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SCRITTI PATRISTICI PER LA LITURGIA FESTIVA (anno C)

Ultimo Aggiornamento: 12/01/2017 10:17
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30/01/2013 08:13
 
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IV DOMENICA

Letture: Geremia 1,4-5.17-19
1 Corinti 12,31; 13,13
Luca 4,21-30

1. Nessuno è profeta in patria

Stando al solo racconto di Luca, Gesú non ha ancora soggiornato a Cafarnao, e non si racconta che egli abbia compiuto miracoli in quella città per il semplice motivo che non vi si è fermato. Ma prima della sua venuta a Cafarnao la sua presenza è segnalata nella sua patria, che è Nazaret; e cosí egli parla ai suoi concittadini: "Certo mi citerete quel proverbio: medico, cura te stesso. Tutte quelle cose che abbiamo udito essere state fatte a Cafarnao, falle anche qui, nella tua patria" (Lc 4,23). Io credo che un mistero sia nascosto in questo passo, ove Cafarnao, che raffigura i Gentili, passa avanti a Nazaret, che raffigura i Giudei. Gesú, sapendo che nessuno gode di onori nella sua patria, né egli stesso, né i profeti, né gli apostoli, non ha voluto predicare nella sua città e ha predicato tra i Gentili nel timore che i suoi compatrioti gli dicessero: «Certo mi citerete quel proverbio: medico, cura te stesso».
Verrà in effetti il tempo in cui il popolo giudeo dirà: «Tutte quelle cose che abbiamo udito essere state fatte a Cafarnao», cioè i miracoli e i prodigi compiuti tra i Gentili, «falle anche presso di noi, nella tua patria», mostra cioè anche a noi ciò che hai mostrato al mondo intero; annunzia il tuo messaggio a Israele, tuo popolo, affinché almeno, "quando la totalità dei pagani sarà entrata, sia salvo allora tutto Israele" (Rm 11,25-26). Per questo mi sembra che, secondo una linea ben precisa e logica, Gesú, rispondendo alle domande poste dai Nazareni, abbia detto loro: "Nessun profeta è bene accolto nella sua patria" (Lc 4,24); e penso che queste parole siano piú vere secondo il mistero che secondo la lettera.
Geremia non è stato ricevuto bene ad Anatot (cf. Ger 11,21), sua patria, né Isaia nella sua, quale essa sia stata, e uguale sorte hanno avuto gli altri profeti: mi sembra pertanto che sia meglio comprendere questo rifiuto intendendo che la patria di tutti i profeti è il popolo della circoncisione che non ha bene accolto né loro, né le loro profezie. Invece i Gentili, che abitavano lontano dai profeti e non li conoscevano, hanno accettato la Parola di Gesú Cristo. «Nessun profeta è bene accolto nella sua patria «, cioè dal popolo giudeo. Ma noi, che non appartenevamo all`Alleanza ed eravamo stranieri alle promesse, abbiamo accolto i profeti con tutto il nostro cuore; e Mosè e i profeti che hanno annunziato il Cristo, appartengono piú a noi che a loro: infatti, per non aver accolto Gesú, essi non hanno accolto neppure coloro che lo avevano annunziato.
Così dopo aver detto: «Nessun profeta è bene accolto nella sua patria», aggiunge: "In verità io vi dico che c`erano molte vedove in Israele ai giorni di Elia, quando il cielo stette chiuso per tre anni e sei mesi" (Lc 4,25). Ecco il significato di queste parole: Elia era un profeta e si trovava in mezzo al popolo giudeo, ma nel momento di compiere un prodigio, benché ci fossero parecchie vedove in Israele, egli le trascurò e venne a trovare "una vedova di Sarepta, nel paese di Sidone" (cf. 1Re 17,9), una povera donna pagana, che raffigurava in se stessa l`immagine della futura realtà. Infatti il popolo di Israele era in preda a una "fame e sete, non di pane e d`acqua, ma di ascoltare la Parola di Dio" (Am 8,11) quando Elia venne da questa vedova, di cui il Profeta parla dicendo: "I figli dell`abbandonata sono piú numerosi dei figli della maritata" (Is 54,1); e, appena arrivato, moltiplicò il pane e il cibo di questa donna.
Eri tu la vedova di Sarepta, nel paese di Sidone, nel paese da cui viene fuori la Cananea (Mt 15,22) che desidera veder guarita la propria figlia e che, a causa della sua fede, merita di vedere accolta la propria preghiera. "C`erano dunque molte vedove in Israele ma a nessuna di esse Elia fu inviato se non alla povera vedova di Sarepta" (Lc 4,26).
Cristo aggiunge ancora un altro esempio che ha il medesimo significato: "C`erano molti lebbrosi in Israele nei giorni del profeta Eliseo, e nessuno di essi fu mondato, salvo soltanto Naaman il Siro" (Lc 4,27), che certamente non apparteneva al popolo di Israele. Considera il gran numero di lebbrosi esistente sino ad oggi "in Israele secondo la carne" (1Cor 10,18); e osserva d`altra parte che è dall`Eliseo spirituale, il nostro Signore e Salvatore, che vengono purificati nel mistero del Battesimo gli uomini coperti dalla sozzura della lebbra, e che a te sono rivolte le parole: "Alzati, va` al Giordano, lavati, e la tua carne ritornerà sana" (2Re 5,10). Naaman si alzò, se ne andò e, bagnandosi, compí il mistero del Battesimo, in quanto "la sua carne divenne simile alla carne di un fanciullo" (2Re 5,14). Di quale fanciullo? Di colui che, "nel bagno della rigenerazione" (Tt 3,5), nascerà in Cristo Gesú, "cui appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen" (1Pt 4,11).

(Origene, In Luc., 33)


2. L`invidia nemica della misericordia

"In verità vi dico che nessun profeta è accetto in patria sua" (Lc 4,24). L`invidia non si manifesta mai per metà: dimentica dell`amore tra concittadini, fa diventare motivi di odio anche le naturali ragioni di affetto. Ma con questo esempio, e con queste parole, si vuol indicare che invano tu potresti attendere la grazia della misericordia celeste, se nutri invidia per la virtù degli altri; Dio, infatti, disprezza gli invidiosi e allontana le meraviglie del suo potere da coloro che disprezzano, negli altri, i doni suoi. Le azioni del Signore nella sua carne, sono espressione della sua divinità, e le sue cose invisibili ci vengono mostrate attraverso quelle visibili.
Non a caso il Signore si scusa di non aver operato in patria i miracoli propri della sua potenza, allo scopo che nessuno di noi pensi che l`amor di patria debba essere considerato cosa di poco conto. Non poteva infatti non amare i suoi concittadini, egli che amava tutti gli uomini: sono stati essi che, con il loro odio, hanno rinunziato a quest`amore per la loro patria. Infatti l`amore "non è invidioso, non si gonfia d`orgoglio" (1Cor 13,4). E, tuttavia, questa patria non è priva dei benefici di Dio: quale miracolo piú grande infatti avvenne in essa della nascita di Cristo? Vedi dunque quali danni procura l`odio: a causa di esso vien giudicata indegna la patria, nella quale egli poteva operare come cittadino, dopo che era stata trovata degna di vederlo nascere nel suo seno come Figlio di Dio...
"C`erano molti lebbrosi al tempo del profeta Eliseo, e nessuno di essi fu mondato, ma solo il siro Naaman" (Lc 4,27).
E` chiaro che questa parola del Signore e Salvatore ci spinge e ci esorta allo zelo di venerare Dio, poiché egli mostra che nessuno è guarito ed è stato liberato dalla malattia che macchia la sua carne, se non ha cercato la salute con desiderio religioso; infatti i doni di Dio non vengono dati a coloro che dormono, ma a coloro che vegliano...
Perché il Profeta non curava i suoi fratelli e concittadini, non guariva i suoi, mentre guariva gli stranieri, coloro che non praticavano la legge e non avevano comunanza di religione, se non perché la guarigione dipende dalla volontà, non dalla nazione cui uno appartiene, e perché il beneficio divino si concede a chi lo desidera e l`invoca, e non per diritto di nascita? Impara quindi a pregare per ciò che desideri ottenere: il beneficio dei doni celesti non tocca in sorte agli indifferenti.

(Ambrogio, In Luc., 4, 46 s.)


3. Gesú Cristo è venuto, come Elia per la vedova

"In verità vi dico: C`erano molte vedove al tempo di Elia in Israele, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi, quando venne una gran fame su tutta la terra; e a nessuna di loro fu mandato Elia, se non a una vedova in Sarepta di Sidone" (Lc 4,25). Non sono stato mandato a voi, dice; non son venuto per guarire voi, perché non a tutte le vedove fu mandato Elia. Questo significava la sua condotta; lui era un segno, io sono la realtà. Io son venuto a curare, a saziare di cibo spirituale, a strappare dalla fame e dall`indigenza quella vedova di cui è scritto: "Benedirò la sua vedova, sazierò di pane i suoi poveri" (Sal 131,15). Questa vedova è la santa Chiesa ma può essere anche qualunque anima dei fedeli. Il Signore, infatti, venne per chiamare tutti e a liberare tutti dalla fame. Se non fosse venuto e non avesse parlato, non avrebbero commesso peccato; ma ora non hanno una giustificazione per i loro peccati.

(Bruno di Segni, In Luc., 1, 5)


4. Piegarsi all`altrui volere è segno di sanità e di forza

E` risaputo che in generale chi sottomette la propria volontà a quella del fratello dimostra di agire meglio di chi difende ostinatamente le proprie opinioni. Quegli infatti, sostenendo e tollerando il prossimo, si pone tra i sani e i forti; questi, tra i deboli e in qualche modo malati prende posto, avendo bisogno di essere carezzato e coccolato, tanto che per tenerlo quieto e in pace, occorre talvolta trascurare anche le cose necessarie.
Se avviene che qualcuno debba trascurare una pratica di perfezione per far questo, non pensi di nuocere alla propria perfezione, ché anzi quanto piú avrà accondisceso alle esigenze del fratello piú debole tanto piú avrà, per la pazienza e la longanimità usate, segnato dei progressi. Cosí suona infatti il precetto apostolico: "Noi che siamo i forti abbiamo l`obbligo di sopportare l`infermità dei deboli" (Rm 15,1); e inoltre: "Portate gli uni i pesi degli altri, cosi avrete adempiuto la legge di Cristo" (Gal 6,2). Giammai, in effetti, un debole può dar forza ad un altro debole, né può sopportare o curare un malato chi si trova nelle identiche condizioni; può invece portar rimedio al debole solo chi non soggiace alla debolezza. A tal proposito è detto, infatti: "Medico, cura te stesso" (Lc 4,23).
A questo punto, va sottolineata una cosa: è tipico della natura dei malati l`essere facili e pronti alle offese e a far scoppiare contese, mentre a loro volta esigono di non essere neppure sfiorati da ombra di ingiuria. Mentre lanciano le invettive piú insolenti, trattando gli altri con la piú spregiudicata libertà, non son disposti ad incassare la piú piccola o lieve mancanza nei loro confronti.

(Giovanni Cassiano, Collationes, 16, 23 s.)
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