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L'INTERPRETAZIONE BIBLICA IN CONFLITTO (J. Ratzinger)

Ultimo Aggiornamento: 30/10/2012 14:13
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30/10/2012 14:08
 
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2. Il compito

Questa situazione non ha la stessa evidenza ovunque. I metodi non sono sempre applicati in modo cosi radicale; è da molto che si cerca di correggerli. In questo senso, lo sforzo che mira ad una migliore sintesi tra il metodo storico ed il metodo teologico, tra la critica ed il dogma, non è nuovo. D'altronde nessuno potrebbe pretendere che si sia già trovata una convincente visione d'insieme che, da un lato, tenga conto delle innegabili acquisizioni del metodo storico e dall'altro oltrepassi i suoi limiti e si apra ad un'ermeneutica appropriata. Sarà necessario il lavoro di una generazione almeno, per condurre a buon fine una simile impresa. Ciò che segue vuol dunque inserirsi in questo tentativo ed indicare alcuni passi che possono farci progredire su questa strada.
Che la fuga in una sedicente pura letteralità della comprensione scritturistica non serva granché, è che, d'altra parte, la fedeltà soltanto piatta alla Chiesa sia ugualmente insufficiente, non è necessario mostrarlo nei dettagli. Allo stesso modo, non basta ricusare semplicemente delle teorie particolari, segnatamente le più temerarie e dubbie. Ma non può nemmeno soddisfare una posizione tiepida, che cerchi di scegliere caso per caso quale risposta dell'esegesi moderna meglio s'accordi con la Tradizione. Tale circospezione può essere utile, certo, ma non affronta il problema alla radice; e resta arbitraria, se non può rendere intelligibili i propri fondamenti. Per giungere ad una vera soluzione, occorre superare le discussioni sui dettagli e spingersi sino alla radice. ciò che si mostra necessario, è quel che si potrebbe chiamare una critica della critica; non una critica esercitata dall'esterno, ma una critica che si sviluppi dal suo interno, a partire dal potenziale critico che il pensiero critico possiede.
In altre parole, abbiamo bisogno di un'"autocritica" dell'esegesi storica, che possa prolungarsi in una critica della ragione storica, e che sia dunque continuazione e sviluppo delle critiche kantiane della ragione. Non pretendo certamente di compiere da solo e, per cosi dire, con un colpo di mano un'impresa tanto vasta. Ma occorre cominciare, se non altro con tentativi preliminari di ricognizione in una regione ancora largamente inesplorata. L'autocritica del metodo storico dovrebbe cominciare da una lettura diacronica delle proprie conclusioni; e dovrebbe rinunciare all'apparenza d'una certezza quasi di tipo scientifico naturale, con la quale le sue interpretazioni, fino ad oggi, sono state molto spesso presentate.
Infatti, alla base del metodo storico-critico, si trova lo sforzo di giungere, nell'ambito della storia, ad un grado di precisione metodologica e di certezza analogo a quello che si raggiunge nelle scienze della natura. Ciò che l'esegeta ha determinato una prima volta, non può essere messo in questione che da altri esegeti: ecco la regola pratica che è generalmente presupposta; e la si considera scontata. Ma in questo caso è precisamente il modello che offrono le scienze naturali che dovrebbe condurre ad adottare il "principio d'indeterminazione" di Heisenberg, e ad applicarlo egualmente al metodo storico. Heisenberg ha mostrato che il risultato di un'esperienza data è influenzato sostanzialmente dal punto di vista dell'osservatore, ed anche che il modo di porre questioni e di fare osservazioni agisce sull'evento naturale, modificandolo (
10). Ciò vale a maggior ragione per le testimonianze della storia: l'interpretazione non può mai essere una pura riproduzione "del come realmente sono andate le cose".
La parola "inter-pretazione" ci offre un orientamento per giungere alla cosa stessa: ogni esegesi richiede un "inter", un penetrare all'interno, uno stare in mezzo, un prendere parte dell'interprete stesso. Una pura obiettività è un'astrazione assurda. Colui che non prende parte non sperimenta; la partecipazione anzi è il presupposto del conoscere. Solo ci si domanda come può esserci partecipazione senza che l'io soffochi la voce dell'altro, ma che ci sia invece una "intesa" interiore con il passato che renda puro l'orecchio per ascoltare la sua parola (
11).
Questo principio che Heisenberg ha formulato per le spermentazioni nelle scienze naturali esprime uno stato di cose che vale in generale per la relazione soggetto-oggetto. Non si può in modo neutro isolare il soggetto dalla costellazione di cui fa parte. Non si può che tentare di situarlo nella migliore condizione possibile. E ciò è vero a maggior ragione quando si tratta della storia, come già detto, perché i processi fisici si svolgono nel presente e possono essere riprodotti, mentre gli avvenimenti storici sono situati nel passato e non possono essere ripetuti. Inoltre essi portano con sé quel carattere di impenetrabilità e di profondità proprio di ciò che è umano; e dunque, molto più dei fatti naturali, dipendono dall'atteggiamento del soggetto che li percepisce. Ma come si può giungere a scoprire tutto ciò che entra nell'orizzonte del soggetto? Occorre introdurre a questo punto ciò che ho già chiamato "approccio diacronico dei risultati dell'esegesi". Dopo quasi duecento anni di lavoro storico-critico sui testi, non si può più leggerne i risultati solo a due dimensioni; li si deve vedere in prospettiva, in collegamento con la loro propria storia.
Dal che diviene chiaro che una tale storia non è semplicemente quella di un progresso che va da risultati imprecisi verso altri sempre più precisi ed obiettivi. Essa appare piuttosto e principalmente come una storia di costellazioni soggettive, i cui cammini corrispondono esattamente agli sviluppi della storia dello spirito, e che a loro volta si riflettono nel modo di reinterpretare i testi. Nella lettura diacronica dell'esegesi, i presupposti filosofici di questa si manifestano da sé. Allora, a distanza, l'osservatore si rende conto con sorpresa che queste interpretazioni, che si supponevano cosi rigorosamente scientifiche e puramente "storiche", riflettono in realtà lo spirito dei loro autori piuttosto che lo spirito delle epoche del passato. ciò non deve condurre l'esegeta allo scetticismo, ma piuttosto invitarlo a riconoscere i propri limiti e a purificare il suo metodo.

 
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