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LA CHIESA DI FRONTE AI TOTALITARISMI

Ultimo Aggiornamento: 08/05/2022 10:55
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24/08/2018 15:25
 
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La condanna del “catechismo del sangue”

Nec laudibus nec timore. Questo il motto episcopale scelto dall’imponente presule tedesco. E l’intrepidezza di quel nec timore si dimostrò subito. 
Già due mesi dopo la sua consacrazione, nel novembre del ’33, prende atto che i patti appena firmati col governo non vengono rispettati e protesta energicamente contro le violazioni del Concordato. E quando all’inizio del ’34 Alfred Rosenberg, il principale teorico del nazionalsocialismo, nominato sostituto del Führer per la direzione spirituale e ideologica del partito, fa diffondere massicciamente il suo Mito del XX secolo, von Galen, nella sua prima lettera pastorale diocesana della Pasqua del ’34, condanna senza riserve la Weltanschauung neopagana del nazismo evidenziando nettamente il carattere religioso di questa ideologia: «Una nuova nefasta dottrina totalitaria che pone la razza al di sopra della moralità, pone il sangue al di sopra della legge [...] ripudia la rivelazione, mira a distruggere le fondamenta del cristianesimo [...]. È un inganno religioso. A volte accade che questo nuovo paganesimo si nasconda perfino sotto nomi cristiani [...]. Questo attacco anticristiano che stiamo sperimentando ai nostri giorni supera, in quanto a violenza distruttrice, tutti gli altri di cui abbiamo conoscenza dai tempi più lontani»5. La lettera conclude con un’ammonizione ai fedeli a non lasciarsi sedurre da un simile «veleno delle coscienze» e invita i genitori cristiani a vigilare sui figli. Il messaggio pasquale colpì come una bomba ed ebbe un effetto liberatorio sul clero e sul popolo, originando un’eco non solo in Germania, ma anche all’estero. 
Nella Pasqua del ’35 un altro contraccolpo. Ed è ancora la teoria razziale e il «catechismo del sangue» di Rosenberg nel mirino del vescovo. Von Galen, non potendo tacere contro aberrazioni tanto pericolose per i fedeli, fa allegare al bollettino diocesano uno studio contro Il mito del XX secolo e si adopera per sfavorirne la diffusione. La risposta del regime non si fa attendere. Il capo della Gestapo Hermann Göring invia una circolare in cui chiede l’esclusione del clero dall’insegnamento nelle scuole. Rosenberg piomba a Münster e pronuncia parole di fuoco contro il vescovo, nel tentativo di aizzare il popolo contro di lui e liquidarlo. Ma il popolo della Westfalia, in maggioranza cattolico, fa cerchio intorno al suo vescovo; l’8 luglio le manifestazioni di solidarietà culminano in una processione massiccia dei fedeli. Le vicende di Münster varcano di nuovo i confini nazionali e la stampa estera registra la battaglia lodando il comportamento coraggioso del vescovo tedesco: «Se i cattolici vengono accusati di occuparsi di politica, in realtà è il nazionalsocialismo a occuparsi della religione» commenta laconicamente da Parigi Le Figaro6. 
Von Galen in processione durante la cerimonia della sua ordinazione episcopale il 5 settembre1933

Von Galen in processione durante la cerimonia della sua ordinazione episcopale il 5 settembre1933

Von Galen non era certo l’unico presule tedesco a reagire chiaramente contro la dottrina del nazismo, e già a partire dal ’32 i vescovi si erano espressi anche nella loro collegialità. Celebri restarono le predicazioni del ’33 del cardinale Michael von Faulhaber, arcivescovo di Monaco. Ma con l’ascesa al potere di Hitler la Chiesa tedesca si trovò a fronteggiare un regime che sempre più insidiosamente e sfacciatamente si attribuiva il totale predominio nel campo religioso ed ecclesiastico, annientando i diritti civili ed umani. Così nel giro di pochi anni la Chiesa dovette pagare lo scotto di una violenta persecuzione. Persecuzione che s’incrudelì dopo la pubblicazione, sollecitata dagli stessi vescovi tedeschi, dell’enciclica pontificia Mit Brennender Sorge, nel 1937. L’enciclica di Pio XI, «una delle più severe condanne di un regime nazionale che il Vaticano avesse pronunciato»7, venne dichiarata dalle autorità naziste «un atto di alto tradimento contro lo Stato». Arresti e sequestri seguirono la sua diffusione. Von Galen, nella sua diocesi, ne aveva fatte stampare 120mila copie. Gli atti intimidatori diretti contro la sua persona aumentarono, crebbe al contempo il suo prestigio e la grande autorità morale che ne faceva un punto di riferimento riconosciuto da tutti, anche dagli ebrei. E alla vigilia della guerra, il vescovo di Münster, per aver «attaccato fortemente le basi e gli effetti del nazionalsocialismo», veniva registrato dalla Cancelleria del Reich come uno dei più pericolosi avversari del regime. 
Ma è con le prediche dell’estate del ’41 che il vescovo divenne famoso in tutto il mondo. Guadagnandosi sul campo l’appellativo di “Leone di Münster”. 

«Io grido: esigiamo giustizia!»
Sabato 12 luglio 1941 il vescovo riceve la comunicazione dell’occupazione delle case dei gesuiti che si trovano nella Königstrasse e a Haus Sentmaring. Con l’avanzare della guerra i capi supremi del partito intensificarono il sequestro dei beni delle confessioni cristiane, e proprio nei giorni in cui Münster aveva subito gravi danni a causa dei bombardamenti, la Gestapo cominciò sistematicamente a deportare religiosi e ad occupare e confiscare i conventi. Anche i conventi delle suore di clausura furono sequestrati. I religiosi e le religiose insultati e cacciati. Il vescovo si mosse immediatamente. Affrontò personalmente gli uomini della Gestapo, dicendo loro che stavano compiendo «un incarico infame e vergognoso», e li chiamò con molta chiarezza e franchezza «ladri e briganti». Ritenne allora giunto il momento di intervenire pubblicamente. Era pronto a prendere tutto sopra di sé per Dio e per la Chiesa, anche se questo avrebbe potuto costargli la vita. Il giorno seguente, preparata con cura la predica, salì sul pulpito deciso a chiamare le cose con il loro nome. «Nessuno di noi è al sicuro, nemmeno se in coscienza fosse il cittadino più onesto, sicuro di non venire un giorno prelevato dalla propria abitazione, spogliato della propria libertà, rinchiuso nei campi di concentramento della polizia segreta di Stato. Sono cosciente che questo oggi può accadere anche a me...»8. E non esita a smascherare davanti a tutti le vili intenzioni della Gestapo, ritenendola responsabile di tutte le violazioni della più elementare giustizia sociale: «Il comportamento della Gestapo danneggia gravemente larghissimi strati della popolazione tedesca... In nome del popolo germanico onesto, in nome della maestà della giustizia, nell’interesse della pace... io alzo la mia voce nella qualità di uomo tedesco, di cittadino onorato, di ministro della religione cattolica, di vescovo cattolico, io grido: esigiamo giustizia!»9. Con forza e sicurezza le frasi uscivano come tuoni dalla sua bocca. Con indomito ardore denunciò uno per uno gli «atti infami» e i soprusi dei quali era venuto a conoscenza. «Gli uomini e le donne», ricorda un testimone, «si alzarono in piedi, si sentirono voci di consenso e anche di terrore e di indignazione, cosa che generalmente è impensabile qui da noi, in chiesa. Ho visto persone scoppiare in lacrime»10. 
Von Galen con i cresimandi durante una visita pastorale a Münster nel 1934

Von Galen con i cresimandi durante una visita pastorale a Münster nel 1934

L’effetto di questa prima predica fu dirompente. E alla seconda predica del 20 luglio la chiesa era stracolma. La gente veniva da lontano per ascoltarlo. Von Galen aprì ancora gli occhi sulla follia del progetto perseguito dal potere che avrebbe portato il Paese alla miseria e alla rovina, e tuonò ancora «contro l’iniqua, intollerabile azione che imprigiona i sacerdoti, caccia come selvaggina i nostri religiosi e le nostre care sorelle... che perseguita uomini e donne innocenti...»11. Dichiara vani tutti i tentativi e le suppliche inoltrate in favore di tanti cittadini ingiustamente offesi: «Ora noi vediamo e sperimentiamo chiaramente che cosa c’è dietro la nuova dottrina che da anni ci viene imposta: Odio! Odio profondo, come un abisso, nei confronti del cristianesimo, nei confronti del genere umano...»12. Ma è la terza predica del 3 agosto, quella sul V comandamento, che, per la virulenza delle parole, fu giudicata dal Ministero della Propaganda «l’attacco frontale più forte sferrato contro il nazismo in tutti gli anni della sua esistenza». Il vescovo era venuto a diretta conoscenza del piano di sterminio dei disabili, dei vecchi, dei malati di mente e dei bambini handicappati nelle case di cura della Westfalia. Il piano era tenuto nascosto dai nazisti. Commenta un testimone: «Solo chi ha sperimentato il tempo della dittatura nazista può misurare il significato delle seguenti parole che un vescovo ha osato pronunciare: “Vengono adesso uccisi, barbaramente uccisi degli innocenti indifesi; anche persone di altra razza, di diversa provenienza vengono soppresse... Siamo di fronte a una follia omicida senza eguali... Con gente come questa, con questi assassini che calpestano orgogliosi le nostre vite, non posso più avere comunanza di popolo!”. E applicava alle autorità del nazismo le parole dell’apostolo Paolo: “Il Dio dei quali è il ventre”»13. 
Le prediche ebbero una diffusione enorme, fecero in breve il giro del mondo. Vennero stampate e lette ovunque. Giunsero anche tra i soldati al fronte. Basta dire che la gente ambiva a tal punto di possederle che si ponevano come condizione per lo scambio di merci. Il popolo tedesco, cristiano e non, le aveva accolte con enorme riconoscenza. Risulta dalla documentazione ritrovata tra le macerie di Berlino che nell’inverno del ’41-42 parecchi ebrei vennero arrestati dalla Gestapo per la diffusione delle «prediche sobillatrici» del vescovo di Münster14. Per questi interventi tutti pensavano, compreso il vescovo, che di lì a poco egli sarebbe stato giustiziato. Il capo delle organizzazioni giovanili delle SS pubblicò questa dichiarazione: «Io lo chiamo il porco C. A., cioè Clemens August. Questo alto traditore e traditore del Paese, questo porco è libero e si prende la libertà di parlare contro il Führer. Deve essere impiccato»15. Invece questo non accadde. 
Il “caso von Galen” venne minuziosamente discusso dal Ministero della Propaganda e nella Cancelleria del partito. Anche il “delfino” di Hitler, Martin Bormann, voleva impiccarlo. Il ministro della Propaganda Joseph Goebbels consigliò invece il Führer di rimandare la sua esecuzione, per calcoli di opportunità politica. La tattica del regime era quella di non farne un martire, e ucciderlo avrebbe significato alienarsi il consenso di parte della popolazione, in particolare dei soldati al fronte. I nazionalisti avevano rimandato così «la resa dei conti» con von Galen dopo la “vittoria finale”. Allora, dichiarò Hitler il 4 luglio 1942, si sarebbero fatti i conti con lui «fino all’ultimo centesimo». 
Così testimonia il fratello di von Galen, il conte Franz: «Anche se non fu imprigionato, mio fratello continuava ad essere esposto agli attacchi, ai soprusi e alle ingiurie dei nemici della Chiesa. Conservò ciononostante il suo atteggiamento eretto e continuò ad annunciare intrepidamente la verità. Un giorno gli chiesi che cosa dovessimo fare nel caso fosse stato arrestato. “Niente” fu la sua risposta. “Anche san Paolo è stato rinchiuso per molti anni e il Signore non aveva timore che i pagani non fossero convertiti per tempo”. Condivideva con me che le forze diaboliche si fossero messe all’opera, ma accennò anche alle parole confortatrici del Signore: “Le porte dell’inferno non prevarranno sulla Chiesa”»16. 
Hermann Göring con Joseph Goebbels nel 1936

Hermann Göring con Joseph Goebbels nel 1936

Per Clemens August von Galen è stato aperto nell’ottobre del ’56 il processo di canonizzazione. Il 20 dicembre dello scorso anno è stato proclamato il decreto sulla eroicità delle virtù e la causa procede a grandi passi verso la beatificazione. 
«La lotta che il vescovo von Galen ha condotto contro quelli che considerava veri nemici della Chiesa», afferma il domenicano tedesco Ambrogio Eszer, relatore della causa di canonizzazione di von Galen, «dimostra univocamente che il servo di Dio considerava la difesa della fede come il suo più alto scopo e dovere. E nei confronti dello spirito del regime totalitario di allora, il vescovo von Galen ha mostrato una fortezza eroica ma anche una prudenza eroica». 

continua

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