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MARIA NELLA STORIA DELLA SALVEZZA

Ultimo Aggiornamento: 02/03/2023 18:36
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21/05/2012 13:25
 
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La Vergine Maria prima discepola nella vita quotidiana


Il tema della nostra riflessione d’oggi, che vuole essere anche una contemplazione della figura di Maria e della luce che riceve il suo cuore, è ciò che approssimativamente possiamo denominare ‘vita quotidiana’, intendendo con questa parola gli eventi privati della sua vita e anche pubblici che non abbiamo le caratteristiche di speciale dolore o gioia, che lasciamo per i sabati successivi.

Per ragione di chiarezza parleremo degli insegnamenti ricevuti dal Padre, poi dallo Spirito Santo e in terzo luogo da Gesù, senza pretendere con ciò di fare una divisione netta dell’azione delle tre divine Persone, perché piuttosto si intrecciano e fondono intimamente.

 

I. La Vergine Maria “la prima discepola del Padre”


Nel trattare adesso degli insegnamenti che il Padre imparte a Maria, dobbiamo ricordare, come già abbiamo accennato, che non è nostra intenzione escludere altri intermediari in questo insegnamento, ma indicare solo che Maria riceve come proveniente da lui ciò che trasforma, illumina, ispira il suo cuore.

Così inteso, il ruolo del Padre come Maestro lo possiamo veder rispecchiato principalmente in due eventi che ci racconta il Vangelo di Luca: l’Annunciazione e la Visitazione. Questi saranno i nostri due punti.

Asserire che nell’Annunciazione è il Padre che insegna a Maria richiede forse una giustificazione.

Siamo abituati a considerare in questo evento, inizio della nostra salvezza, l’azione dello Spirito Santo, per cui attribuire l’insegnamento che esso contiene per Maria direttamente al padre, sembra alquanto forzato.

Tuttavia, guardando l’evento dalla prospettiva di Maria e anche dello stesso evangelista Luca, colui che si presenta come mandante dell’angelo Gabriele, che gli dà l’incarico e mette sulle sue labbra le parole di saluto alla Vergine e la proposta di diventare ‘madre’, non è altro che Dio Padre.

Inoltre, il primo punto culminante di questo annunzio si trova senza dubbio nelle parole: “Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio” (Lc. 1,35b). Infatti quanto precede con tutta la sua grandiosità di saluto, di rasserenamento, di spiegazione, è solo un meraviglioso preludio; così come le parole che seguono sono di conferma. Al contenuto centrale, infatti, di questo annunzio vanno rivolte le parole di fede della Madonna: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc. 1,38).

Se ciò viene accettato, allora possiamo parlare degli insegnamenti che Dio Padre dà per primo alla Madonna in maniera del tutto privilegiata, ma attraverso di lei a tutti noi. Questi insegnamenti sono di grandissima importanza per la nostra vita spirituale.

Tali insegnamenti li possiamo ridurre a quattro: che è Padre, che agisce nel creato, che chiede collaborazione, che rende partecipi della sua paternità

  1. Dio è Padre.

    Le parole “Figlio di Dio” possono avere un senso debole e un senso forte. Nel primo caso, viene significato un rapporto speciale fra Dio e la persona singola o comunità denominata ‘figlio’, rapporto però che non tocca direttamente la natura di questa persona, la quale rimane pura creatura. Nel senso forte, invece, la parola ‘Figlio’ indica che uno ha con Dio comunione di natura e che, in maniera analoga a quanto accade nella paternità umana, il Padre lo ha generato, risultando così tra loro una identità di natura divina. In questo senso esigente e forte del termine, S. Paolo parla di Cristo Gesù come del ‘Figlio’ nel prologo della lettera ai Romani:

    “Nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti”. (Rm. 1, 3-4)

    In tale senso devono essere intese anche qui le parole, perché rispecchiano la fede della Chiesa primitiva.
    I teologi sottolineano oggi con sfumature differenti che la vita intratrinitaria di Dio si rivela e ci viene manifestata appunto per la Trinità che chiamano ‘economica’, cioè per il suo agire entro il mistero di salvezza. Di qui possiamo affermare che la prima persona umana, cui viene insegnato questo mistero del Padre che nell’eternità genera il Figlio suo, è Maria, perché è lei la prima a conoscere che il ‘figlio’ che nascerà sarà ‘Figlio’ di Dio.
    Il fatto di rivelare a Maria per prima questo mistero divino, fonte dalla quale scaturiscono tutti gli altri, è certamente situarla in un posto di particolare intimità e amicizia e in pari tempo far brillare dinanzi agli occhi del suo cuore il titolo più gradito a Dio stesso, quello di Padre. Gesù lo sapeva bene perciò insegno ai suoi discepoli a chiamarlo Padre, nella preghiera tipicamente cristiana del Padre Nostro. Maria è la prima creatura umana ad imparare questo mistero e con esso quanto la denominazione di Padre porta con sé: bontà, amore, sollecitudine, cura, generosità.
    La rivelazione di questo mistero, che merita benissimo le parole di Paolo: «… quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entreranno in cuore di uomo» (1 Cor 2, 9), non potevano non commuovere, anzi sconcertare almeno per un attimo l’animo della Vergine Maria. Luca ci parla del turbamento di lei dopo il saluto dell’angelo; è una maniera di farci capire che Maria entrava in contatto del tutto singolare con la presenza della divinità. L’angelo la rassicura e toglie da lei ogni timore. Tuttavia, l’essere introdotta nella profondità del mistero della paternità di Dio, doveva far vibrare i sentimenti più profondi del suo cuore, perché Maria intuisce che il Figlio di Dio sarà anche suo figlio. 
    Ciò può venir dipinto con i colori e le tonalità soavissime del pennello di un Beato Angelico, ma in realtà mi sembra che occorrerebbero colori e luci più intense e di fuoco per farci capire lo spessore divino di questa esperienza di Maria. Tale intensità però, o se si vuole tale luce abbagliante, appunto perché proveniva da Dio come Padre, svegliava in Maria il sentimento di amore, di riconoscenza e di gratitudine più attraente che si possa immaginare.
    Maria riceve questa lezione con tutta la sua ricchezza in maniera tale che resta coinvolto tutto il suo essere: intelligenza e volontà, affetti e sentimenti più profondi.

  2. Dio agisce nel creato.

    Da qui non è difficile fare il secondo passo ed affermare che Maria, forse come nessun altro discepolo, impara questa verità: Dio agisce nel creato, non rimane lontano dalle sue creature, ma interviene in esse secondo i disegni della sua sapienza.
    Possiamo affermare che uno degli insegnamenti maggiormente impostati ricavabili dall’AT è che Dio non solo è il creatore del cielo e della terra e sarà il giudice di tutti, ma interviene nella storia umana e anche in quella delle singole persone nei tempi da lui stabiliti. La locuzione metaforica “ con mano potente e braccio teso” ripetuta per parlarci della liberazione dall’Egitto e prediletta del Deuteronomio, non vuol sottolineare altro che l’efficacia dell’intervento divino. È da notare che Luca mette sulle labbra della Vergine l’espressione: Ha spiegato la potenza del suo braccio” (Lc. 1,51), per spiegare quanto Dio ha operato in Lei.
    Debbo però sottolineare una cosa. In un primo momento questo agire di Dio come Padre, che comporta che Maria diventi madre, rimane impercepibile e nascosto; Maria lo deve accettare per fede. E ciò fa sì che possiamo dire che la Vergine viene sottomessa a una prova precisamente della sua fede-fiducia nel potere onnipotente di Dio.

  3. Dio chiede collaborazione.

    A proposito della collaborazione umana richiesta da Dio, avviamo la nostra riflessione dal presupposto che Dio ha sempre l’assoluta iniziativa nell’ordinare e nel determinare i piani di salvezza e nell’avverarli nei tempi stabiliti.
    Questa iniziativa divina che si protrae dando aumento e crescita alla sua parola che, come seme divino, fa fruttificare nei cuori la sua grazia e nella storia umana la sua presenza per mezzo della chiesa, non esclude, anzi positivamente include, anzitutto, la libera cooperazione umana. A diversi livelli e in maniera multiforme Dio invita la persona umana a trasmettere la sua parola, a dare testimonianza, ad adoperare i mezzi di salvezza che sono i sacramenti. Ma in modo specialissimo nel rapporto interpersonale con la singola persona, invita ognuno ad accettare e a collaborare con la sua grazia, perché così ha voluto realizzare il suo disegno di amore, come Padre amatissimo.
    Maria ha una esperienza del tutto singolare di questo invito, di questo rispetto, di questa maniera così confacente con l’onnipotenza e bontà divina e la dignità dell’essere umano, che egli ha creato a sua immagine e somiglianza.
    L’angelo attende questa risposta della Vergine Maria a parte da lei solo quando l’ha ricevuta.
    Questa risposta abbraccia tutto l’uomo, ma la possiamo considerare a due livelli: il livello più umano dell’attività spirituale e quello, complementare al precedente, che comprende anche il corpo e tutto quanto questa parola include nella terminologia del Nuovo Testamento.
    Al primo livello, che è senza dubbio il decisivo, Dio chiede una risposta di fede, cioè ritenere per veritiero quanto egli manifesta e disporsi ad obbedire al disegno della sua volontà in esso manifestata. Ciò porta con se: amare la persona di Dio e sperare che egli compirà quanto promette. In questo intrecciarsi delle tre virtù, che lo Spirito Santo infonde nel cuore, in un primo tempo è la fede che prende il sopravento. Essa è, come già ribadita il Concilio di Tridentino parlando della giustificazione, “inizio, fondamentale e radice di ogni giustificazione”.
    Orbene questa fede, che ammette gradi di perfezione, viene presentata da Paolo come un riconoscere la potenza di Dio in due fatti che possiamo chiamare di posizione estrema: Egli ha potere di far esistere quello che non è e di risuscitare i morti (cf. Rm. 4, 17; 1Cor. 1,29). Tra questi due punti estremi, nei quali si manifesta l’onnipotenza di Dio come creatore e glorificatore, si trova tutto il mistero di salvezza nel quale di dispiega questa forza veramente divina. Entro questo piano di redenzione e di salvezza occupa il primo posto il far concepire una vergine senza intervento umano. Se accettare ciò può rappresentare non piccola difficoltà per gli stessi credenti, possiamo immaginare la perfezione di fede che si richiede nel caso singolare e personale, come Maria, alla quale si propone questa manifestazione del potere divino che lei stessi deve percepire.
    Da qui l’importanza e il valore eminente dell’atto di fede della Madonna: ella crede che ciò sia possibile e crede che si avvererà in lei. Questa lezione impartita dal Padre alla Vergine Maria è accettata da lei con piena consapevolezza di quanto ciò rappresenta dinanzi al rapporto con lo sposo Giuseppe e indirettamente rispetto a tutti quanti la conoscono; è una prova e nel contempo la massima manifestazione di amore, fiducia da parte di Dio nella disponibilità piena di Maria. Sant’Agostino ha intuito l’importanza di questa risposta di fede e ci dice che Maria ha concepito Cristo, prima per la fede – e a questo livello è maggiormente madre di Gesù – e poi nel suo corpo verginale.
    Anche Elisabetta la chiamerà beata per avere creduto. Ma la lezione del Padre raggiunge pure l’altro livello, quello che possiamo chiamare sensibile e corporale. Ed ella offre il suo corpo, e apprende che il Padre per l’azione dello Spirito Santo lo renderà fecondo; concepirà quindi e darà alla luce un figlio che chiamerà Gesù.
    Pochi giorni dopo, Maria potrà essere testimone sia della verità della parola di Dio che della sua potenza. Testimone di privilegio per tutti i credenti in Cristo.

  4. Dio Padre fa partecipe Maria della sua paternità.

    Da quando abbiamo esposto sulla collaborazione che Dio Padre chiede a Maria, si fa palese che il sì di accettazione imbevuto di fede, di fiducia e di amore è la risposta di una discepola privilegiata che asseconda i disegni misericordiosi del Padre.
    Ora dobbiamo rilevare l’aspetto singolare incluso in questa lezione. Dio Padre eleva la cooperazione umana al livello particolarmente suo e più misterioso: quello di partecipare alla sua paternità rispetto a Gesù. Questo elevare e sublimare l’azione umana all’ordine della paternità, deve essere ben inteso. La distanza fra Dio e la creatura resta sempre infinita non solo di grado ma di qualità. Tuttavia questa benevolenza è un privilegio straordinario.
    Paolo concepisce la sua attività di apostolo e la esprime come un’azione di ‘padre’ che genera nel cuore dei credenti Cristo Gesù (1 Cor. 4,15; Gal 4,19). Queste affermazioni di Paolo: “ vi ho generato in Cristo Gesù”, “figlioli miei che io di nuovo partorisco, sono da intendersi come partecipazione analogica della paternità del Padre, paternità sostanziale ed originante ogni altro generare.
    Nel caso della Madonna, la partecipazione è ancora molto più eccelsa, anzi unica. Il Padre, per mezzo dello Spirito Santo, assumendo la sua femminilità, la costituisce non solo madre di Gesù, ma madre di Dio. La ricchezza di questo mistero, che ha richiesto dei secoli perché la Chiesa ne prendesse piena coscienza e formulasse con piena autorità nel Concilio di Efeso il titolo di ‘Theotokos’, ‘Madre di Dio’, attribuito alla Vergine Maria, possiamo considerare che sia stata rivelata alla Madonna nel momento stesso dell’annunciazione, perché colui che i suoi sensi esterni vedono come ‘figlio’ suo, la sua fede lo contempla come Figlio di Dio, secondo le parole dell’angelo.
    Gesù, che per la sua natura divina è il Verbo, per la sua natura umana, ricevuta da Maria, è figlio di lei. Ma l’unione di queste due nature nell’unica persona del Figlio di Dio fa sì che l’azione dello Spirito santo prepari e predisponga l’ovolo del seno verginale di Maria perché essa assunto dalla persona del Verbo divino, in maniera tale, che l’uomo concepito nel seno di Maria e dato alla luce a Betlemme, non possa essere un ‘uomo’ qualsiasi, indeterminato, ma solo l’uomo che sarà ed è Gesù, Figlio di Dio.
    Questo mistero di essere Madre di Dio contiene tale abbondanza di elementi e tale ricchezza di grazia che, anche agli occhi della Madonna, chiarirà successivamente il suo contenuto. Ma questa prima lezione introduttoria nel mistero che il Padre imparte a Maria, in maniera vissuta, fin dall’inizio della sua maternità, non solo rimarrà indelebilmente impressa nel cuore materno delle Madonna, ma trasformerà tutto il suo modo di essere e di pensare. Maria da questo momento sa che il Figlio di Dio è il suo figlio.
    Dobbiamo avvicinare un altro momento della vita di Maria a questo primo dell’Annunciazione: la visita alla sua parente Elisabetta. Nell’incontro infatti di queste due donne privilegiate, la maternità svolge in ambedue il ruolo principale. E poiché si tratta dell’incontro di due madri ‘miracolate’ possiamo vedere, specie riguardo a Maria, una lezione di Dio Padre.
    Tralasciando altri aspetti di questo meraviglioso incontro ci fermiamo un attimo sulle parole di Elisabetta:

    “A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore.” (Lc. 1,43-45).

    Di queste tre frasi, ciascuna delle quali è una rivelazione e conferma di quanto accaduto nell’Annunciazione, riteniamo solo la seconda, situata nel mezzo tra la conferma della maternità di Maria e il suo atto di fede. Facciamo ciò perché ci consente di tenere in rilievo un nuovo aspetto della partecipazione nel mistero di salvezza, che il Padre ha dato a Maria. E tale aspetto è l’essere portatrice di Gesù.
    I santi padri paragonano Maria all’Arca dell’alleanza, ma sottolineano la superiorità di Maria. La diversità intercorrente fra Maria e l’Arca, portatrice di una presenza speciale di Dio, è quella che si riscontra tra l’ombra e la realtà.
    Nell’incontro di Maria con Elisabetta possiamo rintracciare una nuova lezione di Dio Padre. Maria porta nel suo grembo Gesù per comunicarlo, perché Gesù entri in rapporto di salvatore, in questo caso con il suo precursore, ma in genere con tutti gli uomini.
    Se ogni carisma, ci dice san Paolo, viene concesso a beneficio degli altri (1Cor.12,7; 14,12-26), per “l’utilità comune”, “per edificare”, non desta meraviglia che questo singolarissimo dono della divina maternità di Maria sia anche concesso a beneficio altrui. Le parole di Elisabetta, facendo conoscere la gioia sperimentata da Giovanni nel grembo di sua madre, sono senza dubbio per Maria una rivelazione della potenza salvifica racchiusa nella sua maternità, che si spande e deve spandersi a profitto di quanti la vogliono accogliere.
    Da tutto ciò non è difficile trarre degli insegnamenti per la nostra vita spirituale che espliciteremo in seguito.

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