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CORSO BIBLICO SULL'APOCALISSE

Ultimo Aggiornamento: 16/11/2012 20:44
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16/11/2012 20:32
 
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Capitolo 3

 

 

V - Sardi

Lettura 3, 1-6.

Sardi non era all'epoca città famosa ma lo era stata come capitale del regno di Creso, monarca proverbialmente noto per le sue ricchezze. Era una città munita perché possedeva una rocca considerata inespugnabile.Nel corso della sua storia era stata sorpresa due volte di notte e gli assedianti (Dario re di Persia nel 546 a.C. e Antico II nel 218 a.C.) erano riusciti a impadronirsi di Sardi senza colpo ferire. Era quindi una città i cui abitanti potevano ben capire il paragone del v. 3: "...verrò come un ladro senza che tu sappia in quale ora io verrò da te".

 

v. 1 - lettura

"i sette spiriti di Dio". In questo messaggio Cristo è investito della pienezza dello Spirito Santo che Gli dà l'autorità sulle sette Chiese. Il Cristo ci appare nella pienezza dei suoi poteri.

 

v. 4 - lettura

"alcuni che hanno macchiato le loro vesti". L'espressione "macchiato le vesti" appare nel N.T. tre volte (due delle quali nell'Apocalisse) ed è una metafora per parlare del rapporto con gli idoli.

Le esortazioni contenute in questa lettera rimandano a delle disposizioni spirituali fondamentali per un cristiano: la vigilanza, l'accoglienza, l'ascolto e la conservazione della parola. Potremmo dire che la Chiesa di Sardi ha bisogno di riscoprire la gioia di essere discepola. Ormai sono rimaste poche persone degne di accompagnare il Messia. In pochi decenni (siamo nel 95 d.C.) la comunità di Sardi è arrivata ad una crisi grave tanto che nel v. 1 troviamo scritto: "Ti si crede vivo e invece sei morto".

 

v. 5 - lettura

"vestito di bianche vesti" indica la conformità al regno celeste, al mondo nuovo di Cristo.

 

E' interessante l'accenno al "libro della vita" da cui derivano tante immagini, come ad esempio il così detto "libro di S.Pietro". Nel giudaismo era diffusa l'idea che ogni essere umano avesse computata la vita in un grande libro gestito da Dio,nel quale venivano annotati il bene e il male compiuti. Infatti si credeva nell'esistenza del grande "libro dei giusti" con elencati coloro che salivano in paradiso mentre i condannati all'inferno erano annotati nel "libro degli ingiusti". E' facile l'analogia con i registri che esistevano al tempo dell'impero di Roma, in cui erano elencati tutti i cittadini romani che fruivano di una privilegiata condizione sociale. Ma, ovviamente, il "libro della vita" di cui parla Giovanni è tutt'altra cosa.

 

VI. Filadelfia

Lettura 3, 7-13

Era una città importante e, rispetto alle altre sei, di recente costruzione al centro di grandi vie di comunicazione, con una intensissima attività commerciale. Filadelfia era costruita in una zona fortemente sismica, tanto che nel 17 d.C. era stata quasi completamente distrutta da un terremoto. Venne poi interamente ricostruita.

 

 

 

Capitolo 3 (continuazione)

 

VI. Filadelfia (continuazione)

Cristo nella lettera sesta è presentato con vari titoli, nessuno dei quali appare nella visione preparatoria.

 

v. 7 - Lettura.

 

a) "il Santo" è concetto chiave del libro di Isaia nel quale il Signore viene proclamato tre volte santo ("Santo, Santo, Santo il Signore...."). Nella Bibbia il termine vuole significare semplicemente che Dio è trascendente; Dio è l'Altro e non potrà mai essere compreso dall'uomo nell'Antico Testamento Il tre volte Santo è l'irraggiungibile per eccellenza, Colui che giudica e non è giudicato, Colui che castiga e non è castigato.

Dio non è mai completamente percepibile. Noi cristiani rischiamo di dimenticare questo concetto, perché Gesù Cristo è il Dio fatto uomo

Nell'Antico Testamento è presente la concezione di un Dio molto distante ma anche dell'Emmanuele, il Dio con noi. E poiché abbiamo Gesù fatto pane nell'Eucarestia, tendiamo forse a materializzare l'idea di Dio.

"...sarà dunque santo..." (Lc 1,35) è l'annuncio dell'Angelo a Maria. Teniamo presenti queste parole per evitare sia di banalizzare il nostro Dio sia di vederlo lontanissimo. Il Santo è il Dio con noi: mirabile equilibrio della religione cristiana!

 

b) "il Verace" è Colui che dice la verità.

In proposito leggiamo la I lettera di Giovanni 5,20-21. I due versetti sono l'esplicitazione del termine "verace" che significa: "egli è il vero Dio" (5,20).

 

c) "la chiave di Davide"

E' facile riandare al brano evangelico in cui si parla di Pietro quando riceve le chiavi del Regno (Mt 16,19). Con l'espressione sopra riportata si afferma che questo potere è di Cristo e che ovviamente quello di Pietro è solo un potere delegato. E proprio in Mc 2 ("Guarigione di un paralitico") leggiamo nel v.10 una delle affermazioni più belle di Gesù: "...il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati". Di fronte alla mormorazione di alcuni scribi, i quali sostenevano che tale facoltà appartiene solo a Dio, Gesù opera il miracolo della guarigione del paralitico come mezzo per dimostrare che Egli è Dio e in quanto tale possiede, appunto, il potere di rimettere i peccati.

 

 

 

Il nostro versetto 7 riprende Isaia 22,22 "Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide...", ove la chiave è un simbolo del potere. (Il profeta parla di Sebna, il maggiordomo che aveva la responsabilità del palazzo reale di cui possedeva, pertanto, le chiavi). L'affermazione contenuta nella lettera è chiara: : Cristo ha il potere di ammettere o di escludere dalla Gerusalemme celeste.

 

v. 8 - lettura

"Ho aperto davanti a te una porta che nessuno può chiudere".

Ecco, il potere di Cristo viene esercitato soprattutto nell'aprire le porte.

 

vv. 9-11

Alla Chiesa di Filadelfia Cristo non rivolge un rimprovero preciso ma soltanto degli inviti perché la comunità cristiana è costante nella fede ed ha un grande slancio missionario, tanto da essere oggetto della benevolenza divina. Le promesse di Cristo dimostrano che la Chiesa di Filadelfia è privilegiata.

 

v. 12 - lettura

"Il vincitore lo porrò come una colonna nel tempio del mio Dio.... in nome del mio Dio... il nome della città... il mio nome nuovo...".

In questa lettera notiamo l'importanza del termine "nome" ripetuto ben tre volte. Nella concezione biblica il nome rimanda alla realtà espressa nel nome stesso: il nome rivela la persona. Non a caso la Chiesa ha sempre insistito perché vengano scelti nomi di santi per i battezzandi.

 

Ricordo, a proposito del nome, che "Il nome della rosa" è un titolo ateo perché "la rosa" era uno degli appellativi di Dio nel Medio Evo e perché le vicende del noto romanzo si riferiscono a un periodo preciso della filosofia nominalista la quale sosteneva che ai nomi non corrisponde alcuna realtà. Quindi il titolo del libro significa che la rosa, cioè Dio, non esiste in quanto è solo un nome, e questo in opposizione alla concezione biblica.

Il comandamento "Non nominare il nome di Dio invano" (da noi interpretato restrittivamente "non bestemmiare") è per gli ebrei espressione di un rispetto grandissimo di Dio, in quanto il solo pronunciare il suo nome rimanda direttamente alla sua essenza. E allora per non leggere il tetragramma sacro YHWH gli ebrei ricorrevano a varie perifrasi.

 

Filadelfia diventa così il luogo per eccellenza della rivelazione, cioè delle scoperta profonda di questo "nome" che in realtà non sappiamo bene che cosa significhi. Dal seguito dell'Apocalisse apprendiamo che questa comunità diventa il modello della Chiesa

 

 

che si oppone alla bestia la quale è colei che fa "blasfemìa", la bestemmia del nome di Dio. La nuova Gerusalemme, che è una realtà futura, si sta già realizzando; alla chiesa di Filadelfia viene dato il "nome" che anticipa la Gerusalemme nuova. E tutti coloro che nelle varie Chiese partecipano alla sorte di Cristo sono le colonne della Gerusalemme nuova.

 

 

VII. Laodicea

Lettura 3,14-22.

Era una delle città più ricche dell'impero romano tanto che in occasione del terremoto del 17 d.C. non chiese sovvenzioni all'imperatore per le opere di ricostruzione. Inoltre Laodicea era nota per le sue notevoli attività commerciali e bancarie, e famosa per la sua scuola di medicina e per la produzione di unguenti medicamentosi esportati in tutto l'impero.

 

Cristo anche in questo messaggio ci appare con titoli nuovi e stupendi:

a) "Amen" (= in verità, così è) significa, almeno in Giovanni, la totale disponibilità di Gesù al disegno salvifico del Padre. Gesù Cristo infatti è Colui che più di ogni altro ha detto "amen" come nel momento drammatico del Getzemani. Alla fine delle stesse tentazioni narrate dai Vangeli sinottici sentiamo Cristo dire "amen" ("così è"; Padre accolgo il tuo progetto). Ecco perché non solo pronuncia l'amen, ma diventa "Amen": Gesù è l'Amen incarnato. Se noi vogliamo dire "amen" non possiamo che guardare a Lui.

Qualche teologo in questa parola vede anche la conclusione della rivelazione nel senso che "così è". Allora Cristo diventerebbe l'amen pronunciato dal Padre. Perciò si dice che Cristo è il vertice della rivelazione, l'ultima parola del Padre.

 

b) "Testimone fedele e verace"

Questa espressione corrisponde a una delle tematiche presenti nel Prologo del Vangelo di Giovanni: " Egli venne come testimone..." (v.7). Gesù diventa testimone del Padre, ma anche di se stesso, perché si rende testimonianza.

Questo passo del Nuovo Testamento è l'unico in cui Cristo viene definito "testimone". Potremmo dire che si tratta di un'espressione giuridica in quanto Gesù Cristo rende testimonianza al Padre e a se stesso. E noi ci fidiamo della sua parola. Però non dimentichiamo che "testimone" (martüs) in greco significa anche "martire". La martüria può indicare sia la testimonianza che il martirio. Quindi nel nostro termine appare evidente non solo un valore giuridico ma anche un valore esistenziale.

Cristo ha testimoniato fino al martirio. Il martire cristiano è, ugualmente, un testimone per eccellenza, in quanto associato al sacrificio di Gesù, cioè al dono libero della propria vita (che è tutt'altra cosa rispetto al suicidio).

 

I martiri cristiani veri e propri non si consegnavano ai loro persecutori e si distinguevano, ad esempio, dalla sette del "montanisti", i così detti "perfetti", i quali si presentavano spontaneamente ai propri nemici perché ritenevano di raggiungere la perfezione attraverso la morte per martirio.

Il martirio è una grazia, un dono divino che non si ottiene forzando gli avvenimenti.

 

c) "il Principio della Creazione di Dio"

Notiamo una ripresa del Prologo di Giovanni, della Lettera ai Colossesi 1,15-20 e, per alcuni studiosi, di Genesi 1.

Il ruolo di Cristo non è essenziale solo nella redenzione ma anche nella creazione. Il "logos", infatti, è presente con il Padre nella creazione, come è scritto nel Prologo: "In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio....". Qualche teologo sostiene che Dio comincia a salvare quando crea, perché il suo amore è già all'opera.

Il primo gesto salvifico di Dio dopo il peccato originale è stato quello di rivestire Adamo ed Eva per ridonare loro la dignità perduta.

 

La Chiesa di Laodicea riceve soltanto rimproveri, in particolare per la tiepidezza, che è il contrario del fervore. E la tiepidezza contestualizzata in questa Chiesa è l'autocompiacimento per il benessere materiale, che è un atteggiamento interiore il quale impedisce di cogliere in pienezza la ricchezza dello Spirito. Il "tiepido" è colui che compie dei gesti che non entrano in profondità nel cuore.

 

v. 18 - lettura

L'oro purificato è l'autentica ricchezza che proviene da Cristo.

 

v. 19 - lettura.

"Io tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo". Nonostante l'atteggiamento di rimprovero così duro, il Signore non cessa di amare questa Chiesa incoerente ma sempre Sua. L'amore si manifesta nell'aiuto dato alla comunità perché possa convertirsi.

 

v. 20 - Lettura di uno dei versetti più belli della Bibbia.

E' la ripresa dell'immagine di Cristo, sposo per eccellenza, che non può mai venir meno alla sua fedeltà alla Chiesa anche quando questa diventa una sposa infedele.

Gesù Cristo sposo ci richiama la bellissima "Parabola delle dieci vergini" (Mt 25) e il "Cantico dei Cantici" che canta l'amore tra Dio e il popolo.

 

La cena di cui parla il v.20 ci richiama immediatamente la Cena Eucaristica, la Messa, e l'episodio de "I discepoli di Emmaus" ("Egli entrò per rimanere con loro." - Lc 24,29).

 

 

v. 21 lettura

La parola "trono" costituisce un accenno alla glorificazione di Cristo e nello stesso tempo ha una funzione letteraria di introduzione ai capitoli successivi.

 

Alcune considerazioni finali.

1) Sono evidenti nelle sette lettere luci e ombre in quanto Cristo afferma che nelle Chiese sono presenti aspetti positivi e altri negativi.

2) In questi messaggi risultano fondamentali le opere perché espressione di una fede che diventa carità.

3) "Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alla Chiese". E' il versetto con cui terminano tutte le lettere e che ci suggerisce il docile ascolto dello Spirito.

 

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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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