Il problema dei 3 corpi: Attraverso continenti e decadi, cinque amici geniali fanno scoperte sconvolgenti mentre le leggi della scienza si sgretolano ed emerge una minaccia esistenziale. Vieni a parlarne su TopManga.
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POSSIAMO CREDERE NELLA REINCARNAZIONE ?

Ultimo Aggiornamento: 06/12/2023 11:47
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26/08/2013 17:01
 
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 La concezione ebraica della reincarnazione

 

Per la concezione ebraica veterotestamentaria l'uomo non è un'ani­ma a cui è aggiunto un corpo, cosi come non è neppu­re soltanto un corpo animato. Nella Sacra Scrittura è sottolineata prepotentemente l'unità dell'uomo, sen­za escludere la sopravvivenza di «qualcosa» dopo la morte. Una sopravvivenza però che tende a reintegrare l'unità perduta, tende cioè alla resurrezione «della car­ne», un evento che solo l'intervento di Dio può pro­durre.

Così è innegabile che la concezione biblica più ar­caica conosce una sopravvivenza dell'uomo in uno stato umbratile. Ciò che sopravvive sono i refaim, i «deboli». Si tratta di una visione delle cose sostanzialmente uguale a quella omerica. I refaim stazionano nello Scheol, che si divide in settori diversi, secondo il comportamento de­gli uomini in vita. Si tratta però sempre di un luogo sot­terraneo. I refaim sono inoperosi e incapaci di ricordare e conoscere qualcosa della vita terrena.

Nei testi dell'Antico Testamento e nell'antropolo­gia che riflettono non vi è dunque posto per la reincarnazione. Sono i cabbalisti che ve l'hanno trovata -usando però solo di un metodo allegorico molto spin­to - in un periodo lontanissimo da quello della reda­zione dei testi sacri.

In tutta la tradizione giudaica non troviamo niente di sicuro a monte dell'VIII-X secolo, se si eccettua il ca­so di Filone d'Alessandria (circa 20 a.C.-50 d.C.).6

«Non vi è la prova definitiva dell'esistenza della dot­trina del gilgul (Letteralmente «giro» della ruota), è il termine ebraico per «rein­carnazione». Nel Giudaismo durante il periodo del Secondo Tempio. Nel Talmud non vi è riferimento ad essa».

I principali filosofi ebrei del Medioevo (per esempio Maimonide) l'hanno respinta.

In contrasto con la cospicua opposizione della filosofia, la trasmi­grazione viene data per scontata nella Gabbala sin dal­la sua prima espressione letteraria: il Seferha-Bahir (tar­do XII secolo, nella Francia meridionale) .9 II fatto che nel Bahirnon ci sia traccia di apologetica della dottrina deporrebbe a favore di una sua origine più antica, for­se risalente addirittura alla fine del periodo del Secon­do Tempio. È certo comunque che a partire dal Bahir la trasmigrazione diventa una delle dottrine più im­portanti della Cabbala.

«E un atto della misericordia divina che egli dia al­l'anima, che dovrebbe essere completamente annien­tata nell'inferno, una chance di purificarsi per mezzo di una nuova, anche se necessariamente dolorosa, mi­grazione». Questa è la concezione di Scèscet di Mercadell, un cabbalista catalano della scuola del Nachmanide.

Dal caso isolato di Filone tuttavia non si può assolu­tamente concludere a una reincarnazione diffusa in Israele come credenza popolare talmente radicata da essere data per scontata e da non meritare perciò nes­suna particolare menzione. Un'affermazione categori­ca del genere sarebbe assolutamente gratuita, perché -come abbiamo già detto - noi possiamo risalire con cer­tezza, nella documentazione sulla reincarnazione in ambiente giudaico, a parte il caso di Filone, non oltre l’VIII-X secolo d.C.

( Cfr idem, Le origini della Kabbala, cil ,pp 238-239 Scholem fa ri­ferimento alla testimonianza di Sa'adia in polemica contro certi ebrei che sostengono teorie stravaganti di un autore arabo - Al Baghdadi -, il quale afferma che ci sono ebrei favoreli alla trasmigrazione delle ani­me e al Libro delle luci di Anan, considerato il precursore del Qaraitismo. Si tratta quindi di circoli marginali rispetto alla grande tradizione del Giudaismo).

 

 

Sarebbe poi anche altamente in­verosimile perché, come nota acutamente K.Hoheisel: «Simili fenomeni sono assolutamente noti alla storia di Israele. Così il culto sulle alture appartenne evidente­mente per secoli, nell'Israele preesilico, a ciò che era ovvio e quindi non propriamente tramandato. Ciò nondimeno era già, prima che la polemica dei profeti lo mettesse al centro dell'interesse, perlomeno un picco­lo capitolo marginale nella storia religiosa di Israele», e comunque sempre degno di una qualche menzione. Ma di una qualche testimonianza chiara su una cre­denza nella reincarnazione non c'è proprio la minima traccia.

Nel periodo intratestamentano dobbiamo tuttavia valutare anche le testimonianze di Giuseppe Flavio (e 11-ca 38-dopo il 100 d.C.). Questi attribuisce ai farisei la credenza alla «potenza dei virtuosi di ritornare in vi­ta».

Ma si tratta solo della credenza nella resurrezione dei corpi, come dimostra l'analogo termine di 2 Mac 7,9 e altri passi chiari. Giuseppe Flavio, nell’opera Antichità giudaiche (18,14) dice che gli es­seni conducevano un tipo di vita simile a quella dei pi­tagorici. Ma anche qui non ci sono elementi per concludere a una credenza nella reincarnazione, soprat­tutto se si riflette sul fatto che le fonti dirette degli esseni che possediamo dopo i ritrovamenti di Qumràn non accennano minimamente a esistenze successive in corpi diversi, mentre sembra attestata la fede nella re­surrezione.

In definitiva, l'unico punto dell'Antico Testamento dove troviamo una affermazione che presenta una qualche rilevanza per il nostro problema, è nel libro della Sapienza, dove leggiamo queste parole poste sul­la bocca di Salomone:

«Ero un fanciullo di nobile indole, avevo avuto in sorte un'anima buona o piuttosto, essendo buono, ero entrato in un corpo senza macchia» (Sap 8,19-20).

Questo testo è interpretato diversamente da cattoli­ci e protestanti. La maggioranza degli esegeti prote­stanti (che ritengono il libro non canonico, cioè «apo­crifo») non ha difficoltà a riconoscere che il versetto 20 insegna la preesistenza delle anime. Mentre vi è una-

nimità presso gli esegeti cattolici nel considerare che, se il versetto preso isolatamente potrebbe anche riflet­tere questa dottrina, ciò però contraddice apertamen­te il contesto (cfr. Sap 15,11 e 7,1-2) e non si compone con le dottrine preesistenzialiste di Platone o Filone da cui lo si vorrebbe influenzato. Infatti, a costoro è estra­nea una concezione secondo la quale all'anima è attri­buito un corpo in funzione della sua bontà o cattive­ria. Per Platone l'anima è inquinata dal suo contatto con il corpo e per Filone sono le anime cattive che en­trano nei corpi. L'autore non avrebbe invece in vista altro scopo che quello di sottolineare il primato quali­tativo dell'anima nel contesto di una creazione simul­tanea. Ammesso comunque (e non concesso) che si parli di preesistenza, anche in questo caso non vi è l’idea della reincarnazione.

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Così non saremo più fanciulli in balìa delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, ingannati dagli uomini con quella astuzia che trascina all'errore. Ef.4,14
 
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