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SCRITTI PATRISTICI PER LA LITURGIA FESTIVA (anno C)

Ultimo Aggiornamento: 12/01/2017 10:17
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21/03/2013 06:59
 
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DOMENICA DI PASSIONE O DELLE PALME

Letture: Isaia 50,4-7
Filippesi 2,6-11
Luca 22,14; 23,56

1. Benedetto il regno che viene

"Benedetto il regno che viene, del padre nostro David! Osanna nel piú alto dei cieli" (Mc 11,10).
Leggiamo nel Vangelo di Giovanni (cf. Gv 6,15) che le folle, ristorate coi cinque pani e i due pesci, volevano rapire Gesú e proclamarlo re, ma che Gesú, per evitare che questo avvenisse, fuggì sul monte a pregare. Ora invece, mentre viene a Gerusalemme ove subirà la passione, non sfugge a coloro che lo proclamano re; che in schiera osannante e cantando canzoni degne del re e del Figlio di Dio lo conducono alla città regale, non impone il silenzio a quanti insieme cantano la restaurazione in lui del regno del patriarca David, e la riconquista dei doni dell`antica benedizione. Per qual motivo ciò che prima rifiutò fuggendo, ora l`accoglie volentieri, e il regno che non volle accettare quando ancora doveva riportare la sua vittoria nel mondo, ora che sta per abbandonare il mondo per la passione della croce, ora questo regno non lo rifiuta? Certo per insegnare apertamente che egli è il re di un impero non temporaneo e terreno ma eterno nei cieli, di un regno al quale perverrà con il disprezzo della morte, con la gloria della Risurrezione e il trionfo dell`Ascensione. Ecco perché apparendo ai discepoli dopo la Risurrezione dirà: "Mi è stata data ogni potestà in cielo e in terra" (Mt 28,18), con quel che segue. Dobbiamo osservare peraltro quanta somiglianza vi sia tra le parole della folla che loda in coro il Signore e quelle di Gabriele che lo annunzia alla Vergine madre dicendo: "Egli sarà grande e sarà chiamato Figlio dell`Altissimo, e il Signore Iddio gli darà il trono di David suo padre, e regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe" (Lc 1,32-33). Il Signore accettò il trono e il regno di David per chiamare al regno celeste e immortale e introdurre nella stessa visione di Dio Padre con fatti, parole, doni e promesse degne soltanto del Mediatore tra Dio e gli uomini, quel popolo al quale un tempo David aveva offerto l`organizzazione di un regno temporale insieme con esempi di giustizia, e che egli soleva spingere all`amore e alla fede nel suo Creatore con le melodie di suoi salmi spirituali. «Aggiungendo osanna, cioè salvezza, nel piú alto dei cieli, chiaramente si mostra che l`avvento di Cristo non è soltanto la salvezza degli uomini, ma di tutto il mondo, in quanto unisce le cose terrene a quelle celesti in modo che ogni ginocchio, celeste, terrestre e infernale, si pieghi dinanzi a lui».

(Beda il Vener., In Marc., 3, 11, 10)


2. Gesú e David, la Legge e la grazia

Con palme i bambini ti lodano,
chiamandoti figlio di David:
avevan ragione, o Maestro,
perché tu l`insolente hai ucciso
Golia spirituale.
Le danzatrici dopo la vittoria
cosí l`acclamarono:
Saul mille ne uccise, David diecimila (cf. 1Sam 18,6-7).
Questo la Legge sta a dire,
e dopo la tua grazia, o mio Gesú.
La Legge è Saul geloso che perseguita;
però su David perseguitato
sboccia il frutto di grazia,
poiché di David il Signor tu sei,
o Benedetto, venuto a richiamare Adamo...

Tu la forza manifesti
eleggendo l`indigenza.
Segno di povertà fu quello
infatti di sedersi sopra un asinello,
mentre con la tua gloria
fai vacillare Sion.
Le vesti dei discepoli eran certo
un marchio d`indigenza,
ma l`inno dei bambini e delle folle il grido (cf. Mt 21,9)
eran di tua potenza il segno:
«Osanna nell`alto dei cieli» - ovvero:
Salvaci alfine; Salva, o Altissimo, gli oppressi.
Abbi pietà di noi, per queste palme;
I rami che si agitano il tuo cuore toccheranno,
tu che venuto sei per richiamare Adamo.

Adamo per noi contrasse,
mangiando il non dovuto,
il debito che ci opprime,
e fino ad oggi, al posto suo vien chiesto
a noi suoi discendenti.
Impadronirsi di sua vittima
dal creditor fu ritenuto poco;
incombe allor sui figli
reclamando del padre il debito,
svuota del debitor la casa,
tutti menando fuori.
A colui che è onnipotente
perciò noi ricorriamo:
conoscendo la nostra spoliazione,
assumiti tu il nostro debito,
tu ricco qual sei,
tu che venuto sei per richiamare Adamo.

Per liberare gli uomini venisti,
testimone il profeta Zaccaria,
che dolcissimo, giusto e salvatore,
un tempo t`ha chiamato (cf. Zc 9,9).
Esausti e vinti siamo,
scacciati dappertutto.
Nella Legge credemmo intravedere
un liberator, però in servaggio
essa ormai ci ha ridotti;
quindi appello ai profeti
facemmo e sulla speranza ci han lasciati.
Per questo coi bambini
ci gettiamo ai tuoi piedi:
pietà di noi, oppressi;
consenti a subir la croce e la sentenza
tu della morte lacera,
tu che venuto sei per richiamare Adamo.

«O creatura della mano mia -
risponde il Creatore a quelli che sí gridano -,
sapendo che la Legge non aveva
potere di salvarti,
lo stesso son venuto.
A]la Legge salvarti non spettava,
perché non è lei che t`ha creato;
né dei profeti compito,
che creature mie come te erano.
Solo a me spetta d`affrancarti
dal debito oppressore.
Per te sono venduto, e sí ti libero;
per te son crocifisso, e dalla morte scampi;
muoio, cosí a gridar ti insegno:
Benedetto tu sei
tu che venuto sei per richiamare Adamo.

Ho forse io amato tanto gli angeli?
No, sei tu, il meschino, che io ho preferito.
La mia gloria offuscai,
e ricco, liberamente povero mi feci,
per amor tuo.
Per te ho sofferto
fame, sete e fatica.
Per monti, valli e per burroni ho corso,
pecorella smarrita, per cercarti;
nome di agnello presi
per ricondurti, attratta da mia voce;
e di pastore, per dare la mia vita
per te, e sottrarti al lupo.
Tutto perché tu gridi io sopporto:
Benedetto tu sei,
tu che venuto sei per richiamare Adamo».

(Romano il Melode, Hymn., 32, 6.8-12)


3. Sulla Passione di Gesú

Gesú, sapendo che era ormai venuto il tempo di dar compimento alla sua gloriosa Passione, disse: "L`anima mia è triste fino alla morte" (Mt 26,38), e ancora: "Padre, se possibile passi da me questo calice" (Mt 26,39). Con tali parole rivelatrici di un certo timore, egli guariva condividendole le emozioni della nostra debolezza e aboliva, sottomettendovisi, la paura della sofferenza da subire. E` dunque in noi che il Signore tremava del nostro terrore, di modo che, assumendo la nostra debolezza e rivestendosene, vestì la nostra incostanza con la fermezza scaturita dalla sua forza.
Egli, infatti, era disceso dal cielo in questo mondo come un mercante ricco e benefattore, e, per un ammirabile scambio aveva concluso un affare, prendendo ciò che apparteneva a noi, e accordando ciò che era suo, dando l`onore per gli obbrobri, la guarigione per i dolori, la vita per la morte; e lui che per sterminare i suoi persecutori poteva avere a suo servizio piú di dodicimila legioni di angeli (cf. Mt 26,53), preferí meglio subire il nostro terrore piuttosto che fare uso della propria potenza.
Quanto quella umiltà fosse di profitto per tutti i fedeli, il beato apostolo Pietro lo sperimentò per primo, lui che, con la sua violenta tempesta, l`assalto della crudeltà aveva scosso; con brusco cambiamento, ritornò in sé e ritrovò la sua forza; attingendo il rimedio nell`esempio, quel membro tremante indossò immediatamente la fermezza del suo Capo. Il servo, in effetti, non poteva essere piú grande del suo Signore, né il discepolo piú del Maestro (cf. Gv 15,20); e non avrebbe potuto vincere il terrore dell`umana fragilità, se il vincitore della morte non avesse dapprima tremato. Il Signore dunque guardò Pietro (cf. Lc 22,61), e, pur in mezzo alle calunnie dei sacerdoti, alle menzogne dei testimoni, alle ingiurie di coloro che lo colpivano e lo schernivano, incontrò il discepolo scosso da quello sguardo che in anticipo aveva visto che sarebbe rimasto turbato; la Verità penetrò in lui per scoprire il punto in cui il cuore reclamava la correzione, era come se una non so quale voce del Signore avesse detto: «Pietro, perché scappi? Perché ti rinchiudi in te stesso? Ritorna a me, abbi fiducia, sono io (cf. Gv 21,23); questo è il tempo della mia Passione, l`ora del tuo martirio non è ancora venuta. Perché hai paura di ciò che anche tu supererai? Non lasciarti sconcertare dalla debolezza che ho voluto assumere. Se io tremo, è in proporzione di quanto prendo da te, ma tu, sii senza paura in proporzione di quanto prendi da me».

(Leone Magno, Sermo 41 [54], 4-5)


4. Perché Gesú ha avuto paura della morte?

Al crepuscolo della notte in cui consegnò se stesso, egli distribuí il suo corpo e il suo sangue agli apostoli, ordinando loro di fare atrettanto in memoria della sua Passione.
Eppure, colui che raccomandò ai suoi discepoli di non aver paura della morte - "Non abbiate paura di coloro che uccidono il corpo" (Mt 10,28) -, come mai ha avuto paura della morte ed ha chiesto che il calice si allontanasse da lui (cf. Mt 26,39)?...
Egli ha avuto paura, cosí come ha avuto fame e sete, si è affaticato e ha dormito. Oppure, dice questo perché gli uomini non possano dire nel mondo: E` senza sofferenza e senza dolore che ha pagato i nostri debiti. O anche, per insegnare ai discepoli ad affidare la propria vita e la propria morte a Dio. In effetti, se colui che è saggio della stessa sapienza di Dio ha chiesto ciò che per lui era bene, quanto piú occorre che gli ignoranti abbandonino la loro volontà a colui che sa tutto.
A meno che, per diffondere con la sua Passione la consolazione nei discepoli, egli non abbia voluto entrare nel loro sentimento, proponendosi come esempio, ed assunse in sé la loro paura, affinché la somiglianza della sua anima mostrasse che non bisogna gloriarsi della morte prima di averla subita. In effetti, se colui che non teme ha avuto paura ed ha chiesto di essere liberato, sapendo che ciò era impossibile, quanto piú è necessario che gli altri perseverino nella preghiera prima della tentazione, per esserne liberati quando essa si presenta.
Infine, forse, perché nell`ora della tentazione le nostre anime sono tormentate in tutti i sensi e i nostri pensieri divagano, egli è rimasto in preghiera per insegnarci che è necessario pregare contro i complotti e le insidie del demonio, per poter padroneggiare con una preghiera incessante i dispersi pensieri. O semplicemente, è per confortare coloro che hanno paura della morte che egli ha esternato la propria paura, perché essi sappiano che tale paura non li induce in peccato se essa non perdura a lungo. "Non la mia, o Padre, ma la tua volontà sia fatta" (Lc 22,42), ossia che io muoia per ridare la vita a molti (cf. Is 53,11).

(Efrem, Diatessaron, 20, 3-7)
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