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Aspetti poco noti della cosiddetta "RIFORMA"

Ultimo Aggiornamento: 12/01/2014 16:06
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29/07/2012 15:52
 
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La eliminazione del «sociale »

Se tutto il bene è tornato all'uomo dall'Incarnazione, che lo riunisce a dio, tutto il male viene dalla disincarnazione, che lo risepara da Dio. A questo risultato punta la reazione, la quale, riseparando la esistenza umana dall'Essere divino, determina una convivenza di rissa e sfruttamento assogget­tandola all'essere subumano che le Scritture qualificano col titolo di Bestia.

La reazione s'è visto per prima cosa sganciò la fede dalle opere sotto i gruppi di pressione dell'avarizia. Par­tì dalla constatazione che non il credere costasse, ma l'agire; che non il dogma dell'unità e trinità di Dio fosse difficile ad ammettersi, ma il comandamento dell'unità e solidarietà col prossimo, il quale impone un'alienazione del proprio sé. Dare incenso a Dio poco disturba; 'dare pane al povero, questo, si, scomoda. Perciò l'egoismo cercò di semplificare il cristianesi­mo dimezzandolo della parte umana, del dare, per ridurlo alla parte divina. del ricevere. E pretese di custodire l'amore a Dio senza l'amore al prossimo.

Lutero chiamò « di paglia » la lettera, densa di implica­zioni sociali, scritta da san Giacomo, cugino di Gesù. In es­sa è detto che « la fede senza le opere è morta ». Lutero gli oppose san Paolo. Ma anche san Paolo asserisce che « Dio renderà a ciascuno secondo le sue opere » (Rm. 2:16). Perciò, soppresse le opere, la pratica cristiana divenne una meccanica di mummie. Eliminata l'azione sociale diretta al­l'uomo, la religione si ridusse a una pomposa presa in giro di Dio. Ma «Dio non si gabba», aveva già avvertito san Paolo, trovatesi a dover, sin dal suo tempo, flagellare le divaricazioni esperite da alcuni seguaci, ai quali pareva che bastasse essere « ascoltatori » della legge nuova, anziché « operatori » : pareva che convenisse, a tutti gli effetti eco­nomici, contrarre il cristianesimo a sermone; quasi a risuc­chiare l'Uomo-Dio nel Verbo... Quei primi tentativi furono ripresi più volte; sinché, venuto il tempo propizio, del risor­gente paganesimo, s'accamparono nella cristianità con suc­cesso potente nel secolo XVI, riducendo il cristianesimo a parola.

Allora, in Europa, l'umanesimo pagano e il protestan­tesimo luterano parvero con maggior successo schiodare la croce; di cui uno si prese l'asse orizzontale, della linea umana, che sfiora la terra ; l'altro si prese quello verticale, della linea divina, che penetra in cielo. E così risepararono le compo­nenti dell'Incarnazione.

L'umanesimo credette di trovare di più l'uomo: e lo smarrì, perché, non vedendo più Dio, finì col non vedere più neanche la sua immagine. Vide un tropo, da figurazioni poetiche dell'Olimpo, con il tempo sostituite dai paradigmi della tecnica. La degradazione servì ai signori per fare strame della dignità umana.

Il luteranesimo credette di trovare di più Dio, a mo' del sacerdote, che, per la mulattiera di Gerico, guardava tal­mente il cielo, da non vedere il fratello ferito in terra; e non capì che, per arrivare a Dio, il fratello fa da passaggio obbligato.

Per tale modo, l'umanesimo, non vedendo più Dio, finì spesso col non vedere più l'uomo e divenne disumane­simo; l'altro spesso, non vedendo più l'uomo, finì col non vedere più Dio e si dissolse spesso nell'ateismo.

Molti storici spiegano la riforma protestante con la cor­ruzione dei preti. E certo questa offerse cataste di combusti­bili. Ma non sarebbero bastate. La corruzione dei ceti eccle­siastici di Francia e Spagna e Italia non era minore di quella di tanti frati e preti di Germania : eppure la Riforma là non ci fu, o male attecchì.

E la spiegano con la miseria e la desolazione della Black Death del 1347, da cui era stato favorito lo scisma d'Occidente. E certo la disperazione favorisce l'ateismo; ma l'atei­smo non è la Riforma; e comunque miserie ed epidemie c'erano state in altre epoche e in altri luoghi, senza produrre sconquassi nell'ordine cristiano.

Più comprensibile è l'insurrezione teologica a servizio delle passioni politiche e dei privilegi economici.

Quando Lutero tirò fuori le 95 tesi e suscitò quel ve­spaio dottrinale, il Papa dicono ci vide una bega di scolastici. E vide giusto. Senonché dietro la querela teolo­gale c'erano i prìncipi germanici che aspettavano da anni, dalla lotta per le investiture, l'occasione per farsi una Chiesa di comodo separandosi dal Papa; per i motivi medesimi per cui s'era prodotto lo scisma di Bisanzio, il « protestantesimo orientale ».

Ribellandosi a Roma, i principi tedeschi sottrassero la politica al vaglio della morale. Fattasi una Chiesa, che non interferisse con la loro condotta, avrebbero fatto a meno di una disciplina spirituale. Eliminata la potestà ecclesiastica, poterono impadronirsi dei beni dei monasteri e d'altri enti religiosi, costituendosi un patrimonio cospicuo per sé e per i cadetti squattrinati, sì da bilanciare con la refurtiva il dis­sesto patrimoniale.

In Inghilterra i Tudor si ribellarono a Roma per met­tere le mani sulle ricchezze monastiche; e la nobiltà, arricchitasi delle spoliazioni, impedì sotto Maria Tudor che il paese tornasse alla fede cattolica, per tema di dover resti­tuire i beni rubati. Se non fosse stato per questa paura, ancora cent'anni dopo Lutero, si sarebbe forse potuta ricosti­tuire l'unità religiosa in Europa.

Scrive il Belloc : « Da per tutto dove vincevano, il primo gesto dei riformatori consisteva nel consegnare le ricchezze ecclesiastiche alla classe ricca. L'intensità della lotta da per tutto dipendeva dalla decisione di coloro i quali volevano depredare la Chiesa o di coloro i quali volevano rimetterla in possesso dei suoi beni > (i).

Anche in Occidente, come in Oriente, l'eresia arricchì i ricchi e impoverì i poveri, i quali dei beni dei monasteri ave­vano sempre usufruito, attraverso scuole, collegi, università, ospedali, associazioni d'arte e mestieri, ecc. Così farà la seco­larizzazione del secolo XIX.

Martin Lutero non credeva d'arrivare ne a questo ne ad altri risultati di carattere sociale. Per esempio avrebbe voluto anche lui l'abolizione della mendicità; ma ot­tenne l'abolizione delle fonti della carità, essendo venuta meno, in troppi siti. l'organizzazione dell'assistenza da lui reclamata. E' vero che l'ordinanza del 1522, da Wurtemberg, nell'abolire la mendicità e proscrivere Ì frati mendicanti, isti­tuì una cassa comune per sovvenire preti e poveri. Ma è vero pure, che, appena dopo un anno, Venceslao Link, « ecclesiaste » amico di Lutero, il quale aveva attuato l'ordinanza ad Altenburg, dovette indirizzare una lettera violenta al bor­gomastro e ai consiglieri, per deplorare che « la cristianis­sima decisione » avesse avuto per effetto di scoraggiare le persone dabbene abituate ad aiutare gli indigenti. « Un fatto è certissimo. diceva, che non si ha più compassione per i miseri, non c'è più carità per il proprio simile; non più fede, non amore, non lealtà; la fraternità cristiana non esi­ste più ; ho paura che, se non ci si emenda, Dio c'invii pesanti castighi, soprattutto a causa della cassa comune, di cui nessuno si piglia cura» (2).

La stessa cosa avvenne da per tutto. Per esempio, a Leisnig, in Sassonia, dove, come risultato della cassa co­mune, gli ecclesiastici non ebbero di che vivere e il maestro di scuola per cinque anni non ricevette stipendio. Il denaro raccolto, in troppi siti, fu dilapidato. Come lamentò il duca Cristoforo nel 1562, «nessuno si cura dei bisognosi... I redditi degli ospedali e di altre fondazioni caritative non ser­vono ai poveri, ma ai curatori». A Hesse, un sinodo, nel 1575, ebbe a constatare che le casse dei poveri erano quasi vuote o abolite.

« Come dimostra una triste esperienza, parole queste dell'Elettore di Brandeburgo. Giovanni Giorgio, le casse comuni, invece 'di colmarsi, si vuotano ». E finalmente, dopo qualche anno, in terra di Riforma, nessuno si curò più delle casse comuni, divenute casse private.

« Al tempo del papismo, dovette riconoscere, e non una sola volta, Lutero, le offerte, le fondazioni pie, e i legati abbondavano cerne i fiocchi di neve d'inverno. Tra gli evangelici, invece, si lesina sin lo spicciolo. Sotto il pa­pismo, i cristiani praticavano la beneficenza e facevano vo­lentieri l'elemosina: ma, dopo che è stato dato l'Evangelo, nessuno dona più un centesimo; anzi, ciascuno attende a scorticare il prossimo e a ricavare denaro da tutto per la soddisfazione dei propri vizi. Più si predica l'Evangelo, e più ci si immerge nell'avarizia... » (3).

Anche gli altri riformatori più volte dovettero ripetere siffatto lamento, che muoveva da un rilievo acutissimo.

A Kempten, i pastori, per tema del contagio, non visi­tavano i malati, mentre i gesuiti non esitavano a contrarre la peste per assisterli. Amare constatazioni dovevano fare i poveri e i pastori protestanti dinanzi a un siffatto spettacolo.

(1)Thè yeat heresies, p. 208. 248

(2) J. jansseen, L'Alemanne et la. réforme. Vili, Paris, Plon, 1911, p. 310.

(3) Sàmtl. Werke, t. V., p. 264-265. cpt. XXIII, p. 313; t. XIII, p. 123,

249

 

Nel 1523, Lutero aveva espresso il timore di veder di­sperdere i beni ecclesiastici nelle mani di avidi accaparra­tori, « come era accaduto in Boemia ». Ora, già un anno prima, Thomas Murner aveva predetto tali depredazioni, con i versi :

« Quando avran fatto man bassa dei beni della Chiesa, Ne faranno un gran mucchio;

I poveri ne trarranno al più quanto ne han tratto in Boemia. Là, il povero sera figurato che dei beni rubati gli sarebbe venuto un bel bottino. Ma il ricco si tenne tutto e lasciò il povero a gemere nelle sue angustie » (4).

A conti fatti, Lutero dovette ammettere che la con­fisca dei beni ecclesiastici non era stata che una rapina. « I signori fanno lusso con il denaro rubato... Borghesi e con­tadini fan lo stesso » (5). « Noi abbiamo abbandonato ai nobili tante ricche abbazie e i redditi del clero, incarican­doli a provvedere alle spese del culto ; ma essi si guardano bene dall'adempiere questo dovere » (6).

Pari constatazioni fece Melantone : < i più avari sono precisamente quelli che si spacciano per migliori cri­stiani » (7).

Diminuite le fonti della carità, crebbe l'accattonaggio, che si era voluto sopprimere per legge; e divenne la piaga del secolo.

Pari decadimento si deplorò nell'ordine morale. « Nella mia gioventù, ebbe a scrivere Lutero stesso, mi ri­cordo che la maggior parte delle persone, anche ricche, non beveva che acqua e si contentava degli alimenti più semplici e più facili. Spesso, non si cominciava a bere che a 30 anni 'di età. Ora si abituano i bambini a bere, e non solo il vino ordinario, ma vini forti, vini stranieri, distillati o bru­ciati, da prendersi a digiune... L'ubriachezza è entrata nei nostri costumi».

(4) o. e., p. 326.

<5) Sdmtl. Werke, t. Ili, p. 270-271. <6) Ib., t. LXII, p. 293-294. (7) O.C., p. 328.

 

E il teologo Giacomo Andrea, prevosto dell'Università di Tubinga, nel 1568, asserì: « II vizio della ubriachezza non è stato mai, a memoria d'uomo, diffuso quanto oggi. Al tempo del papismo, i nostri antenati... -non affidavano incarichi a persone sospette di bere troppo; non le ricevevano, non le. volevano per matrimoni, le sfuggi­vano... (8).

« I consiglieri del duca di Wurtemberg hanno consta­tato che più di 400 persone sono morte di sbornia tra il Natale e la prima domenica di Quaresima. Il luterano Manlius conferma la cosa » (9).

Aggiunto questo agli altri vizi, si capisce perché così di frequente ricorra, sotto la penna degli scrittori dell'epoca, luterani e cattolici, l'appellativo di «porci».

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