Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

Aspetti poco noti della cosiddetta "RIFORMA"

Ultimo Aggiornamento: 12/01/2014 16:06
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
29/07/2012 15:48
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Spesso il movimento di protesta sorto a seguito dell’affissione delle tesi di Lutero viene presentato come una conquista dell’animo umano e di affrancamento da un potere ecclesiastico considerato dispotico e interessato.

Se vi sono state delle responsabilità da parte dei rappresentanti del clero di allora, e che non si intende negare, tuttavia non si possono tacere neanche le responsabilità di coloro che avevano la pretesa di riformare le altrui deviazioni.

Estratto da "LE DUE CITTA’" .

OFFLINE
29/07/2012 15:52
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

La eliminazione del «sociale »

Se tutto il bene è tornato all'uomo dall'Incarnazione, che lo riunisce a dio, tutto il male viene dalla disincarnazione, che lo risepara da Dio. A questo risultato punta la reazione, la quale, riseparando la esistenza umana dall'Essere divino, determina una convivenza di rissa e sfruttamento assogget­tandola all'essere subumano che le Scritture qualificano col titolo di Bestia.

La reazione s'è visto per prima cosa sganciò la fede dalle opere sotto i gruppi di pressione dell'avarizia. Par­tì dalla constatazione che non il credere costasse, ma l'agire; che non il dogma dell'unità e trinità di Dio fosse difficile ad ammettersi, ma il comandamento dell'unità e solidarietà col prossimo, il quale impone un'alienazione del proprio sé. Dare incenso a Dio poco disturba; 'dare pane al povero, questo, si, scomoda. Perciò l'egoismo cercò di semplificare il cristianesi­mo dimezzandolo della parte umana, del dare, per ridurlo alla parte divina. del ricevere. E pretese di custodire l'amore a Dio senza l'amore al prossimo.

Lutero chiamò « di paglia » la lettera, densa di implica­zioni sociali, scritta da san Giacomo, cugino di Gesù. In es­sa è detto che « la fede senza le opere è morta ». Lutero gli oppose san Paolo. Ma anche san Paolo asserisce che « Dio renderà a ciascuno secondo le sue opere » (Rm. 2:16). Perciò, soppresse le opere, la pratica cristiana divenne una meccanica di mummie. Eliminata l'azione sociale diretta al­l'uomo, la religione si ridusse a una pomposa presa in giro di Dio. Ma «Dio non si gabba», aveva già avvertito san Paolo, trovatesi a dover, sin dal suo tempo, flagellare le divaricazioni esperite da alcuni seguaci, ai quali pareva che bastasse essere « ascoltatori » della legge nuova, anziché « operatori » : pareva che convenisse, a tutti gli effetti eco­nomici, contrarre il cristianesimo a sermone; quasi a risuc­chiare l'Uomo-Dio nel Verbo... Quei primi tentativi furono ripresi più volte; sinché, venuto il tempo propizio, del risor­gente paganesimo, s'accamparono nella cristianità con suc­cesso potente nel secolo XVI, riducendo il cristianesimo a parola.

Allora, in Europa, l'umanesimo pagano e il protestan­tesimo luterano parvero con maggior successo schiodare la croce; di cui uno si prese l'asse orizzontale, della linea umana, che sfiora la terra ; l'altro si prese quello verticale, della linea divina, che penetra in cielo. E così risepararono le compo­nenti dell'Incarnazione.

L'umanesimo credette di trovare di più l'uomo: e lo smarrì, perché, non vedendo più Dio, finì col non vedere più neanche la sua immagine. Vide un tropo, da figurazioni poetiche dell'Olimpo, con il tempo sostituite dai paradigmi della tecnica. La degradazione servì ai signori per fare strame della dignità umana.

Il luteranesimo credette di trovare di più Dio, a mo' del sacerdote, che, per la mulattiera di Gerico, guardava tal­mente il cielo, da non vedere il fratello ferito in terra; e non capì che, per arrivare a Dio, il fratello fa da passaggio obbligato.

Per tale modo, l'umanesimo, non vedendo più Dio, finì spesso col non vedere più l'uomo e divenne disumane­simo; l'altro spesso, non vedendo più l'uomo, finì col non vedere più Dio e si dissolse spesso nell'ateismo.

Molti storici spiegano la riforma protestante con la cor­ruzione dei preti. E certo questa offerse cataste di combusti­bili. Ma non sarebbero bastate. La corruzione dei ceti eccle­siastici di Francia e Spagna e Italia non era minore di quella di tanti frati e preti di Germania : eppure la Riforma là non ci fu, o male attecchì.

E la spiegano con la miseria e la desolazione della Black Death del 1347, da cui era stato favorito lo scisma d'Occidente. E certo la disperazione favorisce l'ateismo; ma l'atei­smo non è la Riforma; e comunque miserie ed epidemie c'erano state in altre epoche e in altri luoghi, senza produrre sconquassi nell'ordine cristiano.

Più comprensibile è l'insurrezione teologica a servizio delle passioni politiche e dei privilegi economici.

Quando Lutero tirò fuori le 95 tesi e suscitò quel ve­spaio dottrinale, il Papa dicono ci vide una bega di scolastici. E vide giusto. Senonché dietro la querela teolo­gale c'erano i prìncipi germanici che aspettavano da anni, dalla lotta per le investiture, l'occasione per farsi una Chiesa di comodo separandosi dal Papa; per i motivi medesimi per cui s'era prodotto lo scisma di Bisanzio, il « protestantesimo orientale ».

Ribellandosi a Roma, i principi tedeschi sottrassero la politica al vaglio della morale. Fattasi una Chiesa, che non interferisse con la loro condotta, avrebbero fatto a meno di una disciplina spirituale. Eliminata la potestà ecclesiastica, poterono impadronirsi dei beni dei monasteri e d'altri enti religiosi, costituendosi un patrimonio cospicuo per sé e per i cadetti squattrinati, sì da bilanciare con la refurtiva il dis­sesto patrimoniale.

In Inghilterra i Tudor si ribellarono a Roma per met­tere le mani sulle ricchezze monastiche; e la nobiltà, arricchitasi delle spoliazioni, impedì sotto Maria Tudor che il paese tornasse alla fede cattolica, per tema di dover resti­tuire i beni rubati. Se non fosse stato per questa paura, ancora cent'anni dopo Lutero, si sarebbe forse potuta ricosti­tuire l'unità religiosa in Europa.

Scrive il Belloc : « Da per tutto dove vincevano, il primo gesto dei riformatori consisteva nel consegnare le ricchezze ecclesiastiche alla classe ricca. L'intensità della lotta da per tutto dipendeva dalla decisione di coloro i quali volevano depredare la Chiesa o di coloro i quali volevano rimetterla in possesso dei suoi beni > (i).

Anche in Occidente, come in Oriente, l'eresia arricchì i ricchi e impoverì i poveri, i quali dei beni dei monasteri ave­vano sempre usufruito, attraverso scuole, collegi, università, ospedali, associazioni d'arte e mestieri, ecc. Così farà la seco­larizzazione del secolo XIX.

Martin Lutero non credeva d'arrivare ne a questo ne ad altri risultati di carattere sociale. Per esempio avrebbe voluto anche lui l'abolizione della mendicità; ma ot­tenne l'abolizione delle fonti della carità, essendo venuta meno, in troppi siti. l'organizzazione dell'assistenza da lui reclamata. E' vero che l'ordinanza del 1522, da Wurtemberg, nell'abolire la mendicità e proscrivere Ì frati mendicanti, isti­tuì una cassa comune per sovvenire preti e poveri. Ma è vero pure, che, appena dopo un anno, Venceslao Link, « ecclesiaste » amico di Lutero, il quale aveva attuato l'ordinanza ad Altenburg, dovette indirizzare una lettera violenta al bor­gomastro e ai consiglieri, per deplorare che « la cristianis­sima decisione » avesse avuto per effetto di scoraggiare le persone dabbene abituate ad aiutare gli indigenti. « Un fatto è certissimo. diceva, che non si ha più compassione per i miseri, non c'è più carità per il proprio simile; non più fede, non amore, non lealtà; la fraternità cristiana non esi­ste più ; ho paura che, se non ci si emenda, Dio c'invii pesanti castighi, soprattutto a causa della cassa comune, di cui nessuno si piglia cura» (2).

La stessa cosa avvenne da per tutto. Per esempio, a Leisnig, in Sassonia, dove, come risultato della cassa co­mune, gli ecclesiastici non ebbero di che vivere e il maestro di scuola per cinque anni non ricevette stipendio. Il denaro raccolto, in troppi siti, fu dilapidato. Come lamentò il duca Cristoforo nel 1562, «nessuno si cura dei bisognosi... I redditi degli ospedali e di altre fondazioni caritative non ser­vono ai poveri, ma ai curatori». A Hesse, un sinodo, nel 1575, ebbe a constatare che le casse dei poveri erano quasi vuote o abolite.

« Come dimostra una triste esperienza, parole queste dell'Elettore di Brandeburgo. Giovanni Giorgio, le casse comuni, invece 'di colmarsi, si vuotano ». E finalmente, dopo qualche anno, in terra di Riforma, nessuno si curò più delle casse comuni, divenute casse private.

« Al tempo del papismo, dovette riconoscere, e non una sola volta, Lutero, le offerte, le fondazioni pie, e i legati abbondavano cerne i fiocchi di neve d'inverno. Tra gli evangelici, invece, si lesina sin lo spicciolo. Sotto il pa­pismo, i cristiani praticavano la beneficenza e facevano vo­lentieri l'elemosina: ma, dopo che è stato dato l'Evangelo, nessuno dona più un centesimo; anzi, ciascuno attende a scorticare il prossimo e a ricavare denaro da tutto per la soddisfazione dei propri vizi. Più si predica l'Evangelo, e più ci si immerge nell'avarizia... » (3).

Anche gli altri riformatori più volte dovettero ripetere siffatto lamento, che muoveva da un rilievo acutissimo.

A Kempten, i pastori, per tema del contagio, non visi­tavano i malati, mentre i gesuiti non esitavano a contrarre la peste per assisterli. Amare constatazioni dovevano fare i poveri e i pastori protestanti dinanzi a un siffatto spettacolo.

(1)Thè yeat heresies, p. 208. 248

(2) J. jansseen, L'Alemanne et la. réforme. Vili, Paris, Plon, 1911, p. 310.

(3) Sàmtl. Werke, t. V., p. 264-265. cpt. XXIII, p. 313; t. XIII, p. 123,

249

 

Nel 1523, Lutero aveva espresso il timore di veder di­sperdere i beni ecclesiastici nelle mani di avidi accaparra­tori, « come era accaduto in Boemia ». Ora, già un anno prima, Thomas Murner aveva predetto tali depredazioni, con i versi :

« Quando avran fatto man bassa dei beni della Chiesa, Ne faranno un gran mucchio;

I poveri ne trarranno al più quanto ne han tratto in Boemia. Là, il povero sera figurato che dei beni rubati gli sarebbe venuto un bel bottino. Ma il ricco si tenne tutto e lasciò il povero a gemere nelle sue angustie » (4).

A conti fatti, Lutero dovette ammettere che la con­fisca dei beni ecclesiastici non era stata che una rapina. « I signori fanno lusso con il denaro rubato... Borghesi e con­tadini fan lo stesso » (5). « Noi abbiamo abbandonato ai nobili tante ricche abbazie e i redditi del clero, incarican­doli a provvedere alle spese del culto ; ma essi si guardano bene dall'adempiere questo dovere » (6).

Pari constatazioni fece Melantone : < i più avari sono precisamente quelli che si spacciano per migliori cri­stiani » (7).

Diminuite le fonti della carità, crebbe l'accattonaggio, che si era voluto sopprimere per legge; e divenne la piaga del secolo.

Pari decadimento si deplorò nell'ordine morale. « Nella mia gioventù, ebbe a scrivere Lutero stesso, mi ri­cordo che la maggior parte delle persone, anche ricche, non beveva che acqua e si contentava degli alimenti più semplici e più facili. Spesso, non si cominciava a bere che a 30 anni 'di età. Ora si abituano i bambini a bere, e non solo il vino ordinario, ma vini forti, vini stranieri, distillati o bru­ciati, da prendersi a digiune... L'ubriachezza è entrata nei nostri costumi».

(4) o. e., p. 326.

<5) Sdmtl. Werke, t. Ili, p. 270-271. <6) Ib., t. LXII, p. 293-294. (7) O.C., p. 328.

 

E il teologo Giacomo Andrea, prevosto dell'Università di Tubinga, nel 1568, asserì: « II vizio della ubriachezza non è stato mai, a memoria d'uomo, diffuso quanto oggi. Al tempo del papismo, i nostri antenati... -non affidavano incarichi a persone sospette di bere troppo; non le ricevevano, non le. volevano per matrimoni, le sfuggi­vano... (8).

« I consiglieri del duca di Wurtemberg hanno consta­tato che più di 400 persone sono morte di sbornia tra il Natale e la prima domenica di Quaresima. Il luterano Manlius conferma la cosa » (9).

Aggiunto questo agli altri vizi, si capisce perché così di frequente ricorra, sotto la penna degli scrittori dell'epoca, luterani e cattolici, l'appellativo di «porci».

OFFLINE
29/07/2012 15:53
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

 

Inutilità delle opere

Gli stessi scrittori luterani, con Lutero in testa, deplo­rano insomma, da ogni punto della Germania, che, in conseguenza della riforma religiosa, i costumi siano deformati, o, come dice uno di loro, il curato Just Menius, che la religione sia impiegata per peccare con più libertà.

(8)janssen, O.C., p. 264.

(9)O.C, p. 279.

« La libertà carnale: esclama Lasius, ecco quel che pare più prezioso alla maggioranza di coloro che si gloriano di essere evangelici ! » E lamenta che Ì cristiani riformati si ritengano a posto con Dio quando siano andati in chiesa ed abbiano ascoltato il sermone: possono anche rubare, tiran­neggiare. ma, una volta che abbiano assistito « decentemente al servizio divino », si ritengono accetti al Signore. « Ecco,

Dio ci perdoni, come in questi tempi s'intende la vita cri­stiana. I nostri peccatori, questi fervidi amici della grazia, i quali non credono che a parole, ha-n lasciato il 'Papa per darsi al Vangelo e ripetono che le opere buone sono inutili alla salvezza e che Dio usa misericordia a chiunque implora sinceramente la sua grazia... La sola cosa che capiscono bene è la libertà della carne» (i).

In queste constatazioni, Erasmo concorda con i maestri del luteranesimo. « Guardate un po' codesti maestri "evan­gelici” » : sono forse divenuti migliori? Concedono forse di meno al pasto, alla lussuria, all'avidità di denaro?

« Mi si mostri qualcuno che questo vangelo di Lutero abbia mutato da bevitore in temperante, da furioso in man­sueto, da aguzzino in benefattore, da svergognato in per­sona onorevole. Io so di molti che son diventati anche peg­giori di quanto erano prima » (2).

Insomma: la libertà dal Papa è diventata la libertà dalla Chiesa e quindi dalla morale della Chiesa : con il libero esame ciascuno si manipola un .codice etico, che s'acconci agli affari propri: e tra questi tale è l'impressione che si ricava dalla lettura dei documenti contemporanei e soprat­tutto dalle lamentele dei pastori, a cui non riesce più di reg­gere il gregge scatenato, sono la sodomia, la bigamia, il furto, il lusso e la lussuria, accanto all'accattonaggio e alla miseria.

Nè sono disordini limitati ai primi tempi, quando, nel­l'impeto rivoluzionario, leggi e costumi si sovvertono: no, essi diventano sistema nelle generazioni successive. « Ora che siamo usciti dalla captività di Babilonia, liberati dalla rossa prostituta di Roma, grazie alla rivelazione del santo Vangelo, ora proprio, la carità è spenta, gli odi, l'invidia, l'ira, le ostilità, la discordia, le passioni omicide riempiono i cuori » (3).

(1) dóllinger, Reformation, t. II, p. 176, 545.

(2) Opera omnia, Leida, 1703-06, t. X, col. 1578, 1590. In: huezinga. Erasmo Torino 1941 p. 250-257).

(3) janssen, O.C., p. 426

Perciò il celebre Giorgio Major vede, sin dal 1564, avan­zarsi « una minacciosa barbarie » (4). E questa previsione balena agli occhi anche d'un professore di Francoforte, Gaspard Hofmann, nel 1578: «l'avvento d'una completa barbarie ».

La moltitudine torna col desiderio al passato, come a un'epoca di virtù. « Un demone, il demone papista scrive Christopher Lasius nel 1568, — è stato espulso; ma sette altri demoni più perversi ne han preso il posto». Colpa della dottrina sulla passività dell'uomo nell'opera della con­versione ; dottrina, « la quale mena la maggioranza delle persone a una vita depravata, empia e grossolana » ; come riconosce un collegio di teologi luterani, nel 1570. Qualche pastore per esempio, il Belzius, arriva a dire che, per vedere una categoria di gente pervertita, basta « recarsi in una città dove si predica il Vangelo con zelo dai migliori predicatori» (5).

Il libero esame giustifica qualsiasi interpretazione, la sola fides dispensa da qualsiasi servizio; il bottino fornisce alimento al lusso dei ricchi e dei privilegiati.

Nella decadenza dei costumi, nell'esaurimento della ca­rità, seguito all'individualismo, nell'esasperazione degli istinti d'arricchimento e sfruttamento, mentre non agisce più la comunione dei santi nella convitalità della Chiesa, sorge ogni tipo di criminalità e aumenta in misura impressionante la mania di suicidio. Molti sono presi dallo scoramento, che li trae alla disperazione. Solo a Norimberga, una statistica mu-nicipale registra, nel 1569, quattordici suicidi in tré set­timane. Non pochi pastori protestanti, proprio da questo spettacolo, da questo risultato, sono indotti a tornare . alla fede cattolica. Già dal 1542, Lutero stesso, colpito dalla frequenza di tali crimini, ci aveva visto una sorta di epidemia scatenata dal demonio (6).

 

(4) janssen, O.C., p. 423-428-429. <5) janssen, o.c., p. 428.

(6) janssen, o.c., p. 552. ^ janssen. O.C., p. 513. (8) janssen,O.C., p. 552

253

Il demonio, agli occhi suoi, spiegava tutto: ma una tale spiegazione dava un aspetto ossessivo alla storia. Il ma­ligno prese, nel sistema del luteranesimo, un'ampiezza di potere nuova e spaventosa: davvero manicaica. Lutero era ossessionato dal demonio, al quale attribuiva una potestà che la Rivelazione non contempla. E così lo immise nelle im­maginazioni e nei costumi scatenando forme di supersti­zione selvagge. D'altro canto, contro il potere satanico non valevano più Ì mezzi sacramentali, poiché di essi la Riforma aveva fatto scempio. Si abbatteva la testa alle statue della Vergine immacolata, la Satana, nella letteratura popolare co­me nella vita religiosa del popolo, prese un posto più impor­tante di quello di Dio (7).

Sotto questo riguardo, si può dire che, dove si era estro­messo il cattolicesimo, s'intende il demonismo, di cui la stre­goneria fu il prodotto putrido. Cosi la scissione religiosa moltipllcò e volgarizzò i sortilegi con la credenza nel potere universale del diavolo, in un clima di accresciuta corruzione.

« Da per tutto insegnava Lutero c'entra il dia­volo; egli è la causa unica di tutte le malattie, di tutti gli accidenti che ci capitano, 'della peste, della fame, della guerra, dell'incendio, dei temporali, o della grandine; egli s'accoppia alle streghe e ne ha figli ». E di questo era così convinto che un giorno suggerì a un padre di famiglia di annegare uno dei figlioli, che gli pareva generato dal diavolo (8).

La stessa superstizione trasmise ai discepoli. Uno di questi, Andrea Muscullus, in un libro sul demonio, asserì che i demoni imperversavano soprattutto in Germania, dove più di sei o sette mila erano addetti a ciascun individuo.

OFFLINE
29/07/2012 15:55
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Le conseguenze politiche

Come con la frattura dell'arianesimo, così ora, con il dissìdio luterano, fu agevole giustificare le aggressioni mili­tari, viste come guerre di religione, dato che la gente moriva più facilmente e si lasciava depredare con minori resistenze dove si sbandieravano ideali evangelici.

Nella divisione assunsero uno sviluppo più libero i particolarismi del nascente nazionalismo, rappresentati dalle favelle volgari in formazione, dai sentimenti nazionali e di­nastici, dalla gelosia germanica verso la latinità, dagli odi tra slavi e tedeschi, e dalle differenze di casta e classe. La protesta del 1517 contro le indulgenze coperse, con le teorie della religione, un composito movimento sociale, economico e politico, in testa a cui si affermò l'assolutismo aristocratico delle dinastie puntellate dalla nobiltà, secondo il canone ri­tirato fuori da Lutero : « I principi sono dèi, la massa è Satana s>.

Lutero volle menare ogni cosa alla vita della grazia, ri­fiutando le libertà e scartando le gradazioni da terra a cielo; per questo al Discorso della montagna antepose il Decalogo come espressione del diritto naturale, e al radicalismo del messaggio di Gesù preferì l'etica religiosa nazionale dello antico Israele. Per spiritualizzare la Chiesa, la sottrasse alla gerarchla, riuscendo a sublimare di fatto l'amministrazione civile semideificata e, in ogni caso, sovrapposta al potere ec­clesiastico.

Assegnando alla Chiesa solo l'interiorità spirituale con la cura della salvezza eterna, e assegnando allo Stato, non solo i compiti politici, ma tutti, senza limite, i compiti di benessere sociale, separò anche nelle strutture la fede dalle opere, lo spirito dalla materia. Quando lo Stato poi slittò nel laicismo, tutta la sua azione risultò separata dall'etica cristiana. Della deificazione assegnatagli nel luteranesimo lo Stato laicizzato conservò l'autoritarismo.

 

Quando nel 1524, Erasmo, dopo aver per anni resistito alle sollecitazioni che d'ogni parte della cristianità gli erano giunte perché prendesse posizione di fronte al movimento della Riforma, si decise a intervenire, colpì il punto di maggior differenza: quello della libertà, problema centrale della dialettica di bene e di male, di divino e di umano, di verità e di errore, di grazia e responsabilità. Pure nella sua de­bolezza di carattere, portato dalla logica umana e dalla fede divina, nello scritto De libero arbitrio, dimostrò come filo­sofia e ragione, rivelazione e disciplina esigessero la libertà del volere.

E con pari precisione, Lutero, nella risposta, centrò la differenza sostanziale fra la sua eresia e il cattolicesimo, affermando fanaticamente il determinismo, nel De servo ar­bitrio, Era lo scontro tra libertà e servitù, tra amore e odio. Lutero difatti partiva dall'« eterno odio di dio contro gli uomini, odio che esisteva anche prima che il mondo fosse creato ».

Ha scritto Benedetto Croce:

« Eretico Lutero per la Chiesa cattolica, egli questa di­chiarava a sua volta eretica rispetto al puro cristianesimo del Vangelo e della Chiesa primitiva. Ma c'è un'eresia ve­ramente grave che egli compì alla quale i suoi avversari cattolici non sogliono dar rilievo, un'eresia morale, una vera deviazione e perversione introdotta nella civiltà umana, uno sconoscimento della unità dello spirito, che è ancor oggi un danno presente e persistente; quella onde Lutero non sem­plicemente distinse, ma divise la vita religiosa dalla politica, e tolse tra le due ogni ricambio e ogni comunicazione. Lutero inquadrò religiosamente l'acquiescenza e servilità poli­tica tedesca verso i principi... I cattolici stanno ancora a vituperare quel pio frate agostiniano... ; ma la civiltà mo­derna deve, per proprio conto, addebitargli questo grosso tradimento che», egli commise contro la civiltà umana, de­primendo il sentimento della libertà politica» (i). Il rilievo centrale di Croce è giusto

 

Lutero insorse contro Roma in nome del libero esame, e cioè affermando la libertà massima per sé, ma finì con il negare la libertà anche minima a chi non la pensava come lui. Alla parola di Dio associò presto il braccio secolare. Impose il suo verbo, e propugnò l'intervento dello Stato per metter fine alle eresie: alle eresie nate dal libero esame. E così impose una repressione crudele perché fossero stermi­nati anche gli « zwingliani, spezzatori dei sacramenti, fanatici e anabattisti». Avendo voluto una religione di sola spiri­tualità, legittimò una commistione di Vangelo e di polizia, di prediche e di galere, la quale non riformò, ma aggravò il sistema medievale.

Partito così dalla libertà, finì col potenziare la dispotia, come fulcro di un ordine autoritario conservatore. orientato verso il paternalismo. Al potere politico accordò un crisma d'infallibilità con facoltà di compressione illimi­tata, giustificata con il peccato originale, per cui le masse erano abbassate a una degradazione ignota al Medio Evo.

Volle purificare i costumi, e per questo anche ruppe con la Chiesa di Roma; ma di fronte al potere politico, cedette sino a legittimare la bigamia del langravio di Hesse. La legittimò, perché si trattava d'un monarca: non l'avrebbe tollerata per un contadino; che nel monarca vedeva un mi­nistro diretto del Signore, tale che ogni suo atto era d'ispirazione divina, giustificato a priori, sempre. E la tumefazione del potere politico risultava già favorita dalla giusti­ficazione di ogni evento come voluto da Dio; e cioè da un fatalismo, che divenne totale nel campo politico, dove ogni azione del governo fu legittimata e dove anche l'impiccare, il decapitare e ogni genere di castigo, come ogni guerra, ap­parvero servizio di Dio. Donde una sterilità nel luterane­simo, che risultò un nullismo sociale nel secolo dell'illumi­nismo. Donde la negazione d'ogni sforzo per uscire dal pro­prio stato e migliorare la propria posizione, con la passività verso l'ingiustizia e la tirannide.

<1) benedetto croce, L'eresia morale di Lutero (in < Quaderni della Cri­tica », die. 1945, n. 3).

L'etica economica del luteranesimo, quindi, fu giudi­cata dal Troeltsch «interamente reazionaria».

Essa produsse un quietismo spirituale; perché, per non contaminare il cristianesimo col mondo, lo separò dalla vita, almeno dalla vita collettiva, limitandolo alla vita infe­riore dell'individuo e sottomettendo la Chiesa allo Stato (per quanto Lutero, al contatto con la realtà, negli ultimi anni, dovesse decidersi a occuparsi, piuttosto male, di politica). Dove il cattolicesimo coordina quelle operazioni subordi­nando la natura alla soprannatura, il luteranesimo abban­donò il mondo al diavolo. E invece Cristo ha vinto il mondo : segno che ha combattuto con esso: e cioè ha redento, libe­rato l'umanità, nel tratto che vive sul mondo.

OFFLINE
29/07/2012 15:56
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Nel cattolicesimo agiscono grazia e natura, di cui la seconda è completamento alla prima. Nel protestantesimo agisce la sola grazia, mentre la natura è rigettata, perché decaduta : quasi non ci fosse stata la Redenzione.

E rigettata è altresì la soprannatura. Come dice Troeltsch, nel protestantesimo < non c'è più assolutamente spazio per la concezione della soprannatura: l’intera idea d'un sistema graduato, che sale dalla natura alla sopranna­tura, dalla moralità secolare alla moralità spirituale e so­prannaturale, è spazzato via. I sacramenti sono finiti (2). Cosi è demolita la cattedrale della rivelazione, che il tomismo aveva protetta coi materiali della ragione. La ra­gione, per Lutero, è una «: druda». E viene completata quella rottura fra tradizione e rivelazione, fra diritto naturale e diritto divino, fra natura e soprannatura, che vari sistemi antitomisti avevano iniziata -.

(2) E. troeltsch, Thè social teachin of thè Christian Churches, London. 1931, voi. II, p. 472.

.

Degradata la natura, allontanata la soprannatura, tutto lo spazio è occupato dalla sottonatura, per cui si potenzia la macchina monarchica, sovrammessa, come una cappa di piombo, sulla tomba della libertà.

Teologia e dispotismo

Sempre lì si approda: a deificare i capi politici, adu­nando gli attributi -della potenza divina sulle loro teste e la­sciando quelli decorativi sul capo di dio, reso più remoto da teorie che lo ributtano lontano dagli uomini.

Anche i sovrani cattolici arrivarono all'assolutismo, ma senza uscire apertamente dall'ortodossia. Per loro questa fu spesso un pretesto. Ai rè di Francia e di Spagna l'orto­dossia servì come ai prìncipi di Germania l'eterodossia : quale stimolo a farsi guerra con la benedizione della gente di Chiesa e le taglie e le confische sui fondi dei conventi.

Che la teologia fosse un simulacro si vide bene nel caso di Enrico Vili Tudor, il quale iniziò la trasformazione scendendo in campo quale « defensor fidei, campione del­l'ortodossia, contro Lutero, il « fratercolo » da cui fu ripagato con scurrilità da trivio. Ma, al pari dei prìncipi lute­rani, anche lui fece man bassa del Decalogo e della morale evangelica intanto che faceva man bassa dei monasteri.

Secondo P. Luigi Taparelli d'Azeglio, « il paganesimo, risuscitato dalla Riforma, ha sacrificato persin l'idea di pa­tria sì cara al cuore umano : e l'ha sacrificata al con­cetto di Stato dispoticamente inteso. Nella Riforma difatti < il concetto di Stato riveste necessariamente quelle forme dispotiche e paurose, che sono nate fatte per distruggere nel cuore dei cittadini ogni sentimento di affetto verso co-testa spaventevole divinità >.

Senza addarsene Lutero, con la teoria del servo ar­bitrio, al pari degli umanisti, riesumò il paganesimo, ma lo vestì di panni cristiani: ridestò le tirannie politiche, anche lui, ma le giustificò con la teologia

259

.

« II contrasto fondamentale dice a questo punto Sigrid Undset, premio Nobel, sta appunto in ciò: ed è ingenuo sorprendersi che le ideologie neo-pagane dei nostri tempi finiscano per creare delle forme sociali chiuse od ostili alla Chiesa, nonché degli Stati a carattere dittatoriale ».

Prima di farsi cattolica, quella scrittrice, protestante di nascita, aveva detestato del luteranesimo l'applicazione po­litica: che era il vassallaggio dei cittadini verso lo Stato ; e le era invece piaciuto Tommaso Moro, perché ai piedi del patibolo aveva dichiarato : « Sono un fedele servitore del rè, ma sono prima di tutto un servo di dio ».

La schiavizzazione politica, per la quale tutti i poteri si concentravano nelle mani del principe, insignito anche di un diritto divino, e tutti i doveri si accumulavano sulle schiene dei sudditi, destituiti anche dei diritti naturali, co­ronò la divaricazione tra fede e opere. Con il suo principio: pecca fortiter, et crede fortius, Lutero di fatto annullò l'In­carnazione e quindi la Redenzione. Alla libertà dell'arbitrio, sostituì la formula pagana -del servo arbitrio. Nella vita associata, propugnò l’obbedienza passiva e arrivò ad asse­rire : « Io sopporterei un principe che facesse il male, piut­tosto che un popolo che agisse con giustizia. >.

E a favore dei prìncipi, visti come dèi, istituì chiese di Stato, fatte strumenti di governo ; e contro il popolo, visto come Satana, scatenò i prìncipi, nella guerra dei contadini, già da lui infiammati contro i proprietari. Così la Riforma divenne la religione dei proprietari terrieri, un po' come lo scisma d'Oriente. I contadini dettero a Lutero il nomignolo di <Dottor Bugiardo ».

Così coi giudei; prima li accarezzò, meditando di averli dalla sua e produrli, convertiti, quale testimonianza della riforma; poi, nel 1543, scrisse contro di loro il libello più calunnioso, più arso d'odio, -che si sia mai scritto da agenti antisemiti, accusandoli di veneficio, di magia, d'assassinio rituale, invitando i cristiani a bruciare le sinagoghe, a distruggere i testi, a radere i ghetti, a condannare tutti i giudei ai lavori forzati e a cacciarli come bestie feroci.

Quando il comportamento nella rivolta dei contadini turbò persino i seguaci, proprio per il servilismo verso i pa­droni, e la ferocia verso i ribelli, in seguito al suo scritto « Contro le empie e scellerate bande dei contadini», allora Lutero si difese (i) coprendo d'ingiurie i suoi accusatori e, ribadendo il suo concetto pessimista della politica. « Esi­stono due regni : — spiegò uno è il regno 'di Dio, l'altro Ì1 regno della terra... Il regno di Dio è un regno di grazia e di misericordia e non un regno d'ira e castigo, perché ivi regna il perdono, la compassione, l'amore, il servire, il ben fare, la pace, la gioia, ecc. Ma i1 regno della terra è un regno d'ira e di severità, perché non sa che punire, vietare, giu­dicare e condannare; per tenere a freno i malvagi e pro­teggere i buoni... La potestà della terra, che altro non è che lo strumento dell'ira del Signore contro i malvagi, vero e proprio predecessore dell'inferno e della morte eterna, non dev'essere misericordiosa, ma severa, implacabile e adirata nel suo ufficio e nell'opera sua... ».

La città di Dio è esclusa quindi dalla terra, ed è so­stituita dalla città infernale. In esso la guerra è senz'altro giusta e necessaria, come l'intervento chirurgico, se intimata dall'autorità. E' dio che onora la spada; «: non è l'uomo, ma Dio ad impiccare, mettere alla ruota, decapitare, pu­gnalare ed uccidere. Sono tutte sue opere... ». Così lo Stato e deificato proprio nelle operazioni più crude e deprecate. « In conclusione nell'ufficio della guerra non si deve riguar­dare come si pugnala, abbrucia, colpisce e depreda... ma al perché di tale uccidere e ferocemente operare; allora si capirà senz'altro che ogni ufficio in sé è divino... » (2).

<1) « Una lettera sul duro libretto contro i contadini. (Cf. < Scritti politici di M^tm Lutero . ... U.T.E.T., 1949, p. 510).

(2)Lettera ad Asso v^n Kramer, voi.: < Lutero », delFU.T.E.T., p. 535.

E poiché gli si obiettava -che Cristo insegna di non con­sentire al male, Lutero vivisezionò l'uomo, separandone lo spirito dal corpo. Per lo spirito lo assoggettò a Cristo, per il corpo allo Stato. Che se 'dallo Stato riceveva l'ordine di combattere, combatteva non come cristiano, ma come mem­bro e suddito « secondo il corpo e i beni temporali».

Nell'umanità dolorante, così, Cristo crocifisso fu rifatto a brani.

Divinizzato il potere temporale, in nessun caso era am­messa la. rivolta; e da condannare erano i pagani, i quali «: non conoscendo Dio, non seppero neppure che il reggi­mento terreno è un'istituzione divina...; onde baldanzosa­mente decisero e ritennero non soltanto equo, ma lodevole, addirittura, il deporre un'autorità dannosa e malvagia...». Mai invece la rivolta, ^è giusta ed equa », anche se centro un tiranno; « infatti, se fosse lecito sopprimere o abbattere i tiranni, in breve si degenererebbe in un arbitrio generale... E' preferibile ricevere offesa da un tiranno solo, vale a dire dall'autorità, anziché, da innumerevoli tiranni, vale a dire dalla plebe... ».

Se c'è il tiranno e resiste, ragionava il riformatorevuoi dire che Dio lo vuole; e lo vuole per tenere a freno h plebe, la quale senza di lui si sfrenerebbe.

E' l'elogio della dispotia, che arriva a identificare la città del Redentore con la città dell'Omicida.

Se ne accorgeva lui stesso ; e allora inseriva magari bia­simi contro i signori, contraddicendo alla propria tesi.

Nel trattare con i contadini in agitazione, Lutero esalta la propria rivolta contro il papa e l'imperatore, dalla quale il suo » Vangelo ha riportato un trionfo. Ma quando i contadini si rivoltano essi contro i feudataria allora li taccia di sciagurati, indemoniati, che ^ hanno ben meritato più e più volte la morte del corpo e dell'anima». E arriva a di­chiarazioni che tiranni in accessi di pazzia ripeteranno: « Contro chiunque sia sedizioso in modo manifesto, ogni uomo è ad un tempo giudice e carnefice, giusto come, divampando un incendio, migliore è colui che prima lo spegne... Per la qual cosa, chiunque lo può, deve colpirlo, scannarlo, massacrarlo, in pubblico o in segreto..., giusto come si deve accoppare un cane arrabbiato ». « Senza pietà, urlavadate addosso ai poveri; uccideteli, colpiteli, strozzatene quanti potete ». E centomila ne furono uccisi e strozzati.

Uccidere i ribelli diceva è dovere sacro ; e, « questi contadini, saranno tutti anime dannate ».

Non basta. « Così strani e stupefacenti sono i tempi che un principe, spargendo sangue, può guadagnarsi il Cielo meglio che altri pregando ».

E conclude : « Per la qual cosa, cari signori, liberate, salvate, aiutate e abbiate misericordia della povera gente; ma ferisca, scanni, strangoli chi lo può; e, se ciò facendo troverai la morte, tè felice, morte più beata giammai potresti incontrare... ».

OFFLINE
29/07/2012 15:58
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

La deificazione dello Stato

La tumefazione dello Stato era inevitabile una volta che si era rimossa la Chiesa, o ridotta a un Icone invisibile: Cristo mistico disincarnato. La Chiesa era stata istituita anche per tutelare l'autonomia dello spirito e della morale dal potere politico, il quale da essa risultava limitato. Tolto il limite, lo Stato sconfinò sino a considerarsi sacro, supe­riore alla legge e alla morale: sino a considerarsi vera Chiesa, dove il capo dello Stato si considerò vero Dio, fonte del diritto e della morale.

Sull'esempio di Lutero e di Melantone, in Gran Bre-tagna, il traduttore della Bibbia, Tyndale (m. 1536), con il ragionamento loro, dedusse una legge civica per cui, « chi giudica il rè giudica Dio; chi resiste al rè resiste a Dio e condanna la legge di Dio... Il rè è, in questo mondo, uno senza legge e può compiere a suo libito bene e mal&,-di cui darà conto al solo Dio... Fosse anche il più grande tiranno del mondo, egli è per tè un grande dono di Dio... E^ Dio.

263

non l'uomo, che impicca, tortura, decapita e fustiga: è Dio che fa le guerre » (i).

Quando, perciò con tutte le sue piaggerie, fu condan­nato a morte dal despota che uccise il Moro. Tyndale fu stran­golato da... Dio.

Con questo riportare tutto a Dio anche i crimini di guerra, anche le cospirazioni di palazzo, anche le infrazioni del Decalogo, succedeva che autorità poliziesche e orge ses­suali, furti e scassi per ordine superiore, divenissero mani­festazioni della volontà divina, da accogliersi in ossequio. Dio si levava a tiranno bisbetico; diveniva in realtà il paraninfo del despota, I cui gesti tutti erano religione.

Con una tale eticità, si faceva logico e doveroso allo uomo obbedire anche contro coscienza, anche in cose contro giustizia, giacché l'ingiustizia diventava giustizia.

Del pari tra protestanti inglesi l'ordine divino si for­mulò in questo aforisma : <: Solo I monarchi sono liberi. Loro dovere è di comandare. Per i sudditi unico dovere è di obbedire ». Rè Giacomo I d'Inghilterra (1566-1625) chia­mava ateismo e bestemmia disputare su ciò che Dio può fare; e presunzione e disprezzo discutere su ciò che un rè può fare o dire. I sudditi devono riposare sulla volontà del rè rivelata nelle leggi. Il vero Dio è il rè, almeno dai tetti in giù. La sovranità, persino in Inghilterra, fu « la versione civile dell'infallibilità papale ».

Contro quel rè, assertore della tesi secondo cui < il prin­cipato politico è immediatamente da Dio », il Suarez mostrò che il potere laicale è « un diritto divino, e il diritto divino a nessun uomo particolare diede questa potestà: la diede quindi alla moltitudine » (2) ; e pose il principio della de­mocrazia. Con un itinerario tortuoso, anche in Francia, i gallicani abbassarono l'autorità del Papa, per innalzare quella del Rè, sino a consentire a costui di non dipendere se non da Dio; il che voleva dire in pratica di non dipendere se non dal proprio arbitrio, passando al Signore la responsabilità dei propri insuccessi.

 

<1) Obedience of a Christian Man... (1528). cit. da Catlin, p. 214. (2) suarez, Def. fidei^ L.; Ili, 2.

Per la teologia gallicana I rè erano non solo ordinati da Dio, ma dèi essi stessi. « Principe^ sunt dèi... » : I canali dell'anticattolicesimo si raccoglievano nell'acquitrino della schiavitù politica.

Insomma, come scrive Sabine, studioso americano di dottrine politiche: «la Riforma accelerò la tendenza già esistente all'aumento e al consolidamento del potere monar­chico... La monarchia assoluta, che non era stata originata dalla Riforma..., ne fu, nel campo politico, la vera beneficiaria » (3).

Calvinismo

Se Lutero confuse pastorale e spada in mano dello Stato, Calvino le confuse in mano della Chiesa. Il suo assolutismo prese la forma di teocrazia e i mèmbri della Chiesa, perché tali, e solo essi. furono cittadini con pieno diritto (per esem­pio, nel Massachussetts e a Ginevra).

Il calvinismo partiva dal dogma della elezione per grazia, il quale si spiega con la caduta definitiva dell'uomo, divenuto incapace di qualsiasi azione buona, il « decretwn horribile » della predestinazione, per cui Dio ha preordi­nato » da sempre e per sempre alcuni all'inferno, altri al paradiso. Ivi la Redenzione non ha senso. Ivi insorge il disumanesimo, come reale disincarnazione. Il destinato allo inferno neppure Dio può aiutarlo: dunque neppure Cristo può redimerlo. Ciascuno è abbandonato al suo "destino, e lo individualismo prende forme di diffidenza e separazione anche verso gli amici.

Cotesto dogma della predestinazione, vero islamismo in veste 'cristiana, sviluppò un individualismo dinamico, fremente d'iniziativa mentre asserì una ineguaglianza che spaccò la società in due settori: -da una parte una minoranza di eletti, destinati a dominare; dall'altra una maggioranza di pec­catori, destinati a servire in terra e a patire all'inferno. Per loro l'autorità stette come un'istituzione divina, che esige obbedienza e umiltà. Sviluppò pure una politica teocratica di tipo nazionale, secondo l'Antico Testamento, per cui Dio stabilisce un patto (Covenant) con ogni nazione, pur vedendo l'unione di nazioni cristiane come volontà di Dio. Indivi­dualismo e senso di unità favorirono forme di democrazia conservatrice.

(3)sabine, Storia delle dottrine politiche, Milano, 1953, pa^. 284-5 ibd. pag. 289.

 

Calvino ripudiò la condanna dell'usura e la valutazione della moneta, e allestì l'etica del capitalismo, associando alla considerazione degli interessi del consumatore quella degli interessi della produzione. Egli e I suoi si occuparono di crediti e di tasse, d'interessi e di banche, di scambi e di pro­duzione, e diedero un'importanza religiosa all'impresa, alla iniziativa e al successo economico, al risparmio facilitato dal ripudio del lusso e. da una laboriosità intensa, che indu­ceva a capitalizzare e a vedere nel profitto economico un segno di elezione da Dio, unico segno della benedizione di Dio nell'esercizio della propria vocazione, di fronte al mistero della predestinazione. Questa etica da Ginevra passò in Francia, tra gli ugonotti, nei Paesi Bassi e in Inghilterra e nel Basso Reno, e diffuse la concezione del lavoro per il lavoro, del guadagno per il guadagno, che divenne la norma del capitalismo, e diede esca alla pietà individualistica (self-righteous) del puritanesimo, che riguardò la ricchezza come un premio accordato da Dio alla ortodossia.

Quando il rigorismo di Calvino svanì, ne prese il posto l'edonismo di Adam Smith, logicamente. Ma allora l'etica nuova aveva fatto del guadagno lo scopo della vita, dopo che il successo negli affari era apparso l'unico segno della bene­volenza di Dio. Gli uomini devono far denaro», senten­ziava con quello spirito. Beniamino Franklin. ponendo nel denaro l'ideale dell'età nuova.

Posto il fatalismo calvinista, nota Weber — « il capitalismo non può utilizzare come operaio l'indisciplinato rappresentante del libero arbitrio... » (4).

Dalla misantropia, che ne deriva, dal pessimismo e, peggio, dalla maledizione, l'anima non si decongestiona più con il sacramento della penitenza, il quale, come tutti i sa­cramenti, proprio perché può liberare, è stato soppresso. Chiuso in se stesso il puritano non pensa che a sé; non si cura che di comprovare il suo stato di grazia mediante il successo nell'azione considerata adempimento della volontà di Dio. E cioè, dal suo assillo centrale e vitale: « Sono io tra gli eletti ? Posso acquistare la certezza d'essere tra gli eletti? 3>, si svincola ricercando i segni della certitudo salutis nell'attività professionale, svolta con intensità febbrile. La tensione religiosa nel lavoro, che frutta il guadagno, è il solo indizio sicuro dello stato di grazia raggiunto. Gli eletti sono perciò quelli professionalmente riusciti. L'azione este­riore diviene l'equivalente della vita interiore. La sola fides dei luterani diviene la fides efficax dei calvinisti. Ad essa risale l’efficiency dei capitalisti, capace di aumentare in terra la gloria di Dio. « Quanto inadatte sono le opere buone come mezzo per raggiungere la salvezza... tanto sono indi­spensabili come segno dell'elezione. Esse sono il solo mezzo tecnico, non per ottenere la salvezza, ma per liberarsi dalla ansia della salvezza... » dice Weber. E conclude: « La san­tificazione della vita potè prendere così quasi il carattere di un'azienda commerciale •» (5).

Guadagnare, guadagnare sempre più, senza distrarsi, senza divertirsi, senza sciupare un centesimo: rinasceva il farisaismo. Se l'avarizia la pleonexia, il -desiderio di gua­dagnar sempre di più era stata equiparata da san Paolo all'idolatria, ecco che si ridiventava idolatri, con l'illusione d'esser più cristiani. Come sotto il paganesimo, la povertà appariva una malattia; l'elemosina riprovevole tanto a chie­dersi quanto a darsi, perché stimolatrice d'ozio. Dio stava dalla parte dei monetieri : la loro espulsione dal tempio si trasfigurava in un errore di Cristo, che era lui, sì, con la sua povertà, estromesso dalla salvezza

<4) weber, O. C., p. 123 e 137. (5) w£ber, O.C., p. 137.

.

Dal puritanesimo duro nella sua correttezza vennero banditi, quali distrazioni peccaminose, anche i divertimenti più leciti, come l'albero di Natale, anche l'arte; e si sfoggiò uno stile uniforme di vita, che preludeva alla standardiz­zazione dell'era tecnologica. Sorse la religione dei « beati possidente s>, dove la costrizione ascetica a risparmiare portò all'accumulo del capitale: un capitale da investire per produrre nuovi risparmi, altri indizi di favore divino.

« Ciò che l'epoca, religiosamente cosi viva, del dicias­settesimo secolo, lasciò alla sua utilitaria erede, fu soprat­tutto la certezza che nell'acquisto del denaro, purché com­piuto secondo le vie legali, la coscienza era assolutamente a posto, e diciamo pure, a posto solo farisaicamente... Era sorto un ethos specificamente borghese. Con la coscienza di essere nella piena grazia del Signore, e di esser da lui visi­bilmente benedetto, l'imprenditore borghese, se si mante­neva nei limiti di una correttezza formale, se la sua condotta morale era irreprensibile, e l'uso che faceva della sua ric­chezza non era urtante, poteva accudire ai suoi interessi: lo doveva anzi fare » (6).

Il farisaismo. E la protesta di Gesù contro di esso ri­prende per bocca del popolo povero: il quale doveva se­condo quell' ethos restare povero, per rispondere agli ar­cani disegni del Signore.

Ancora oggi capita di sentirsi fare l'osservazione con il rimprovero, che i paesi protestanti siano ricchi e i paesi cattolici poveri, quasi a riprova che il cattolicesimo sia sinonimo di povertà.

<6) weber, O. C., p. 218.

E invece l'economia dei paesi ha detto Troeltsch non ha nulla a che fare con la loro religione (7) ; soprattutto con la religione del Vangelo, la quale ha enun­ciato la beatitudine dei poveri, e non dei ricchi. Senza dire che In Germania e negli Stati Uniti sono ricchi (e poveri) non meno I centri e gl'individui cattolici che quelli acatto­lici, dipendendo la ricchezza meno dai dogmi che dalle ma­terie prime. Comunque, Gesù era così povero che non aveva dove posare il capo. E Francesco d'Assisi ritrovò Cristo nella povertà.

In queste eresie, la libertà fu immolata sull'ara del fa­talismo, un vero Islam trasferito in Europa, mentre i turchi arrivavano dall'Oriente giovandosi della divisione cristiana. Da Padre, quale era stato riscoperto da Gesù, il Signore Dio ridiveniva -despota, come nelle mitologie assire, sorta di Moloch bisbetico, che assegnava all'inferno o al paradiso anime innocenti per puro gusto ; si confusero etica e diritto, Chiesa e Stato, per concedere tutto alla «comunità dei santi», e cioè al governo. Colonialismo e capitalismo derivano da una concezione di sicura, appartenenza al Bene, a Ormuzd, e di opposizione non meno sicura e costante al Male : la self righteousness, crede alla propria giustificazione senza bisogno di giudizi o controlli di chicchesia; un individualismo che si corregge e annulla nello statalismo.

Se i Borboni ripristinarono il «culto del rè», proprio degli stati pagani, Hobbes teorizzò il dispotismo nel Leviathan.

Per purificare la Chiesa di Stato, Newman combattè le correnti dette Erastiane, da Erastus, un calvinista zwingliano svizzero, il quale nel 1583, in 75 tesi aveva mostrato con citazioni scritturali, che i peccati dei cristiani devono essere puniti dalle autorità civili, e non da eliminarsi con I sacramenti ; con che aveva asserito la supremazia dello Stato anche nel foro delle coscienze.

(7) O. C., p. 573.

Uno studioso di materie economiche dei nostri giorni, il prof. Joseph A. Schumpter (1883-1950) nella sua Storia di analisi economica, dopo aver dichiarato che punto di par­tenza per lui era stata la Summa theologica e aver dimostrato che lo spirito di ricerca scientifica è nato con la scolastica medievale e non con la Rinascenza, ha potuto scrivere: < I dottori cattolici non comportavano l'autoritarismo politico. Il diritto divino dei monarchi, in particolare, e il concetto dello Stato onnipotente sono creazioni dei sostenitori prote­stanti delle tendenze assolutiste che dovevano affermarsi negli Stati nazionali » (8). 

OFFLINE
29/07/2012 15:59
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Chiesa e Stato nella teologia protestante d’oggi

Nel secondo dopoguerra, la formazione di Stati atei e persecutori e insieme la fioritura di Stati indipendenti da zone pagane e musulmane hanno sollecitato la teologia pro­testante a rivedere le idee sui rapporti tra Chiesa e Stato. Tale revisione dal Niemóller è stata definita nel 1945 una « interessante scoperta » dovuta alle amare constatazioni fatte sotto il regime nazista, mentre definiva « errata e da riformare » la concezione di Lutero. Tra i revisori c'era stato nel passato, per tutti, Kierkegaard; ma la critica ora si fa con ben altra portata e positive applicazioni.

Molti studiosi acattolici riconoscono le conseguenze causate dalla concezione luterana soprattutto sotto il na­zismo. Alcuni sono arrivati a delineare una discendenza logica diretta di Hitler da Lutero. Se tale discendenza fu asserita satiricamente, sotto la «resistenza», da Paul Va-léry, essa fu dimostrata storicamente, dopo la guerra, a Oxford in un raccolta di testi, intitolata From Luther to Hitler (Da Lutero a Hitler).

<8) Riportato in Thè Tablet, }uly 17 th, 19.54, p. 56.

Un teologo protestante tedesco, emigrato negli Stati Uniti, E. Heimann, nel suo libro Freedom and Order, ha fatto vedere come Lutero per disimpegnare la religione dalla politica, distaccasse la politica dalla religione, conferendo allo Stato « una sua dignità religiosa » derivata da Dio, « indi­pendente dagli obiettivi giusti o ingiusti della sua politica.... Cosi a una libertà cristiana non politica corrispose un ordine politico non cristiano, sanzionato come tale dalla religione ». DI là dice l'autore pullulò con il tempo la peste del totalitarismo. E conclude : < Fu l'educazione all'ordine lu­terano senza libertà a spianare la strada al nazismo».

Per essa, le chiese luterane non potevano opporsi a Hitler, secondo quanto ebbe, ancora nel 1958, ad affermare uno dei più noti teologi protestanti moderni, Paul Tillich: «: Le chiese luterane in Germania furono indifferenti verso gli eventi politici persino dopo che Hitler venne al potere, e sin quando i poteri politici non interferirono con la Chiesa. Non un momento prima esse pronunziarono una parola di protesta contro la persecuzione degli ebrei o contro I crimini di Hitler » (i).

Un teologo protestante di riconosciuto valore, Oscar Cullmann, in una dissertazione su «: Dio e Cesare », tradotta anche in italiano (1957) interpretò in ben altro modo il co­mando di Gesù: «: date a Cesare quel ch'è di Cesare... ».

Lo Stato dice (secondo il Vangelo) « non ha va­lore definitivo... Viene respinta ogni pretesa totalitaria dello Stato... Se lo Stato pretendesse ciò che è di Dio, se vi im­pedisse di annunciare il Regno di Dio, resistetegli. In questa parola di Gesù sta il leitmotif di tutta la complessa posizione neotestamentaria verso lo Stato».

Ribadiva, nel settembre 1960, il « Consiglio cristiano della Nigeria », in vista del prossimo accesso di 35 milioni di cittadini all'indipendenza: occorre la sottomissione allo Stato « in tutte le cose che sono in armonia con la legge di Cristo».

(1) ]. cogley,ed. Relif^ion in America; originai essays.. New York, Meri-dian booics, 1958, p. 277.

Dunque non in quelle che sono in disarmonia. E qui gli acattolici di Nigeria s'incontrano con altri degli Stati Uniti, dove una Commissione speciale, presieduta da Alford Carleton di Boston, ha riaffermato che sola base salda, su cui lo Stato possa fondar la giustizia, è l'obbedienza dell’ uomo a Dio. « Certo, I cristiani vedono nello Stato uno strumento di Dio per l'ordine e la giustizia. Tuttavia, bisogna vigilare, perché lo Stato può divenire strumento del diavolo».

E su « la politica il diavolo » s'è svolto un vivace di­battito, tra il noto teologo protestante sviz­zero, Karl Barth, e un raduno di studenti tra cui rappresen­tanti cattolici di Pax Romana, a Strasburgo.

Da anni dall'epoca della Riforma erano stati spe­cialmente i teologi acattolici a mettere in rilievo il « demo­niaco nella politica » (titolo d'un libro tedesco del Ritter nel dopoguerra). E difatti, nella terza tentazione, il diavolo pro­mise a Cristo il possesso di tutti i regni, qualora si fosse prestato a quello che ora è stato chiamato « il culto della personalità ».

Naturalmente, questo ripensamento teorico, con le con­seguenze pratiche, non procedette ne procede senza contrasti. Già sul finire della guerra, i tradizionalisti insor­sero, negli stessi Stati Uniti. Ivi il luterano Martin Schroeder chiamò amaro e blasfemo il giudizio dell'anglicano William R. Inge, secondo cui Lutero sarebbe stato « il peggiore genio del male in Germania». Ma anche Schroeder ammise che Lutero aveva reso la Chiesa serva dello Stato e insegnato che le leggi vanno obbedite anche se inique.

Il contegno del coraggioso vescovo luterano di Berlino Otto Dibelius, che si distinse per la sua critica e la sua re­sistenza al nazismo, ha suscitato lunghe polemiche tra i suoi correligionari. Un suo scritto, su « Le autorità », ha scatenato reazioni di non pochi circoli della sua denomina­zione ; per esempio, delle « Fraternite » (Kirchiiche Bruder-schaften) del Wùrtemberg, di Hesse, del Palatmato e di Baden...

« Le Sante Scritture hanno affermato costoro, in una lettera aperta, pubblicata sulla Neue Zeit di Berlino-Est, riprendendo la teoria fatalista delle origini, c'inse­gnano che qualsiasi uomo di Stato è uno strumento di Dio » (quindi anche Kadar, e Uibricht, e anche Hitler e Stalin). Poiché Dibelius s'era posto il quesito se il concetto d'auto­rità potesse applicarsi senza restrizioni a uno Stato ateo, la lettera delle Fraternite rispondeva: «Qualunque sia lo Stato, In cui noi viviamo, noi siamo sottoposti alla legge di Dio. Per questo motivo i cristiani nella Repubblica demo­cratica tedesca non possono rifiutarsi di riconoscere il loro governo più che non possano rifiutarsi I cristiani della Ger­mania dell'Ovest di riconoscere il loro governo ».

« In caso di necessità, I cristiani devono mostrare con la loro sofferenza di anteporre l'obbedienza a Dio all'obbedienza agli uomini ».

E', come si vede, un atteggiamento di passività e di compromesso, che rimena la teologia luterana a una più o meno fatalistica accettazione del regime; e suona biasimo del contegno di superiore libertà di Dibelius.

Ma questa lettera aperta, a sua volta, ha sollevato pro­teste vivaci.

Il vescovo luterano di Hannover, Hanns Lilje, ha par­lato di «malafede» dei firmatari: malafede in quanto pre­sumono basare il loro giudizio sulle Scritture. E cosi, viene anche lui a mostrare l'inconveniente per non dir altrodel libero esame, in forza del quale gli stessi testi scrittura1i finiscono con il prescrivere due atteggiamenti opposti, nel­l'ambito d'una stessa comunità.

Conferme al riesame in corso, nobili resistenze alla politica o vessatoria o anticristiana dei governi si sono avute da esponenti autorevoli del protestantesimo, nei paesi sa­telliti ,In Europa, e negli stessi paesi considerati protestanti, come nel Sud-Africa, dove, opponendosi ^apartheid, qualche vescovo anglicano s'è trovato a condannare con i vescovi cattolici le idee razzistiche dello Stato, e, implicita­mente, l'acquiescenza di certe chiese «: riformate » del luogo.

Questa rielaborazione teologica porta pure, contro la consuetudine antica di considerare la Chiesa dipendente dallo Stato, ad auspicare la separazione tra i due poteri, pur nella fiducia reciproca e nella collaborazione.

OFFLINE
06/12/2012 21:30
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

La Riforma protestante causa della secolarizzazione occidentale

E’ uscito da poco un libro di Brad Gregory, docente di storia all’Università di Notre Dame negli Stati Uniti, dal titolo The Unintended Reformation: How a Religious Revolution Secularized Society (Harvard University Press 2012, 592 p.) che si potrebbe tradurre all’incirca come:“La Riforma non compresa: come una rivoluzione religiosa ha secolarizzato la società” (ne parla ampiamente Massimo Faggioli su Europa) .

Si tratta di un libro imponente sia come numero di pagine, ma anche come apparato bibliografico che sostiene la tesi che la Riforma Protestante sia stata la causa della secolarizzazione del mondo occidentale. Infatti, afferma Gregory, quando i riformatori del Cinquecento decisero di abbandonare la visione e la cultura filosofica aristotelica e tomistica diedero il via a un pluralismo religioso e confessionale che ebbe ripercussioni notevoli su tutta la società, in particolare su quella Europea. La prima conseguenza è stata che l’occidente è diventato, pian piano, quasiindifferente al problema della verità, perché ognuno poteva averne una sua. Quindi lo Stato, lo Stato moderno, ha dovuto farsi carico del problema di garantire la libertà religiosa.

Gregory sostiene che quando la cultura europea, all’inizio del Novecento, ha tolto Dio come ragione capace di dare un senso alla vita umana ha aperto la porta a quello che l’autore stesso chiama “relativizzazione delle dottrine” e quindi al rifiuto completodell’autorità della Chiesa, finché non è iniziata la Riforma protestante. Se la verità diventa relativa, ognuno ha diritto alla sua verità, quindi alla sua libertà religiosa, libertà che deve essere garantita dallo Stato che, di conseguenza, passa al “controllo delle chiese”. La moralità viene soggettivata e parole quali “virtù”, “significato”, “amore del prossimo”, “cura del povero” non sono più “vere” in teoria, hanno cioè perso il loro fondamento. Il mondo si concentra così sul capitalismo, sul consumismo, cioè sulle forze del mercato e anche la conoscenza viene secolarizzata, perciò la teologia e tutte le scienze che riguardano il divino perdono rispettabilità intellettuale. In sostanza l’autore elenca una serie di fallimenti storici che partono dalla Riforma protestante e proseguono con l’Europa degli Stati confessionali, per finire con la libertà religiosa e i diritti umani sostenendo che è difficile realizzare una tale utopia senza una verità che abbia radici al di là del mondo fisico, sia cioè metafisica.

Il libro non è stato ancora tradotto in italiano, ma sarebbe indubbiamente interessante se lo fosse perché è forse il primo testo che va oltre quella che è l’idea comune che si ha della Riforma protestante, ovvero di una Riforma progressista a cui si è opposta una Chiesa Cattolica oscurantista (qualcosa di similmente interessate è stato fatto con  il volume  “I nuovi Unni. Il ruolo della Gran Bretagna nell’imbarbarimento della civiltà occidentale”,   d’altra parte è vero che forse è troppo sbilanciato ad analizzare una parte delle conseguenze della Riforma senza valutare correttamente e a pieno i suoi aspetti anche positivi. Potrebbe però essere un punto di partenza ideale per un dibattito molto più ampio.

Non è un testo facile e va a toccare temi sicuramente politicamente scorretti, ma estremamente interessanti, al di là dell’essere poi d’accordo o meno, analizza inoltre le fatiche e quindi le problematiche sociali attuali andandone a ricercare le origini teologiche. Un libro che, proprio perché è critico, anche verso una parte del cattolicesimo moderno, ma senza essere allo stesso tempo né conservatore né reazionario, può stimolare riflessioni inaspettate.

Davide Galati

OFFLINE
11/01/2013 13:46
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Se la crisi dell’uomo moderno nasce dal protestantesimo

Recentemente è apparsa su “La Bussola Quotidiana” la prefazione del nuovo libro di Gianfranco AmatoI nuovi unni. Il ruolo della Gran Bretagna nell’imbarbarimento della civiltà occidentale (Fede & Cultura, Verona 2012). Il testo, a cura di mons. Luigi Negrivescovo di San Marino-Montefeltro, presenta la nuova fatica di Amato, avvocato bioeticista, editorialista di Avvenire, collaboratore di CulturaCattolica.it e di altre testate giornalistiche, come «un interessante saggio», la cui «divisione in due sezioni [...] consente da una parte di capire le ragioni storico-culturali che hanno portato all’attuale decadimento della società del Regno Unito, e dall’altra di avere un’impietosa fotografia di ciò che accade nella banale realtà del quotidiano, attraverso la raccolta cronologica di articoli».

Ma cosa sta quindi alla base della moderna barbarie bioetica, sociale e culturale che dalla Gran Bretagna invade il mondo? Nient’altro che la cosiddetta Riforma protestante. È proprio -come spiega Amato e riprende il vescovo- con i principi luterani della Sola Gratia, Sola Fide e Sola Scriptura che s’insinua «il germe di quel soffocante individualismo che sarà destinato a caratterizzare in particolare la società inglese». Quello stesso germe che, espansosi a macchia d’olio, avvelena oggi tutta la civiltà occidentale.

È al protestantesimo che bisogna guardare se si cerca il responsabile «della frattura insanabile tra fede e ragione»,  della deificazione della ragione che «ha relegato la fede negli angoli angusti della propria coscienza» e condannato l’uomo alla solitudine di un rapporto personale con Dio, «estraniandolo dalla dimensione comunitaria e [...] salvifica della Chiesa». E ancora, è stata la dottrina di Lutero a relativizzare la verità e«impedendo alla fede di diventare cultura» consegnandola a chi «detiene il potere ideologico o politico».

È da questo insieme, che nasce l’attuale crisi dell’uomo moderno, di cui Amato trova il perfetto paradigma nella Gran Bretagna, spiegando come e perché proprio questa, sia diventata il caso più limpido dove «i frutti velenosi della Riforma» hanno cancellato Dio«dall’attuale orizzonte culturale». L’opera, infatti, non limita sé stessa «ad una denuncia intellettuale», ma offre prove tangibili e quotidiane di quanto porta a tesi ed è per questo che, conclude mons. Negri, «merita certamente di essere letta».

Nicola Z.

OFFLINE
26/01/2013 15:32
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Suicidio: protestanti più dei cattolici

L’interpretazione del fenomeno fornita dal padre della sociologia verteva sul concetto di “anomia“: le persone senza leggi (a-nomos), o meglio senza forti relazioni e condizionamenti sociali, si sentono di fatto più sole, dunque con meno risorse utili a disposizione per affrontare le piccole e grandi fatiche che la vita quotidianamente riserva. Le persone credenti hanno però degli ideali a cui aggrapparsi e dai quali trovare consolazione. E i cattolici, più che i protestanti, sono inseriti in comunità e relazioni sociali (con meno anomia) che li possono eventualmente aiutare con sostegno emotivo, informazioni e mezzi.

A più di un secolo dalla ricerca apripista di Durkheim, può essere utile segnalare la recente (agosto 2012)ricerca su tema divulgata da ricercatori universitari, compiuta esaminando i suicidi avvenuti tra 1981 e 2001 inSvizzera, dove convivono la fede cattolica e quella protestante nelle sue varie denominazioni. Si tratta di un elemento particolarmente prezioso, perché relativo a un campione complessivamente conforme quanto a struttura politica e situazione socio-economica. Il risultato non desta sorprese: rispetto ai cattolici, ancora i protestanti sono più propensi al suicidio. Nello specifico: a parità di fattori socioeconomici (p.es. reddito, stato famigliare…) più è alta la quota di cattolici in un cantone, minore è il tasso di suicidi.

Chissà se Martin Lutero, ovunque si trovi ora, ha mai ripensato a quello che ha causato con i suoi scritti alla Chiesa e alla società. Personalmente non ho dubbi che, se potesse tornare a quel 31 ottobre 1517, si guarderebbe bene dall’appendere quel manifesto al portone della chiesa…

Roberto Reggi

OFFLINE
01/02/2013 16:01
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Il controverso mito sull’inizio del protestantesimo

Martin LuteroIl 31 ottobre del 1517 un giovane monaco agostiniano di nome Martin Luteroattaccò alla porta della chiesa del castello di Wittenberg “novantacinque tesi sulle indulgenze”. La sua intenzione era di presentare un testo di discussione in accordo con la pratica accademica dell’epoca, ma la sua azione fu interpretatacome una sfida alla gerarchia ecclesiastica.

Questo è quello che, più o meno conosciamo tutti. In realtà, come ha spiegato di recente Juanjo Romero, le tesi non erano 95, il manoscritto originale non aveva numerazione, questa fu messa successivamente dai tipografi. Alcune, inoltre, erano “tesi”, altre semplici preghiere; inoltre l’azione di Lutero non seguì la pratica accademica dell’epoca, perché se fosse stato così avrebbe dovuto appenderle in varie località. Molto probabilmente, dunque, il 31 ottobre del 1517 nessuno inchiodò nulla sulla porta di nessuna chiesa. Sarebbe più giusto, ma probabilmente meno romantico, dire che il 31 ottobre del 1517 fra Martin Lutero inviò una lettera all’arcivescovo di Magonza protestando per la predicazione del domenicano Johan Tetzel. Questo è confermato da Lutero stesso che, curiosamente, non racconta in nessuno dei suoi scritti l’affissione pubblica delle tesi nella cattedrale di Wittenberg.

Il 31 ottobre, noto come il “Giorno della Riforma”, non è dunque da attribuire a Lutero, il mito ha la sua origine nella prefazione che scrisse Filippo Melantone per il secondo volume delle opere complete nel 1546, quando Lutero era già morto. Melantone era un mediocre teologo e un pessimo storico, non certo noto per la precisione, sopratutto quando riferisce dettagli sulla vita di Lutero. Egli non può essere testimone oculare dei fatti che racconta, perché nel 1517 stava a Magonza. Inoltre, nessuno dei cronisti contemporaneimenziona un fatto tanto rilevante come l’affissione delle “tesi”: né lo storico Juan Carion (1499-1537), amico di Melantone; né Jorge Spalatino, i cui Annali, perfettamente informati arrivano fino al 1525; né F. Myconius (1490-1546), autore di una Historia reformationis; nè C. Scheurl, che trattò del caso nel suo libro “Hiistorico de la cristiandad de 1511 a1521”; nè Emser; nè Cocleo; nè Kilian Leib; né nessuno dei controversisti; né il documentato storico J. Sleidan, che aveva cominciato la sua grande opera “De statu religionis commentarii”prima del 1545.

Per comprendere meglio ricordiamo che la chiesa del castello ducale di Wittenberg, dedicata a Tutti i Santi, celebrava il primo di novembre la sua festa, che iniziava con i vespri solenni il 31 di ottobre e continuava il primo novembre, dunque tutta la popolazione di Wittenberg entrava in quella chiesa con l’ansia di ottenere le indulgenze. Nell’ipotesi che Lutero avesse fissato le sue tesi contro le indulgenze stesse, la cosa avrebbe creato un notevole scalpore e la sua eco si sarebbe fissata indimenticabilmente nella memoria di tutti. Perché, invece, nessuno lo ricorda?

Ci sono poi dei motivi interni alla storia di Lutero che ci portano a confermare tutto questo. “Dopo la festa di tutti i santi”, in un giorno indeterminato Lutero viaggia a Kemberg, 13 Km da Wittenberg, e lì comunica – lo riferisce egli stesso – al suo amico Geronimo Schurff il suo proposito di scrivere “contro gli errori delle indulgenze”, chiaro segnale che a Wittenberg non erano state ancora pubblicate le 95 tesi. Il 15 febbraio 1518 al principe Federico e ai suoi consiglieri giunsero alcune voci sulle tesi di Lutero. Uno di essi, Jorge Spalatino gli scrisse in novembre manifestando come fosse insolito che nessuno dei cortigiani avesse notizia di tali tesi, e Lutero rispose: “non volevo arrivassero all’orecchio del nostro principe o di uno dei suoi cortigiani prima che loro (i vescovi) potessero muovere le loro critiche”. E’ difficile che, se nè Federico nè i suoi cortigiani conoscevano il contenuto delle tesi, esse fossero già state affisse. A novembre dell’anno seguente, infine, Lutero si scuserà col principe, spiegandogli perché i primi che informò furono l’arcivescovo di Magonza-Magdeburgo e il vescovo di Brandeburgo. Sarebbe stato poco corretto annunciare e divulgare le tesi sulle indulgenze, il cui testo era stato inviato a dette autorità ecclesiastiche, prima di aver avuto la loro risposta.

L’inizio del protestantesimo è dunque basato su un mito. Molti studiosi protestanti, inoltre, riconoscono che Lutero aveva lacune abbastanza grandi nella comprensione della dottrina cattolica e ancor più controverso sapere che Lutero, al contrario dei protestanti moderni, riconosceva l’autorità del papa nel rimettere i peccati, oppure sosteneva che Dio usa i sacerdoti per comunicare il suo perdono. Scriveva infatti: «Il Papa non può rimettere alcun peccato, se non dichiarando che è stato rimesso da Dio e avendo da lui l’assenso alla remissione. Però, per essere sicuri, si può concedere la remissione nei casi riservati al suo giudizio» (Tesi 6). E ancora: «Tuttavia,  la remissione e le benedizioni della Chiesa, che sono concessi dal papa non devono in alcun modo essere disprezzate, perché sono, come ho detto, la dichiarazione della remissione divina» (Tesi 39). Inoltre: «perché sia chiaro che per la remissione delle pene e dei casi riservati,  il potere del papa è di per sé sufficiente» (Tesi 61). Nella “tesi 26″, Lutero scrive: «Il papa fa bene quando concede la remissione alle anime [del purgatorio] , non per il potere delle chiavi (che non possiede), ma per mezzo dell’intercessione». Lutero pronuncia anche un anatema contro chiunque neghi l’autorità del vescovo di concedere un perdono apostolico: «vescovi e curati sono tenuti ad amministrare il perdono apostolico, con tutta la riverenza», (Tesi 69), «colui che parla contro la verità delle indulgenze apostoliche, sia anatema e maledetto!» (Tesi 71).

La ragione all’origine della Riforma protestante, come scrivono anche ex protestanti, ha avuto molto più a che fare con la politica, che con argomentazioni teologiche. Per esempio, Enrico VIII si era inizialmente opposto alla Riforma ed ha anche ricevuto il titolo di  Defensor Fidei (“Difensore della fede” dal papa, tuttavia quando quest’ultimo ha rifiutato di riconoscere il suo divorzio e nuovo matrimonio – che avrebbe avuto importanti implicazioni politiche per lui – ha cambiato bandiera. Lutero intendeva solo aprire una discussione interna alla Chiesa cattolica, le cose hanno preso un’altra direzione a causa della politica.

Davide Galati e Luca Pavani

OFFLINE
01/11/2013 13:51
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

L’etica protestante ed il capitalismo cattolico
della Rerum Novarum

BorsaRecentemente, mi sono imbattuto in un interessante articolofirmato Carlo Cambi riguardante le differenze teologiche ed ispirative dei modelli di sviluppo economico tra Europa del Nord ed Europa del Sud. Il tema non manca di attualità e di interessanti spunti, anche alla luce della recente crisi economica e socialeche sta investendo più di un Paese europeo, queste considerazioni restano più che mai attuali.

Sarà capitato a moltissimi lettori di incontrarsi e scontrarsi con analisi e letture dalle quali emerge un problema non banale riguardante l’accezione di due termini chiave: Liberalismo eCapitalismo. Il primo termine soprattutto nel XIX e XX secolo è stato oggetto di utilizzo da parte dei soggetti più disparati e per certi versi posti agli antipodi; tanto che il termine liberale oggi suona più come un appellativo indefinito cui necessariamente debba esser seguito dall’immancabile aggettivo qualificativo specifico, per cui si passa dal Liberalismo Conservatore addirittura al liberalsocialismo di estrazione culturale e “sociale” completamente diversa. Questamoltitudine di sfaccettature che un singolo termine porta in sé sarebbe quasi ironica se non facesse trasparire tutto l’opportunismo che molto spesso cela.

Il fenomeno citato rispecchia quanto accaduto in Italia a partire dalla sua unificazione, partendo dallo stesso Cavour e passando per i vari Gioberti, Einaudi, il prof. Federico Caffè, tutti personaggi eterogenei di diversa estrazione culturale e sociale su cui loro stessi solleverebbero qualche riserva sulla casacca a loro attribuita. Si è avuta una fase anche nel periodo della “Seconda Repubblica” italiana, in cui definirsi un Liberale era quasi un obbligo morale, questo valeva anche per chi di liberale aveva ben poco. Il processo descritto ha generato enorme confusione, soprattutto culturale, tanto che ormai il significato della parola “liberale” assume gli aspetti più disparati. Analisi del tutto complementare la si può riscontrare nella parolacapitalismo”, che a differenza del processo “unificatore” prodotto dalla prima, questa separa ed identifica gli schieramenti, rendendo il panorama politico e culturale più variopinto di opinioni e di idee; tanto che un qualsiasi dizionario non è in grado di raccoglierne le molteplici sfaccettature .

Max Weber nel suo libro “Etica protestante e capitalismo” spiega come la nascita del capitalismo Nordico derivi dalla differente visione del lavoro e della società insite nella religione Luterana e Calvinista rispetto alla religione cattolica dei paesi del Sud Europa, e di come questa visione abbia reso possibile lo sviluppo capitalistico moderno. Le motivazioni “teologiche” scaturiscono dal fatto che per i protestanti i segni evidenti dell’opera della Grazia Divina venivano mostrati, in estrema sintesi sotto alcuni aspetti forse anche parziale, attraverso il successo e la ricchezza. Tutta la cultura cattolica ha sviluppato una grande tradizione di dedizione e di aiuto ai poveri in quanto segno di condivisione della stessa condizione cui era coinvolto Dio stesso attraverso Suo Figlio. L’elemento di fondamentale differenza tra le due visioni del mondo si risolve in un solo singolo concetto: responsabilità dell’azione umana. Nel primo caso essendo la Grazia Divina operante nel mondo, l’errore ed il peccato insiti nell’uomo lo renderebbero “incapace” di migliorarsi, togliendo de facto il peso della responsabilità del lavoro e delle opere, in quanto il peccato dell’uomo viene sanato dalla Grazia essendo l’uomo ontologicamente incapace di cambiare il suo status di “eletto” o “condannato”. Nel secondo caso invece l’opera Divina della Grazia e l’opera dell’uomo collaborano nel mondo, pertanto l’uomo diviene responsabile delle sue stesse azioni non solo verso di sé ma anche nei confronti dell’altro. Questo modo diverso di concepire il mondo inevitabilmente ha prodotto due modi di fare impresa, e due concezioni diverse di capitalismo che molto spesso entrano in contrasto.

La stessa sorte ha toccato l’evoluzione dei fenomeni economici e sociali occidentali dalla riforma ai nostri giorni, gli effetti più evidenti si riflettono sul ruolo e funzionamento dello Stato e delle norme implementate. L’assetto dello stato germanico si alimenta delle necessità prodotte dal modo di fare impresa e dalla diversa concezione del lavoro in quanto espressione del proprio successo teologico e non. Gli elementi normalmente presenti nel mercato quali povertà/ricchezza, produzione/scarsità, vengono influenzati da questa visione del mondo e si assiste a fenomeni completamente nuovi anche a causa del fenomeno dell’industrializzazione a partire dal XVIII secolo in alcuni casi amplificandoli. Erroneamente si crede che sia stata l’industria a provocare i danni ambientali e sociali, a volte volutamente accresciuti altre un po’ marginalizzati. I termini del problema non sono così semplici. L’industria ha semplicemente risposto alla naturale esigenza dell’uomo di soddisfare i propri bisogni sempre crescenti. In questo contesto sono nati gli Stati Moderni e la concezione dell’uomo protestante ha enormemente cambiato il volto dei rapporti istituzionali.  Se l’uomo è ontologicamente peccatore ed incapace di cambiare la sua particolare condizione, lo Stato può svolgere egregiamente la funzione di sanatore delle ferite sociali prodotte dall’uomo stesso. Lo Stato moderno è nato ed ha trovato linfa vitale in questo approccio etico-negativodell’uomo. Questa concezione di stato si è radicata anche nei paesi di tradizione cattolica (Francia, Italia, Portogallo) con moltissime eccezioni particolari (in primis Polonia, Irlanda, Spagna) ma anche in questi sono innegabili le ferite da esso prodotte.

Nella cultura germanica, ma ormai anche in quella anglosassone, anche qui ci sono notevoli differenze, lo stesso Weber, ma poi anche Nietzsche ed Hegel, hanno attribuito allo stato lo stesso ruolo di Dio.  Tutte le correnti di pensiero sul ruolo e funzioni dello stato nascono per limitare o aggiungere questo potere, senza mai mettere in discussione l’approccio sulla società e sulla realtà da cui esso si ispira, ovvero che l’uomo faccia solo danni.  Paura già espresssa daPio IX e Leone XIII sui danni che implica l’approccio dello Stato Onnipotente come emerge dall’enciclica Rerum Novarum. A causa di questa visione abbiamo assistito al progressivo aumento del peso ed ingerenza dello Stato nei rapporti sociali e familiari tanto da attribuirsi un potere infinito e cancellando l’esperienza dei secoli addietro in cui la collaborazione tra i ceti e le numerose opere di assistenza create dalla rete delle esperienze dei movimenti religiosi, che hanno invece portato l’europa a brillare nel mondo. Per la legge del contrappasso il seme da cui era originariamente nato il liberalismo francese, getta la maschera e mostra il suo vero volto. La preoccupazione della libertà e dell’uguaglianza non hanno portato affatto alla formazione di Stati Liberali così come originariamente stilizzati dai vari filosofi illuministi. Si è piuttosto assistito ad un passaggio da un sistema dispotico pre-rivoluzione francese ad un’apparente democrazia oligarchico rappresentativa, molto più invasivo dell’assetto precedente.

La  Rerum Novarum aveva anticipato il rischio di una deriva autoritaria dello stato cosi come era stato concepito. La funzione dell’impresa e del lavoro non possono essere contrapposteal bene comune di tutti, lo Stato riveste l’autorità sufficiente per dirimere le controversie legali senza porsi gerarchicamente al di sopra del soggetto principale della società, la persona umana. Credo che sia proprio questo il contesto , nel nostro piccolo, in cui si mostrano le macroscopiche differenze a livello europeo, sia tra Nord e Sud dell’Europa che tra le varie estrazioni culturali note (destra e sinistra, ma oramai non hanno più molto senso politico), sia a livello economico che sociale.  Lo Stato liberale condannato da Pio IX e l’approccio portato avanti dai “liberali” classici à la Cavour non hanno nulla a che vedere con l’assetto istituzionale di uno stato realmente liberale.

Marco Marinozzi

OFFLINE
12/01/2014 16:02
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Il protestantesimo luterano e calvinista

tratto dall'Enciclopedia di Apologetica - quinta edizione - traduzione del testo APOLOGÉTIQUE Nos raisons de croire - Réponses aux objection


INTRODUZIONE. - LE CAUSE


Il problema delle cause del protestantesimo continua a opporre storici cattolici e storici protestanti, e in questi ultimi anni ha preso proporzioni considerevoli sotto l'impulso principalmente di Schùrer da una parte, di Hauser e Febvre dall'altra. Della controversia riterremo soltanto i punti considerati come acquisiti e dove pensiamo che ci si possa accordare.


Clima del tempo. - La crisi protestante era latente già alla fine del secolo XV, secolo tormentato, che vedeva le sue aspirazioni religiose contrariate da penose situazioni, e che con la sua sensibilità troppo facilmente eccitabile esagerava le miserie e le tare. Si può convenire che allora la Chiesa non era in grado di rimediare a queste inquietudini o di soddisfare a questi nuovi desideri L'insegnamento teologico sempre più scolastico, e d'una scolastica decadente, si perdeva in problemi di puro bizantinismo e non vedeva il fosso che si scavava tra i suoi maestri, preoccupati di sillogistica, e i suoi discepoli, presi da un misticismo nuovo, da regole di vita morale staccate da queste tradizioni libresche.


In moltissime anime nauseate dal ristagno del pensiero cristiano l'eresia trovò un terreno propizio in cui germogliò con rapidità pari alla violenza. Invece la Chiesa fu presa quasi alla sprovvista, e i suoi difensori poco sensibili al fatto che l'ostilità bruscamente generalizzata nasceva da un moto dell'anima più che dall'angoscia dell'intelligenza, pretesero di combatterla come le eresie del passato, cioè con la forza dialettica e il vigore dei ragionamenti.


Le anime non erano più sensibili alla scossa delle idee, e la tattica degli apologisti della Chiesa non poteva penetrare nei cuori refrattarii alla morsa dei sillogismi sapienti. Checché se ne dica Lutero agiva più con l'eloquenza che faceva fremere, che con la sua scienza scritturistica, tanto spesso colta in fallo e convinta di versatilità.


Come potè affermarsi il separatismo. - In che misura il moto separatista fu rafforzato dai rimproveri fatti alla Chiesa di tollerare la mediocrità morale e, peggio ancora, la depravazione dei costumi nel suo capo e nelle membra? I rimproveri ebbero certamente un influsso secondario, perché lo spettacolo delle debolezze morali dei primi riformatori e dell'incipiente riforma, sarebbe stato sufficiente a ricondurre le anime così tormentate verso una Chiesa che non aveva tardato a riprendersi e a dimostrare di essere sempre la Sancta Ecclesia.


Più di tutto furono efficaci i sentimenti dell'indignazione nazionale sfruttati contro la politica fiscale di Roma. La questione dei tributi annui condusse a Lutero molti più adepti che lo scandalo delle indulgenze, in cui si sarebbe potuto presto vedere l'inanità d'un rimprovero che voleva coinvolgere la Chiesa in un incidente creato da alcuni privati e quando l'affare delle indulgenze fu ridotto alle sue giuste proporzioni, delle invettive di Lutero non restò più nulla. Invece è certo che quando Lutero suscitava la collera dei contadini tedeschi, attizzandone la cupidigia con la denuncia delle ricchezze della Chiesa, sorsero bramosie e per soddisfarle le folle lusingate s'affidarono alle promesse di Lutero.


In questo complesso di cause lontane e di occasioni fortuite, l'eresia dapprima si fece forte ora di questa e ora di quella e infine incoraggiata dai principi che vedevano i loro interessi temporali legati al suo successo, dilagò veloce in vaste regioni.


CAPITOLO I. - SVILUPPO DEL LUTERANESIMO FINO A LESSING


Oggi nello sviluppo del luteranesimo non vediamo più una linea continua, dove si svolgerebbero le conseguenze naturali di determinati principi, formando un insieme omogeneo. La teoria evolutiva d'un pensiero che esplicita le sue ricchezze non può essere invocata per caratterizzare i due aspetti della Chiesa che deriva da Lutero. Il luteranesimo fino alla fine del secolo XVIII, cioè fino a Lessing, resta qual'era da principio; ma dopo Lessing diventa un'altra cosa, si trasforma siffattamente che Lutero non lo riconoscerebbe più.


Di fronte a questa nuova forma il luteranesimo primitivo ha solo un interesse archeologico, tanto più che Lutero, per giustificare la sua separazione, invocava or questo or quel principio dottrinale anche se contrarii tra loro; quand'era costretto dalla pressione dei fatti, non esitava a rinnegare quanto aveva poco prima invocato, sempre attento a mantener viva nel cuore dei tedeschi l'odio che aveva scatenato contro Roma.


Le accuse di Lutero. - Il Manifesto alla nobiltà cristiana di Germania si fa forte degli abusi della fiscalità pontificia e delle mancanze morali del clero, con pochissime allusioni alla fede che Roma avrebbe corrotto. Al contrario nella Cattività babilonese della Chiesa il papa è accusato d'aver corrotto la " fede in Dio ", e o la fede in Gesù Cristo" e d'aver <t adulterato" la parola del Vangelo, inventato sacramenti, usurpato un'autorità che appartiene soltanto alla Chiesa.


Seguiranno poi accuse talvolta inattese: Roma ha rinnegato il cristianesimo paolino, che Lutero si vanta d'aver scoperto e restaurato con la dottrina " della salvezza mediante la sola fede ", della predestinazione, della grazia gratuita, del Sacerdozio universale. Roma ha messo sotto il moggio la Bibbia, che lui Lutero, ha rimesso in onore, lasciando allo Spirito Santo il compito di rivelar, ne il senso esatto a ogni fedele.


La cupidigia romana inventò l'asceticismo monastico, le preghiere e le messe per i defunti, il Purgatorio e le indulgenze, cui attribuisce un valore redentivo che egli, Lutero, restituisce finalmente alla Passione di Cristo, unico mediatore e unico Salvatore. Roma non ha nemmeno conservato nella sua purezza i tre sacramenti di Cristo: il Battesimo, la Penitenza, la Cena; Lutero invece ha restaurato il pensiero di Cristo, sopprimendo la confessione per lasciare soltanto la compunzione del cuore.


Quanto alla Cena provò un grande imbarazzo, e non si salvò da una stupefacente contraddizione. Prima fedele all'interpretazione realista e cattolica delle parole di Cristo istituente l'Eucaristia, non esita poi a rigettarla quando il successo dei sacramentari svizzeri, sotto la direzione di Zwinglio, gli fa temere di perdere la direzione del movimento che aveva scatenato in Germania.


Instabilità e contraddizioni della nuova fede. - Sono note tutte le versatilità, le brusche contraddizioni di Lutero. O bene o male il luteranesimo a poco a poco s'organizzò, si definì, rinunciando a questo articolo di fede, riprendendo quell'altro, secondo il capriccio delle passioni, il filo degli eventi, sotto la pressione dei principi che presero sul serio il compito, di cui Lutero li aveva investiti, di protettori della nuova fede. E per rendere stabile questa fede, per darle una struttura un po' solida, Melantone fece assai più che Lutero; ancor più radicale e più autoritaria fu l'azione di Zwinglio in Svizzera. Il luteranesimo, quale fu lasciato da Melantone, s'è mantenuto senza sostanziali mutamenti fino alla fine del secolo diciottesimo.




OFFLINE
12/01/2014 16:03
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota


CAPITOLO II. - SVILUPPO DEL LUTERANESIMO DA LESSING AI NOSTRI GIORNI


§ 1. - Lessing. Una vita movimentata.


Il deista Lessing è una strana figura. Figlio d'un pastore, e studente in teologia, s'appassiona più per il teatro che per le Sacre Scritture. Lasciati gli studi, corre la Germania come un avventuriero. Dall'Università di Lipsia passa al corso di scherma e di danza; da Lipsia va a Berlino, dove lo troviamo saltuariamente segretario di Voltaire, allora in pieno favore di Federico n; ma si separa ben presto dal suo maestro di deismo, rubandogli il manoscritto del Siede de Louis XXV, che restituisce soltanto in seguito alla minaccia d'un processo; poi diventa segretario del governo prussiano accanto al comandante generale della piazza di Breslavia, donde passa ad Amburgo, e qui lo troviamo consigliere del teatro della città e finisce a Wolfenbuttel, dove accetta il posto di conservatore della biblioteca del Granduca di Brunschwig.


A quarantadue anni lanciò la sua clamorosa provocazione contro l'ortodossia luterana, sotto l'influsso delle idee scettiche di Mendelssohn, di Spinoza e dei maestri deìl'Aufklàrung. Da Mendelssohn riteneva il disprezzo delle speculazioni religiose; da Spinoza imparò a vedere nella Bibbia soltanto un libro profano, il cui vero significato sarebbe stato alterato dai secoli; dai maestri dell'illuminismo aveva ricevuto la convinzione profonda che la ragione è fatta per continuamente elevarsi verso un indefinito progresso.


Lessing scopre Reimarus. - Proprio mentre già volge una punta aggressiva del suo pensiero contro il cristianesimo, Lessing entra in possesso di un sorprendente manoscritto del professore ebraizzante Samuele Reimarus, che aveva espresso senza reticenze le sue opinioni sulla Bibbia, sul Nuovo Testamento, sulla nozione di Rivelazione, sulle religioni rivelate, rinnegando totalmente tutte le posizioni cristiane. L'Antico Testamento è un composto disorganico di dottrine contradditorie e non può essere il libro d'una rivelazione divina; il messaggio dei Vangeli è privo di chiarezza e di coerenza tanto che i vari interpreti l'hanno compreso in modi molto differenti e perciò non è Parola d'uri Dio. Le divagazioni di Lutero sul testo biblico non meritano nessun credito e il protestantesimo è un errore grande quanto il cattolicesimo. In questo naufragio generale resta a galla soltanto il sentimento naturale dell'uomo in cerca d'una perfezione ideale che viene chiamata Infinito e che è Dio. Tale sentimento è fonte della rivelazione naturale poiché l'uomo con la sua ragione scopre in se stesso di che superare incessantemente l'uomo. La Rivelazione non è dunque altro che lo sviluppo progressivo della coscienza umana. Lessing si fece propagandista ostinato di queste empie idee, nonostante torrenti d'ingiurie che gli piovvero addosso da parte dei pastori scandalizzati, come Melchiorre Goetze e le maledizioni di quanti restavano luterani ortodossi.


Le idee direttrici di Lessing. - Nel suo libro capitale, che pubblicò nel 1780, Die Erziehung des Menschengeschlechts (L'educazione dell'umano genere), pose con tranquillo ardimento i princìpi d'una nuova religiosità. Prima di tutto occorre distinguere religione e teologia, fede e teologia. La religione è una realtà interiore, un sentimento incoercibile della natura umana, che aspira a possedere una realtà superiore degna del suo amore che s'esprime nella pietà. Religione, fede, pietà sono connesse e frutto d'una rivelazione naturale, invece teologia, scienza della lettera d'un libro sacro, speculazioni su enimmi che si vuole far credere rivelazione soprannaturale, sono anche connesse, ma son materia della critica, che ne stabilisce l'origine umana. La fede è un fatto di coscienza, anteriore alla teologia e indipendente da essa; prima che vi fosse una teologia, già c'era una religione, e scomparendo quella non cesserebbe questa. Il primato d'onore spetta quindi alla pietà e non alla dottrina.


Applicato al cristianesimo — che per Lessing rimane sempre la più alta forma che abbia mai rivestito l'aspirazione naturale dell'uomo verso un ideale di vita morale e religiosa, degno quindi d'essere trattato col massimo rispetto — tale sistema ne distrugge tutta la dommatica. Il cristianesimo viene ad essere una vita, un movimento ininterrotto dell'anima a Dio, cercato dalla ragione e non mai raggiunto, perché se l'anima possedesse il Dio che sogna, gli sostituirebbe subito una Torma più bella e lontana, oggetto dei suoi desideri esasperati. Perciò il cristianesimo non sarà una dommatica, la quale è per la vita un impaccio simile ai ferri del prigioniero. Quindi non più biblicismo, non più teologia, che ha creato i miti fallaci della predestinazione o della salute mediante la fede. Lutero e Calvino caddero nella teologia e gettarono il protestantesimo su una via completamente falsa, lo legarono al culto superstizioso della Bibbia, non riconobbero il carattere transitorio dell'Antico Testamento, o dei precetti del Nuovo. Il Cristo fu un Rivelatore perché fece comprendere agli uomini che i bisogni religiosi della loro natura dovevano ormai assumere una forma più elevata, esprimersi in formule più pure, ma né le formule né la forma possono durare eternamente; continuerà il progresso e il Vangelo eterno . è la parola misteriosa impressa in fondo ai nostri cuori, che cerca continuamente di esplicitarsi in un credo più magnifico.


 


Queste le idee direttrici di Lessing, ed è incontestabile che ciascuna di esse ha provocato nel luteranesimo prima, poi nei calvinisti stessi, reazioni profonde, che condussero la Riforma a una radicale trasformazione.


§ 2. - Schleiermacker.


La sua formazione.- Lessing suscitò Schleiermacher, piccolo pastore prussiano, che verso il 1799 impresse un'azione decisiva sull'orientamento del luteranesimo. Costui era tutto impregnato delle idee di Lessing, stimava moltissimo l'opera filosofica di Kant, e specialmente il suo trattato: La religione entro i limiti della ragione, cosi nettamente soggettivista che, anche se mancasse qual-siasi elemento oggettivo, che l'uomo comune considera il fondamento necessario della vita religiosa, la religione tuttavia sarebbe egualmente un fenomeno intelligibile, perché è l'affermazione dei bisogni del cuore, di sentimenti metafisici, d'intuizioni d'ordine soprannaturale.


Queste posizioni soggettiviste trovavano allora vigorosi difensori in Federico Schlegel e suo fratello, ambedue intimamente legati col giovane pastore. Aggiungiamo che quest'ultimo, a somiglianzà di Lessing, s'era compenetrato della filosofia di Spinoza, propizia a tutte le esagerazioni d'un soggettivismo oltranzista, e manifestava vivo entusiasmo per i Fratelli moravi, cristiani singolari che non legavano la loro fede alla lettera d'un libro sacro, sia pure la Bibbia o il Nuovo Testamento, ma alla libera espansione di sentimenti chiamati cristiani perché riguardavano Dio Padre come una fonte di bontà e il Cristo come uno dei principali rivelatori della Bontà del Padre.


La sua dottrina dell'esperienza religiosa. - Schleiermacher farà come questi precursori, seguaci d'un'esperienza soggettiva dell'esaltazione religiosa. Egli ignorerà la divina Rivelazione e i testi che ce la trasmettono, e, partendo dalla coscienza individuale, vi scopre il sentimento ineffabile della Divinità. Ogni uomo, nella propria coscienza e per questo sentimento, è in intimo contatto con Dio, lo sente, lo ama, ne afferma l'esistenza e riconosce la propria dipendenza da questo padrone invisibile, ma sensibile al cuore. Di fronte a questo Dio, l'uomo percepisce in se stesso una decadenza da cui non può sottrarsi. È questo il sentimento della caduta, del peccato, della miseria umana, che trattiene l'uomo nel suo slancio verso Dio. Di qui la tensione interiore e l'irrimediabile sofferenza di chi vuoi raggiungere Dio e ne sente la propria impotenza. Abbiamo cosi il sentimento d'un riscatto necessario, d'una redenzione postulata e reclamata dalla nostra natura.


Ora, Cristo più di tutti ha rivelato all'uomo questi diversi sentimenti, percepiti solo oscuramente prima della sua rivelazione. Egli ebbe la missione di mettere in luce ciascuno di questi bisogni, e d'insegnare che la salute consiste nella liberazione dall'angoscia crocifiggente del peccato. Il cristianesimo è quindi una rivelazione non di precetti o di dommi dettati da un Dio a intermediari, che chiamiamo profeti, ma della ricchezza spontanea della nostra natura, fatta per svilupparsi nella fede religiosa. Schleiermacher annette un'importanza fondamentale a queste diverse esperienze: quella d'un Dio immediatamente percepito, quella del peccato, quella della redenzione, quella della salute, e, per gli uomini che hanno la felicità di conoscere il messaggio di Cristo, l'esperienza di Cristo Salvatore. Gesù disse d'essere venuto in questo mondo per salvare gli uomini; chi sente in lui la virtù di tale redenzione appartiene a Cristo, e Cristo lo attira al Padre suo. Il cristianesimo non è altro che prender coscienza di questi stati profondi d'un'anima che cerca Dio.


La Riforma non aveva mai osato formulare tanto arditamente la sua indifferenza suprema per gl'insegnamenti d'un testo rivelato, accolto dalla Chiesa e affermato come d'origine divina e considerato come la base fondamentale di tutta la vita religiosa. La Bibbia, che per Lutero era stata il Libro supremo, l'unico criterio della fede e dei costumi, diventava un codice supererogatorio, in cui gli uomini avevano segnato i tentativi delle loro esperienze religiose, andando da un politeismo equivoco a un monoteismo incerto, e viceversa, oscillando tra la nozione d'un Dio terribile, geloso, irascibile e vendicativo, alla nozione d'un Dio misericordioso e salvatore. Contro questi testi, dove si riflette così poco l'immagine della Divinità, saggia, e d'una saggezza immutabile, Schleiermacher esalta le intuizioni religiose del cuore, le esperienze religiose sempre più alte e il desiderio di vivere della parola di Cristo, nella quale l'uomo trova perfettamente espresse le sue aspirazioni.


Conseguenze pratiche di questi principi.- Restava solo da trarre le conseguenze pratiche da questi principi così poco luterani, ma di cui tuttavia è responsabile il riformatore tedesco. Le esperienze mistiche di Lutero sono divenute esperienze razionaliste. La mistica si appropria la Parola divina adorata nel Libro supremo; il razionalismo si libera da tutto quello che non è frutto della ragione umana. E in realtà, avendo ridotto pressoché tutto a psicologia, Schleiermacher non vede più perché si debbano conservare le realtà storielle del cristianesimo e dichiara che il Cristo intimo, percepito dalla fede, è più reale e più attivo del Cristo della storia. Che importa quanto la pietà, creatrice di leggende, ha aggiunto al messaggio di Cristo? Miracoli, discorsi pieni di sublime dottrina, apologhi, che racchiudono profonde lezioni di dommatica, tutto questo non è il pensiero essenziale di Cristo, ma è la parte della teologia, di cui il Salvatore
non si dava pensiero, e che i suoi discepoli sovrapposero al suo messaggio fondamentale, per vie laboriose, di cui la storia della dommatica cristiana ritrova le vestigia e caratterizza le tappe. È certamente utile rintracciare questo movimento' del pensiero cristiano, sorto da alcune parole e da alcuni gesti salvatori del Cristo, perché per tal via possiamo notare come in certi periodi la vita cristiana si cristallizza in formule, che si dicono dommi, e che seguono l'evoluzione della vita. Però la dommatica non è la vita stessa d'un'anima cristiana; questa consiste essenzialmente nell'apparizione e nell'affermazione dei sentimenti che abbiamo analizzato.

Da ciò Schleiermacher traeva una conseguenza estremamente grave: la dommatica non è normativa; il domina non dice quello che dev'essere, ma quello che è stato in un momento preciso dell'evoluzione della coscienza cristiana; esprime quello che la vita ha creato, richiesto, formulato; ma che fu trascinato dal flusso della vita religiosa, e rigettato dai riflussi d'una coscienza che, avanzando, si libera dalle nozioni superate, e crea continuamente nuove forme d'una dommatica in perpetua trasformazione.

L'influsso di Schleiermacher. - Questa dottrina, che esplicita con molto rigore e ardimento le formule ancora imprecise o nebulose di Lessing, è quella di Schleiermacher non cessò di sviluppare nelle sue varie opere di dommatica, ma specialmente nei Discorsi sulla Religione (1799). Egli esercitò un considerevole influsso su tutta la Riforma. Sabatier lo chiama " il Messia della nuova era b e Pullan, un anglicano molto addentro al pensiero luterano, scrisse che egli fu thè most imposing figure in German protestantism since Luther, la più grande personalità del protestantesimo tedesco dopo Lutero. Da lui derivano le attuali posizioni della Riforma riguardo alla Bibbia, considerata come un'apprezzabile testimonianza, ma molto dubbiosa, della coscienza religiosa d'un popolo fino alla venuta del Salvatore, e dove si trova un messaggio molto incompleto sulle relazioni dell'uomo con Dio, sicché qualsiasi libro a che porti un messaggio superiore sarà degno anch'esso d'essere chiamato Bibbia, e la Bibbia se lo lascierà volentieri aggiungere ".

Da lui derivano pure le posizioni relative alla dommatica considerata come lo studio non di formule di fede, che hanno un valore assoluto, immutabile e d'un'efficacia inesauribile, ma di formule transitorie, la cui virtù si esaurisce, e che continuano trasformandosi, senz'essere mai in alcun momento l'espressione della Verità stessa, che in Dio non muta ma che gli uomini raggiungono solo frammentariamente.

Da lui ancora le posizioni relative al Nuovo Testamento, considerato non come la Rivelazione divina del messaggio di Gesù, ma come la testimonianza del travaglio appassionato della pietà dei fedeli, che creano una figura divina del Cristo, taumaturgo, teologo, dottore di metafisica e di morale, del Cristo di cui la storia cerca di scoprire, sotto la leggenda, la figura autentica, trasformata dall'amore dei suoi discepoli.


OFFLINE
12/01/2014 16:04
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

§ 3. - Alberto Ritschl.


Reazione contro il soggettivismo di Schleiermacher. - Gli eccessi del soggettivismo dovevano necessariamente provocare una reazione in senso realista. Essa comincia verso il 1850 sotto l'energica spinta d'un pastore in rivolta contro la scuola di Baur, Alberto Ritschl, che col libro L'origine dell'antica Chiesa cattolica (1850) libera il metodo storico da tutti gli apriorismi della scuola di Baur e instaura risolutamente l'interpretazione realista della Bibbia, stabilendone il carattere sacro.


Per questo conviene dapprima disfarsi di tutte le pretese scoperte psicologiche dei Lessing e degli Schleiermacher sull'origine della religione. Le loro esperienze religiose del contatto immediato con Dio, del peccato, del nostro riscatto, della nostra salute, sono miti e pure illusioni. Non si deve ricorrere, in prima istanza, alla metafisica per spiegare un fenomeno che ha origini storielle. Schleiermacher costruì un superbo palazzo d'idee, ma basato sul vuoto. Il cristianesimo è un complesso di fatti oggettivi, che in determinate anime hanno prodotto nuove aspirazioni, certezze originali; però ridurre la realtà a queste aspirazioni significa mutilarla, cioè ridurla a queste certezze soggettive ignorando le loro condizioni oggettive. Cosi la Rivelazione, lungi dall'essere l'espansione della coscienza umana, è un fenomeno esteriore alla coscienza e che, imponendosi ad essa, la modella secondo i suoi precetti. È necessario dunque anzitutto considerare i fondamenti storici del cristianesimo, stabilire il vero carattere dei due Testamenti.


La nuova scuola di fronte ai due Testamenti. - Proprio qui il tentativo di Ritschl, che pareva scartare definitivamente le " illusioni " create dagli a priori, ricade anch'esso in un illogicismo identico. Ritschl infatti dichiara che il criterio della rivelazione è l'accordo reale dei due Testamenti, regola che sembrava salvaguardare i sacri testi, ma che in realtà sarà l'arma più terribile per scoronare il Nuovo Testamento. Per una crudele ironia, Ritschl giunse a ritenere come sospetto proprio quanto costituisce l'originalità, la ricchezza, l'incomunicabile caratteristica dell'insegnamento di Gesù. Là dove Gesù continua Mosè, Ritsdil ammette l'autenticità dei testi; ma il Discorso della montagna, che Mosè non aveva sospettato, sarà dichiarato sospetto I Tutta la scuola di Ritschl, fedele a questo principio, non ha fatto che impoverire il pensiero del Nuovo Testamento, la persona stessa di Gesù, riducendo ad apporti posteriori, a interpolazioni fraudolente le pagine più belle, le parole più creatrici del Vangelo.


Altro a priori non meno nocivo. Ritschl pretende che il Nuovo Testamento risulti dal confluire di elementi estranei, aggiunti all'autentico pensiero di Gesù: elementi d'origine rabbinica o ellenica o filoniana. Egli parla correntemente di azione del giudeo-cristianesimo, del cristianesimo ellenico e del cristianesimo paolino. Il che significa che gli sforzi congiunti di tanti operai ci rendono appena percettibile il cristianesimo autentico di Gesù, come ammette Ritschl stesso quando dichiara che possono percepirlo solo quelli che si mettono dal punto di vista della comunità, cioè della prima generazione cristiana. Principio pericoloso, che reintroduce nella critica del testo sacro proprio quel soggettivismo che Ritschl voleva evitare. Infatti il critico esperimenterà su se stesso l'azione delle parole attribuite a Gesù, e quelle che sono senza forza sulla sua coscienza verranno dichiarate estranee alla prima comunità e rigettate dalla rivelazione. Cosi si chiama il prammatismo a decidere dell'origine divina o umana del Testamento! Per eliminare come apocrifa questa o quella pagina del Vangelo basterà dichiararla estranea alla coscienza moderna. Neppure Schleiermacher aveva dato una regola più incerta, più relativista, più soggettiva e arbitraria.


Influsso di Ritschl sulla Riforma. - Queste le debolezze di tutta la scuola di Ritschl, che tuttavia esercitò un influsso preponderante sulla Riforma fino a questi ultimi anni, press'a poco fino alla reazione di Carlo Barth.


Da tale scuola provengono gli innumerevoli critici che hanno gareggiato d'ingegnosità nello studio dei testi sacri: un grande nome, Adolfo Harnack, e tutta una pleiade d'operai di valore ineguale, che specialmente dall'anno 1900 fino ai nostri giorni hanno lavorato al seguito di molteplici sottocoreghi, come G. Herman, Teodoro Haering, Wendt, Bauer, Bousset, Deissmann, Erbes, Lietzmann, Meyer, Weinck, Zahn, ecc. Minato da questi lavori, alcuni dei quali intendevano tuttavia consolidarne le basi, il luteranesimo attuale presenta solo più un'infinita varietà nella critica negativa ed ha malamente resistito all'urto dell'hitlerismo, che lo ha intaccato da tutte le parti.


Nuovo orientamento con Karl Bartk. - Intanto un robusto teologo, Carlo Barth, nato nel 1886, tentò d'arrestare la corsa verso l'abisso, e si può dire che con la sua grande influenza determinò un mutamento radicale. La critica dei principi distruttivi di Schleiermacher, di Ritschl e di Harnack rimane la parte più potente della sua opera. Egli afferma che questi " teologi " non prendevano la Bibbia sul serio: la loro teologia non era che un presuntuoso a umanismo ". La parola di Dio va presa in tutta la sua tremenda serietà (1).


(1) Ecco il giudizio di un eminente teologo cattolico su Carlo Barth: i In mezzo a un protestantesimo svuotato, naturalista, pragmatista, in cui Rousseau col suo immanentismo aveva da molto tempo detronizzato Calvino e il suo trascendentalismo, e che, durante la sanguinosa catastrofe della prima guerra mondiale, non aveva da proporre se non il suo ottimismo irrisorio, il suo cristianesimo all'acqua di rose, Barth, solo o quasi, è apparso improvvisamente come un profeta degli splendori della rivelazione biblica, come l'araldo d'un Messaggio inaudito al quale gli uomini erano ridivenuti sordi. Con una capacità prodigiosa di rinnovamento e una ricchezza culturale poco comune, che gli attiravano l'attenzione di tutti gli ambienti, egli ha confessato, in maniera spesso lacerante, il dogma della trascendenza incomprensibile di Dio, il dogma della divinità di Cristo, Signore e Salvatore degli uomini, il dogma del regno escatologico e dei destini gloriosi del nostro pianeta sfigurato e. sanguinante. E tutto ciò in una scrittura liberatrice, che egli volle costantemente dura e sarcastica di fronte ad una letteratura scipita, pietistica, moralizzante - o al contrario troppo accorta e modernizzante - che lo irritava come aveva irritato Nietzsche. Saremmo lieti di poter credere che la trascendenza del Soli Dea Gloria è quella stessa che è rivelata nella Scrittura e che rapisce in estasi il cuore dei santi. Ma incrinature, talvolta appena percettibili, ci inquietano e ci obbligano a rivedere e riesaminare attentamente la cosa. Non è la vera trascendenza cristiana di Dio quella che Barth glorifica; è una sorta di trascendenza musulmana che si manifesta non nel si dell'uomo - a cui Dio darebbe di donarsi a Lui - ma sproposito dell'uomo, e che si stabilisce sulla rovina delle relazioni di reciprocità e d'amicizia tra Dio e l'uomo. Non è la trascendenza evangelica del Cristo Redentore, che associa, in una certa misura, alla sua preghiera, alla sua opera, alla sua passione e morte per la salvezza del mondo, la Chiesa ch'è suo corpo; è la trascendenza luterana d'un Cristo Redentore che, lasciando la sua Chiesa nel peccato sino alla fine del mondo, consente tuttavia a considerarla simultaneamente come giustificata e santificata. Non è la trascendenza giovannea e paolina d'un regno di Dio, d'una Gerusalemme celeste già inaugurata nel cuore del tempo dalla grazia; è la trascendenza riformata d'un regno di-Dio, d'una Gerusalemme celeste che la Chiesa terrena non può annunciare se non a guisa di un puro segno, che essa non potrebbe inaugurare, e da cui differisce come il peccato differisce dalla gloria, come ciò che è prima dell'ultimo differisce dall'atomo. Quindi è sempre una trascendenza che non ammette di fronte a sé se non il peccato dell'uomo-e che, lungi dal far nascere la partecipazione, la elimina come un rivale " C. Journet, L'Èglise du Verbe Incarni, voi. II, pp. 116.6-1169, Desclée de Brouwer 1951.


 


Certo, il liberalismo non è morto, ma esso non gode più il favore d'un tempo. Un movimento nuovo, orientato verso la teologia biblica, è già in atto in molte facoltà protestanti; si tratta di un ritorno ad una Sacra Scrittura, accettata come norma esteriore dello spirito umano, come ordine di Dio all'umanità e non più come prolungamento di una esperienza psicologica. Si potrebbe anche ricordare qui la cosidetta " Scuola di Lund " (Svezia) la quale, con Aulen, Nygren e alcuni altri, ha dato lavori seri sulla storia del domma e si riallaccia all'insegnamento dei Padri più che non alla scolastica luterana degli ultimi tre secoli. Tutto sommato, pare stia delineandosi un nuovo orientamento.


Tanto più che questo coincide con un inconstestabile rinnovamento della liturgia luterana. Numerosi pastori sono sedotti e trascinati dalla bellezza della liturgia cattolica; si adornano i templi per onorare il divino Visitatore; le cerimonie infine rivestono una certa maestà col lusso degli ornamenti che si usano; sono riorganizzati gruppi d'azione cristiana e questo comporta la riabilitazione delle opere; raggruppamenti di pietà, il che comporta un modo di concepire la salute diverso da quello mediante la sola fede nella mediazione di Cristo e nel valore unico della sua passione. Si sono visti pastori pregare per i defunti, cantare dei Requiem, parlare di purgatorio e di purificazione necessaria dopo la morte; s'è visto offrire alla venerazione dei fedeli la Croce, ed è caduta l'accusa di empietà contro chi piega le ginocchia davanti ad essa. Sintomi d'un ritorno a una vita animata dalla pietà cattolica?


OFFLINE
12/01/2014 16:05
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

CAPITOLO III. - SVILUPPO DEL CALVINISMO FINO ALLA FORMAZIONE DEL PROTESTANTESIMO LIBERALE


§ 1. - Da Calvino a Jurieu.,


II calvinismo attuale e Calvino. -Quanto abbiamo detto del luteranesimo primitivo potrebbe essere ripetuto, e con maggior forza, del calvinismo di Calvino. Il calvinismo odierno lo misconosce o lo copre di critiche; ma il calvinismo odierno sarebbe ancora riconosciuto da Calvino? I suoi discepoli emancipati non ebbero forse l'audace impertinenza di domandarsi: Che cosa bisogna conservare del calvinismo di Calvino? (Paolo Valloton, Ginevra, 1919). E in realtà conservano poco più del ricordo.


Il protestantesimo liberale sconfessa " l'autoritario " riformatore, e rivendica tutta la libertà che Calvino aveva preteso subordinare a una specie d'ortodossia dommatica e d'organizzazione sacerdotale. Un altro pastore giunge a rinnegarne l'influenza: "Noi siamo assai più gli eredi di Sebastiano Castellion esegeta, critico, teologo, teorico della tolleranza e del libero pensiero, che del suo irascibile antagonista " (Natale Vesper, Les protestants dcvant la patrie, Parigi, 1925).


Il pensiero e l'influsso di Calvino. . Per comprendere il calvinismo attuale non è dunque sufficiente studiare il pensiero di Calvino. Giova ricordare che questo pensiero fu molto più vigoroso coerente e logico di quello di Lutero. Calvino è più logico, Lutero più passionale. La logica del francese scompigliò spesso le posizioni teologiche del suo precursore tedesco. Il suo protestantesimo fu differente. Meno impetuoso, meno voglioso di suscitare le sordide cupidigie dei principi o dei fedeli che la brama delle ricchezze ecclesiastiche trascinava in ogni specie di avventura, appariva più scientifico, più distinto, più capace d'assicurare l'ordine nella Chiesa e di prevenire l'anarchia delle credenze e dei costumi, più proprio a conciliare le due antinomie che Lutero aveva posto senza aver potuto risolvere: libertà nell'esame e autorità di magistero ecclesiastico, biblicismo ed ecclesiologia.


Il rigore dell'insegnamento di Calvino assicurò per due secoli la stabilità dei suoi principi. Il sistema calvinista si mantenne attraverso tutto il caos delle guerre civili, delle contraddizioni d'avversari sottili come Castellion, o indipendenti come Bezan. La sua formula teocratica non sopravvisse alla tirannia organizzata a Ginevra, ma la concezione di Chiesa gerarchizzata e disciplinata persistette, nonostante le peggiori catastrofi. Lo studio della diffusione del calvinismo illuminerà certamente molti altri fattori essenziali oltre il prestigio della dottrina o l'influenza del riformatore. Infatti la dottrina è dura, antiumana, e più vicina a un fanatismo scoraggiarne che alla mistica certezza della salute mediante la fede, in cui Lutero vedeva il più sicuro appagamento dell'angoscia umana.


 


Il riformatore non ispirava nessuna cordialità: austero, impenetrabile, implacabile, autoritario fino alla crudeltà, sfuggente fino alla duplicità, capace di spingere i suoi fanatici adepti ad atti disperati e, in caso di fallimento, a rinnegarli; capo imperioso, subito perché abile e d'una prudenza consumata; occorreva la sua mano ferrea per evitare le rivolte che Lutero non aveva saputo prevedere.


Nonostante questi ostacoli il calvinismo si diffuse molto rapidamente in Francia, in Ungheria, nel Belgio, nei Paesi Bassi, fino nell'Inghilterra e nei paesi renani e fu sul punto di minacciare il luteranesimo nel suo feudo ereditario. Incontestabili cause di questo successo furono alcune felici coincidenze storiche. e l'azione personale di numerosi signori, che lo propagarono nelle loro terre.


La crisi del secolo XVII - Comunque il calvinismo non conobbe una vera crisi interna fino al principio del secolo xix. Sotto il regno d'Enrico IV di Luigi XIII e di Luigi XIV tiene bravamente testa ai controversisti cattolici, e dimostra una vigorosa vitalità. Ha pastori eruditi, che nella Bibbia cercano la giustificazione della loro rivolta contro Roma e dimostrano una seria conoscenza della dommatica e delle origini del cristianesimo. Bossuet fu tuttavia sul punto d'aver ragione sui suoi dottori, ma il pastore Jurieu, per sfuggire alla stretta del vescovo, osò dare una nuova definizione della riforma, autorizzando tutte le trasformazioni dottrinali, tutte le variazioni dommatiche, perché, diceva, la riforma è vita e libertà. Significava seppellire con un solo colpo tutte le autorità, quella di Calvino e quella della Bibbia, e aprire la via alla tolleranza universale, fare della riforma l'anticamera del libero pensiero.


Né i pastori né Bossuet s'ingannarono. Bossuet trionfava e quelli sconfessavano Jurieu. Questo tumulto fu il primo indizio della crisi interna che minacciava il calvinismo. Essa si calmò nelle sofferenze della persecuzione che, se indebolì gli effettivi del calvinismo francese, lo salvò da una decomposizione che non avrebbe tardato a prodursi, sotto l'azione dei principi rivoluzionari di Jurieu.


§ 2. - Sviluppo del protestantesimo liberale.


Prime divisioni. - Tale calvinismo attraverso varie fortune si conservò durante il secolo XVIII, preoccupato soprattutto di riconquistare la sua situazione legale, ma segretamente già diviso. Da una parte stavano quelli che dall'esperienza d'una lunga persecuzione avevano tratto più fiducia nelle manifestazioni libere e spontanee della pietà ugonotta del deserto, e meno docilità ai quadri d'una Chiesa gerarchica. Dall'altra parte erano quelli che s'ostinavano nelle direttive di Calvino.


I primi trovarono un aiuto imprevisto nella predicazione di Cook, discepolo di Wesley, che verso il 1818 insegnò a mettere la pietà al di sopra delle discipline tradizionali. Il movimento chiamato con nome curioso il risveglio, gettò una parte dei pastori nel campo dei liberali e l'altra parte in quello degli ortodossi.


I liberali si mostrarono particolarmente attivi, aggressivi e novatori. Pretendevano infondere al calvinismo un nuovo sangue mediante una nuova scienza.


Attività dei liberali. - Difatti essi si fecero propagandisti della critica luterana d'oltre Reno, insegnarono le negazioni dei riformati tedeschi, fondarono a Strasburgo una scuola e una rivista teologica per cui introdussero in Francia gli ardimenti germanici, e resero estremamente penosa la situazione del calvinismo tradizionale, che di sinodo in sinodo usciva sempre più indebolito, screditato, rovinato.


D'altronde i liberali non dissimulavano i loro pensieri segreti, a Essere protestante liberale è uno dei modi d'essere liberi pensatori ", diceva Ferdinando Bouisson. La violenza degli uni, l'apparato scientifico, che abbagliava gl'ingenui, dispiegato dagli altri, la crescente timidità degli ortodossi, tutto contribuì a dare all'ala liberale del protestantesimo la direzione effettiva del calvinismo. ",


I risultati furono immediati e decisivi e per tutta la Chiesa di Calvino si sviluppò l'anarchia dottrinale. L'intrepidità delle negazioni non ebbe più ritegno, e ciò che oggi stupisce ancora i cattolici e i protestanti imparziali, è la mediocrità, la volgarità, il servilismo verso il pensiero straniero di tutti quei pretesi studi storici sui quali poggiava l'incredulità di questi pastori, uno dei quali confessava brutalmente di subordinare lo studio storico del cristianesimo ai principi della filosofia di Hegel, in cui vedeva l'apogeo della ragione umana. Si può dire che dal 1850 al 1890 circa, la lotta intestina non cessò di minare e di dissociare il calvinismo.


E quando la disfatta dell'ortodossia era ormai un fatto compiuto, apparve una personalità che con la sua azione sovrana decise l'avvenire dell'opera di Calvino: Augusto Sabatier.


Augusto Sabatier e la " Religione dello spirito ". - II suo influsso è paragonabile solo a quello di Schleiermacher sul luteranesimo, o a quello di Renan sugli storici delle origini cristiane. Tuttavia Sabatier fu meno uno spirito creatore che una docile eco delle voci d'oltre Reno; ma egli aveva l'arte suprema di esporre con chiarezza e con grazia le teorie appesantite da tutto quell'apparato critico, in cui si compiace la scienza tedesca. Quanto più si studierà il suo pensiero tanto più si riconoscerà che Sabatier fu prima di tutto un filosofo formato alla scuola di Kant, Lessing, Schleiermacher, Ritschl, e che come loro, vuole ad ogni costo fare della religione una creazione puramente soggettiva del cuore. La pretesa rivelazione delle religioni positive in realtà non è che lo sviluppo progressivo dei bisogni della coscienza. I pretesi libri sacri, in cui Dio avrebbe parlato agli uomini, non sono altro che annotazioni delle successive affermazioni della coscienza tesa alla conquista del suo Dio. La pretesa ispirazione divina non è altro che l'estasi del " profeta ", il quale prende coscienza delle intuizioni del suo cuore, che lo innalzano e lo trasformano. Ecco quello che la psicologia insegna sulle origini della religione.


A sua volta la storia, specialmente quella del cristianesimo, conferma le conclusioni della filosofia. C'è una legge generale, di cui Hegel ha dimostrato la verità, che non patisce eccezioni, k Non ci sono inizi assoluti "; la legge dell'essere è il divenire, il passaggio dall'imperfetto al meno imperfetto, la corsa affannosa verso un perfetto che ci sfugge e che si fa, ma che non avrà mai la sua forma definitiva. Ora il cristianesimo pretende di partire da una perfezione iniziale, alla quale ormai nulla si può aggiungere; perfezione del Cristo, suo creatore; perfezione del Domina, rivelato da Gesù. Al contrario la storia dimostra (o almeno Sabatier pretende di darne la dimostrazione) che il cristianesimo fu il risultato di una lenta evoluzione di forme religiose: politeismo primitivo, monoteismo incerto dei libri mosaici, ebraismo, profetismo, evangelismo: " Tutta questa storia sfocia a Gesù ".


Lo stesso pensiero di Gesù subì la legge dell'evoluzione e del divenire. Dove egli aveva esaltato la religione del cuore, i suoi discepoli vollero vedere intenzioni domxnatiche, che gli uni scoprirono attraverso i loro pregiudizi giudeo-cristiani, altri invece attraverso i loro sentimenti ellenico-cristiani, altri infine attraverso le illusioni del loro cuore innamorato di colui che hanno dichiarato loro " Salvatore ", loro " Liberatore ", loro "Redentore ". E su questi pensieri, che rappresentano una evoluzione della dottrina di Gesù, i dottori del Medioevo applicarono il rigore d'una scolastica che amava condensare tutto in formule dommatiche. La storia insegna quindi l'origine umana dei Libri sacri e dei dommi che registrano i modi successivi di comprendere Gesù.


Queste idee, delle quali abbiamo già mostrato le origini nello sviluppo del luteranesimo moderno, erano presentate in modo molto seducente in un libro intitolato: Esquìsse d'une philosophie de la religion aprés la psychologie et l'histoìre (1896). È un libro essenziale, di cui il pastore Ménégoz potè dire che "era il più grande libro dommatico della teologia protestante dopo l'Institution chrétienne di Calvino ". In una seconda opera, Les religions d'autorité et la religion de l'esprit (1904), pubblicata postuma, Sabatier si sforza di rovinare le autorità alle quali si riferiscono i cattolici da una parte: papato, sacerdozio, infallibilità pontificia; e dall'altra i protestanti: la Bibbia dichiarata Parola divina, deposito della Rivelazione. Sabatier pretende dimostrare che le autorità cattoliche hanno un'origine recente e non furono mai nella visuale di Gesù; ma anche la Bibbia è un libro puramente umano, senza pretese dommatiche e il cui canone, opera di teologia, non presenta nessuna certezza. Sulle rovine di queste religioni d'autorità, conviene rimettersi alla " sola voce della coscienza e del sentimento ", unico rifugio delle anime religiose, distaccate da ogni domma, ma docili alla " religione dello spirito ".


OFFLINE
12/01/2014 16:06
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Il " simbolo-fideismo ". - Queste teorie ebbero un'accoglienza entusiastica negli ambienti liberali. L'ortodossia non aveva allora nemmeno un campione capace di arrestare la loro propagazione che straripò come un mare. Nel 1910 e poi nel 1912 liberali e ortodossi cercarono di trovare un compromesso prima a Berlino, poi a Parigi, ma il fallimento fu totale. Dalle lezioni di Sabatier ciascuno sognava di trarre le conseguenze che si giudicavano inevitabili. Una frazione liberale segui il pastore Ménégoz, che nella religione vedeva solo un'espressione simbolista di certe aspirazioni della coscienza. Fu il tentativo del calvinismo simbolo-fideista, di cui lo stesso Ménégoz diceva: " Io sono intimamente convinto che questa dottrina è conforme all'insegnamento di Gesù Cristo ".


Attorno a lui si era molto meno convinti, e la generazione realista del 1930, dopo aver costretto Ménégoz a confessare che tutta la sua teologia era il frutto delle " sue impressioni ", si staccò da questo fideismo superato e cercò la formula religiosa che rispondesse al bisogno d'azione. Sotto il particolare impulso dei pastori Oberlin e Fallot nacque cosi " il cristianesimo sociale ".


Avvento del " cristianesimo sociale ". - Qui le preoccupazioni dominatiche sono ridotte a una tolleranza quasi generale di tutte le confessioni di fede e sinanche dei gruppi che rigettano ogni confessione di fede; ma le preoccupazioni sociali, umanitarie, sono sviluppate al massimo, come uniche capaci di rifare l'unione tra le sette così profondamente divise dalle questioni di credenza. Il cristianesimo sociale conobbe certamente giorni gloriosi; in America e nei paesi anglosassoni il movimento " attivista " s'è sviluppato al punto di minacciare gravemente il movimento Faith and Order che s’oppone al covimento Life and Work. In Svezia e nei paesi nordici l’adesione d’un vescovo del valore di Nathan Soderblom, che nel 1925 riunì a Stoccolma i cristiani sociali, impresse nuova forza al movimento. Nella stessa Germania, sotto l'azione prestigiosa di Carlo Barth, sono stati fondati gruppi di "religiosi sociali", il cui atteggiamento fu lungi dall'essere sempre brillante specie quando il cristianesimo sofferse l'assalto delle dottrine naziste. La guerra del 1989-1944 fece tacere per un po' di tempo tutte queste diverse e opposte ambizioni. Tuttavia un profondo malessere pervadeva tutta la Riforma: lo spettacolo dei suoi dissensi, delle sue rinunce, della sua progressiva decomposizione, svegliava nel cuore dei più generosi la cura di un riassetto nella fede cristiana ritrovata e riaffermata contro tutti i clamori di una critica corrosiva.


CAPITOLO IV. - VERSO UNA NUOVA RIFORMA


Tentativo d'ecumenismo protestante. - Non diciamo a verso un rinnovato calvinismo ", né " verso un luteranesimo rigenerato ". Le divergenze originali a poco a poco sono scomparse, perché le infiltrazioni del luteranesimo moderno nel calvinismo e del calvinismo moderno nel luteranesimo hanno creato una specie di dottrina intermedia, dove i partigiani dell'ecumenismo sperano di veder finalmente realizzata la riunione cosi vivamente bramata delle differenti forme del pensiero protestante.


In generale coloro che lavorano per questa riconciliazione universale si mostrano decisi avversari di tutte le teorie soggettistiche, sistemi filosofici, principi a priori, analisi psicologiche, che trascinarono la Riforma agli eccessi che abbiamo visto. Non la metafisica deve spiegare le origini del cristianesimo, né una storia subordinata alle considerazioni fìlosofiche sulle condizioni del naturale, del soprannaturale, del miracolo o delle leggi della natura. I giovani protagonisti di questo movimento vogliono un ritorno allo studio puramente oggettivo dei testi sacri, nella loro realtà, non nel loro simbolismo. L'orientamento della dommatica odierna non è più " antropocentrico ", ma a teocentrico " e specialmente " cristocentrico ".


I promotori di questa profonda rivoluzione sono in Germania Eucken, Schaeder, Heim (seguiti dal cattolico Max Scheler); in Svizzera il professor Foerster, il pastore Neesert e il prof. O. Cullmann; in Francia il pastore Marco Boegner, H. Monnier, Alex. Westphal; in Italia G. Miegge. D'altronde tutti riconoscono l'autorità di Carlo Barth, che figura decisamente come il capo.


Con essi la storia religiosa ridiviene una scienza oggettiva, liberata dalla ipotesi di Ritschl e dei suoi discepoli; il Boegner non teme di trattare come " puramente immaginari " i pretesi conflitti tra i giudeo-cristiani e i pagano-cristiani; il preteso cristianesimo paolino come pure la pretesa evoluzione della fede in Gesù attraverso le vicissitudini del cristianesimo gerosolimitano, deuteropaolinista, giovanneo, sfociante in una specie di precattolicesimo romano. Tesi queste della scuola liberale destinate a giustificare il " divenire " dell'idea cristiana, tanto caro ai discepoli di Hegel, ma contrario ai dati obiettivi della storia.


Isolamento di Goguel. - Le ultime manifestazioni di questa giovane schiera fanno sempre più sentire la stanchezza riguardo a tesi superate. Luigi Bouyer ha notato l'isolamento attuale del pastore e storico Goguel, il quale nella sua ultima opera La naissance du chrislianisme (1946), condensando i risultati d'una intera vita di ricerche, non credette far di meglio che attenersi' ai postulati di Ritschl la a cui filosofia comanda la critica storica ". I neoprotestanti ridono del suo metodo d'a interiorizzazione fino all'estremo ", e gli ricordano che la fede riposa su elementi oggettivi e che la storia fa uso di ben strane libertà, " quando trascura i documenti die si riferiscono alla concezione realista dei sacramenti nel Nuovo Testamento ". È l'ultimo saluto a un'interpretazione del cristianesimo dichiarata oggi fuori campo. Non potrebbe esservi qui il punto d'incontro dei protestanti attirati dalla figura di Cristo radiosa nella sua divinità e dei cattolici assillati dal pensiero d'un solo oVile?


G. D.


BIBLIOGRAFIA. - 1. M. Bendisciou, II luteranesimo, Istituto Editoriale Galileo Milano 1948. L'origine; la dottrina; l'organizzazione; l'influsso. P. Chiminelli, 11 calvinismo, ivi, 1948. Cai vino ; il calvinismo ; il calvinismo nel mondo e le sue incostanti fortune ; contributo del calvinismo alla civiltà contemporanea; tentativo recente di galvanizzare il calvinismo. Sono essenziali i due seguenti articoli del D. T. C. : J. Dedieu, Protestanlisme, XIII, 850-907, che presenta lo stato attuale del luteranesimo, del calvinismo, dell'anglicanesimo e i sintomi dell'opposizione all'anarchia dottrinale; L. Cristiani, Ré/orme, XIII, 3020-3097, che studia le cause e le dottrine del protestantesimo. Sulle cause si può anche vedere l'aggiornamento di J. Lortz, Wie kam es zur Reformation? Johannes Verlag, Einsiedeln 1950. In questo piccolo volume l'autore riassume quanto scrìsse più ampiamente in Die Reformation in Deutschland, 3 voli., 3 ed., Herder, Friburgo 1948. Una forte e acuta sintesi delle dottrine del protestantesimo ortodosso si ha in A. Mcehler, La simbolica, trad. dal ted., Ed. Barbié, Carmagnola 1853. Da parte protestante la più recente sintesi è quella di H. Strohl, La pensée de la Ré/orme, Delachaux et Nestlé, Neuchàtel 1951. In C. Aloermissen, La Chiesa e le Chiese, 3 ed., Morcelliana 1944, si trovano buone esposizioni sloriche dottrinali del luteranesimo e del calvinismo. Il volumetto di M. Bendiscioli, La riforma protestante, Studium, Roma 1952, è una solida sintesi storica con ricca bibliografia. Gli scritti rivoluzionari di Lutero (Del Papato romano, Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca, La cattività babilonese della Chiesa, Della libertà del cristianesimo, ecc.) si trovano nel volume: M. Lutero, Scrìtti politici, U. T. E. T., Torino 1949.


2. In particolare sul neoprotestantesimo dalle tendenze razionalistiche e liberali. L. Perriraz, Histoire de la théologie protestante au XIX siede, a voli., H. Messelier, Neuchàtel, 1949-51. L'autore è di tendenze liberali. K. Barth, Die protestantische Théologie tra 19. Jahr-hundert. Ihre Vorgeschichte und thè Geschichte. Evangel. Verlag, Zollinkon-Zurich 1947. L'opera di tendenza antiliberale contiene 25 monografie di teologi protestanti: Rousseau, Lessing, Kant, Herder, Hegel, Schleiermacher, ecc. F. Schnabei., Storia, religiosa della Germania nell'Ottocento, Morcelliana, Brescia 1944, pp. 269-555. B. Neuheuser, La teologia protestante in Germania in Probltmi e Orientamenti di Teol. Dogmatica, pp. 581-661, Ed. Marzorati, Milano 1957.


3. Su Carlo Barth che rappresenta la più energica reazione al protestantesimo liberale. J. Hamer, Karl Barth, L'occasionalisme théologìque ds K. B., Etude sur sa méthode dogmatique. Desclée, Paris 1949. Opera di valore. E. Riverso, La teologia esistenzialistica di Karl Battìi, Ist. Edit. del Mezzogiorno, Napoli 1955. Urs von Balthassar, Karl Barth. Darstellung uni Deulung seiner Theologie, Hegner, Koln 1951. L'opera in cui Barth manifesta con più vivacità la sua reazione contro la teologia liberale, specie contro Schleiermacher, è Parole de Dieu et parale humaine, Ed. "Je sers ", Paris 1933. - Sul recentissimo pensiero protestante : Max Thurian, Les grandes orientatùms actuelles de la spiriiualité protestante, in Irenikon, 1949, pp. 368-394; Damelou, Le protestantisme dans de voies nmmelles?, inEtudes, maggio 1953, pp. 145-156. Mentre Barth e la sua scuola combattono aspramente il liberalismo, questo rispunta con forza sotto altra forma, particolarmente con R. Bultmann e seguaci che invitano a "smitizzare" il cristianesimo: rifiutano la ornitologia s del Figlio di Dio incarnato, morto per espiare i nostri peccati, e non vedono in Cristo, ridotto a semplice profeta, che uno degli interventi di Dio nella storia. Cfr. R. Bultmann, Le christìanisme primitif, Payot, Paris 1950 e particolarmente H. W. Bartsgh, Keiygma uni Mythos, 2 voli., H. Reich-Evangelischer Verlag, Hamburg-Volksdorf 1951-1953. È una raccolta di scritti di varie tendenze che trattano il tema della "demito-logizzazione " del cristianesimo. L. Malevez, Le message chrétien et le mythe. La Théologie de Rudolf Bultmann. Desclée de Br., Paris 1954. R. Marlb, Bultmann et leinterptetatìon dtt JV. Testament, Aubier, Paris 1956. G. Mieqoe, Vevangelo e il miti nsl pensiero di R. Bullmam, Ed. Comunità, Milano 1956. A. Voeqtle, Rivelazione e mito in Probi, e Orient. di Teol. Dogm., ed. cit., I, pp. 827-960.


Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi
 
*****************************************
Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra | Regolamento | Privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 09:43. Versione: Stampabile | Mobile - © 2000-2024 www.freeforumzone.com