La concezione ebraica della reincarnazione
Per la concezione ebraica veterotestamentaria l'uomo non è un'anima a cui è aggiunto un corpo, cosi come non è neppure soltanto un corpo animato. Nella Sacra Scrittura è sottolineata prepotentemente l'unità dell'uomo, senza escludere la sopravvivenza di «qualcosa» dopo la morte. Una sopravvivenza però che tende a reintegrare l'unità perduta, tende cioè alla resurrezione «della carne», un evento che solo l'intervento di Dio può produrre.
Così è innegabile che la concezione biblica più arcaica conosce una sopravvivenza dell'uomo in uno stato umbratile. Ciò che sopravvive sono i refaim, i «deboli». Si tratta di una visione delle cose sostanzialmente uguale a quella omerica. I refaim stazionano nello Scheol, che si divide in settori diversi, secondo il comportamento degli uomini in vita. Si tratta però sempre di un luogo sotterraneo. I refaim sono inoperosi e incapaci di ricordare e conoscere qualcosa della vita terrena.
Nei testi dell'Antico Testamento e nell'antropologia che riflettono non vi è dunque posto per la reincarnazione. Sono i cabbalisti che ve l'hanno trovata -usando però solo di un metodo allegorico molto spinto - in un periodo lontanissimo da quello della redazione dei testi sacri.
In tutta la tradizione giudaica non troviamo niente di sicuro a monte dell'VIII-X secolo, se si eccettua il caso di Filone d'Alessandria (circa 20 a.C.-50 d.C.).6
«Non vi è la prova definitiva dell'esistenza della dottrina del gilgul (Letteralmente «giro» della ruota), è il termine ebraico per «reincarnazione». Nel Giudaismo durante il periodo del Secondo Tempio. Nel Talmud non vi è riferimento ad essa».
I principali filosofi ebrei del Medioevo (per esempio Maimonide) l'hanno respinta.
In contrasto con la cospicua opposizione della filosofia, la trasmigrazione viene data per scontata nella Gabbala sin dalla sua prima espressione letteraria: il Seferha-Bahir (tardo XII secolo, nella Francia meridionale) .9 II fatto che nel Bahirnon ci sia traccia di apologetica della dottrina deporrebbe a favore di una sua origine più antica, forse risalente addirittura alla fine del periodo del Secondo Tempio. È certo comunque che a partire dal Bahir la trasmigrazione diventa una delle dottrine più importanti della Cabbala.
«E un atto della misericordia divina che egli dia all'anima, che dovrebbe essere completamente annientata nell'inferno, una chance di purificarsi per mezzo di una nuova, anche se necessariamente dolorosa, migrazione». Questa è la concezione di Scèscet di Mercadell, un cabbalista catalano della scuola del Nachmanide.
Dal caso isolato di Filone tuttavia non si può assolutamente concludere a una reincarnazione diffusa in Israele come credenza popolare talmente radicata da essere data per scontata e da non meritare perciò nessuna particolare menzione. Un'affermazione categorica del genere sarebbe assolutamente gratuita, perché -come abbiamo già detto - noi possiamo risalire con certezza, nella documentazione sulla reincarnazione in ambiente giudaico, a parte il caso di Filone, non oltre l’VIII-X secolo d.C.
( Cfr idem, Le origini della Kabbala, cil ,pp 238-239 Scholem fa riferimento alla testimonianza di Sa'adia in polemica contro certi ebrei che sostengono teorie stravaganti di un autore arabo - Al Baghdadi -, il quale afferma che ci sono ebrei favoreli alla trasmigrazione delle anime e al Libro delle luci di Anan, considerato il precursore del Qaraitismo. Si tratta quindi di circoli marginali rispetto alla grande tradizione del Giudaismo).
Sarebbe poi anche altamente inverosimile perché, come nota acutamente K.Hoheisel: «Simili fenomeni sono assolutamente noti alla storia di Israele. Così il culto sulle alture appartenne evidentemente per secoli, nell'Israele preesilico, a ciò che era ovvio e quindi non propriamente tramandato. Ciò nondimeno era già, prima che la polemica dei profeti lo mettesse al centro dell'interesse, perlomeno un piccolo capitolo marginale nella storia religiosa di Israele», e comunque sempre degno di una qualche menzione. Ma di una qualche testimonianza chiara su una credenza nella reincarnazione non c'è proprio la minima traccia.
Nel periodo intratestamentano dobbiamo tuttavia valutare anche le testimonianze di Giuseppe Flavio (e 11-ca 38-dopo il 100 d.C.). Questi attribuisce ai farisei la credenza alla «potenza dei virtuosi di ritornare in vita».
Ma si tratta solo della credenza nella resurrezione dei corpi, come dimostra l'analogo termine di 2 Mac 7,9 e altri passi chiari. Giuseppe Flavio, nell’opera Antichità giudaiche (18,14) dice che gli esseni conducevano un tipo di vita simile a quella dei pitagorici. Ma anche qui non ci sono elementi per concludere a una credenza nella reincarnazione, soprattutto se si riflette sul fatto che le fonti dirette degli esseni che possediamo dopo i ritrovamenti di Qumràn non accennano minimamente a esistenze successive in corpi diversi, mentre sembra attestata la fede nella resurrezione.
In definitiva, l'unico punto dell'Antico Testamento dove troviamo una affermazione che presenta una qualche rilevanza per il nostro problema, è nel libro della Sapienza, dove leggiamo queste parole poste sulla bocca di Salomone:
«Ero un fanciullo di nobile indole, avevo avuto in sorte un'anima buona o piuttosto, essendo buono, ero entrato in un corpo senza macchia» (Sap 8,19-20).
Questo testo è interpretato diversamente da cattolici e protestanti. La maggioranza degli esegeti protestanti (che ritengono il libro non canonico, cioè «apocrifo») non ha difficoltà a riconoscere che il versetto 20 insegna la preesistenza delle anime. Mentre vi è una-
nimità presso gli esegeti cattolici nel considerare che, se il versetto preso isolatamente potrebbe anche riflettere questa dottrina, ciò però contraddice apertamente il contesto (cfr. Sap 15,11 e 7,1-2) e non si compone con le dottrine preesistenzialiste di Platone o Filone da cui lo si vorrebbe influenzato. Infatti, a costoro è estranea una concezione secondo la quale all'anima è attribuito un corpo in funzione della sua bontà o cattiveria. Per Platone l'anima è inquinata dal suo contatto con il corpo e per Filone sono le anime cattive che entrano nei corpi. L'autore non avrebbe invece in vista altro scopo che quello di sottolineare il primato qualitativo dell'anima nel contesto di una creazione simultanea. Ammesso comunque (e non concesso) che si parli di preesistenza, anche in questo caso non vi è l’idea della reincarnazione.