorno con i miei ragazzi è mostrare loro la bellezza di un mondo visto dalla finestra della Fede, un mondo che acquista una luce diversa, dove anche le disgrazie possano essere viste come un aspetto positivo della vita, come è accaduto a me con la morte della mia mamma.
La Fede non è un insieme di regole, è la gioia di vivere seguendo e insegnando con il nostro esempio bellissimi principi di pace ed amore che possono cambiare il mondo scardinando il male che c'è in esso e permettendoci di vivere una vita piena di gioia e di amore.
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06/09/2013 06:35
 
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La gloria di Cristo si è rivelata pienamente nel suo mistero pasquale, mediante la sua passione e risurrezione. Nella sua passione infatti Gesù si è manifestato Figlio di Dio perché ha adempiuto con perfetto amore filiale tutto il disegno salvifico del Padre; ha glorificato il Padre ed è stato glorificato dal Padre come aveva chiesto nella sua preghiera sacerdotale (Gv 17, 1). La gloria divina è la gloria di amare; Gesù, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine, cioè sino all'estrema possibilità, infatti non c'è amore più grande di quello che consiste nel dare la propria vita per le persone amate (cfr. Gv 15, 13).
Questa gloria divina si è poi manifestata con la risurrezione di Cristo, vittoria completa del Figlio prediletto sulla morte e sul male.
Così gli Apostoli ricevettero la pienezza della rivelazione. Non furono però subito capaci di esprimerne tutte le ricchezze. Quando un'esperienza di vita è completamente nuova, inedita, non è possibile esprimerla subito in modo soddisfacente; mancano le parole, solo a poco a poco si riesce ad adattare il linguaggio alla realtà vissuta.
Per quanto concerne la gloria filiale di Cristo, il Nuovo Testamento ci mostra questo genere di progresso e gli sforzi fatti per esprimerla sempre meglio. All'inizio la catechesi apostolica disponeva soltanto di alcune formule brevi: "Gesù è Signore", "Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente"... Poi il contenuto densissimo di queste formule venne esplicitato, ad esempio nell'esordio della lettera agli Ebrei, oppure nel prologo del quarto Vangelo, o ancora nel passo splendido della lettera ai Colossesi che leggiamo nella liturgia di oggi. San Paolo vi esprime la gloria divina di Cristo sotto un duplice aspetto. Afferma prima la sua preesistenza e la sua superiorità su tutta la creazione, comprese le creature la cui grandezza affascinava allora le menti, cioè gli esseri celesti, chiamati con nomi impressionanti: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Poi, nella seconda parte, proclama il primato di Cristo nell'ordine della redenzione e della riconciliazione: Cristo, il primo risuscitato, Cristo capo del corpo, cioè della Chiesa. Le espressioni sono molto forti, nella prima come nella seconda parte: "Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui". Cristo sta all'inizio e sta alla fine di tutto. "Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui", non hanno consistenza al di fuori di lui. E qui Paolo precisa che anche i Troni, le Dominazioni, i Principati, le Potestà sono stati creati per mezzo di lui, quindi gli sono sottomessi. il fascino che esercitava il pensiero di questi esseri non doveva indurre i cristiani a errori: Cristo è il solo Signore.
Nella seconda parte Paolo afferma proprio che per mezzo della sua passione Cristo ha ottenuto in maniera diversa e ancora più profonda il primato su tutte le cose: "Perché piacque a Dio di far abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose". Il sangue della croce di Gesù è stato il mezzo che ha messo la pace dappertutto, e che deve mettere la pace dappertutto. Non ci devono più essere contrasti, divisioni, opposizioni, perché Gesù, con il suo amore espresso con il sangue versato, ha rappacificato tutto, "'e cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli".
Questo testo magnifico ci aiuta a contemplare con esultanza la gloria di Cristo Signore nostro, capo nostro e anche fratello nostro; ci aiuta a lodare Dio per la gloria del suo Figlio; ci aiuta a confermare la nostra fede e la nostra speranza.
Meditiamolo dunque con grande gioia nel cuore.
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07/09/2013 08:02
 
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a cura dei Carmelitani


1) Preghiera

O Dio, nostro Padre,
unica fonte di ogni dono perfetto,
suscita in noi l?amore per te e ravviva la nostra fede,
perché si sviluppi in noi il germe del bene
e con il tuo aiuto maturi fino alla sua pienezza.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Luca 6,1-5
Un giorno di sabato, Gesù passava attraverso campi di grano e i suoi discepoli coglievano e mangiavano le spighe, sfregandole con le mani.
Alcuni farisei dissero: ?Perché fate ciò che non è permesso di sabato??
Gesù rispose: ?Allora non avete mai letto ciò che fece Davide, quando ebbe fame lui e i suoi compagni? Come entrò nella casa di Dio, prese i pani dell?offerta, ne mangiò e ne diede ai suoi compagni, sebbene non fosse lecito mangiarli se non ai soli sacerdoti??
E diceva loro: ?Il Figlio dell?uomo è signore del sabato?.


3) Riflessione

? Il vangelo di oggi narra il conflitto relativo all?osservanza del sabato. L?osservanza del sabato era una legge centrale, uno dei Dieci Comandamenti. Legge molto antica che fu riconsiderata nell?epoca dell?esilio. Nell?esilio, la gente doveva lavorare sette giorni a settimana dalla mattina alla sera, sin condizioni per riunirsi e meditare la Parola di Dio, per pregare insieme e per condividere la fede, i loro problemi e le loro speranze. Ecco quindi il bisogno urgente di fermarsi almeno un giorno alla settimana per riunirsi ed incoraggiarsi a vicenda durante la situazione così dura dell?esilio. Altrimenti avrebbero perso la fede. Fu lì che la fede rinacque e si ristabilì con vigore l?osservanza del sabato.
? Luca 6,1-2: La causa del conflitto. Il sabato, i discepoli attraversano le piantagioni e si aprono cammino strappando spighe. Matteo 12,1 dice che avevano fame (Mt 12,1). I farisei invocano la Bibbia per dire che cosa suppone trasgressione della legge del Sabato: "Perché fate ciò che non è permesso di fare il sabato?" (cf Ex 20,8-11).
? Luca 6,3-4: La risposta di Gesù. Immediatamente, Gesù risponde ricordando che Davide stesso faceva cose proibite, poiché prese i pani sacri del tempio e li dette da mangiare ai soldati che avevano fame (1 Sam 21,2-7). Gesù conosceva la Bibbia e la invocava per dimostrare che gli argomenti degli altri non avevano nessuna base. In Matteo, la risposta di Gesù è più completa. Lui non solo invoca la storia di Davide, ma cita anche la Legislazione che permette ai sacerdoti di lavorare il sabato e cita il profeta Osea: ?Misericordia voglio e non sacrificio?. Cita un testo biblico e un testo storico, un testo legislativo ed un testo profetico (cf. Mt 12,1-18). In quel tempo, non c?erano Bibbie stampate come le abbiamo oggi. In ogni comunità c?era solo una Bibbia, scritta a mano, che rimaneva nella sinagoga. Se Gesù conosce così bene la Bibbia vuol dire che nei 30 anni della sua vita a Nazaret ha partecipato intensamente alla vita comunitaria, dove ogni sabato si leggevano le scritture. A noi manca molto per avere la stessa familiarità con la Bibbia e la stessa partecipazione alla comunità.
? Luca 6,5: La conclusione per tutti noi. E Gesù termina con questa frase: Il Figlio dell?Uomo è signore del sabato! Gesù, Figlio dell?Uomo, che vive nell?intimità con Dio, scopre il senso della Bibbia non dal di fuori, ma dal di dentro, cioè scopre il senso partendo dalla radice, partendo dalla sua intimità con l?autore della Bibbia che è Dio stesso. Per questo, lui si dice signore del sabato. Nel vangelo di Marco, Gesù relativizza la legge del sabato dicendo: ?Il sabato è stato istituito per l?uomo e non l?uomo per il sabato?.


4) Per un confronto personale

? Come passi la Domenica, il nostro ?Sabato?? Vai a messa perché obbligato/a, per evitare il peccato o per poter stare con Dio?
? Gesù conosceva la Bibbia quasi a memoria. Cosa rappresenta la Bibbia per me?


5) Preghiera finale

Canti la mia bocca la lode del Signore
e ogni vivente benedica il suo nome santo,
in eterno e sempre. (Sal 144)
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08/09/2013 07:23
 
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don Giovanni Berti
Gesù non vuole ammiratori ma discepoli


E' davvero molto strano Gesù...
Se fosse l'amministratore delegato di qualche azienda verrebbe probabilmente licenziato per quello che oggi dice nel Vangelo.
Il Vangelo di Luca inizia con le folle che seguono questo Maestro. Sembra proprio che abbia il successo sperato e per il quale ha lavorato molto predicando per villaggi e città.
Il successo è stato raggiungo, ma invece di tenersi stretti le folle di ammiratori, Gesù inizia a parlare in maniera molto dura, con espressioni che rischiano di ferire e allontanare proprio quelli che gli stanno attorno.
Per ben tre volte dice "...non può essere mio discepolo", mettendo delle clausole che sembrano davvero difficili da accettare. Ma Gesù vuole avere si o no dei discepoli? E' interessato ad essere seguito?
La risposta è ovviamente "si". Dio non sarebbe uscito dall'Eternità diventando uomo fino alla morte se non avesse voluto incontrare davvero l'umanità e stringerla a se con un legame sempre più forte. Ma il legame che Gesù vuole costruire con gli uomini non è certamente superficiale e passeggero, come quello di uno spettatore che segue distrattamente una trasmissione televisiva pronto a cambiare facilmente canale appena è meno interessante.
Gesù non vuole folle di seguaci distratti e superficiali. Vuole amici stretti pronti a dare per Lui non qualcosa, ma tutto, proprio come Lui ha dato tutto se stesso per loro.
In questa ottica si capiscono bene quelle espressioni difficili del vangelo che devono essere comprese a fondo per non essere travisate. La traduzione una volta metteva in bocca a Gesù una parola che nel significato originale non è corretta, e cioè "odiare il padre, la madre... e la propria vita". La traduzione oggi coglie il vero significato e mette così: "...Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre... ecc". Gesù è davvero sopra tutto e sopra ogni altro amore, persino quello per la propria vita. Questo non è certo un invito ad odiare se stessi e gli altri, ma l'opposto! Amare Gesù porta ad amare tutto quello che siamo e chi ci sta attorno con una forza di amore davvero più grande, arrivando ad amare persino i propri nemici. Anzi la misura del nostro amore per Dio la calcoliamo proprio dalla capacità di amare la vita e le persone, i nostri cari come anche gli stranieri, i poveri e i nemici. E mettere al primo posto Dio significa anche diventare liberi da ogni forma di accumulo di ricchezza di dipendenza da essa. Avere l'amicizia di Dio e il suo amore dentro di noi ci rende liberi dalla dipendenza che spesso sentiamo di avere dai beni, una dipendenza che ci pesa e ci rende schiavi e tristi.
Siamo in un periodo storico dove sembra smarrita la via per seguire Gesù. E non lo vediamo solo perché le Chiese sono più vuote alla domenica, ma dalla minor capacità di amarsi, di volersi bene nella società e dal costante pericolo di farci guerra. L'uomo non è discepolo di Dio solo quando dedica qualche momento di culto e di preghiera. L'uomo segue Dio quando in ogni aspetto della vita mette in pratica i suoi insegnamenti dell'amore, e ama la sua legge più di tutte le altre leggi e consuetudini umane.
Un grande Vescovo, Tonino Bello, di cui ricorre quest'anno il ventesimo anniversario della morte, ci ha lasciato tra i vari scritti questo invito alla pace. Amare la pace e metterla come obiettivo obbligato per la propria vita è proprio di ogni discepolo vero di Gesù. Se vogliamo essere suoi discepoli, e non dei distratti ammiratori, dobbiamo amare la pace che lui ci insegna e ci dona.
[Modificato da Coordin. 08/09/2013 07:24]
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09/09/2013 07:37
 
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Riccardo Ripoli
Allo scopo di trovare un capo di accusa

Quando iniziai il mio percorso a ventuno anni con i bambini pensavo che avrei potuto godere di sinergie, di aiuti nelle istituzioni, di grandi sorrisi e ringraziamenti per il supporto che avrei potuto dare ai servizi sociali nell'accudimento dei bambini. Pensavo!
Ben presto mi accorsi che la questione non era proprio in questi termini, anzi, era l'esatto opposto. Ero per loro come fumo negli occhi, un privato che mette un granellino di sabbia nell'ingranaggio del pubblico. Un ragazzo che denuncia le cose che non vanno obbliga il pubblico ad agire. Mi trovai subito in dissapore con le istituzioni che in mille modi hanno sempre cercato di osteggiare il nostro lavoro.
Oggi le cose sono un po' cambiate, da un lato perché abbiamo imparato ad usare in maniera migliore la diplomazia e prima di arrabbiarci o denunciare cerchiamo maggiormente il dialogo, dall'altro perché le istituzioni stesse hanno cominciato a valutarci positivamente per il lavoro svolto.
Purtroppo in tutta Italia ci sono molti comuni che, contrariamente a quello che è il loro mandato, osteggiano l'affidamento, impediscono un aiuto dei bambini e delle loro famiglie. Il motivo è da ricercarsi nei soldi e nella politica. Nei soldi perché un affidamento ha un costo: ricerca di famiglie affidatarie con tanto di promozione dell'affido e assistenti sociali e psicologi a disposizioni per corsi ed incontri con le persone disponibili; retta mensile per chi accoglie un bambino nella propria casa che si aggira attorno ai quattrocentocinquanta euro al mese, ma che arriva anche ad oltre tremila euro mensili se l'affido fallisce (ed accade spesso per la mancanza di supporto alle famiglie) per le comunità ove il minore dovrà essere inserito; assistenti sociali e psicologi che dovranno prendere in carico il caso e seguire bambino, famiglia di origine e famiglia affidataria. Nella politica perché spendere soldi per un affidamento non da visibilità al politico tanto quanto fare una piazza o mettere le panchine nuove nel parco; inoltre accade spesso che i genitori che si vedono portare via il figlio reagiscono utilizzando anche i media e coinvolgendo l'opinione pubblica che si indigna davanti a quello che considerano un "rapimento di stato" senza però poter valutare i fatti, in quanto possono ascoltare solo la versione, spesso romanzata e non realistica, della famiglia del bambino, in quanto servizi sociali, comuni e tribunali non possono spiegare pubblicamente le ragioni dell'allontanamento per giuste ragioni di privacy.
Tutto questo comporta che i comuni non investono, talvolta anche per mancanza di fondi, nella promozione dell'affido, si circondano di un numero insufficiente di assistenti sociali che per quanto brave e volenterose non possono fare miracoli. Ci sono comuni nei quali un'assistente sociale si occupa mediamente di quattrocentocinquanta casi, ed è logico che alla fine non possa svolgere un buon lavoro nei tempi che sono necessari.
Il mondo va così da sempre, chi fa qualcosa di buono viene ostacolato da chi vuole mantenere il potere, da coloro che hanno paura che le sue parole e le sue azioni possano in qualche modo stravolgere un equilibrio duramente conquistato e mantenuto, un potere che garantisce la sicurezza di una comoda poltrona dalla quale si possa osservare il mondo in maniera privilegiata senza sporcarsi le mani.
Se ce ne stiamo in poltrona a guardare la tv, se non ci interessiamo ai problemi del nostro prossimo, se non chiediamo spiegazioni ai nostri politici del loro operato, se non combattiamo contro l'indifferenza e l'inedia del pubblico le cose non cambieranno mai, anzi corruzione e malaffare regneranno sovrane perché troveranno terreno fertile, non avranno nessuno che li combatte perché in molti preferiranno adeguarsi al sistema.
Così accade che ci siano migliaia di bambini che vivono in situazioni di grande degrado, in problemi come la prostituzione, la pedofilia, la violenza domestica, l'abbandono scolastico e noi non facciamo nulla perché il nostro diretto interlocutore fa orecchie da mercanti? Ma volete scherzare? Che razza di gente siete? Come potete puntare il dito contro i delinquenti se non fate nulla affinché i bambini non prendano una brutta strada?
Come si fa a combattere contro questo stato di cose? Semplice, in prima battuta mettendosi a disposizione per l'affidamento sia attraverso il proprio comune, sia attraverso noi; poi andando dai comuni a chiedere spiegazioni sul perché ci sia una legge che obbliga i comuni a fare promozione verso l'affido, ma nelle nostre città non vediamo cartelli che invitano all'accoglienza; infine dando il proprio supporto di volontari per associazioni come la nostra che si occupano di bambini e di affidamento. In questo periodo abbiamo fatto delle proposte sul cambiamento della legge sull'affido affinché non si ripetano situazioni in cui i tribunali emettano i decreti di affidamento ed i comuni non li eseguano per mancanza di risorse. L'unione fa la forza e scardina il mal costume, noi ci siamo, unitevi alle nostre battaglie e se non potete o non volete prendere un bambino in affido, almeno supportate chi lo fa e chi lo promuove.
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10/09/2013 08:23
 
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Eremo San Biagio
Commento su Luca 6, 12-14

Gesù salì sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici ai quali diede anche il nome di apostoli: Simone, al quale diede il nome di Pietro...
Lc 6, 12-14

Come vivere questa Parola?
Nei Vangeli, specialmente in Luca, è detto più volte che Gesù si allontanò dalla folla e salì su un monte a pregare; se anche ora lo si sottolinea espressamente è per far rilevare che, nello scegliere i Dodici, Gesù ha seguito le istruzioni del Padre (cfr. Gv 17, 6 ).

I nomi degli apostoli < degli inviati > sono scanditi, a cominciare da quello di Pietro (al quale, con il cambio del nome - secondo la mentalità biblica - è affidata una missione propria cfr Mt 16, 18 ), sono scanditi solennemente: formano un gruppo come i patriarchi delle dodici tribù del nuovo popolo di Dio.

Entrando nella Basilica del Laterano - la cattedrale di Roma, il primo tempio della cristianità - si vede plasticamente rappresentata la missione di questi apostoli: essere il fondamento della Chiesa.Borromini ha avuto la splendida intuizione di collocarli nelle nicchie dei giganteschi pilastri della navata centrale.

Poggiamo sicuri su questo basamento, ma non siamo esentati dalla vigilanza, perché c'è sempre il pericolo di perdere l'equilibrio ( anche Giuda Iscariota è nominato tra i Dodici... )

Viene a proposito l'arguta risposta che il beato Pio IX ( tempi molto difficili i suoi! ) dava a chi voleva fargli coraggio ricordandogli, con le parole di Gesù, che la barca di Pietro non correva pericoli: "L'assicurazione di Cristo si riferisce alla barca, appunto, e non all'equipaggio. "

Impariamo, perciò, a prendere ogni decisione dopo aver pregato, per aver luce dal Signore e teniamo sempre presente quanto propongono il Papa ed i pastori della Chiesa.

Dio onnipotente, concedi alla tua Chiesa di essere sempre fedele alla sua vocazione di popolo radunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. (dalla Liturgia)

La voce di un vescovo e dottore della Chiesa

Quando noi supplichiamo Dio per le necessità della nostra vita, Egli, nella sua misericordia, ci esaudisce; ma, a volte, sempre per misericordia si rifiuta di farlo, perché il medico sa meglio del malato quel che gli occorre.
Sant'Agostino
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11/09/2013 06:57
 
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Nella prima lettura di ieri san Paolo ci ha detto: "Siete stati sepolti insieme a Cristo per mezzo del Battesimo, in lui siete stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio che lo ha risuscitato dai morti".
Per questo dono divino l'Apostolo ci invitava ad "abbondare nel rendimento di grazie". Oggi dagli stessi fatti Paolo trae un'altra conclusione: poiché siete morti con Cristo, non pensate più alle cose della Terra; poiché siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù.
Che cosa significa questa esortazione di Paolo? Dobbiamo forse sognare continuamente la felicità celeste, trascurando gli impegni di quaggiù?
Sarebbe un'interpretazione molto sbagliata. Certo, èbene pensare alla felicità che Dio ci promette in cielo, questa speranza ci deve animare, però non ne segue che dobbiamo trascurare i nostri impegni terreni, perché "le cose di lassù" non sono soltanto la felicità futura in paradiso, ma sono anche e anzitutto le cose spirituali di adesso, ciò che Paolo nella lettera ai Galati chiama "il frutto dello Spirito": amore, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé, gioia, pace.
La vita eterna per il cristiano non è una speranza soltanto futura: la vita eterna è gia Iniziata. La vita con Cristo risorto per ogni cristiano incomincia quaggiù, con il battesimo. Non dobbiamo aspettare di essere morti per incominciare a vivere una vita nuova in Cristo: è una vita che abbiamo in noi e la dobbiamo sviluppare. Questo è il senso dell'esortazione di Paolo: "Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù", cercate nella vita concreta i valori veri. Non cercate il denaro, non cercate il potere... Cercate il progresso della comunione fra tutti, cercate il progresso dell'amore, cercate la pace, la mitezza che vince la violenza.
San Paolo ci dice che dobbiamo continuamente morire e risorgere: il mistero pasquale si deve attuare nella nostra vita ogni giorno. Dobbiamo morire. Una parte del nostro essere va mantenuta nella morte e una parte deve crescere. "Mortificate scrive Paolo quella parte di voi che appartiene alla terra" e spiega: si tratta prima dell'immoralità sessuale, poi della ricerca del denaro, contro la quale Paolo è severissimo: "Quella avarizia insaziabile che è idolatria. . .", poi tutte le cose che vanno contro la comunione fraterna: la collera, la malizia, le maldicenze. "Non mentitevi gli uni gli altri", ammonisce, perché siete membra del corpo di Cristo. "Vi siete spogliati dell'uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova ad immagine del suo Creatore". La vocazione cristiana non è di evasione dal mondo, bensì di trasformazione positiva nel mondo. ll cristiano è chiamato ad immettere nel mondo i valori veri, lo può fare grazie all'energia straordinaria che si è sprigionata nella risurrezione di Cristo, luce e forza e soprattutto amore. San Paolo non ha espressioni abbastanza forti per dire questa forza, potenza, energia divina della quale disponiamo. Dobbiamo essere convinti che Cristo mette a nostra disposizione la sua potenza di Risorto, affinché possiamo anche noi vincere il male e la morte, affinché possiamo anche noi, in lui, rinnovare il mondo nell'amore. Non saremo mai abbastanza aperti ad accogliere questa energia trasformatrice, ricreatrice.
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12/09/2013 08:59
 
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Eremo San Biagio
Commento su Luca 6, 31.36

E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro (...) Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro.
Lc 6, 31.36

Come vivere questa Parola?

Il discorso della pianura si sviluppa in un grande canto dell'amore e del perdono. Esiste, certo, una regola d'oro valida anche per i cristiani; ma l'amore di chi segue Cristo presenta delle caratteristiche più ricche, che non sono solo non violenza, ma si estendono fino all'amore per i nemici. Di questo tipo di amore si hanno anche ( rari ) esempi nell'AT ( 1 Sam 24, 4 ss e 26, 2 ss ); ma il vero modello è costituto dall'amore del Padre. Davide, proprio perché capace di perdonare, è qualificato come " uomo secondo il cuore di Dio " 1 Sam 13,14 e At 13,22.

L'amore cristiano dev'essere la traduzione nella pratica delle stesse caratteristiche dell'amore di Dio ( misericordia, perdono, capacità di donazione, gratuità ) in una radicalità simile a quella di Cristo.

Non mancano delle interpretazioni false, devianti dell'insegnamento evangelico; si può reagire emotivamente ( è un programma inumano, non alla portata di tutti ) o ideologicamente, trovando nel testo la conferma di ciò che si pensa prima di leggere ( condanna della lotta di classe, l'apologia della non violenza ); si può vedere in questa pagina un ideale splendido, ma non realistico.

Queste interpretazioni hanno in comune la logica pagana " dell'equivalente, del pari " che è, in pratica, ispirata alla legge del taglione e si contrappongono radicalmente alla visione evangelica che è quella della logica " del più", cioè della gratuità. Occorre, perciò, che ognuno si esamini e veda come vive e come si comporta di fatto. I nostri atteggiamenti verso gli altri scaturiscono dalla coscienza che abbiamo di noi stessi.

O Dio, che nel comandamento del tuo amore ci ordini di amare coloro che ci affliggono, aiutaci ad osservare i precetti della nuova legge rendendo bene per male e portando gli uni i pesi degli altri. ( dalla Liturgia )

L'uomo che perdona è simile al legno del sandalo, che profuma l'accetta che lo colpisce (Proverbio indiano)

Chi ti ha offeso si è messo più in basso di te; e tu vorresti batterti con uno che ti è inferiore? (Confucio)

La voce di un religioso giornalista e politico francese

Desideri essere felice per un istante? Vendicati! Vuoi essere felice per tutta la vita? Perdona!
D. Lacordaire
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13/09/2013 08:02
 
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a cura dei Carmelitani


1) Preghiera

O Padre, che ci hai donato il Salvatore e lo Spirito Santo,
guarda con benevolenza i tuoi figli di adozione,
perché a tutti i credenti in Cristo
sia data la vera libertà e l?eredità eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Luca 6,39-42
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: ?Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutt?e due in una buca? Il discepolo non è da più del maestro; ma ognuno ben preparato sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell?occhio del tuo fratello, e non t?accorgi della trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, mentre tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall?occhio del tuo fratello?.


3) Riflessione

? Il vangelo di oggi ci riporta alcuni passaggi del discorso che Gesù pronuncia sulla pianura dopo aver trascorso la notte in preghiera (Lc 6,12) e dopo aver chiamato i dodici ad essere suoi apostoli (Lc 6,13-14). Gran parte delle frasi riunite in questo discorso sono state pronunciate in altre occasioni, però Luca, imitando Matteo, le riunisce qui in questo Discorso della Pianura.
? Luca 6,39: La parabola del cieco che guida un altro cieco. Gesù racconta una parabola ai discepoli: "Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in una buca?? Parabola di una riga, assai simile alle avvertenze che, nel vangelo di Matteo, sono rivolte ai farisei: ?Guai a voi, guide cieche!? (Mt 23,16.17.19.24.26) Qui nel contesto del vangelo di Luca, questa parabola è rivolta agli animatori delle comunità che si considerano padroni della verità, superiori agli altri. Per questo sono guide cieche.
? Luca 6,40: Discepolo - Maestro. ?Il discepolo non è di più del maestro, ma il discepolo ben preparato sarà come il maestro?. Gesù è il Maestro. Non il professore. Il professore in classe impartisce diverse materie, ma non vive con gli alunni. Il maestro non impartisce lezioni, vive con gli alunni. La sua materia è lui stesso, la sua testimonianza di vita, il suo modo di vivere le cose che insegna. La convivenza con il maestro assume tre aspetti: (1) Il maestro è il modello o l?esempio da imitare (cf. Gv 13,13-15). (2) Il discepolo non solamente contempla ed imita, si impegna anche con il destino del maestro, con le sue tentazioni (Lc 22,28), con la sua persecuzione (Mt 10,24-25), con la sua morte (Gv 11,16). (3) Non solamente imita il modello, non solo assume l?impegno, ma giunge ad identificarsi con lui: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Gal 2,20). Questo terzo aspetto è la dimensione mistica della sequela di Gesù, frutto dell?azione dello Spirito.
? Luca 6,41-42: La pagliuzza nell?occhio del fratello. ?Perché guardi la pagliuzza che è nell?occhio del tuo fratello, e non t?accorgi della trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, mentre tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio ed allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall?occhio del tuo fratello". Nel Discorso della Montagna, Matteo tratta lo stesso tema e spiega un poco meglio la parabola della pagliuzza nell?occhio. Gesù chiede un atteggiamento creativo che ci renda capaci di andare all?incontro dell?altro senza giudicarlo, senza preconcetti e razionalizzazioni, accogliendolo da fratello (Mt 7,1-5). Questa apertura totale verso l?altro considerato fratello/sorella nascerà in noi solo quando saremo capaci di rapportarci con Dio con la fiducia totale di figli (Mt 7,7-11).


4) Per un confronto personale

? Pagliuzza e trave nell?occhio. Come sono i miei rapporti con gli altri in casa ed in famiglia, nel lavoro e con i colleghi, in comunità e con i fratelli e sorelle?
? Maestro e discepolo. Come sono discepolo/a di Gesù?


5) Preghiera finale

Signore, beato chi abita la tua casa:
sempre canta le tue lodi!
Beato chi trova in te la sua forza;
cresce lungo il cammino il suo vigore. (Sal 83)
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14/09/2013 07:31
 
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Ileana Mortari - rito romano
Bisogna che il Figlio dell'uomo sia innalzato

L'evangelista Giovanni fu l'unico degli apostoli che rimase fino alla fine con Gesù, anche dopo il suo arresto, anche sotto la croce: quando con i suoi stessi occhi lo vide morire, capì, per dono dello Spirito Santo, che la salvezza degli uomini non poteva venire per altra via. Ecco perché nel brano di Nicodemo, da cui è tratto il vangelo odierno, troviamo: "bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna."(Giov.3,14b-15)

"Bisogna", in greco "dei" (= è necessario), è un termine senza equivalente semitico, che compare un centinaio di volte nel N.T. quasi sempre in riferimento al progetto di Dio, al Suo piano di salvezza universale inserito nella storia degli uomini. Ma perché mai "erano necessarie" la passione e la morte di Gesù? non c'era altro modo per salvare gli uomini? E, se così "doveva" succedere, dove sta la libertà di Gesù? E' il Cristo solo una "marionetta" nelle mani di Dio?

Per rispondere a tutte queste domande dobbiamo ripensare a quella che è la "storia della salvezza", cioè "l'ingresso di Dio nella storia, per condurre l'essere umano al suo fine ultimo - la piena realizzazione di sé - mediante l'offerta all'uomo della Sua alleanza".

Tale storia dimostra chiaramente qual è l'amore di Dio per la sua creatura: è un amore davvero eccezionale, che non si ferma davanti a nessun ostacolo.

Infatti, in una prima fase (Antica Alleanza o Primo Testamento) accade che, sia nel lontano periodo delle origini (Gen.1-11), che nelle vicende dei Patriarchi e poi nel periodo monarchico, esilico e post-esilico, l'ostinazione dell'uomo nel male e nel peccato sia più forte dei continui richiami di Dio (anche attraverso i profeti) al Suo amore portatore solo di bene.

E allora Dio decide di inviare il suo stesso Figlio, "in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato, per condannare il peccato nella carne" (Romani 8,3)

Di qui il fatto storico dell'incarnazione del Verbo (2° persona della Trinità) e la Sua missione tra gli uomini: rivelare il volto di Dio, e dunque il Suo amore, e rivolgere loro l'ultima chiamata, l'estremo appello a ricambiarlo (Nuova Alleanza o Nuovo Testamento).

In questa sua missione Gesù si trovò a dover fronteggiare il terribile avversario del Male/Maligno, incontrando fin da subito incomprensioni, ostilità, persecuzioni. Egli però non esitò mai un momento a seguire la via indicatagli dal Padre; con totale libertà andò fino in fondo nel suo compito di testimoniare la Verità e rifiutò recisamente le vie alternative che di tanto in tanto gli si presentavano e lo tentavano: usare il suo potere per un successo facile, popolare e immediato, che gli avrebbe evitato la passione e morte (cfr. ad esempio Giov.6,15).

Invece, giorno dopo giorno, il Nazareno ha costantemente optato per l'obbedienza al Padre.
A un certo punto si è reso ben conto che le sue parole e i suoi comportamenti suscitavano nelle autorità religiose ebraiche un'ira e una collera tali da farlo considerare un sovversivo da eliminare; ma ancora una volta ha seguito con coerenza e coraggio la sua strada: non ha evitato di andare a Gerusalemme, sede del Sinedrio, non ha tentato la fuga, né opposto una resistenza armata insieme ai suoi; piuttosto è andato incontro ad una morte annunciata con sovrana libertà; si è lasciato arrestare, interrogare, flagellare, appendere alla croce.

"Perché mai - si domanderà l'uomo fino alla fine dei tempi - un Dio ha lasciato che si infierisse così su di Lui? Perché non è sceso dalla croce, come gli intimavano i suoi sbeffeggiatori, per mostrare la sua potenza?"

L'avrebbe potuto fare? Certamente, visto che in vita aveva guarito e resuscitato tante persone! Ma non l'ha fatto, perché - paradossalmente - proprio in questo non salvare se stesso ha salvato gli altri, gli uomini, tutti gli uomini, ciascuno di noi!

E come ci ha salvati? Compiendo la profezia di Isaia: "Egli è stato trafitto per i nostri delitti....Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui" (Is.53, 5)

Come in vita Gesù ha preferito soggiacere Lui, innocente, all'iniqua macchina giudiziaria giudaica, piuttosto che fare anche una sola vittima ricorrendo alla difesa armata, così ora, sulla croce, preferisce non salvare se stesso (pur potendolo fare!), ma offrire totalmente la sua esistenza per amore degli uomini.

E infatti proprio sulla croce è totale e perfetta la manifestazione dell'amore di Dio: "Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi" (Rom.5,8)

Gesù "ha dovuto" - e nello stesso tempo "ha voluto" - scendere nell'abisso del male, per distruggerlo alla radice con la sua libera conformità al piano del Padre e con il suo amore agli uomini. Immergendosi nella morte, conseguenza e "salario" del peccato, egli ha preso su di sé il peccato del mondo, cioè tutto il male della storia umana, e in tal modo lo ha svuotato dall'interno, cioè lo ha "tolto", e ha anche sradicato l'odio dal cuore dell'uomo.

Sublime mistero! Non decifrabile dalla nostra razionalità, ma forse un po' più comprensibile attraverso due immagini: "Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto"(Giov.12,24); il frutto è quella "vita eterna" (Giov.3,15) che prima abbiamo ricordato come conseguenza dell'innalzamento sulla croce del Figlio dell'uomo; e "vita eterna" in Giovanni significa la vita stessa di Dio in noi, vita che è salvezza, gioia e felicità.

Seconda immagine. In una gelida mattina d'inverno un nonno e il suo nipotino si trovarono a passeggiare lungo uno stagno ghiacciato; il piccolo volle provare a pattinarvi sopra, ma il ghiaccio non tenne ed egli cadde nell'acqua gelata; immediatamente il nonno staccò un ramo, lo porse al bambino e con uno sforzo immane riuscì ad estrarre il nipote dal crepaccio; egli però soffriva di cuore e nella notte un attacco cardiaco gli fu fatale. Il bambino volle recuperare quel pezzo di legno con cui il parente ad un tempo gli aveva salvato la vita ma aveva perso la sua, e lo pose su una parete come segno del grande amore del nonno per lui, il nipotino amato, che in quel tragico momento aveva potuto essere salvato solo in quel modo!

Ecco, credo che questo raccontino dica molto bene il significato e il valore della croce, strumento di cui si è servito l'Amore di Dio per salvarci (dal male, dal peccato, dalla morte spirituale e dal non senso), e dunque ben degna dell'onore tributatole nella odierna festa liturgica.
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15/09/2013 08:03
 
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don Luigi Trapelli
Dio della misericordia

?Siamo nel famoso capitolo quindicesimo del Vangelo secondo Luca, detto delle parabole della misericordia.?

Tre parabole con una cornice introduttiva che spiega il significato delle parabole, la chiave di lettura.

?La parabola, intanto, è usata spesso da Gesù per riuscire a dialogare con le persone senza puntare il dito contro di loro e lasciando che sia l'interlocutore stesso a offrire la propria personale risposta.

?A Gesù andavano tutti i pubblicani e i peccatori che mangiavano con lui, mentre gli scribi e i farisei mormoravano.?

Gesù sta agendo secondo i farisei in un modo sbagliato e che non si addice a un Rabbi: parlare con dei peccatori e addirittura mangiare con loro.?

Gesù, per difendersi dalle critiche, non accusa gli scribi, ma proclama loro le tre parabole della misericordia.?

Da un lato troviamo un pastore che lascia le novantanove pecore per andare in cerca di quella smarrita.?

Dall'altro una donna che perde una moneta, una dramma, di valore piccolo.

?Infine un padre che ha due figli e vede il minore andarsene prendendo la parte del patrimonio che gli spetta.?

Pensiamo anche ai passaggi: dagli animali, alle cose, alle persone.?

Pensiamo ai numeri: dalle 100 pecore, alle dieci monete, ai due figli.?

Tali parabole rappresentano il modo compassionevole con cui Dio ha cura del suo popolo e di ogni persona.?

Il ritrovamento della pecora, della moneta, del figlio, sono occasioni di una grande gioia condivisa insieme agli altri, specialmente con le persone del vicinato.

?La conversione di un peccatore non provoca solo la gioia dei cristiani, ma anche Dio si sente coinvolto in questa festa.?

"Era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato!".?

Però le due parabole, ma in modo ancora più particolare la terza sono aperte per gli scribi di allora e di oggi: Da quale parte schierarci? Dalla parte del figlio minore, del maggiore o del Padre??

Siamo capaci di rallegrarci per quelle persone che dopo anni di sbandamento hanno rivisto la luce della fede??

Quanto anch'io ho aiutato tali persone in questo cammino?

?Non c'è invece il rischio di sentirci comunità dei giusti, per cui chi la pensa diversamente è messo al bando??

Tenendo poi presente che il figlio minore, di per sé, non si converte, ma torna solo perché ha fame.?

Per questo la parabola pone l'accento soprattutto sul padre, che poi è Dio, che corre incontro al figlio, lo abbraccia e prepara per lui il vitello migliore.

?Infatti è proprio Dio che opera sempre il primo passo verso noi peccatori e vuole che anche noi abbiamo il medesimo suo atteggiamento.?

Per entrare in tale logica è fondamentale dichiararci bisognosi e aperti ai continui interventi di Dio nella storia.?

Chi si ritiene peccatore e bisognoso della misericordia di Dio ?( termine che in ebraico evoca le viscere materne), riesce a vincere quella riluttanza verso i diversi perché sa di essere non tanto un giudice implacabile come il figlio maggiore, ma una persona a sua volta salvata da Dio.

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16/09/2013 07:13
 
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Riccardo Ripoli
Io non son degno che tu entri sotto il mio tetto

Pensiamo spesso di essere super uomini, parliamo con Dio permettendoci di brontolarlo perché ha lasciato che accadesse una guerra, un terremoto, un omicidio. Lo insultiamo quando non ci concede immediatamente tutto quello che chiediamo. Non ci rendiamo conto che piccoli esseri imperfetti e pieni di peccati siamo. Dovremmo ringraziare Dio per ogni cosa che ci dona e capire che con i nostri limiti non saremmo nemmeno degni di alzare gli occhi al cielo. "Non saremmo" se non fosse che il Signore misura con parametri ben diversi dai nostri. Per noi una persona degna di stare alla presenza di Dio è chi non fa peccati, chi compie il proprio dovere con rettitudine, chi prega tutti i giorni e va sempre in chiesa, anche se poi se ne vanta e fa pesare la sua grande rettitudine morale. Ma Gesù ci ripete spesso nel Vangelo che ama coloro che sono umili, che capiscono i propri difetti e chiedono perdono, chi ha il coraggio di chinarsi davanti a Lui e dire "sia fatta la Tua volontà" credendo fermamente che basti una Parola di Dio, un Suo cenno, per cambiare ogni situazione, per ottenere ciò che chiediamo, specie quando preghiamo per gli altri, per coloro che soffrono.
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17/09/2013 08:29
 
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Eremo San Biagio
Commento su Luca 7, 14-15

Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre.
Lc 7, 14-15

Come vivere questa Parola?

Gesù e la morte

Il viaggio che Gesù fa nella terra di Israele sembra preoccupato non tanto di mete geografiche da raggiungere, quanto invece di arrivare alle situazioni che invocano salvezza e che erano già citate nella profezia di Isaia, quella letta da Gesù stesso nella sinagoga di Cafarnao, all'inizio della sua missione pubblica e che ne restituiscono il senso.

Gesù, passo dopo passo, si manifesta come il Cristo, l'inviato di Dio a compiere la rivelazione. E il suo modo di procedere è disarmante, coinvolgente: non per proclami o rivendicazioni, ma con incontri inattesi, che si realizzano nella quotidianità delle persone, attraversando i loro sentimenti, rivisitando le ferite e le incoerenze, ritrovando in tutto ciò la traccia che riconduce a Dio. Qui Gesù affronta la morte, quella morte ingiusta e incomprensibile che travolge gli innocenti. Il figlio di Dio si ferma davanti ad una madre che sta accompagnando suo figlio al cimitero. A lei chiede di non piangere, al ragazzo dice di alzarsi. Le parole sue da suoni si fanno realtà. La speranza riaccende il cuore della madre, la vita riabita le membra del giovane. Uno è restituito all'altro. La morte è sconfitta, non ha più potere sulla vita. Nell'insieme abbiamo qui un anticipo delicato della morte del Figlio di Dio che ridarà la vita e la speranza a tutta l'umanità.

Signore, aiutaci ad andare oltre logiche di morte, aiutaci a metterci a servizio della vita, della vita vera, abbondante in tutti!

La voce di Papa Francesco

Così Gesù predica "come uno che ha autorità", guarisce, chiama i discepoli a seguirlo, perdona... cose tutte che, nell'Antico Testamento, sono di Dio e soltanto di Dio..... E questo sino al punto di mettere in gioco la propria stessa vita, sino a sperimentare l'incomprensione, il tradimento, il rifiuto, sino a essere condannato a morte, sino a piombare nello stato di abbandono sulla croce. Ma Gesù resta fedele a Dio, sino alla fine.
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18/09/2013 07:40
 
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Nel Vangelo di oggi, Gesù fa una descrizione molto vivace e pungente di un atteggiamento bambinesco frequente, quello dei bambini incontentabili che si rivolgono a vicenda dei rimproveri. Non vanno mai d'accordo, rifiutano ogni proposta di gioco. Non vogliono giocare al corteo di nozze; non se la sentono di manifestare grande allegria. Allora si potrebbe giocare a fare un funerale? No, nemmeno questo conviene loro.
Di questa scena ritratta al vivo Gesù si serve per smascherare l'atteggiamento spirituale di molti adulti del suo tempo, specialmente di molta gente perbene, "i farisei e i dottori della legge", nominati poco prima nel Vangelo (Lc 7,30). Gesù osserva che anche loro si mostrano incontentabili. Trovano sempre da ridire, in particolare quando si presenta un messaggero di Dio con un invito alla conversione. Invece di prendere sul serio il messaggio divino, esaminano il messaggero e cercano qualche motivo di criticarlo e quindi di squalificarlo in modo da potersi dispensare, con buona coscienza, dall'accogliere il suo messaggio. Giovanni Battista è venuto, vivendo nel deserto in un modo quanto mai austero, non mangiava pane e non beveva vino, ma si accontentava di ciò che trovava nel deserto. Tale austerità doveva, di per sé, aumentare l'autorevolezza delle sue esortazioni profetiche. I farisei, però, e i dottori della legge hanno manifestato il loro senso critico molto acuto, come si addice a specialisti in materia di religione, e hanno decretato che il modo di vivere adottato da Giovanni non era ragionevole e non poteva essere ispirato da Dio; certamente quindi veniva dal demonio. Non era il caso di prestare attenzione a quel profeta bizzarro.
Dopo Giovanni Battista, si è presentato Gesù e si è comportato in modo molto diverso. Invece di vivere nel deserto, "Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il Vangelo del Regno e curando ogni malattia e infermità" (Mt 9,35). Gesù viveva in mezzo alla gente, mangiava e beveva, accettava di essere invitato a pranzo tanto da qualche fariseo (Lc 7, 30; 14, 1) qi~to da qualche pubblicano (Lc 19,110>. Non cercava di apparire diverso dagli altri. Sapeva di "doversi rendere in tutto simile ai fratelli", come dice la lettera agli Ebrei (Eb 2, 17). Per chi non apprezzava l'austerità di Giovanni Battista, questo modo di vivere, così semplice e pieno di affabilità, doveva essere accolto in modo molto positivo. Però non era tale il parere dei nostri esperti, cioè dei farisei e dottori della legge. Il loro acuto senso critico si esercitava di nuovo e decretava che Gesù era un uomo troppo ordinario e accessibile per poter essere un Inviato di Dio. "Ecco un beone e un mangione, amico dei pubblicani e dei peccatori" (Lc 7,34).
Meditando questo Vangelo, non dobbiamo dimenticare di applicarlo a noi stessi. Non siamo forse anche noi bambini incontentabili? E, al contempo, grandi esperti nel criticare ogni proposta di cambiamento per la nostra vita, come erano i dottori della legge che criticavano Gesù?
Nella traduzione italiana di questo Vangelo una parola significativa non è stata tradotta con esattezza. Parlando dei bambini mal contenti Gesù precisa che sono "seduti". Possiamo intuire che questi bambini rifiutavano ogni proposta, perché non volevano alzarsi e muoversi. Similmente le critiche espresse dai dottori della legge erano in realtà una tattica adoperata per proteggere il loro "immobilismo" spirituale. Non volevano muoversi, rinunciare alla loro posizione stabile e intraprendere un nuovo cammino nella docilità all0 Spirito Santo. Capita spesso che la critica mossa contro i messaggeri di Dio sia una tattica dello stesso genere. Critichiamo per dispensarci dall'agire, dall'obbedire, dall'essere veramente docili al Signore.
Mi ricordo invece di una religiosa che, dopo aver ricevuto un incarico molto scomodo, al quale avrebbe potuto opporre un atteggiamento critico, faceva unicamente questo commento: "Sono contenta di quanto mi dà il Signore". Parola semplice, quanto mai coerente dal punto di vista della fede viva e dell'amore effettivo, ma non facile a dirsi in certe circostanze! A poco a poco, con la grazia di Dio, dobbiamo imparare a essere dei figli di Dio sempre contenti di quanto egli ci dà.
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19/09/2013 09:13
 
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Paolo scrive a Timoteo: "Non trascurare il dono spirituale che è in te e che ti è stato conferito con l'imposizione delle mani da parte del collegio dei presbiteri". Preghiamo oggi particolarmente per i preti e per tutti i cristiani, perché tutti siano più coscienti del carisma dell'ordinazione sacerdotale e lo stimino sempre più.
Il Vangelo è molto ricco, ma vorrei sottolineare soltanto un punto che di solito non viene messo in risalto perché non si capisce bene la parola del Signore, ed è che l'amore di Dio viene sempre prima di ogni cosa che l'uomo possa fare.
il fariseo è pieno di sé, non riconosce i doni del Signore, anzi è convinto di essere lui a dargli qualcosa: egli non ama Dio. Invece la peccatrice sa di aver ricevuto molto perché il suo debito era grande: perdonata dal Signore ha potuto amare molto. Questo è il senso della parabola raccontata da Gesù. Chi ama di più? Colui al quale il Signore ha perdonato di più. Questo non vuol dire, come si sente spesso spiegare, che la peccatrice ottiene il perdono dei suoi molti peccati per aver molto amato, ma al contrario: il suo amore è segno che ella ha ricevuto il grande dono di Dio: il "perdono". I' problema del fariseo era:
"Dovrebbe sapere, se fosse profeta, che questa donna è una peccatrice!". Ora Gesù non ha riconosciuto in lei semplicemente "una peccatrice": ha riconosciuto "una peccatrice perdonata", proprio constatando il suo grande amore. Prima c'è sempre il perdono di Dio, che ci fa capire il suo infinito amore e suscita in risposta il nostro.
"Quello a cui si perdona poco, ama poco". Questa seconda affermazione conferma la prima. Non siamo noi ad amare per primi, ma è Dio. il nostro primo dovere è riconoscere il suo amore in tutti i doni che egli ci fa, in tutti i perdoni che ci elargisce. Questa è la condizione per il nostro amore. Altrimenti siamo come il fariseo che crede di essere lui a dare a Dio, non vede il suo amore e, alla fin fine, non lo ama.
Chiediamo al Signore la grande grazia di saper riconoscere che il suo amore per noi è il primo, la sua generosità è la prima. Nell'Offertorio della Messa la Chiesa lo riconosce sempre: "Benedetto sei tu, Signore, Dio dell'universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane, abbiamo ricevuto questo vino...", per questo ora te li possiamo offrire. Ci inganniamo se pensiamo orgogliosamente di poter dare qualcosa a Dio senza averlo prima ricevuto da lui; il vero amore cristiano verso Dio è sempre un amore riconoscente.
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20/09/2013 06:20
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Le collaboratrici di Cristo

È di primaria importanza il ruolo che le donne svolgono nella vita di Gesù. Sappiamo tutti della Madre sua, della vergine Maria. Quello delle altre donne è meno appariscente di quello degli Apostoli e dei discepoli, ma non per questo meno incisivo. Cristo ha goduto dell'amicizia di alcune di loro come Marta e Maria, le sorelle di Lazzaro; più volte egli si ritirava nella casa di Betània con i suoi discepoli e sappiamo in quelle circostanze di tutto lo zelo di Marta e del fervore che animava Maria, assetata della Parola del Signore. A loro restituì vivo il fratello, che da tre giorni era nel sepolcro. Oggi l'evangelista Luca ne menziona altre che erano state beneficate da Gesù: «C'erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Màgdala, dalla quale erano usciti sette demòni, Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni». È interessante la sottolineatura che Luca fa nel riferirci l'origine e la storia di quelle donne. Alcune di loro sicuramente sarebbero state definite donne non di buona fama e appartenenti a categorie che suscitavano il disprezzo dei giudei. Gesù ha un modo diverso di accogliere e di scegliere: egli accettando la loro preziosa collaborazione e annoverandole nella sua grande famiglia, vuole sottolineare ancora una volta che i prediletti del cuore sono i lontani che ritornano all'ovile, i peccatori e le peccatrici convertite. La storia conferma che spesso i più ardenti di amore, di gratitudine e di fervore apostolico, sono stati e sono ancora convertiti e convertite; persone che dopo aver sofferto la lontananza dal Signore, hanno poi goduto di un abbraccio di misericordia e si sono visti rivestiti di dignità nuova e ammessi dal Padre celeste al festoso banchetto nella casa paterna. È lo stile di Dio, spesso tanto diverso dalle nostre umane considerazioni. Quelle prime donne hanno poi segnato la storia sia nel testimoniare l'eroico coraggio di seguire Gesù fino al Calvario, mentre gli apostoli erano in fuga, terrorizzati dagli eventi che rischiava di coinvolgerli in prima persona, sia nella schiera innumerevole di tante e tante altre, che si sono consacrate in modo totale ed esclusivo al Signore.
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21/09/2013 08:36
 
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Nel Vangelo odierno Matteo stesso racconta la propria chiamata da parte di Gesù. San Gerolamo osservava che soltanto lui, nel suo Vangelo, indica se stesso con il proprio nome: Matteo; gli altri evangelisti, raccontando lo stesso episodio, lo chiamano Levi, il suo secondo nome, probabilmente meno conosciuto, quasi per velare il suo nome di pubblicano. Matteo invece insiste in senso contrario: si riconosce come un pubblicano chiamato da Gesù, uno di quei pubblicani poco onesti e disprezzati come collaboratori dei Romani occupanti. I pubblicani, i peccatori chiamati da Gesù fanno scandalo.
Matteo presenta se stesso come un pubblicano perdonato e chiamato, e così ci fa capire in che cosa consiste la vocazione di Apostolo. E prima di tutto riconoscimento della misericordia del Signore.
Negli scritti dei Padri della Chiesa si parla sovente degli Apostoli come dei "principi"; Matteo non si presenta come un principe, ma come un peccatore perdonato. Ed è qui ripeto il fondamento dell'apostolato: aver ricevuto la misericordia del Signore, aver capito la propria povertà e pochezza, averla accettata come il "luogo" in cui si effonde l'immensa misericordia di Dio: "Misericordia io voglio; non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori".
Una persona che abbia un profondo sentimento della misericordia divina, non in astratto, ma per se stessa, è preparata per un autentico apostolato. Chi non lo possiede, anche se è chiamato, difficilmente può toccare le anime in profondità, perché non comunica l'amore di Dio, l'amore misericordioso di Dio. ~ vero Apostolo, come dice san Paolo, è pieno di umiltà, di mansuetudine, di pazienza, avendo esperimentato per se stesso la pazienza, la mansuetudine e l'umiltà divina, se si può dire così: l'umiltà divina che si china sui peccatori, li chiama, li rialza pazientemente.
Domandiamo al Signore di avere questo profondo sentimento della nostra pochezza e della sua grande misericordia; siamo peccatori perdonati. Anche se non abbiamo mai commesso peccati gravi, dobbiamo dire come sant'Agostino che Dio ci ha perdonato in anticipo i peccati che per sua grazia non abbiamo commesso. Agostino lodava la misericordia di Dio che gli aveva perdonato i peccati che per sua colpa aveva commesso e quelli che per pura grazia del Signore aveva evitato. Tutti dunque possiamo ringraziare il Signore per la sua infinita misericordia e riconoscere la nostra povertà di peccatori perdonati, esultando di gioia per la bontà divina.
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22/09/2013 09:31
 
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Monastero Domenicano Matris Domini
Commento su Luca 16,1-13

Collocazione del brano

Il capitolo 16 è dedicato al problema dell'uso della ricchezza. Prima Gesù si rivolge ai discepoli con la parabola dell'amministratore disonesto (vv. 1-8) e alcune affermazioni riguardo la ricchezza (vv. 9-13). Questi due brani sono quelli di questa domenica. Poi vi è un'altra serie di parole di Gesù dedicate questa volta ai farisei troppo amanti del denaro (vv. 16-18) e la parabola del ricco epulone (vv. 19-31), che leggeremo domenica prossima.

Il tema della ricchezza è ricorrente in Luca ed egli verso chi è ricco non risparmia parole molto forti.

Evidentemente la sua comunità aveva molte ricchezze e non riusciva a trovare un equilibrio tra i beni materiali e le esigenze del Vangelo.

Lectio

1Diceva anche ai discepoli: "Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi.

Gesù nel capitolo precedente stava mangiando con i peccatori e si era messo a parlare con gli scribi e i farisei che lo criticavano. Ora il discorso di Gesù si rivolge a un uditorio più vasto: «diceva anche ai discepoli». I farisei rimangono da sfondo e torneranno in primo piano con il v. 14.

La parabola parla di un uomo ricco che aveva un amministratore. Era una situazione normale nella civiltà palestinese. Il sistema del latifondo era esteso in Galilea e spesso era in mano a degli stranieri. L'amministratore sembra un uomo libero che svolge la funzione di tesoriere presso un privato: ha in mano gli affari del proprietario.

L'occasione che dà l'avvio all'azione è l'accusa fatta all'amministratore di sperperare i beni del padrone.

2Lo chiamò e gli disse: "Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare".

Non si dice niente sulla fondatezza e le motivazioni dell'accusa, non si dice se è stato disonesto o negligente. Di colpo l'amministratore si trova nei guai. E' destituito e deve rendere conto della sua gestione. Questa espressione ricorda un po' il giudizio finale (Mt 12,36-37).

3L'amministratore disse tra sé: "Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l'amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno.

Parlando con se stesso (come la maggior parte dei personaggi di Luca) l'amministratore comincia a pensare al proprio futuro: le ipotesi di impietosire il padrone per fargli cambiare idea o di cercare lo stesso lavoro presso un altro padrone sono escluse a priori, nemmeno vi pensa. Egli piuttosto dichiara esplicitamente di non sentirsela di zappare, lavoro pesante in ogni epoca. Si vergogna di mendicare, ricordandosi forse del consiglio del saggio: «E' meglio morire che mendicare» (Sir 40,28). Ci sarebbero senza dubbio altri mestieri a cui egli poteva dedicarsi.

Certo il binomio zappare-mendicare è un espressione popolare.

4So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua".

All'amministratore viene all'improvviso l'idea che lo salverà da questa incresciosa situazione. Egli pensa a qualcuno che lo accoglierà a casa sua: i debitori del suo signore!

5Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: "Tu quanto devi al mio padrone?".6Quello rispose: "Cento barili d'olio". Gli disse: "Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta". 7Poi disse a un altro: "Tu quanto devi?". Rispose: "Cento misure di grano". Gli disse: "Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta".

L'amministratore passa all'azione: fa venire i vari debitori uno a uno. Di nuovo Luca propone due esempi in rappresentanza dell'intera azione. Anche le domande poste in forma diretta, la menzione ad alta voce del debito fanno parte dell'arte narrativa e servono a introdurre l'ascoltatore nella questione.

I debitori potrebbero essere mezzadri in ritardo con la consegna del raccolto o piuttosto mercanti ai quali è stata anticipata la merce; comunque grossi trafficanti, come si conviene nei racconti orientali.

Il primo deve 100 barili, cioè circa 36 hl (la produzione di 140 ulivi): riceve uno sconto del 50%.

Il secondo deve 100 misure di grano, cioè circa 550 quintali (la produzione di 42 ettari di terreno) e riceve uno sconto del 20%; la differenza dello sconto è solo per variare un po' il racconto.

Era il debitore stesso a scrivere la somma dovuta; quindi l'amministratore per prudenza, fa scrivere la nuova cifra dalla mano stessa del debitore su un altro foglio.

Il lettore ha ormai capito la manovra e la parabola può concludersi.

8aIl padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza.

La parabola originariamente si concludeva con un elogio a sorpresa da parte di Gesù; ma nel testo attuale la tradizione glielo attribuisce indirettamente, mettendolo in bocca al padrone. Certo l'amministratore ha agito in modo disonesto, come dice chiaramente l'espressione "amministratore d'ingiustizia". Ma ad essere lodata non è la sua ingiustizia, bensì la sua accortezza: egli ha saputo garantirsi un futuro nel poco tempo rimasto a sua disposizione. Come in Lc 12,42, l'accortezza qualifica un comportamento cristiano richiesto al credente in attesa della venuta finale del Signore.

8bI figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.

La parabola è seguita da una serie di affermazioni sul tema dell'uso dei soldi. Il raggruppamento rivela la tendenza della comunità a moralizzare sul racconto originale.

Il versetto 8b trae dalla parabola delle conclusioni per i credenti, chiamati "figli della luce". Il loro comportamento viene messo a confronto con quello dei "figli di questo mondo" (cioè coloro che agiscono secondo i criteri in uso fra i non-credenti). La sentenza vede nell'agire dell'amministratore un esempio di come la gente di questo mondo si industria nei propri affari, ed esprime l'augurio che i credenti siano altrettanto abili nelle cose che riguardano il Regno di Dio e le esigenze del Vangelo.

9Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.

Per l'evangelista Luca la vera interpretazione della parabola si legge in questo versetto, nel quale l'interesse si concentra sul buon uso della ricchezza, e raggiunge quindi una delle principali preoccupazioni dell'autore sacro. Il versetto è in stretto parallelismo con il v. 4. Si tratta di un invito a sfruttare la ricchezza per farsi degli amici condividendola con i poveri. Alla morte, quando la ricchezza non sarà più di aiuto, questi poveri aiuteranno a entrare in cielo.

Il senso generale appare chiaro, la formulazione nondimeno rimane curiosa e ha dato luogo a varie interpretazioni dell'espressione ricchezza disonesta, letteralmenteMammonà di ingiustizia . Questo termine ritorna tre volte di seguito acquista particolare rilievo: il Mammonà appare come una forza personificata, un anti-Dio. Il termine ebraicomamon proviene dalla radice mwn: nutrimento, provvista o da 'mn: stabile, solido, e significa: denaro, fortuna. Il termine non è biblico, ma si trova nella letteratura giudaica.

Cosa può dunque significare il termine Mammonàd'ingiustizia?

Esso può essere rettamente inteso come "ricchezza che non ci appartiene", sullo sfondo dell'insegnamento biblico: il creato e tutti i suoi beni appartengono a Dio, all'uomo sono soltanto affidati. Di conseguenza la ricchezza, appartenendo a Dio non è ingiusta in se stesso, ma lo diventa non appena l'uomo se ne appropria e la accumula per sé, comportandosi come se Dio non ne fosse il padrone. La nota di ingiustizia non riguarderebbe quindi il bene terreno come tale. Essa pare legata alla tendenza dell'uomo a riportare questi beni a se stesso, ad accumularli per suo profitto, a considerarsene il padrone assoluto.

10 Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti.

L'argomento cambia: non è più questione di dare la ricchezza ai poveri, ma di amministrarla bene, in riferimento al comportamento dell'amministratore della parabola ora giudicato negativamente. Il versetto prende dunque in considerazione l'agire rimproverabile dell'intendente e vede nella disonestà il motivo del suo licenziamento. Però il contesto richiede di allargare la visuale. E' la scelta fondamentale di Dio senza compromessi che detta il comportamento da seguire nell'uso dei beni terreni. Allora, proprio la fedeltà o meno nell'uso della ricchezza che Dio ha affidato all'uomo risulta un test efficace della fedeltà a Dio.

11Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? 12E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?

Questi versetti sono l'applicazione della massima precedente, fatta in forma di doppia domanda e secondo un ragionamento "da minore a maggiore" caratteristico dell'insegnamento rabbinico. Si tratta di un incoraggiamento a non dimenticare il vero bene che aspetta il discepolo nel cielo; per ottenerlo però il discepolo deve dimostrarsi fedele nell'uso dei beni materiali e questa fedeltà nei confronti del Mammonà ingiusto (cioè che non appartiene all'uomo) non sta in una buona gestione economica, ma nel donare i propri beni ai poveri.

13Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza".

Chiude il nostro brano una sentenza parenetica sapienziale presa dalla fonte Q. Essa inizia come un proverbio: l'esperienza mostra che quando uno schiavo è a servizio di due padroni, egli immancabilmente finirà per servire l'uno meglio dell'altro.

La parte centrale del versetto, in forma di parallelismo sinonimico, spiega il motivo: egli nutrirà più simpatia nei confronti dell'uno, a svantaggio dell'altro. La finale volge l'applicazione agli ascoltatori, chiamandoli a fare la scelta migliore. Essi sanno che devono amare Dio, un tale servizio è incompatibile con quello della ricchezza.

L'incompatibilità non è tanto tra Dio e la ricchezza, ma nel cuore dell'uomo. E' il cuore, cioè le sue scelte fondamentali che non deve essere diviso. Il pericolo della ricchezza è che l'uomo finisca con l'innamorarsi di essa.

Allora essa diventa un padrone esigente. Con queste parole Gesù vuole che l'uomo invece scelga Dio e che mantenga un uso corretto della ricchezza, cioè la sua distribuzione ai poveri.

Meditatio

- Quali reazioni suscita in me la parabola dell'amministratore infedele?
- Mi è mai capitato di agire con "scaltrezza" pur di realizzare qualcosa che sentivo come volontà di Dio per me in quel momento?
- Qual è il mio atteggiamento verso le ricchezze terrene? Sono diventate il mio padrone?

Preghiamo (Colletta della 25a domenica, anno C)

O Padre, che ci chiami ad amarti e servirti come unico Signore, abbi pietà della nostra condizione umana; salvaci dalla cupidigia delle ricchezze, e fa' che alzando al cielo mani libere e pure, ti rendiamo gloria con tutta la nostra vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

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23/09/2013 07:37
 
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Riccardo Ripoli
Non c'è nulla di nascosto che non debba essere manifestato

In un'accesa discussione davanti ad un giudice minorile tra noi ed il servizio sociale di un comune, avverso la decisione di voler mettere uno dei nostri bimbi in una comunità (un bambino già provato da un'adozione internazionale fallita che con noi aveva trovato il calore e la tranquillità di una famiglia, tanto che da maggiorenne è ancora con noi su sua decisione) per scopi a nostro parere, tesi poi condivisa anche dal tribunale e psicologo incaricato dallo stesso (ctu), non a favore del bambino, l'unica cosa che l'assistente sociale ha saputo trovare contro di noi, alla domanda di come si trovasse G. presso la nostra famiglia, è stato "la casa è un po' buia". Ora chi è venuto a trovarci sa benissimo che posto meraviglioso abbiamo creato, insieme ai ragazzi e volontari che negli anni sono cresciuti con noi, per accogliere chi ha bisogno del nostro affetto. La luce è fondamentale per far crescere e far diventare piante i tanti semini che abbiamo collocato nei cuori dei nostri ragazzi. Non è importante per queste bellissime piante che ci sia la luce del sole, che a illuminare le nostre serata sia una candela o una serie di fari alogeni, ciò che conta è che ci sia la luce dell'amore, l'unica fonte di energia e di calore capace di far crescere questo tipo di semi. Ci sono tantissimi tipi di amore, quello di un figlio per i genitori, di un papà e di una mamma per la propria prole, tra fratelli, ma al di sopra di tutti c'è l'Amore di Dio per tutti noi. E' Lui che illumina le nostre strade, rischiara le nostre case, scalda i nostri cuori ed è solo grazie a Lui che i nostri bambini e ragazzi ricevono quel calore di cui hanno bisogno per crescere. Noi genitori possiamo fare tanto per loro, ma siamo incompleti, pieni di errori e difetti, tanto che se non ci fosse un aiuto dall'alto i nostri ragazzi si perderebbero. Anche coloro che non credono dovrebbero valutare che certi principi che fanno la differenza tra il bravo ragazzo e lo scapestrato sono valori che fanno parte di una morale ormai comune, ma insegnataci da Gesù con il Vangelo: onestà, solidarietà, altruismo, pazienza. Il Signore con i Suoi insegnamenti ha rischiarato la nostra vita, ha dato luce al presente e al futuro e la Sua dottrina si è diffusa nei nostri cuori anche se in molti non vedono in Gesù il Figlio di Dio. Non ci sono segreti quando si parla di cose buone. Il Vangelo non è un libro per pochi eletti, non è la Parola di un cospiratore o di un sovversivo, sono concetti che indicano un cammino da seguire per vivere in pace con il prossimo, costruire un mondo migliore, trovare gioia e soddisfazione in ogni cosa che facciamo, superare le difficoltà. Non ci sono segreti e pertanto sono come quelle lampade cinesi che vengono mandate verso l'alto così da illuminare le nostre vite e al contempo donare a Dio il calore del nostro amore. Il Signore legge nei nostri cuori e saprà giudicare chi si comporta con amore, indipendentemente che vada o meno in chiesa, un amore che non dobbiamo temere di far conoscere, di evidenziare affinché serva da esempio.
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24/09/2013 08:15
 
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Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica.

Come vivere questa Parola?
Dopo le parole del Vangelo di ieri con il richiamo al tipo di attenzione nell? ascolto, oggi, Gesù alza il tiro. Ascoltare la Parola ha come conseguenza un nuovo e profondo rapporto con il Signore della vita. Crea consanguinei, addirittura genera viscere materne nei confronti del Figlio di Dio.
A questo proposito, commenta Maria Ignazia Angelini, monaca nostra contemporanea: ?L?ascolto- come suggerisce la lettera di Giacomo( cf 1,22)- è poesia della parola udita. Non si improvvisa l?ascolto, si matura ai ritmi di una gestazione. Il suo dinamismo è analogo a quello del prendere carne di un vivente...è una forza vitale, capace di conferire una certa qual forma corporea alla Parola ascoltata?.
E certamente, un tale tipo di attenzione si fa azione, il suo approdo è il gesto vitale che dona spessore ai giorni.
Fra non molto, la Chiesa celebrerà il Sinodo sulla Parola e questi richiami del Signore Gesù costituiscono la premessa necessaria per accostarci a quella lunga lettera d?amore e di vita che Dio ci ha inviato attraverso i secoli e soprattutto attraverso il suo Verbo, l?amato dal Padre, che ha rotto il silenzio del cielo con la sua passione, morte e risurrezione.

Oggi farò mia questa preghiera:

"Signore Gesù, Verbo di Dio, aiutaci ad accogliere la tua parola e a metterla in pratica. Allora la sua potenza ci conformerà a te, e potremo essere chiamati tuoi fratelli ed entrare nella tua famiglia, per i secoli dei secoli?.

La voce del Concilio Vaticano II
Nella parola di Dio è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della chiesa, e per i figli della chiesa saldezza della fede, cibo dell?anima, sorgente pura e perenne della vita spirituale.
(Dei Verbum, 21)
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25/09/2013 08:04
 
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Riccardo Ripoli
Annunziando dovunque la buona novella e operando guarigioni

Quando c'è un bellissimo evento in programma ce ne facciamo tutti portavoce, cerchiamo amici che ci accompagnino, vogliamo far sapere in giro che bella cosa è stata organizzata. Se poi siamo parte dell'organizzazione o attori allora la gioia è al settimo cielo ed impossibile trattenersi. Come reagiscono gli altri? Spesso con freddezza, noncuranza, scetticismo. A volte è una posa per non farsi vedere interessati, altre volte è distrazione per le mille attività che abbiamo da svolgere. In tanti anni di Associazione abbiamo organizzato decine e decine di eventi, feste, marce, spettacoli, conferenze, mercatini ed ogni altra cosa la fantasia ci abbia suggerito. Lo scopo è solitamente duplice, raccogliere fondi per andare avanti e far conoscere l'Associazione, i suoi scopi e principalmente l'affidamento familiare. Sono tanti anni che navighiamo in questo mare di aiuto ai bambini, ma l'entusiasmo iniziale non è mai venuto meno, anche se ce ne sarebbe stato motivo per l'indifferenza ed il menefreghismo dei più, per uno stato assente, per comuni e servizi sociali spesso votati al raggiungimento di propri scopi piuttosto che alla tutela dei bambini, aspre critiche da tanti pronti a giudicare e a fare di tutta un'erba un fascio, molti furti e tanto altro ancora. Ma dove troviamo tutto questo entusiasmo, questa forza dopo oltre un quarto di secolo? Certamente in Dio, nella preghiera e nella certezza che, seppur con mille errori e difetti, stiamo facendo la cosa giusta. Ma davvero c'è qualcuno che possa pensare che qualche ostacolo sul nostro cammino possa fermarci? Se smettessimo di spargere questo seme, se interrompessimo questo nostro cammino ci sarebbero tanti bambini che non avrebbero più voce per chiedere aiuto, famiglie lasciate senza un consiglio, amici che si troverebbero senza un appoggio. No, non possiamo smettere. Ma più di ogni altra cosa c'è dentro di noi una gioia grandissima, alimentata ogni giorno da mille sfaccettature. Mille i problemi nel quotidiano, ma basta una carezza, una telefonata, un messaggio per farci tornare il sorriso, per darci nuova carica per lottare contro ciò che di male viene perpetrato nei confronti dei bambini. Potreste voi stare zitti il giorno che vi nascesse un figlio? Potreste avere dissapori sul lavoro, dispiaceri in famiglia, problemi di salute, ma la vostra gioia sarebbe talmente grande che non potreste fare a meno di gridarla ai quattro venti. Non vi importerebbe nulla se vi prendessero per pazzo, perché la gioia rende matti, ma è una follia di felicità, quella stessa letizia che ti fa esultare ovunque e con chiunque. Ecco, dentro noi è così ogni giorno. C'è una sana pazzia che ci fa cantare, ballare, parlare, dialogare, organizzare eventi.
Così è, o dovrebbe essere, per chi ha Fede. L'aver incontrato Gesù, il conoscerLo, il recepire i Suoi insegnamenti, il sentirLo vicino ogni istante della nostra vita dovrebbe, e per me è così, renderci gioiosi, felicissimi di poter condividere con tutto il mondo la letizia che è nei nostri cuori, tristi nell'incontrare chi non riesce ad assaporare questo grande appagamento, speranzosi però che con le nostre parole, esempio e felicità possiamo contaminare l'anima di coloro che incontriamo.
Un giorno mi incontrai con il mio amico non credente a Roma, dove ero andato per parlare con alcune persone. A pranzo, come spesso accade tra noi, ci mettemmo a parlare dell'Associazione, ma poi il discorso scivolò sulla Fede come motivazione profonda al nostro operato. Parlammo per quasi due ore in un dialogo apertissimo dove questo mio grande amico cercava di capire, ci provava veramente, il mio punto di vista. E' stato uno dei momenti più belli trascorsi nella mia vita. Avere qualcosa da dire è bellissimo, ma avere qualcuno che ti ascolta con interesse è una sensazione che in quel momento le tue parole potrebbero fare la differenza. Così nella Fede, tanto quando parliamo di affido, la speranza è sempre quella di poter accendere in chi ascolta, legge, guarda la fiammella della curiosità che possa un giorno portare qualcuno a leggere il Vangelo, pensare all'affidamento, salutare un povero per la strada, stringere la mano ad un nemico.
Il Signore vuole questo da noi, che si urli ai quattro venti la nostra felicità di essere Suoi figli, che si vada a svegliare chi sta dormendo, che si invitino tutti alla festa che Dio ha preparato per noi.
In tanti non ascoltano, troppo presi dai rovi della vita, ma un volantino che viene preso al supermercato e portato distrattamente in casa magari un giorno verrà letto, forse in un giorno particolare in cui c'è bisogno di una parola per scacciare un brutto pensiero. Ed ecco che il Signore risponderà a chi vorrà prendere contatto con Lui, anche solo per avere informazioni.
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26/09/2013 08:13
 
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Riccardo Ripoli
Avete mai provato ad amare?

E' difficile avere le idee chiare sulle cose, è un male comune a tanti, ma quando si fanno delle cattive azioni la confusione è totale per i rimorsi, per la paura di essere scoperti e giudicati e per le bugie che dobbiamo inventarci. Erode non sa cosa pensare su Gesù, è invidioso, geloso, ha paura di perdere il suo potere. Così è per noi. Abbiamo paura di incontrare Gesù, timore di trovarlo negli occhi impauriti di un bambino quando arriva in affidamento, angoscia di non saper dialogare con Lui quando un malato di nostalgia ci chiede un po' di comprensione, ansia nel non voler toccare le piaahe della Croce quando le vediamo in un letto di ospedale in colui che, morente, ci supplica di stargli vicino.
Paura. E così scappiamo da Lui, fuggiamo dal povero, dall'anziano, dal carcerato, dal bambino abusato e maltrattato.
A volte facciamo anche peggio e per evitare di angosciarci Lo uccidiamo, Lo allontaniamo da noi, rifiutiamo con Lui ogni contatto, abbandoniamo i bambini presi in adozione e affidamento, lasciamo altri ragazzi negli istituti e nelle famiglie disagiate, passiamo alla larga da carceri ed ospedali, mettiamo i nostri vecchi negli ospizi.
Ma non è così facile sbarazzarci di Gesù. Se abortiamo vedremo in ogni bambino quello che avrebbe potuto essere nostro figlio, se collochiamo un nonno in una casa di riposo sentiremo sempre la sua voce rimproverarci di aver allontanato colui che ci cullava sulle sue ginocchia quando eravamo piccoli, se passiamo oltre scansando la mano tesa di chi ha fame e chiede il nostro superfluo ci sentiremo in colpa ogni volta che andremo a cena fuori. Il Signore non si fa allontanare da noi, si ripresenta ogni giorno, ogni ora, ogni minuto.
Paura. E di cosa poi? Di diventare uomini e donne consapevoli? Di essere persone in grado di cambiare la vita di qualcuno? Di trasformarsi in signori generosi? E dove è il male in tutto questo? Rinunciare ad un pezzettino di sé, un'ora ella propria giornata, una cameretta della nostra casa per accogliere un bambino non è tempo perso, è investire nel nostro futuro. Avete mai provato ad amare? Si, si certo, ognuno di voi ha amato, ciascuno sa benissimo cosa è l'amore, non sta certo a me insegnarlo a nessuno, ma vi domando: Avete mai provato ad amare?
Il vero amore è quello gratuito, un dono fatto senza ricevere nulla in cambio, un regalo senza aspettative di ringraziamenti, di un amore restituito, della gioia di un figlio che cresce dentro te. Amore gratuito è l'offerta anonima a chi combatte in prima linea contro i mali del mondo, è l'accoglienza del bimbo che nessuno vuole, è lo stare vicino a chi morente non può riconoscerci e dice cose senza senso, è pulire una casa di una famiglia povera per restituirgli dignità e al contempo entrare in contatto con i suoi componenti per poterli meglio aiutare.
Amore a Dio è tutto questo e non mi venite a dire "io non sono credente" perché è una delle vostre tante scuse per non rimboccarvi le maniche. Non bisogna credere in Dio per poter aiutare una persona, amarla fin nel profondo, cambiare la sua vita.
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27/09/2013 09:29
 
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Pietro, per divina rivelazione, sa chi è Gesù: "Il Cristo di Dio", il suo Unto. Non conosce però la verità sul Messia del Signore. Lo pensa glorioso, vittorioso, come uno che avrebbe liberato il suo popolo dalla schiavitù dei Romani come un tempo Mosè aveva liberato i figli di d'Israele dalla schiavitù del faraone. Gesù non è un nuovo Davide e neanche un nuovo Mosè. La sua missione è infinitamente oltre, divinamente oltre.

Il Messia del Signore è un vinto dall'amore, dalla carità, dalla misericordia, dalla compassione verso l'uomo. Non verso un uomo, un popolo, una nazione, una lingua, una tribù, una razza. È vinto dalla pietà verso ogni uomo, da Adamo fino all'ultimo che nascerà sulla nostra terra. Lui non è venuto per liberare l'uomo dall'uomo, ma l'uomo dal suo peccato. Quando si toglie il peccato da un cuore, quest'uomo può vivere bene anche nell'inferno. La grazia di Dio, la sua luce, gli faranno da brezza soave e leggera.

Gesù toglie il peccato prendendolo tutto sopra di sé in modo concreto, reale, fisico. Fisicamente si carica il peccato, perché fisicamente dal peccato è umiliato e crocifisso, fisicamente maltrattato e flagellato, insultato e deriso. Lo ha preso, lo ha vinto, lo ha tolto. Con la sua grazia e la sua verità ogni uomo ora può vincere il peccato, lo può togliere dal mondo, prendendolo però tutto sopra di sé in modo fisico e non solo in modo spirituale. È fisicamente che si vince il peccato. Finché il cristiano penserà solo ad un modo spirituale, mai esso si potrà vincere, perché è nel corpo che esso si vince perché è nel corpo che esso si inchioda sulla croce.
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28/09/2013 07:25
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Il secondo annuncio della Passione

San Luca pone il secondo annuncio della sua Passione dopo l'episodio centrale della trasfigurazione e della guarigione dell'epilettico. Dopo la gloria del Tàbor, ecco che Gesù ripropone il suo mistero della Croce. È un insegnamento forte e di difficile comprensione da parte dei discepoli. Lo «scandalo della Croce», che ci propone San Paolo si associa alla glorificazione del Figlio dell'uomo che troviamo nel Vangelo di San Giovanni. I discepoli, ancora non possono comprendere questi misteri; si trovano di fronte all'impossibilità di accettare la sofferenza del giusto: in questo passaggio troviamo il cambiamento dall'Antico al Nuovo testamento. Troviamo nella predicazione profetica (Isaia) e nell'esperienza sapienziale (Giobbe) già dei tentativi per affrontare questo aspetto che, invece, ci introduce direttamente nella missione redentrice di Gesù, il vero ed unico Giusto, e ci aiuta a comprendere i misteri del Padre nelle strade tortuose di questo mondo; ciò però non è sufficiente per i discepoli che rifiutano ancora apertamente la passione di Cristo. Vi è un profondo motivo religioso in ciò proprio per l'inconciliabilità, nella loro mentalità, della figura del Messia con la passione appena annunciata. Nella missione della Chiesa, e nella nostra vita quotidiana vi è l'esortazione a riconoscere il vero Gesù, il Cristo mandato dal Padre, nel Mistero della sua morte e Risurrezione, per affidare a Lui le nostre sofferenze ed i nostri dolori che ci dice: «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime».
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