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DIFENDERE LA VITA DAL CONCEPIMENTO

Ultimo Aggiornamento: 08/02/2024 17:07
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09/12/2019 11:20
 
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LENNART, NILSSON, FOETUS


Un feto di 18 settimane nella sua compiuta meraviglia, frutto di 12 anni di lavoro del fotografo Lennart Nilsson: fu la copertina di Life nell‘aprile 1965 e vendette otto milioni di copie in quattro giorni. Oggi per alcuni è troppo “politicamente scorretta”.


Forse in molti, mi ci metto anche io, ignoriamo il successo planetario che ebbe la creatura immortalata nella foto in copertina: era il 30 Aprile del 1965 e il magazine americano Life portò la vita in prima pagina a colori. Era un feto di 18 settimane catturato nella sua intera e particolare meraviglia dal fotografo svedese Lennart Nilsson e c’erano voluti 12 anni per arrivare a quel risultato. Quella copia della rivista spopolò, vendendo otto milioni di copie in soli quattro giorni.

Il numero fu un successo spettacolare, fu la copia che andò esaurita più velocemente nell’intera storia di Life. Dai colori vividi e con dettagli cristallini, la foto mostra un feto nel suo sacco amniotico con il cordone ombelicale che si snoda fino alla placenta. Il bimbo non ancora nato galleggia in uno spazio quasi cosmico, appare vulnerabile ma sereno. I suoi occhi sono chiusi e i suoi piccoli pugnetti perfettamente formati sono stretti al petto. Uno scatto tecnicamente impressionante, anche per gli standard odierni. (da The Guardian)


Una cosa molto scabrosa, la vita


L’argomento, o meglio, l’immagine è ritornata in auge in questi giorni su alcune testate per via di una mostra a Parigi, che ha ospitato una nuova versione in bianco e nero degli scatti di Nilsson in cui il fotografo documentò i passaggi che portano alla nascita, dal concepimento in poi. Il Guardian si chiede addirittura se non si meriti il titolo di foto distintiva del ventesimo secolo. A più di cinquant’anni dalla copertina di Life, non è stato scontato riproporre immagini così vivide della vita nel grembo materno, tanto che Jan Stene, il direttore di una galleria di Stoccolma che ha scelto le foto per l’esposizione di Parigi, ha dovuto precisare l’intento nient’affatto sovversivo dell’opera:




Nilsson – ricorda Stene – voleva rendere visibile l’invisibile per mostrarci il viaggio stupefacente che ciascuno di noi fa, quel viaggio che ci unisce tutti come umani. Ha voluto darci l’opportunità di guardare dentro noi stessi, scoprendo immagini che ci definiscono come umanità. (Ibid)



Perché il bisogno di questa precisazione? Dagli anni ’60 a oggi molto è cambiato, anzi si è capovolto. Allora era ancora una novità assoluta scrutare dentro il grembo materno; oggi le ecografie sono a disposizione di tutti e stanno diventando sempre più definite, chiare, stupefacenti. Ma oggi portiamo sulle nostre spalle il carico di un dibattito sull’aborto che negli anni ’60 non si era ancora esacerbato. Il tema della vita è diventato scottante, quasi incandescente. Cinquant’anni fa la curiosità di vedere la vita che cresceva dentro la pancia di una mamma entusiasmò milioni di persone, oggi taluni esigono che non sia neppure tirata fuori la parola “vita” o “persona” quando ci si riferisce a un feto, per rispettare il diritto all’aborto delle donne. Un tempo non c’erano gli strumenti per vedere dentro il grembo, oggi si chiudono consapevolmente gli occhi per non vedere più le evidenze originarie.


Verrebbe da dire che la percezione attuale di quest’immagine come scabrosa è proprio una fotografia dei nostri tempi.





Occorre portare rispetto a un autore, senz’altro. Ma un’opera d’arte, in qualunque forma si presenti (parola, musica, disegno), diventa parte della comunità, non è più solo figlia di chi l’ha creata. Distorcerne il senso è sempre sbagliato, ma farne occasione viva di coscienza del popolo è proprio lo scopo primo e ultimo dell’arte. In ogni caso sarebbe sbagliato, oltre che riduttivo, voler etichettare Nilsson come un soldato in più nell’esercito dei prolife; il punto non sono gli schieramenti contrapposti. Interessante, molto, per tutti quelli che stanno da ogni lato della barricata è proprio ritornare a fissare in purezza di occhi e cuore quello che era l’intento originario del fotografo:


Voglio rivelare quello che è vicino a noi, che ci è familiare, mostrarlo in un modo nuovo. (da Lennart Nilsson)


fonte. ALETEIA



 


 


[Modificato da Credente 09/12/2019 11:21]
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