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FATTI PRODIGIOSI DEL PASSATO

Ultimo Aggiornamento: 04/05/2023 22:28
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01/05/2012 15:30
 
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   Nel corso della storia e specialmente della storia del cristianesimo sono ricordati innumerevoli fatti inspiegabili di cui sono stati protagonisti molte persone sia tra i santi che tra tanti uomini e donne comuni.
Certo non abbiamo la possibilità per i prodigi avvenuti nel passato, di mettere i fatti narrati sotto le telecamere e passare i personaggi sotto i raggi X oppure analizzare i reperti nei vari laboratori, come è possibile fare solo da pochi decenni.
    Occorre comunque osservare che molto di tutto quello che riteniamo vero è il risultato di quanto ci hanno trasmesso delle persone di nostra fiducia, pur senza aver avuto nessun riscontro scientifico. Quasi tutta la storia sarebbe da riscrivere o da cancellare se si avesse la pretesa di poter verificare quanto ci viene narrato da cronisti o da storici o da vaghe documentazioni.

   Perciò non vi è motivo di pretendere tali riscontri, considerando che anche quando ci sono, e attestano la prodigiosità degli eventi, chi è prevenuto e non vuol credere, troverà sempre motivi per negare i fatti o quantomeno per rimandare a un futuro la possibilità di spiegare quanto non è possibile spiegare oggi.

Per tanti eventi prodigiosi avvenuti nel recente passato e di cui si hanno referti medici, radiografie, filmati, abbiamo curato un'altra sezione apposita al seguente link:
FENOMENI-INSPIEGABILI-SEGNI-DEL-SOPRANNATURALE

[Modificato da Credente 13/04/2016 13:03]
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01/05/2012 15:34
 
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Pontifex.RomaS. Domenico di Guzman (1170 1221) fu il fondatore dell'Ordine dei Predicatori, comunemente noti come "Domenicani". Questo ordine religioso ebbe grandi menti illuminate quali S. Alberto Magno e S. Tommaso dAquino, ed eccezionali missionari come S. Giacinto e S. Vincenzo Ferreri. Mentre Domenico stava fondando S. Sisto, il suo primo convento a Roma, una nobildonna romana, Guatenia o Tuta di Bulvaschi, perse il figlio. Guatenia era una devota seguace di S. Domenico e aveva lasciato a casa il figlio, gravemente malato, per andare a sentire S. Domenico predicare a S. Marco. Quando fece ritorno a casa il ragazzo era morto. Possiamo immaginarci il dolore della madre, quanto si rimproverasse e piangesse. Dopo un primo momento di afflizione, fu presa dalla forte speranza nella misericordia divina e nel potere d'intercessione di Domenico, un santo e amico di Dio. Guatenia si incamminò a piedi, e dietro di lei le ancelle che portavano il corpo ...

... freddo e privo di vita del ragazzo.

Siccome al tempo il monastero era in costruzione, non vigevano ancora regole di clausura, perciò Tuta entrò direttamente nel terreno. Trovando Domenico davanti alla sala capitolare, si inginocchiò ai suoi piedi e pose il figlio davanti a lui. Lacrime e gemiti d'angoscia furono le sue uniche parole.

Domenico si voltò e pregò per alcuni istanti. Poi ritornò e fece il segno della croce sul ragazzino. Prese il giovane per mano e lo tirò su vivo. Lo porse alla madre.

Ma Domenico non risuscitò il ragazzino esattamente come era arrivato ammalato; piuttosto il ragazzino pure guarì. Questa sorta di "doppio miracolo'' avveniva spesso quando i morti erano prodigiosamente restituiti alla vita. Non solo si salvavano dalla morte, ma anche dalle infermità, dai malanni e dalle ferite che l'avevano causata.

Alcuni frati domenicani assistettero al miracolo di Domenico e testimoniarono al processo di canonizzazione della Chiesa. (Tali investigazioni sono condotte con attenta cura e scrupolosità). Papa Onorio ordinò che il miracolo fosse reso pubblico dai pulpiti di Roma.

Quando Domenico venne a sapere dell'ordine del Papa, si precipitò da lui e lo pregò di revocarlo; temeva che una fiumana di gente lo costringesse a fuggire. Il Papa ascoltò, ma non revocò l'ordine. I timori di Domenico erano giustificati: a tal punto i romani lo veneravano come potente intercessore e amico di Dio che di nascosto (o anche impudentemente) gli tagliavano pezzi del saio mentre camminava per le strade.

S. Domenico risuscitò altri morti proprio a Roma, il centro della cristianità. Quando i Domenicani erano impegnati nell'opera di costruzione del loro primo convento di S. Sisto a Roma, il sottosuolo nascondeva una gran quantità di antichi lavori murari e di cavità insospettabili. Avvenne un pericoloso smottamento che lasciò un architetto, che era stato assunto dai fratelli, sepolto sotto un cumulo di macerie nei sotterranei. Quando venne estratto era ormai già morto.

I Domenicani erano molto angosciati, non solo perché era morto senza sacramento, ma anche per via degli strani racconti che si erano diffusi tra la gente riguardo all'ordine da poco formatosi. Temevano che la disgrazia fosse interpretata come un segno del malcontento di Dio riguardo la nuova impresa religiosa.

Domenico si accorse della preoccupazione dei suoi discepoli. Portarono il corpo da lui e "con il potere delle sue preghiere lo risuscitò".

Questo era soltanto uno dei miracoli messi per iscritto durante il processo di canonizzazione di Domenico.

Un altro simile miracolo avvenne durante una cerimonia di ordinazione in cui le suore prendevano appunto i voti a S. Sisto; c'era molta agitazione fuori e S. Domenico fu chiamato. Nel piazzale vicino a S. Sisto giaceva il corpo straziato di un giovane di nome Napoleone, nipote di un vescovo, il cardinale Stefano di Fossonova (che in quel momento pare fosse in chiesa).

Il giovane si era divertito sconsideratamente lasciandosi trascinare dal cavallo in una folle corsa, ed era stato disarcionato in malo modo. Padre Tancredi, a quel tempo priore, lo disse in seguito al beato Giordano, il secondo generale dell'ordine, che aveva esortato Domenico affinché implorasse fiduciosamente Dio per il giovane Napoleone. Domenico, motivato dalla sua stessa compassione e dall'esortazione di padre Tancredi, fece portare il corpo straziato del giovane in una stanza dove potesse essere chiuso a chiave. Poi disse messa, durante la quale alcune persone testimoniarono di averlo visto alzarsi da terra in estasi.

Poi Domenico pregò per il giovane. All'ordine del santo - "Ragazzo, nel Nome di Gesù Cristo ti dico, alzati !" - il cavaliere fu restituito sano e salvo al calore della vita.

I primi biografi di S. Domenico ritenevano che questa fosse una risurrezione miracolosa. Questo miracolo servì a portare nell'ordine domenicano due tra i suoi membri più noti, S. Giacinto e Ceslao, apostoli del nord, che erano allora in visita a Roma come canonici di Cracovia con il vescovo loro zio Ira di Cracovia.

Al tempo della miracolosa risurrezione dell'architetto da parte di S. Domenico, fra' Giacomo de Bella, romano di nascita, ben noto procuratore di S. Sisto, si rimise in salute quando sembrava in punto di morte, mentre giaceva in agonìa dopo aver ricevuto gli ultimi sacramenti. Domenico fece uscire dalla stanza tutti e poi, come Eliseo, si distese sul corpo dell'uomo trattenendo così, grazie alla "violenza" delle sue preghiere, l'anima dell'uomo, che lo stava abbandonando.

Fra' Giacomo si rimise nuovamente in salute e fu riabilitato alla sua carica di procuratore. Egli stesso raccontò questo miracolo al capitolo provinciale di Roma nel 1243 o 1244.

Pubblicazione a cura di Carlo Di Pietro

Fonte: "400 MORTI RESUSCITATI NELLA STORIA DEL CATTOLICESIMO" - di Padre Albert J. Herbert, S. M. (Società di Maria - Maristi) - Edizioni Segno, Udine

Per maggiori informazioni:

http://www.edizionisegno.it/libro.asp?id=420

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01/05/2012 15:59
 
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Giuseppe Maria Desa nacque il 17 giugno 1603 a Copertino, fra Brindisi e Otranto, in provincia di Lecce, nell'allora "Regno di Napoli".  Durante l'infanzia, fu gravemente ammalato per lungo tempo, e fu miracolosamente guarito nel Santuario della Madonna delle Grazie di Galatone, vicino Lecce. All'età di otto anni, Giuseppe ebbe una visione mentre era a scuola e ciò si ripetè altre volte.
Era anche molto lento e distratto, girovagava senza meta. Non riusciva raccontare una storia sino alla fine e spesso s'interrompeva nel mezzo di una frase, perchè non trovava le parole giuste.

La sua permanenza fra i libri era inutile, ed egli tentò di imparare il mestiere del calzolaio, ma fallì.
Aveva due zii nell'Ordine Francescano: a 17 anni voleva diventare anche lui francescano, ma fu respinto, a causa della sua ignoranza.

 

 

 

Nel 1620, fu accettato come novizio presso i Cappuccini di Martina Franca, vicino Taranto, ma essi lo mandarono via dopo 8 mesi, perchè molto distratto.

Sua madre riuscì finalmente a farlo accettare come servitore presso il Monastero dei Francescani Conventuali "La Grottella" di Copertino.  Mentre si trovava lì, come "oblato" e come "fratello laico", diede prova di grandi virtù, umiltà, obbedienza ed amore della penitenza.
Fu deciso che poteva diventare un membro effettivo dell'Ordine e studiare per diventare sacerdote.  Giuseppe sapeva leggere, ma a stento, e cominciò per lui un altro duro periodo alle prese con gli studi.
Il 20 marzo 1627, l'esaminatore gli chiese di spiegargli l'unica cosa che era riuscito ad imparare bene, e così Giuseppe divenne diacono!
Un anno dopo, il 28 marzo, riuscì a diventare sacerdote:   si presentò all'esame insieme a molti altri candidati.  Dopo aver interrogato i primi, il Vescovo, essendo più che soddisfatto dai risultati, decise di promuovere tutti.
Giuseppe si trovava fra i fortunati esaminandi a cui non era stata posta alcuna domanda, e divenne prete insieme agli altri: ecco perchè è considerato il Patrono degli studenti !

 

Il "Santo Volante"

 

Spesso andava in estasi e parlava con Dio.
Rimaneva immobile come una statua, insensibile come la pietra, e nulla poteva smuoverlo.  Qualunque cosa si riferisse al Signore lo poneva in uno stato di contemplazione.  Ciò succedeva anche quando vedeva un dipinto religioso, oppure quando udiva il suono di una campana, musica sacra, il nome di Dio, della Vergine Maria o di un Santo.  I suoi confratelli   potevano pungerlo con gli spilli o bruciarlo con tizzoni ardenti nel tentativo di risvegliarlo, ma egli non si accorgeva di nulla.
Frequentemente si sollevava dal suolo e rimaneva sospeso nell'aria: in chiesa, gli succedeva di volare verso l'altare o al di sopra di esso.

 

   


Fu visto levitare dalla gente oltre settanta volte, mentre diceva la Messa o pregava.
Papa Urbano VIII, essendo stato presente ad una sua estasi, affermò che, se Giuseppe fosse morto prima di lui, egli avrebbe testimoniato ciò che aveva visto. 

Poteva accadere che egli stesse pregando dinanzi ad una statua in giardino, ed i frati lo vedessero sollevarsi in aria, ancora inginocchiato.
Una folla incessante gli chiedeva aiuto e consiglio ed egli convertì molta gente ad una vita veramente cristiana.  Giuseppe compì molti miracoli, specialmente fra la povera gente.
Toccava occhi ciechi, ed essi vedevano, prendeva in braccio un bambino malato e lo guariva, trascrisse la benedizione di S.Francesco e tale foglio, fatto circolare in paese, compì meraviglie.

Quando i confratelli venivano a parlargli, egli leggeva immediatamente nei loro pensieri, e talvolta apprendeva molto più di quanto essi avrebbero voluto.
Una mattina entrò in chiesa per dire la Messa ed annunciò che il Papa era morto durante la notte.  Fece lo stesso annuncio altre due volte, per le morti di Urbano VIII ed Innocenzo X. 

 

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01/05/2012 16:05
 
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Antonio di Padova, nato a Lisbona in Portogallo, seguace di s.Francesco, sacrificava tutto per Dio per portare a lui le anime che si convertivano anche grazie ai miracoli concessigli da Dio.

La Visione
Antonio mentre pregava, da solo, nella camera, il padrone che lo aveva ospitato occhieggiando di nascosto attraverso una finestra, vide comparire tra le braccia del beato Antonio un bimbo bellissimo e gioioso. Il Santo lo abbracciava e baciava, contemplandone il viso con lena incessante. Quel cittadino, stupefatto ed estasiato per la bellezza di quel bambino, andava pensando fra sé donde fosse venuto un pargolo così leggiadro. Quel bimbo era il Signore Gesù. Egli rivelò al beato Antonio che l'ospite lo stava osservando. Dopo lunga preghiera, scomparsa la visione, il Santo chiamò il cittadino e gli proibì di manifestare a chiunque, lui vivente, ciò che aveva veduto.

La predica ai pesci.
Antonio si era recato a diffondere la parola di Dio, quando alcuni eretici tentarono di dissuadere i fedeli che erano accorsi per ascoltare il santo, Antonio allora si portò sulla riva del fiume che scorreva a breve distanza e disse agli eretici in modo tale che la folla presente udisse: Dal momento che voi dimostrate di essere indegni della parola di Dio, ecco, mi rivolgo ai pesci, per confondere la vostra incredulità. Ed incominciò a predicare ai pesci della grandezza e magnificenza di Dio. Mano a mano che Antonio parlava sempre più pesci accorrevano verso la riva per ascoltarlo, elevando sopra la superficie dell’acqua la parte superiore del loro corpo e guardando attentamente, aprendo la bocca e chinando il capo in segno di riverenza. Gli abitanti del villaggio accorsero per vedere il prodigio, e con essi anche gli eretici che si inginocchiarono ascoltando le parole di Antonio. Una volta ottenuta la conversione degli eretici il Santo benedisse i pesci e li lascio andare.

Il giumento (la mula).
A Rimini Antonio cercava di convertire un eretico e la disputa si era incentrata intorno al sacramento dell’Eucarestia ossia sulla reale presenza di Gesù. L’eretico, di nome Bonvillo, lancia la sfida ad Antonio affermando: Se tu, Antonio, riuscirai a provare con un miracolo che nella Comunione dei credenti c’è, per quanto velato, il vero corpo di Cristo, io abiurata ogni eresia, sottometterò senza indugio la mia testa alla fede cattolica.
Antonio accetta la sfida perché convinto di ottenere dal Signore ogni cosa per la conversione dell’eretico. Allora Bonfillo, invitando con la mano a far silenzio disse: Io terrò chiuso il mio giumento per tre giorni privandolo del cibo. Passati i tre giorni, lo tirerò fuori alla presenza del popolo, gli mostrerò la biada pronta. Tu intanto gli starai di contro con quello che affermi essere il corpo di Cristo. Se l’animale pur affamato rifiuterà la biada e adorerà il tuo Dio io crederò sinceramente alla fede della Chiesa. Antonio pregò e digiunò per tutti i tre giorni. Nel giorno stabilito la piazza e ricolma di gente tutti attendono di vedere come va a finire. Antonio celebrò la messa davanti alla folla numerosa e poi con somma riverenza porta il corpo del Signore davanti alla giumenta affamata che era stata portata nella piazza. Contemporaneamente Bonfillo gli mostrava la biada.
Antonio impose il silenzio e comandò all’animale: In virtù e in nome del Creatore, che io, per quanto ne sia indegno, tengo tra le mani, ti dico, o animale e ti ordino di avvicinarti prontamente con umiltà e prestargli la dovuta venerazione, affinché i malvagi eretici apprendano chiaramente da tale gesto che ogni creatura è soggetta al suo Creatore. La giumenta rifiutò il foraggio, chinando e abbassando la testa fino ai garretti, si accosto genuflettendo davanti al sacramento del corpo di Cristo in segno di adorazione. Vedendo l’accaduto, tutti i presenti compresi gli eretici e Bonvillo si inginocchiarono adoranti.

Il piede riattaccato.
Mentre confessava, Antonio ricevette un ragazzo che per un colpo d’ira aveva preso a calci la madre. Antonio commentò che per un’azione tanto grave avrebbe meritato che gli venisse amputato un piede, ma vedendolo sinceramente pentito lo assolse dai suoi peccati. Arrivato a casa il ragazzo prese un’ascia e si tagliò il piede emettendo un forte grido. La madre, accorsa, vide la scena e si recò da Antonio accusandolo dell’accaduto. Antonio allora si recò nella casa del ragazzo e riattaccò il piede alla sua gamba senza che rimanesse alcuna cicatrice.

Il neonato che parla.
A Ferrara vi era un cavaliere estremamente geloso della moglie, che possedeva un’innata grazia e dolcezza. Rimasta in cinta, la accusò ingiustamente di adulterio e una volta nato il bambino, che aveva la carnagione abbastanza scura, il marito si persuase ancora di più che questa l’avesse tradito.
Al battesimo del bambino, mentre il corteo si recava in chiesa con il padre, parenti ed amici, Antonio passò di li e, sapendo delle accuse del cavaliere, impose il nome di Gesù al bimbo chiedendo chi fosse suo padre. Il bambino, nato da poco, puntò il dito verso il cavaliere e poi, con voce chiara, disse: "questo è mio padre!" La meraviglia dei presenti fu grande, e soprattutto quella del cavaliere che ritrasse tutte le accuse verso la moglie e visse con lei felicemente.

Il cuore dell’avaro.
Mentre frate Antonio predicava a Firenze, morì un uomo molto ricco che non aveva voluto ascoltare le esortazioni del Santo. I parenti del defunto vollero che i funerali fossero splendidi e invitarono frate Antonio a tenere l'elogio funebre. Grande fu la loro indignazione quando udirono il santo frate commentare le parole del Vangelo: «Dove è il tuo tesoro, ivi è il tuo cuore» (Mt 6,21 ), dicendo che il morto era stato un avaro ed un usuraio.
Per rispondere all'ira dei parenti ed amici il Santo disse: "Andate a vedere nel suo scrigno e vi troverete il cuore". Essi andarono e, con grande stupore, lo trovarono palpitante in mezzo al denaro e ai gioielli.
Chiamarono pure un chirurgo perché aprisse il petto al cadavere. Questi venne, fece l'operazione e lo trovò senza cuore. Dinanzi a tale prodigio parecchi avari e usurai si convertirono e cercarono di riparare al male compiuto.
Non cercare le ricchezze che rendono l'uomo schiavo e lo mettono in pericolo di dannarsi, ma la virtù, la sola accetta a Dio.
Per tale motivo, la cittadinanza lodò con entusiasmo Dio e il suo Santo. E quel morto non fu deposto nel mausoleo preparatogli, ma trascinato come un asino sul terrapieno e colà sotterrato.

Le passere in prigione.
Femando (nome di Battesimo di Sant'Antonio) amava tanto Dio e i genitori. Dimostrava l'amore per Dio con lunghe preghiere e l'amore a papa e mamma con l'obbedienza pronta e lieta. Alla voce dei genitori che lo chiamavano, egli era pronto a lasciare il gioco e anche la preghiera. Una volta il Signore premiò il suo ardente desiderio di andare in chiesa, in questo modo: era la stagione in cui nei campi biondeggia il frumento e le passere, a stormi, si calano sulle spighe producendo danni. Il padre affidò a Fernando il compito di sorvegliare il campo allontanando le passere durante la sua assenza. Il fanciullo obbedì, ma dopo un'ora sentì un grande desiderio di andare in chiesa a pregare.
Allora chiamò a raccolta tutte le passere e le rinchiuse in una stanza della casa. Quando il padre ritornò, si meravigliò di non trovare Fernando nel campo e Io chiamò per sgridarlo. Ma il figlio lo rassicurò che neppure un chicco di grano era stato mangiato; lo condusse in casa e gli mostrò le passere prigioniere, poi aprì le finestre e le lasciò libere. Il padre, sorpreso, strinse al cuore e baciò il figlio straordinario.

Il peccatore pentito.
Un giorno andò da lui un grande peccatore, deciso di cambiar vita e di riparare a tutti i mali commessi. S'inginocchiò ai suoi piedi per fare la confessione però era tale la sua commozione da non riuscir ad aprire bocca, mentre lacrime di pentimento gli bagnavano il volto. Allora il santo frate lo consigliò di ritirarsi e di Scrivere su di un foglio i suoi peccati. L'uomo obbedì e ritornò con una lunga lista. Frate Antonio li lesse a voce alta, poi riconsegnò il foglio al renitente che se ne stava in ginocchio. Quale fu la meraviglia del peccatore pentito, quando vide il foglio perfettamente pulito! I peccati erano spariti dall'anima del peccatore e cosi pure dalla carta.

Il cibo avvelenato.
II grande numero di ascoltatori che accorrevano alle prediche di frate Antonio e le conversioni ch'egli otteneva, riempivano sempre più di odio gli eretici di Rimini, che pensarono di farlo morire avvelenato. Un giorno finsero di voler discutere con lui su alcuni punti del catechismo e lo invitarono ad un pranzo. Il nostro fraticello, che non voleva perdere l'occasione per fare del bene, accettò l'invito. Ad un certo momento gli fecero mettere dinanzi una pietanza avvelenata. Frate Antonio, ispirato da Dio, se ne accorse e li rimproverò dicendo: "Perché avete fatto questo?". "Per vedere - risposero - se sono vere le parole che Gesù disse agli Apostoli: «Berrete il veleno e non vi farà male»".
Frate Antonio si raccolse in preghiera, tracciò un segno di croce sul cibo e poi mangiò serenamente, senza riportarne danno alcuno. Confusi e pentiti della loro cattiva azione, gli eretici domandarono perdono, promettendo di convertirsi.

Il giovane resuscitato.
Frate Antonio riuscì a salvare il padre, falsamente accusato. Mentre Antonio si trovava a Padova, nella città di Lisbona un giovane uccise di notte un suo nemico e lo seppellì nel giardino del padre di Antonio. Trovato il cadavere, venne accusato il padrone del giardino. Costui cercò di dimostrare la sua innocenza, ma non riuscì. Il figlio, saputo ciò, andò a Lisbona e si presentò al giudice dichiarando l'innocenza del genitore, ma questi non volle credergli.
Il Santo allora fece portare in tribunale il cadavere dell'ucciso e, tra lo spavento dei presenti, lo richiamò in vita e gli domandò: "E stato mio padre ad ucciderti?". Il risuscitato, mettendosi a sedere sul lettino, rispose: "No, non è stato tuo padre" e ricadde supino, ritornando cadavere. Allora il giudice, convinto dell'innocenza di quell'uomo, lo lasciò andare.

Il dono della bilocazione.
Antonio teneva a Montpellier, in Francia, un corso di predicazione. Durante il discorso nella chiesa cattedrale si ricordò che quel giorno toccava a lui cantare l'Alleluia durante la Messa conventuale che si celebrava nel suo convento, ed egli non aveva incaricato nessuno di sostituirlo. Allora sospeso il discorso, si tirò il cappuccio sul capo e rimase immobile per alcuni minuti.
Meraviglia! Nel medesimo tempo i frati lo videro nel coro della loro chiesa e lo udirono cantare l'Alleluia. Al termine del canto i fedeli della cattedrale di Montpellier lo videro scuotersi come dal sonno e riprendere la predica. In questo modo Dio dimostrò quanto fossero a Lui gradite le fatiche del servo fedele.

Il demonio burlato.
Un giorno nella città di Limoges, in Francia, il Santo teneva un discorso all'aperto perché nessuna chiesa poteva contenere il grande numero di ascoltatori accorsi. All'improvviso il cielo si coprì di dense nubi che minacciavano di precipitare in un grande acquazzone. Alcuni ascoltatori impauriti, cominciarono ad andarsene, ma frate Antonio li richiamò assicurando loro che non sarebbero stati toccati dalla pioggia. Infatti la pioggia cominciò a cadere a dirotto tutto intorno, lasciando perfettamente asciutto il terreno occupato dalla folla. Terminata la predica, tutti lodarono il Signore per il prodigio che aveva compiuto e si raccomandarono alle preghiere del santo frate così potente contro le insidie del demonio.

Antonio fece tornare in vita un bambino che nel sonno si era soffocato avvinghiandosi le coperte al collo.

Anche dopo la morte moltissimi prodigi vennero compiuti per mezzo di Antonio.

Il giorno della sepoltura di Antonio una donna inferma e storpia pregò davanti alla sua urna venne completamente risanata.

Lo stesso accadde ad un’altra donna che aveva la gamba destra paralizzata. Il marito la condusse al sepolcro di Antonio e mentre pregava sentì come se qualcuno la sostenesse. Si stava compiendo la sua guarigione, lasciò le stampelle camminando perfettamente.

Una piccola bimba atrofizzata nelle membra ed estremamente debole venne posta sulla tomba del santo e guarì completamente.

Un singolare episodio accadde ad un cavaliere di nome Aleardino da Salvaterra, che da sempre aveva deriso i fedeli considerandoli ignoranti o ingenui. In una osteria iniziò a deridere pubblicamente alcuni che parlavano con entusiasmo dei tanti miracoli di Antonio. Il cavaliere, schernendoli, disse: “E’ possibile che questo frate abbia compiuto dei miracoli quanto questo bicchiere di vetro non si rompa gettandolo con forza per terra. Faccia questo miracolo il vostro santo e io abbraccerò la vostra fede”.
Aleardino da Salvaterrà scagliò con forza il bicchiere a terra, ma questo non si ruppe, anzi, scalfì le pietre su cui cadde. A questo miracolo il cavaliere si convertì e divenne cattolico, abiurando i suoi errori.

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01/05/2012 16:07
 
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Nei giorni che seguirono al beato transito di frate Antonio, numerosi e strepitosi miracoli furono attribuiti all’intercessione del popolarissimo frate. Gli eventi prodigiosi incrementarono la devozione fra tutti gli strati della cittadinanza, nei paesi limitrofi e nelle contrade più lontane, e favorirono l’accorrere senza sosta di tanti pellegrini, il moltiplicarsi di racconti di fatti miracolosi, il crescere dell’entusiasmo, il diffondersi di un vero e proprio culto, che corrispondeva ad una canonizzazione di fatto da parte del popolo, e la mobilitazione generale al fine di veder riconosciuta dal papa la santità di Antonio.

Venendo incontro a questo unanime desiderio, prima ancora che fosse trascorso un mese dalla morte del Santo, le autorità religiose e civili inviarono a Roma una delegazione formata da eminenti personalità religiose e laiche, per presentare al pontefice la petizione di tutta la città, vescovo, clero, podestà, nobili e popolo, per ottenere l’avvio di un regolare processo sulla santità e sui miracoli attribuiti ad Antonio.

La delegazione fu accolta da Gregorio IX, il papa che aveva conosciuto bene Antonio, che si era recato a Roma per chiedere il giudizio del papa su alcune questioni dibattute tra i frati, ed era rimasto così affascinato dalla sua eloquenza e profondità di dottrina che lo aveva definito «Arca del Testamento» e «Scrigno delle Sacre Scritture». Il vecchio pontefice non poteva che gioire nel sentire la fama di santità che circondava frate Antonio e nel vedere maturare frutti così mirabili. Riunì dunque subito il collegio cardinalizio per discutere l’istanza dell’ambasceria padovana e avviare il processo di canonizzazione.

La prima fase di questo «iter» canonico, che fu tra i più brevi che si ricordino essendo durato meno di undici mesi (luglio 1231 - maggio 1232), fu la costituzione di un tribunale diocesano a Padova, per formare il quale il papa scelse il vescovo della città, Jacopo, il priore benedettino Giordano Forzaté e il priore dei domenicani Giovanni da Vicenza, dando loro l’incarico di ascoltare e prendere in esame le testimonianze sulle virtù di Antonio e di raccogliere e vagliare tutti gli episodi ritenuti miracolosi e attribuiti alla sua intercessione.

Ultimato nel febbraio del 1232 il lavoro del tribunale, condotto con diligenza e celerità dai tre commissari, il vescovo e il podestà inviarono dal papa una nuova delegazione, formata da canonici, frati, magistrati e nobili, la quale trasmise il «dossier» e perorò efficacemente la causa.
Gregorio IX, passò subito alla seconda fase della causa, istituendo il processo apostolico e affidandone la presidenza al cardinale di S. Sabina, Giovanni d’Abbeville, già monaco benedettino di Cluny e abate del monastero di S. Pietro d’Abbeville. Questi condusse a termine il processo in brevissimo tempo e con esito favorevole. Il papa, che fin dai primi di maggio del 1232 si trovava a Spoleto, stabilì che la canonizzazione di frate Antonio si sarebbe tenuta il 30 maggio, festa di Pentecoste, nella splendida cattedrale spoletina, risorta dalle rovine del Barbarossa e consacrata circa trent’anni prima (1198) da Innocenzo III.

Il solenne rito della canonizzazione.
Giunse finalmente il giorno tanto atteso. Spoleto, che già nei giorni precedenti aveva conosciuto un’animazione straordinaria, visse un’esperienza indimenticabile, unica, sia per il fatto in sé, sia per i tanti personaggi illustri convenuti in duomo per tributare a frate Antonio i primi onori degli altari: innanzitutto Gregorio IX, avvolto in tutta la magnificenza delle vesti pontificali e accompagnato dai membri della corte pontificia; poi i cardinali, vescovi e alti prelati, che facevano corona al papa; quindi, oltre ai capi dei vari Ordini religiosi, una folta rappresentanza della famiglia francescana guidata da frate Elia - eletto pochi giorni prima Ministro generale a Rieti alla presenza del papa - e particolarmente lieta di veder riconosciuto il primo santo dell’Ordine dopo il fondatore; inoltre, i rappresentanti del clero e delle autorità di Padova e di tante altre città vicine e lontane; infine, una moltitudine di popolo esultante che la pur grande cattedrale, addobbata a festa in modo del tutto eccezionale, non poté contenere.

Il solenne pontificale con il rito della canonizzazione si svolse secondo la prassi del tempo, che prevedeva cinque momenti. Innanzitutto, Il pontefice pronunciò un’allocuzione per esaltare le virtù e i meriti di Antonio. Poi un cardinale o un chierico della corte papale declamò i miracoli ottenuti per intercessione del canonizzando ed autenticati nei processi. A questo punto, e fu il momento culminante della cerimonia, Gregorio IX si alzò in piedi e nel nome della SS. Trinità pronunciò la solenne formula con cui ascrisse Antonio nell’albo dei santi: «A lode e gloria dell’onnipotente Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo, e ad onore della Chiesa romana, veneriamo sulla terra il beatissimo padre Antonio, che il Signore ha glorificato nei cieli, dopo avere accolto il parere favorevole dei nostri fratelli e degli altri prelati, decretando che il suo nome sia iscritto nel catalogo dei santi e che se ne celebri la festa il 13 giugno».

Durante lo svolgimento della cerimonia di canonizzazione, a Lisbona, città natale del Santo, le campane delle chiese suonarono a festa, senza che mano d’uomo le muovesse, tra la sorpresa e la gioia di tutti gli abitanti.

Pio XII, con la sua lettera apostolica «Exulta, Lusitania felix, o felix Padua gaude», del 16 gennaio, lo proclamò solennemente dottore universale della chiesa, confermando ed estendendo a tutta la chiesa il culto di dottore che il Santo godeva già dal giorno della sua canonizzazione; o come recentemente, in occasione dell’ottavo centenario della nascita del Santo (1995), quando i frati di Padova organizzarono una «peregrinazione» di alcune reliquie di S. Antonio per tutta Italia, toccando anche sette città dell’Umbria: Terni, Foligno, Assisi, Perugia, Gubbio, Città di Castello e Spoleto, dove i venerati resti sostarono il 13 settembre.

La devozione a Sant Antonio è cresciuta in un crescendo incontenibile, è più vivo che mai si è diffuso in tutto il mondo, San Antonio continua a richiamare grandi folle e ad offrire a tutti, da vero amico, il suo messaggio, la sua protezione e la sua benedizione.
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27/05/2012 23:30
 
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Pontifex.RomaMolti avranno sentito dei Padri Passionisti, o al limite saranno intervenuti a qualche emozionante missione organizzata da loro. S. Paolo della Croce (1694-1775) fu il prete fondatore. Paolo era una delle grandi anime mistiche di riparazione. Sopportò terribili sofferenze e prove spirituali, ma fu anche sorretto dalle consolanti visioni di Nostro Signore e di Nostra Signora. Ebbe visioni di anime in purgatorio, cui fu permesso di entrare nella sua cella e raccontare le loro pene. Talora si vedevano raggi splendere attorno alla testa di Paolo. Una volta S. Paolo si stava occupando di alcuni soldati a Portercole nel tentativo di rimetterli sulla corretta via. Uno di essi non solo si opponeva alla conversione, ma fece anche delle considerazioni blasfeme e oscene sulla questione. Questo soldato era seduto fuori su una pietra e aveva cercato di trascinare una sentinella nella conversazione e nel gioco delle carte. Gli altri protestarono, ricordandogli che Paolo, ...

... il pio padre, sarebbe potuto passare in qualsiasi momento.

L'altro soldato reagì duramente: "Mi convertirò non appena quel bue ritornerà in vita!", si stava riferendo alla carcassa di un bue macellato che giaceva poco più in là. 

Il macellaio l'aveva già parzialmente scuoiato. Ma all'affermazione irriverente e sciocca del soldato, il bue si alzò vivo e corse con furia selvaggia contro il soldato seduto sulla pietra. Riuscì a scappare, e il bue sbattè la testa sulla pietra dove il soldato era seduto solamente poco prima. La pietra si inzuppò di sangue e il bue "morì" in quel punto di nuovo.

Alla chiusura di una missione tenutasi ad Orbetello nel settembre del 1741, un bambino stava guardando fuori della finestra la gente mentre usciva da messa. Cadde sul lastricato e rimase ucciso all'istante. Fu richiesta assistenza medica, ma venne dichiarato morto.

In quel momento S. Paolo della Croce stava per salire su un'imbarcazione per dirigersi altrove. I genitori del defunto si precipitarono verso la costa e gli raccontarono della tragedia. Tornò indietro con loro e contemplò il cadavere del bimbo innocente. Paolo rimase in silenzio per un po' e poi stese le mani sul corpicino. La folla astante stava in silenzio. In pochi secondi il bambino ritornò in vita, e Paolo lo restituì all'abbraccio dei parenti.

Un'altra volta il santo era ospite in casa dei signori Goffredi, dove una gallina fu servita per cena.

S. Paolo disse: "Avete fatto male ad uccidere questo povero animale, perché le sue uova erano l'unico sostentamento della povera donna a cui apparteneva. Facciamo un atto di carità. Aprite quella finestra".

Poi benedisse la gallina già cucinata, così com'era nel Nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo. Aveva appena pronunciato queste parole che la gallina tornò in vita, si coprì di piume, prese il volo e starnazzando se ne andò dalla finestra verso la casa della povera donna a cui era stata rubata dall'uomo che gliel'aveva venduta.

Il miracolo fu messo per iscritto sotto giuramento da un testimone oculare. S. Paolo della Croce fece un simile miracolo a Fianello di Sabina.

Quando S. Paolo della Croce predicava da un palco, talora, si indeboliva a tal punto da non poter continuare, così il suo angelo custode parlava per lui. Una volta l'angelo, sotto le sembianze di Paolo, andò perfino a minacciare con una spada scintillante un cinquantenne, peccatore impenitente e sacrilego. L'uomo si affrettò a confessarsi.

S. Paolo della Croce era stupendo da morto, e in seguito un bambino nato orribilmente deforme fu curato con una semplice immagine di lui e certamente, anche in virtù della fede assolutamente importante dei supplicanti, guarì.

Pubblicazione a cura di Carlo Di Pietro

Fonte: "400 MORTI RESUSCITATI NELLA STORIA DEL CATTOLICESIMO" - di Padre Albert J. Herbert, S. M. (Società di Maria - Maristi) - Edizioni Segno, Udine

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27/05/2012 23:35
 
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Pontifex.RomaIn tempi più recenti, è stata attribuita la risurrezione di almeno due ragazzi a S. Giovanni Bosco (1815-1888), fondatore dei Salesiani. Oltre ai sogni premonitori, cosi tanti eventi miracolosi avvennero nella vita di don Bosco e attorno a lui, che papa Pio XI disse della sua esistenza: "Il soprannaturale divenne quasi naturale, e ciò che era straordinario divenne ordinario". Quando ci si rende conto di quanti miracoli sono stati compiuti da anime sante in tempi recenti - come da S. Giovanni Bosco, da S. Giovanni Vianney (il Curato di Ars) e da padre Pio (che morì nel 1968), risulta più semplice accettare anche i racconti di miracoli che risalgono ad epoche precedenti. Nel 1866, quando don Bosco si trovava nell'area di Firenze, morì un ragazzino. Don Bosco pregò Maria Ausiliatrice (Maria, Aiuto dei Cristiani), si unirono a lui gli altri preti, e il ragazzino iniziò a respirare. Un caso più famoso ebbe luogo in precedenza, nel 1849. Un quindicenne di nome Carlo, che frequentava ...

... l'Oratorio di don Bosco, stava morendo. Chiamò don Bosco, ma il prete non c'era. Così i genitori chiamarono un altro sacerdote, che ascoltò la confessione del ragazzo. Ma il ragazzo chiamò ancora don Bosco prima di morire.

Quando il santo tornò da Torino e venne a sapere della morte, si affrettò alla casa del ragazzo, e chiese: "Come sta?". Il servitore interrogato rispose chiaramente: "È morto da dieci o undici ore!". (Un resoconto dice ventiquattro ore; probabilmente si intendeva la durata del giorno). Ma don Bosco disse che il ragazzo "si era solo addormentato"; le stesse parole che Nostro Signore aveva usato a proposito di Lazzaro e della figlia di Giairo. Il servitore rispose che tutti in quella casa sapevano della morte del ragazzo, e che il dottore aveva già firmato il certificato di morte.

Il servitore condusse don Bosco in salotto dai genitori affranti. La madre gli raccontò di come Carlo avesse continuato a chiamarlo prima di morire. Nella stanza dell'ammalato don Bosco mandò via tutti, ad eccezione della madre e di una zia. Il corpo giaceva avvolto, cucito in un lenzuolo, un velo bianco sopra la testa, pronto per la sepoltura. Don Bosco chiuse la porta, pregò per un po' e poi disse forte: "Carlo ! Alzati !".

Il corpo del ragazzino iniziò a muoversi sotto il lenzuolo. La madre e la zia in lacrime guardavano sgomente.

Il prete strappò il lenzuolo dal corpo e tolse il velo bianco che copriva il volto. Carlo sospirò, si mosse ed aprì gli occhi. Fissò la madre e le domandò perché era vestito con il lenzuolo funebre appena strappato. Poi notò don Bosco e lo salutò contento ringraziandolo.

Il ragazzo raccontò al prete di quanto aveva avuto bisogno di lui, che per paura non aveva detto tutto durante la sua ultima confessione e che ora avrebbe dovuto essere all'inferno. Carlo raccontò a don Bosco che aveva sognato di essere circondato da una banda di demoni che stavano per buttarlo tra le fiamme di un'enorme fornace, quando una bella Signora intervenne. Ella gli disse: "C'è ancora speranza per te, Carlo! Non sei ancora stato giudicato".

In quel momento aveva sentito don Bosco ordinargli di alzarsi. La madre e la zia lasciarono la stanza perché il ragazzo chiese di confessarsi. Poi, dopo essersi confessato, Carlo gridò forte perché tutti sentissero: "Don Bosco mi ha salvato!". Tutti i partecipanti al funerale accorsero nella stanza per vedere e sentire la storia. Pochi notarono che, nonostante la vitalità del ragazzo, il suo corpo restava freddo, come fosse morto.

In quel momento andava presa un'importante decisione. Il Santo fece delle considerazioni sulla saggezza di Dio nel mostrare il valore di una buona confessione; Ma domandò anche a Carlo se, adesso che era pronto per il Cielo, preferiva andare in quel luogo o rimanere sulla terra.

Il ragazzo, in presenza della madre e dei suoi cari, volse altrove lo sguardo. Lacrime inumidirono i suoi occhi. C'era un'aria di tranquilla attesa. Ci possiamo immaginare la commozione dei presenti.

"Don Bosco, preferisco andare in Cielo". (A volte la saggezza di un santo si trasmette ad un comune mortale!). Allora, Carlo si appoggiò indietro, chiuse gli occhi, e tranquillo morì ancora una volta.

Don Bosco stesso raccontò questo evento diverse volte nel corso della sua esistenza. Di solito parlava del prete coinvolto in terza persona, usando la parola "egli". Ma nel 1882, senza accorgersene, raccontò la storia usando la prima persona: "io".

Pubblicazione a cura di Carlo Di Pietro

 

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07/08/2012 21:52
 
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Il Santo Rosario e la bomba atomica di Hiroshima -

Su Hiroshima è caduta una bomba atomica.

 Lo scopo era di annientare Hiroshima per distruggere il potere militare giapponese.

 

Ma è stata risparmiata miracolosamente una piccola comunità di quattro padri gesuiti, che vivevano nella casa parrocchiale, a soltanto otto isolati dal centro dell’esplosione.
Padre Hubert Schiffer aveva 30 anni e lavorava nella parrocchia dell’Assunzione di Maria, a Hiroshima. Ha dato la sua testimonianza davanti a decine di migliaia di persone: “Attorno a me c’era soltanto una luce abbagliante. Tutto a un tratto, tutto si riempì istantaneamente da una esplosione terribile. Sono stato scaraventato nell’aria. Poi si è fatto tutto buio, silenzio, niente. Mi sono trovato su una trave di legno spaccata, con la faccia verso il basso. Il sangue scorreva sulla guancia. Non ho visto niente, non ho sentito niente. Ho creduto di essere morto. Poi ho sentito la mia propria voce. Questo è stato il più terribile di tutti quegli eventi. Mi ha fatto capire che ero ancora vivo e ho cominciato a rendermi conto che c’era stata una terribile catastrofe! Per un giorno intero i miei tre confratelli ed io siamo stati in questo inferno di fuoco, di fumo e radiazioni, finché siamo stati trovati ed aiutati da soccorritori. Tutti eravamo feriti, ma con la grazia di Dio siamo sopravvissuti”.

 

Nessuno sa spiegare con logica umana, perché questi quattro padri gesuiti furono i soli sopravvissuti entro un raggio di 1.500 metri. 

Per tutti gli esperti rimane un enigma, perché nessuno dei quattro padri è rimasto contaminato dalla radiazione atomica, e perché la loro casa, la casa parrocchiale, era ancora in piedi, mentre tutte le altre case intorno erano state distrutte e bruciate. Anche i 200 medici americani e giapponesi che, secondo le loro stesse testimonianze, hanno esaminato padre Schiffer, non hanno trovato nessuna spiegazione a perché mai, dopo 33 anni dallo scoppio, il padre non soffriva nessuna conseguenza dell’esplosione atomica e continuava a vivere in buona salute. Perplessi, hanno avuto tutti sempre la stessa risposta alle tante loro domande: “Come missionari abbiamo voluto vivere nel nostro paese il messaggio della Madonna di Fatima e perciò abbiamo pregato tutti i giorni il Rosario.” Ecco il messaggio pieno di speranza di Hiroshima: La preghiera del Rosario è più forte della bomba atomica! Oggi, nel centro della città ricostruita di Hiroshima, si trova una chiesa dedicata alla Madonna. Le 15 vetrate mostrano i 15 misteri del Rosario, che si prega in questa chiesa giorno e notte.

 

 

Un altro racconto di padre Schiffer aggiunge che avevano appena finito di dire Messa, e si erano recati a fare colazione, quando la bomba cadde:

"Improvvisamente, una terrificante esplosione riempì l'aria come di una tempesta di fuoco. Una forza invisibile mi tolse dalla sedia, mi scagliò attraverso l'aria, mi sbalzò, mi buttò, mi fece volteggiare come una foglia in una raffica di vento d'autunno."

 

 Quando riaprì gli occhi, egli, guardandosi intorno, vide che non vi erano più edifici in piedi, fatta eccezione per la casa parrocchiale. Tutti gli altri in un raggio di circa 1,5 chilometri, si racconta, morirono immediatamente, e quelli più distanti morirono in pochi giorni per le radiazioni gamma. Tuttavia, il solo danno fisico che padre Schiffer accusò, fu quello di sentire alcuni pezzi di vetro dietro il collo. Dopo la resa del Giappone, i medici dell’esercito americano gli spiegarono che il suo corpo avrebbe potuto iniziare a deteriorarsi a causa delle radiazioni. Con stupore dei medici, il corpo di padre Schiffer sembrava non contenere radiazioni o effetti dannosi della bomba. In realtà, egli visse per altri 33 anni in buona salute, e partecipò al Congresso Eucaristico tenutosi a Philadelphia nel 1976. In quella data, tutti gli otto membri della comunità dei Gesuiti di Hiroshima erano ancora in vita. Questi sono i nomi degli altri sacerdoti gesuiti che sopravvissero all'esplosione: Fr. Hugo Lassalle, Fr. Kleinsorge, Fr. Cieslik.

 

Un miracolo simile avvenne anche a Nagasaki, dove un convento francescano - "Mugenzai no Sono" ("Giardino dell'Immacolata") - fondato da San Massimiliano Kolbe rimase illeso come a Hiroshima. Dal giorno in cui le bombe caddero, i gesuiti superstiti furono esaminati più di 200 volte dagli scienziati senza giungere ad alcuna conclusione, se non che la sopravvivenza degli otto gesuiti all'esplosione fu un evento inspiegabile per la scienza umana.

 

Sapevate che nel 1945 il 70% dei cattolici giapponesi viveva a Nagasaki? Era “la città cattolica del Giappone”.

 

Testimonianza del prof. Hikoka Vanamuri – sopravvissuto di Hiroshima nel 6 agosto 1945 ( tratto da: nelcuoredimaria ): Hikoka Vanamuri, già professore all'Università di Tokio in filosofia, è stato intervistato in occasione del suo pellegrinaggio a Fatima, e così ha risposto: «Non tornerò in Giappone. Dopo anni di studi, dopo anni di meditazione ho compreso che la vita nell'atmosfera viziata di Buddha è rimasta un’inacidita testimonianza storica di paganesimo vociferante e mi sono convertito alla religione cattolica. La decisione l'ho presa dopo lo scoppio della bomba atomica su Hiroshima. Ero a Hiroshima per una ricerca storica. Lo scoppio della bomba mi trovò in biblioteca. Consultavo un libro portoghese e mi venne sott'occhio l'immagine della Madonna di Fatima. Mi sembra che questa si muovesse, dicesse qualcosa. All'improvviso una luce abbagliante, vivissima mi ferì le pupille. Rimasi impietrito.

 

Era accaduto il cataclisma. Il cielo si era oscurato, una nuvola di polvere bruna aveva coperto la città. La biblioteca bruciava. Gli uomini bruciavano. I bambini bruciavano. L'aria stessa bruciava. Io non avevo portato la minima scalfittura. Il segno del miracolo era evidente. Non riuscivo tuttavia a spiegare quello che era successo. Ma il miracolo ha una spiegazione? Non riuscivo nemmeno a pensare. Solo l'immagine della Madonna di Fatima mi splendeva su tutti i fuochi, sugli incendi, sulla barbarie degli uomini. Senza dubbio ero stato salvato perché portassi la testimonianza della Vergine su tutta la terra. Il dott. Keia Mujnuri, un amico dal quale mi recai quindici giorni dopo stabilì attraverso i raggi X che il mio corpo non aveva sofferto scottature. La barriera del mistero si frantumava. Cominciavo a credere nella bellezza dell'amore. Imparai il catechismo ma sul cuore tenevo l'immagine di Lei, il canto soave di Fatima. Desideravo il Signore per confessarmi, ma lo desideravo per mezzo di Sua Madre».

 Tratto da: La Signora di tutti i Popoli

 

SAN MASSIMILIANO KOLBE EROE PER AMORE DI CRISTO. Non c'è amore più grande che dare la vita per un fratello"

 

NAGASAKY DOPO BOMBA

 

[Modificato da Credente 07/08/2012 21:53]
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12/06/2013 20:12
 
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Il miracolo di Faverney 

Verso la fine del XVI e all'inizio del XVII secolo il calvinismo si era infiltrato in Francia, anche come conseguenza della decadenza nella preparazione e nei costumi del clero e dei religiosi. 

Questa è la situazione anche dell'abbazia benedettina di Faverney, oggi in Alta-Saone, a 20 di km da Vesoul, fondata nel secolo VIII. Nel 1608, all'epoca dei fatti, essa conta sei religiosi e due novizi, che vivono però nell'apatia e nella più assoluta tiepidezza spirituale; mantengono, però, il culto a Maria SS., e la tradizione di esporre per tre giorni il Santissimo Sacramento il giorno della Pentecoste e il lunedì e il martedì successivi. 


Il giorno di Pentecoste del 1608, il 25 maggio, su un semplice tavolo coperto dalla tovaglia e sormontato da un Tabernacolo che poggia su una pietra sacra, rivestita di corporali, con a fianco la Bolla del Papa Clemente VIII che accorda le indulgenze e la lettera di autorizzazione del Vescovo, il priore Don Sarron espone il Santissimo utilizzando l'Ostensorio d'argento che contiene due Ostie consacrate nella Messa del mattino. 

L'Adorazione si prolunga sino alle 8 di sera, quando il sagrestano Don Garnier spegne i ceri lasciando solamente accese le lampade, poi chiude la chiesa. 
Ma quando il lunedì mattina verso le tre ritorna all'abbazia, la trova piena di fumo, e al posto dell'altare non c'è che un mucchio di cenere. Sconvolto, Don Garnier va a svegliare gli altri monaci e, al tempo stesso, la gente del villaggio. Poi ritorna con Brennier, un novizio, sui luoghi dell'incendio. Ma nell'oscurità e nel fumo essi non scorgono nulla. 

Improvvisamente, tuttavia, il ragazzo lancia un grido, "Miracolo!", e con il dito indica l'Ostensorio sospeso in aria, nel medesimo posto dove era stato sistemato, ma senza alcun sostegno. È leggermente inclinato, e il braccio sinistro della piccola croce che lo sormonta sembra toccare una sbarra dell'inferriata. Per l'incendio del tavolo non restano che i quattro piedi danneggiati, uno dei candelieri fuso per metà, un altro rotto in tre pezzi. La pietra dell'altare su cui poggiava l'Ostensorio si spacca in tre parti quando viene toccata, mentre la Bolla pontificia è intatta, così come la lettera vescovile (soltanto il sigillo di cera rossa si è sciolto). 


Il reliquiario-ostensorio, il tubo di cristallo contenente la reliquia di Sant'Agata e l'involucro di sughero che lo chiudeva ad una estremità sono integri. Soprattutto le Ostie consacrate sono nell'Ostensorio, "come sospese" tra cielo e terra. Le persone, che presto si affollano per vedere e che scuotono l'inferriata, notano che niente trattiene il vaso sacro, immobile nell'aria. 


In attesa dell'arrivo dei cappuccini di Vesoul, famosi per la loro cultura e devozione, allo scopo di "avere consiglio su quello che dovranno fare", la folla accorre sempre più numerosa per i molti curiosi che cercano di vedere il miracolo. Tra i tanti vi sono scettici, dissoluti, eretici. Giunta la sera, la folla è sempre numerosa: quella notte al Santissimo non mancano adoratori. Quanto all'Ostensorio non si è mosso. 


Martedì 27 maggio, i benedettini e i cappuccini redigono un rapporto sugli avvenimenti, secondo l'intenzione dell'Arcivescovo di Besançon. Dopo la Messa conventuale, nell'abbazia, altre Messe si susseguono all'altar maggiore, celebrate dai curati di parrocchie vicine a Faverney. Durante la Messa celebrata dal parroco di Menoux, al Sanctus, uno dei ceri che bruciava alla destra del reliquiario-ostensorio si spegne. Don Garnier lo riaccende, ma la candela si spegne una seconda volta e poi una terza. 

Nel momento in cui il sacerdote alza l'Ostia che sta per consacrare, si sente come il suono di una lama che vibra: si vede l'Ostensorio, che fino a quel momento era rimasto inclinato, raddrizzarsi, poi, mentre il sacerdote all'altare abbassa l'Ostia, esso "s'abbassa dolcemente" sul corporale "così bene come se fosse stato deposto con tanto rispetto da un uomo di Chiesa". 


Il miracolo è finito: è durato 33 ore! La folla reagisce subito con applausi. Soltanto il curato di Menoux resta tranquillo e termina tranquillamente la sua Messa. Il guardiano dei cappuccini esamina allora e constata che l'Ostensorio, in nessuna parte, reca tracce "di ammaccature e di alterazione". 


Il 10 luglio successivo, l'arcivescovo dichiara autentico il miracolo. Anche le conseguenze furono miracolose. in primo luogo il consolidamento della fede cattolica nella popolazione: il fuoco aveva rispettato nello stesso tempo l'Eucaristia, le reliquie e la bolla delle indulgenze, tutte cose messe in discussione dai protestanti. L'evento si era ugualmente verificato in una chiesa monastica dedicata a Maria, quando gli stessi eretici se la prendevano con gli ordini religiosi e con il culto della Vergine. 


Numerosi ugonotti si convertirono dopo aver constatato i fatti: così Nicola de Camprendon, signore di Passavant e l'orefice di Montbéliard, Francesco Vuillard, i quali abiurarono con tutta la loro famiglia. Quest'ultimo era tornato più di trenta volte in chiesa per vedere e rivedere il miracolo; finalmente cadde in ginocchio, disse, per "adorare Dio che io vedevo nell'aria vincere le fiamme". 


L'abbazia di Faverney venne riformata nel 1613 e nuovi postulanti vi affluirono. Nacquero un po' dovunque o si rinnovarono le confraternite del SS. Sacramento, trascinando i loro membri ad una vita spirituale intensa e rafforzando le anime contro gli errori del giansenismo.
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12/01/2014 19:21
 
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Cottolengo. -

II Cottolengo (9) fu un fanciullo meravigliosamente buono e puro, che cercava di far amare Dio da tutti e di dare ai poveri tutto quello che poteva; fu un seminarista esemplare, poi un vicecurato ammirato dai parrocchiani; diventò dottore in teologia e canonico del Corpus Domini. Ma non conosceva ancora la sua vocazione.

(9) M. Achille Gorrino, Il beato Cottolengo, apostolo di fede e di carità, Pinerolo, Scuola Tipografica Orfanotrofio Cottolengo, 1932. Tenerezze della Dònna Provvidenza nella sua Pìccola Casa, anonimo, stesso editore, 1928; Stefano Ballario, San Giuseppe Benedetto Cottolengo, Torino, Marietti, 1934; Icolio Felici, II Cottolengo, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1934.

Il cuore del giovane canonico è colpito dalla tragica avventura d'una povera donna, venuta dalla Francia, incinta e affetta da apoplessia, respinta da un ospedale dove vuoi rifugiarsi per il parto e da un altro ancora, perché affetta da una malattia che non è il parto. È possibile che poveri infelici muoiano in questo modo, abbandonati da tutti, senza commuovere la carità cristiana? Dice al sacrestano di suonare la campana, si mette a pregare all'altare della Madonna. Il suono insolito richiama alcune buone persone che vengono alla funzione improvvisata; si prega di tutto cuore e, quando rientra in sacrestia, il Cottolengo grida: a La grazia è fattal " Ormai conosce la sua vocazione e camminerà diritto senza deflettere. Prima, la fondazione della Volta Rossa; poi, quando l'epidemia e il governo hanno disperso malati e infermieri, la fondazione delle " Orsoline " per fanciulli abbandonati e d'un nuovo ospedale a Valdocco. Gli si dice che tutto questo è assurdo : " Ma io sono di Bra, risponde, il paese dove si piantano i cavoli; e i cavoli trapiantati diventano grossi ". Infatti prevede l'avvenire, e molte volte egli annunciò espressamente, contro ogni previsione, l'estensione inaudita della sua opera, che per la prudenza umana è veramente una follia irrealizzabile: ricevere tutti i rifiuti della società, quelli respinti da tutti accettarli senza mai rifiutare, curarli, spiritualizzarli, farne dei santi, e intanto non possedere mai nessun capitale e nemmeno riserve provvisorie. Il denaro appena ricevuto viene distribuito immediatamente in derrate, vestiti, letti e nuove costruzioni. Il Cottolengo teme talmente che la Piccola Casa possa avere ricchezze che, qualche volta, per mostrare ai suoi figli e alle sue figlie su quali basi soprannaturali riposi l'opera, getta il denaro dalla finestra.

Ora quest'opera assurda è cresciuta ed è prosperata; i ricoverati sono diventati migliaia, oggi sono più di dieci mila (il Cottolengo proibì di contarli, ma non si può impedire al governo di fare censimenti). Tutti sono mantenuti dalla carità, che giorno per giorno, a caso, non importa come, porta doni d'ogni genere ed è un miracolo perpetuo che la fonte della sussistenza non secchi mai e produca un fiume che alimenta tante bocche.

D'altronde i miracoli, talora in modo indiscutibile e nascosto, accompagnarono tutta l'esistenza "del Cottolengo" (così viene chiamato l'enorme insieme d'ospedali, ricoveri e monasteri). Non una volta sola capitò che mancassero le provviste e i denari e che non restasse assolutamente nulla per il pasto successivo: il Cottolengo e i suoi pregano, pensando alle tavole vuote; ed ecco all'improvviso persone sconosciute, che non rivelano né il nome né di dove vengono, presentarsi alla porteria con un carro carico di farina; scaricano la loro mercé, partono incogniti come sono venuti, e non si sentirà mai più parlare di loro. Altre volte un creditore, stanco d'aspettare il suo avere e di ricevere solo promesse, viene a reclamare. Il Cottolengo vuota cassetti e tasche e non trova niente; scende dalla sua camera e cerca di calmare con buone parole l'uomo impaziente e infuriato, che si gettava su di lui e cominciava a maltrattarlo. Il povero prete con un gesto abituale e disperato mette ancora una volta la sua mano in tasca e, meravigliai l'estrae piena d'un rotolo di monete d'oro! Inutile allungare l'elenco dei miracoli o di provarli con citazioni: ben altri ne troverà chi vorrà leggere le sue biografie diffuse e serie.

Riflettiamo un po' e cerchiamo di comprendere il senso di questa storia. Il giorno in cui " la grazia è stata fatta " il canonico Cottolengo concepì l'opera futura, certo oscuramente, ma la concepì. Oggi dieci mila infelici, ai margini d'un quartiere di Torino, sono miracolosamente nutriti, curati, amati, santificati; e legioni di preti, di suore, di uomini e donne pie si santificano servendoli; una folla di persone che amano e glorificano Dio, manifestando e diffondendo lo spirito del totale abbandono alla Divina Provvidenza, a la carità che ci spinge", la gioia sovrumana che nasce dall'abbandono, l'umile abnegazione, che fa il bene che resta nascosto, e ringrazia incessantemente coloro che si onora di servire.

Un pensiero è cresciuto, è diventato un'opera immensa, si è concentrato in virtù e gioia che il mondo ignora; la crescita è stata accompagnata da miracoli ed è incredibile come sopravviva: qui tutto, dal genne fino all'improbabile espansione, si corrisponde, cospira ancor più che nell'embriogenià d'un animale o nella nascita di una specie. Carattere proprio ed essenziale della vita è realizzare un risultato assolutamente improbabile con mezzi estremamente complessi (10). C'è qui una finalità dinamica, che non si può misconoscere senza cadere nell'assurdo, e se si domanda dov'è la causa che ha mosso e condotto tutto, i " cottolenghini" non esiteranno a rispondere che è la Provvidenza". La finalità porta in sé il suo senso ovvio: come l'occhio mostra di essere fatto per vedere, e l'orecchio per sentire, " il Cottolengo " mostra d'essere fatto per attuare un pensiero e un volere di Dio: quel volere che si esprime con le esigenze della santità cristiana, si realizza con le regole ispirate dai dommi cristiani e che la Chiesa ratifica, è una testimonianza della verità del cattolicesimo.


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12/01/2014 19:21
 
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Don Bosco. -Il destino di Don Bosco fu annunciato quand'egli era ancora seminarista dallo stesso Cottolengo! (11), che palpando il panno della sottana del giovane gli disse: " Oh più tardi dovrai portare abiti di stoffa più forte, se non vuoi che te li strappino ". Allusione, allora inspiegabile, ai ragazzi di strada che giocheranno con il loro apostolo e amico, familiarmente e chiassosamente. Anche D. Bosco previde la sua opera, più tardi: quando appena essa nasceva, ne annunciò l'estensione contro ogni verosimiglianza; anche lui passò per pazzo con le sue iniziative irragionevoli. Ricordiamo la graziosa scena dei canonici che vengono a cercarlo, per portarlo in una casa di salute, ed egli gentile e rispettoso : " Salite per primi, signori canonici " dice e, quando si sono accomodati nella vettura: " Andatel " dice al cocchiere, indicando la direzione del manicomio.

Più che annunci sulla sua opera complessiva, Giovanni Bosco per molti anni ricevette da Dio comunicazioni sul suo avvenire, in sogno, e da principio è ben inteso che non ci credeva. Dopo aver veduto tante volte realizzati i sogni premonitori, si decise a prenderne nota e ne riempì dei quaderni, e il suo biografo, il Lemoyne, cita avveramenti straordinari dei suoi sogni.

(10) E' su questo carattere che insiste Bergson, neH'Evolutitm créatrice, e più ancora Ed. Le Roy, in L'exigence idealisti et lefait de l'éoolution.

(11) G. B. Lemoyne, S. Giovanni Bosco, a volL, ed. a cura di A. Amadei, S. E. I. Torino.

Ancor più straordinarie sono le apparizioni del figlio d'un amico di Don Bosco e benefattore delle sue opere, che morì come un predestinato nel fiore dell'adolescenza, divenendo in seguito il confidente e il consigliere del fondatore di congregazioni. Alle volte il vecchio prete e il piccolo angelo s'intrattengono per ore; ma una volta, mentre Don Bosco celebra la messa a Hyéres, il giovane gli annuncia che l'America del Sud attende i suoi missionarii e che egli deve ammettere i fanciulli alla Comunione precoce. Abbiamo citato questi fatti solo a titolo d'esempio, scegliendoli a caso, ma tutti sanno che Don Bosco fu un taumaturgo, e nelle sue biografie si possono raccogliere i miracoli a bracciate.

Tutto questo però solo per condurci alla sua vita interiore e alla sua attività di santo, che fu distribuita in molte e diverse direzioni e fu talmente tesa in ogni istante per trame il massimo rendimento, che ci possiamo chiedere se la caratteristica della Società Salesiana non sia il buon impiego del massimo lavoro per servire Dio. Anche se D. Bosco avesse dato questa sola lezione, di fare cioè tutto il lavoro possibile, di santificare e utilizzare tutti i lavori, sarebbe già un insegnamento di primaria importanza nel secolo materialista del macchinismo e del proletariato. Ma anche qui, dall'uomo che ha composto un manuale d'aritmetica all'uomo che ha costruito chiese, si passa attraverso una serie inaudita d'iniziative diverse. Intanto le opere dell'Oratorio e la fondazione delle due Società salesiane danno un nuovo metodo d'educazione popolare e cristiana e d'apostolato missionario, metodo questo che ci sembra esprimere l'originalità soprannaturale di Don Bosco. Molto più di Gian Giacomo Rousseau e senza perdersi nelle sue utopie, il prete torinese praticò e fece praticare un'educazione attraverso l'attrattiva e la gioia, che trova le sue risorse nell'affetto e nelle confidenze, con un risultato straordinario che s'afferma sempre più. Oggi ancora si moltiplicano le fondazioni: in Francia, nel Belgio, in Italia, Germania, Austria, Cecoslovacchia, Polonia, Ungheria, Spagna, nel Brasile, nel Venezuela, in Cina, nel Siam; nel solo 1934 ci furono 33 fondazioni, oltre 72 posti di missione, scuole primarie e una chiesa nel Congo Belga.

Come per il Cottolengo, la vita e l'opera di Don Bosco sono lo sviluppo e l'espansione d'un'idea e d'un programma. Questo figlio di poveri contadini piemontesi è stato il principio di un immenso movimento di pensiero, di lavoro, d'educazione, d'apostolato, d'amore di Dio: i suoi ventimila religiosi educano centinaia di migliaia di fanciulli; da lui deriva una vita spirituale a milioni di anime. Finalità dinamica, come quella che dirige la formazione d'un feto o la nascita d'una specie; finalità dinamica, di cui si vede il significato studiando la vita interiore di Don Bosco, poiché questa è la forza che ha messo in moto i suoi lavori. I prodigi attestano che la vita interiore era santa e la forza sovrumana.

Mi basta adoperare i miei occhi e poi analizzarne gli elementi e il funzionamento per capire che sono fatti per vedere; cosi dopo che sono penetrato un po' nell'anima di Don Bosco, capisco il senso della sua esistenza e della sua opera, e so che Dio ne è l'autore, perché Don Bosco non ne dubitò mai. Io spiego i suoi miracoli e i suoi sogni; le sue ispirazioni e le realizzazioni, mediante la Verità vivente con la quale era in rapporti familiari.
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12/01/2014 19:22
 
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II Curato d'Ars. - II curato d'Ars convertì degli atei. Quali ragionamenti o riflessioni conducevano a credere in Gesù Cristo colui che il Vianney invitava a inginocchiarsi? (12). Aveva visto pellegrini venuti da ogni parte per sentire un prete uscito dal nulla, senza istruzione, senza l'eloquenza e senza abilità, con la sola sua santità e bontà. L'incredulo ad Ars aveva saputo come il Curato avesse trasformato la parrocchia, e come tante anime avvicinandosi a lui erano risalite dall'abisso: peccatori divenuti virtuosi, anime volgari che ascendevano le vette dell'abnegazione, poi le predizioni avverate, castighi inverosimili annunciati prima e che più tardi s'avveravano come terribilmente reali; il segreto dei cuori svelati, gli sconosciuti chiamati per nome quando Giovanni Vianney li vedeva per la prima volta.

(12) Vedi per esempio la conversione di M. Maissiat. Trochu, Il Curato d'Ars: San Giov. Batt. Vianney. 6 ed., Marietti, Torino 1952.

Il Trochu, nei due volumi Intuitions du Cure d'Ars (13), riunì un cumulo impressionante dì questi fatti. Certamente un grande numero di essi, riportati da gente che li aveva sentiti raccontare da testimoni, potranno sembrare insufficientemente accertati a uno storico molto esigente, almeno se isolati. Ma la massa resta enorme e il complesso s'impone per la convergenza e la solidità degli elementi. Inoltre certi fatti sono attestati da quelli stessi che ne sono il soggetto, e che sono onorabilmente conosciuti: non è possibile metterli in dubbio. Cosi la riflessione dell'ateo inginocchiato davanti al curato d'Ars era fondata molto seriamente. Risultati assolutamente improbabili coi mezzi notoriamente inadatti a ottenerli; attorno ad essi santità immensa, bontà, prodigi. Di dove viene tutto questo, se non da Dio, del quale parla continuamente il povero prete e lo proclama l'Autore d'ogni bene? E questo Dio come può non essere il Dio del Vangelo annunciato da questo prete, il Dio della Chiesa alla quale egli obbedisce?

Matteo Talbot, -I santi di cui abbiamo parlato con le loro opere emanano un influsso apologetico irresistibile su ogni coscienza di buona volontà che li conosce. Altri santi con la loro situazione sociale, il carattere e le vicende, sono destinati a dare un fondamento o una stabilità alla fede di alcune classi di uomini che hanno fatto le stesse esperienze. Ecco, per esempio, " il santo del cantiere " Matteo Talbot. La casa Desclèe de Brouwer ha inaugurato una collana col titolo a La lumière ouvrière " cominciando con la biografia di que st'Irlandese (14), prima muratore, poi magazziniere in una impresa di legnami. La lettura del libro fa certamente del bene a tutti, ma sarebbe adatta per sostenere la fede vacillante d'un uomo di mondo? Invece un operaio a rivivrà " pienamente le difficoltà, gli stati d'animo, gli sforzi, le vittorie del suo
umile collega. Talbot aveva la passione del bere, spendeva alla bettola tutto il salario, avendo l'unica soddisfazione di tracannare i liquidi alcoolici, vendendo perfino le scarpe per poter bere. Finalmente fece voto di temperanza per tre mesi, voto difficile per qualsiasi bevitore, ma molto più per l'operaio che deve lasciare i colleghi nell'uscire dall'officina e passare davanti all'osteria senz'entrare mentre lo chiamano. In questi tre mesi Matteo era talmente tentato che diceva a sua madre : " Passati i tre mesi non potrò più resistere e tutto sarà finito ". Poi fece il voto perpetuo e lo mantenne.

" Una volta il sovrintendente, giudicando che gli uomini non avessero lavorato abbastanza, parlò molto duramente: Matteo Talbot, che era tra loro, ascoltò senza commuoversi. Alla fine del discorso un uomo afferrò una trivella da carpentiere per gettarla più lontano; poi improvvisamente si volse a Matteo e gli assestò un violento colpo alla testa. Talbot restò ferito, ma non fiatò e continuò il suo lavoro come se nulla fosse " (p. 64). Questo fatto letto da un sacerdote sarà un'esortazione alla pazienza, letto da un operaio sarà un argomento della verità del cristianesimo. Per giudicare la difficoltà di certi atteggiamenti e rinunce, bisogna aver vissuto la vita che li comporta. Un operaio giudicherà che gli atteggiamenti e le rinunce di Talbot sono impossibili per l'uomo attirato solo dal piacere, dall'interesse e dal conformismo. Occorre un altro ideale e una forza sconosciuta dall'operaio medio. Soltanto la fede e l'aiuto soprannaturale spiegano la condotta di Talbot.

Due volumi, Vitte, Parigi-Lione, 1931.
(13) Joseph. A. Glynn, Malt. Talbot, le Saint au ckantier (trad. frane. G. d'Ars.).
(14) Parigi, Desclée de Br., 1935. Matteo Talbot, morto nel 1925, non è canonizzato; ma ci permettiamo di parlarne dopo i santi canonizzati, perché il Card. Arcivescovo di Dublino ha ordinato l'inchiesta sulle sue virtù.
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12/01/2014 19:33
 
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Dal secolo XIII la Chiesa canonizza i suoi santi dopo un'inchiesta in cui depongono testimoni giurati in nome di Dio di dire soltanto la verità. Possediamo tuttora il testo di molti processi di canonizzazione. Come già l'antichità, il Medioevo ha testi agiografia ai quali la storia più severa deve accordare tutta la fiducia. Inutile dire che dal secolo XVI in poi i documenti autobiografici non scarseggiano, che vi sono numerose corrispondenze (per esempio quelle dei Gesuiti, pubblicate nei Monumenta historica Societatis Jesu, Madrid 1894-1904), che negli archivi sono riposti innumerevoli documenti e si è ben lontani dall'aver esplorato tutto e completamente. Nei processi di canonizzazione le deposizioni dei testimoni si moltiplicano e ci offrono documenti più sicuri. I Bollandisti, i Benedettini di San Mauro raccolgono e vagliano questi documenti in opere che per la solidità critica sfidano i secoli.

Esempi storici. - Si potrebbero tracciare quadri organici della taumaturgia cristiana e descrivere secondo le epoche i vari caratteri e la finalità diversa dei miracoli? Crediamo di sì e i risultati sarebbero molto istruttivi per il teologo, il sociologo e lo psicologo. Ma siccome il lavoro non è ancora stato tentato, non osiamo arrischiarci nel tentativo d'una sintesi prematura. Ci limiteremo a percorrere i secoli cristiani e a notare ciò che ci cadrà sottocchio, o forse più semplicemente, ciò con cui abbiamo più familiarità per i nostri studi.

a)I martiri della Chiesa primitiva. - Nel secolo secondo, la lettera " della Chiesa di Dio che dimora a Smirne alla Chiesa di Dio che dimora a Filomelio e a tutte le -comunità della santa Chiesa cattolica " racconta il martirio del vescovo Policarpo, avvenuto il 22 febbraio del 156. È un documento ufficiale, scritto subito dopo la morte del santo vegliardo, nella sua diocesi e dal suo clero, documento commovente, anche se spesso è arido come un verbale. Policarpo non s'è esposto al martirio, ma umilmente e prudentemente s'è ritirato in campagna. Tre giorni prima del suo arresto sogna che il suo guanciale prende fuoco e, svegliatosi dice ai compagni: ti Io dovrò essere arso vivo ", come appunto accadde. Tralasciamo la mirabile preghiera del vescovo alla presenza dei suoi custodi, sorvoliamo sulla sua dignità, sul silenzio e l'azione di grazie mentre viene inchiodato al rogo. I testimoni cristiani vedono circondare il corpo " come la vela d'una nave gonfiata al vento ". Si noti la sobrietà di questi tratti: i preti e diaconi di Smirne in fatto di meraviglioso hanno notato solo ed esattamente ciò che hanno visto. Cfr. Martirio di S. Poli-carpo in I Padri Apostolici a cura di G. Bosio, S.E.I., Torino 1942, voL il, p. 216 ss.

Quindici anni dopo la morte di Policarpo, cioè nel 177, nel teatro di Lione avvennero le scene atroci e sublimi descritte da un'altra lettera ufficiale: " I servi di Cristo abitanti a Vienna e a Lione in Gallia, ai fratelli che in Asia e in Frigia hanno la stessa fede e la stessa speranza della redenzione ". Il documento ci è conservato nel quinto libro della Storia Ecclesiastica d'Euse-bio. Nessuno può dubitare dell'autenticità e della sincerità del passo che Renan nel suo Marc-Aurèle ha citato con ammirazione.

Non raccontiamo ma invitiamo il lettore a prendere diretta conoscenza di questo brano straordinario. Possiamo chiederci se mai la credulità degli uomini abbia inventato supplizi più raffinati e se mai si sia accanita con più tenacia contro gl'infelici. Il primo giorno la schiava Blandina è torturata dal mattino fino alla sera e i carnefici confessano che non sanno più che cosa inventare per farla soffrire.

È ricondotta alla prigione, le sono rimessi i piedi nei ceppi. Nei giorni successivi è condotta al teatro per veder soffrire e morire gli altri martiri. L'ultimo giorno i carnefici ricominciano a torturarla; sopporta tutto, le fustigazioni, la graticola arroventata, le bestie feroci; e colei che ha esortato a morire tutti i suoi compagni, resta impassibile. Il redattore ha notato che essa allora " non sentiva più ciò che accadeva a motivo... della sua familiarità con Cristo ". Crediamo sia già un miracolo che una persona sopporti per sei giorni tutti i supplizi con tanta grandezza d'animo da non dire il nome suo e del suo paese, avendo un solo nome e una sola gloria: a Io sono cristiano ". A questo prodigio Dio non ritenne opportuno aggiungere prodigi corporali, che sarebbero stati d'un ordine inferiore. Il redattore ha solo notato rapidamente che Dio intervenne per sostenere uno dei suoi eletti addolcendone la passione.
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12/01/2014 19:34
 
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Nel IV e nel v secolo. - Non ci soffermiamo per caratterizzare gl'interventi di Dio nella Chiesa primitiva, intendendo dimostrare che " i miracoli fatti perché il mondo creda in Cristo, non cessano allorché il mondo crede ". Queste parole sono il titolo dell'ottavo capitolo del ventiduesimo libro del De Civitate Dei. In questo lungo capitolo Sant'Agostino enumera moltissimi miracoli avvenuti al suo tempo in Africa. Ne citiamo due attestati da testimoni oculari. Mentre Agostino insegnava a Milano, il vescovo Ambrogio, avvertito in sogno, fa cercare e trovare i corpi dei martiri Gervasio e Protasio: un cieco ricupera la vista alla presenza di un'immensa moltitudine: immenso populo teste res gesta est. Il racconto riguardo a Innocenzo è estremamente curioso. Quest'uomo occupava un posto elevato: era della prefettura di Cartagine e vedremo tutto l'alto clero rendergli visita e interessarsi della sua salute.

(20)P. L. III., col. 25. I capitoli successivi raccontano altre visioni.
(21)Histoire littéraire de l'Afrique chrétienne, II., p. 191.
(22)Vita Cipriani, 12.
(23) Ep. II, 3-4 e 6, 66, e io anche nel trattato De moralitate, 20.

L'infelice nella parte posteriore del corpo aveva numerose " fistole ". I medici andarono col ferro e dopo vari colpi di bisturi erano riusciti a guarirlo. Restavano solo le cicatrici a segnare la gravita della malattia (24). Però c'era ancora un postumo profondo (25), che i dottori promettevano di guarire con medicamenti, senza operazione, e anche il medico Ammonio, chiamato al consulto, era dello stesso parere. Ma il male pur troppo si accaniva e i medici alla fine dovettero confessare che occorreva ricorrere di nuovo ai ferri. Innocenzo furibondo li scacciò e si rivolse a un certo Alessandrino, rinomato chirurgo; questi però si rifiutò di fare l'operazione, dicendo di non essere abituato a togliere ai colleghi la gloria di terminare la cura e la guarigione, poiché le cicatrici rivelavano la loro abilità, e Innocenzo fu d'accordo. La sera stessa il vescovo Aurelio col vescovo Saturnino e altri ecclesiastici, tra i quali Agostino, vennero a trovare Innocenzo e lo esortarono ad accettare virilmente la volontà di Dio. Si misero a pregare con molto fervore e il malato supplicò con molte lacrime che Agostino in particolare pensasse a lui. " Signore, quali preghiere dei tuoi fedeli esaudirai, se non ascolti queste? ". " Mi sembrava, aggiunge S. Agostino, che non si potesse fare di più, se non morire nella preghiera ". L'indomani giungono i medici, distendono il malato sul letto, tolgono le bende e impugnano i loro temibili arnesi, mettono a nudo la piaga, ma il chirurgo cerca invano il " sinus " malato al posto del quale c'è soltanto una cicatrice secca (26).

Anche nel nostro pallido riassunto il lettore avrà notato il carattere realista del racconto, la semplicità e l'esattezza delle annotazioni, e come i medici dell'antichità praticavano già l'attuale deontologia, perché il grande chirurgo rifiuta di fare l'operazione senza i colleghi che hanno già curato il malato (27).

Agostino, enumerando tanti miracoli avvenuti nel suo paese, ne ricorda forse qualcuno in cui noi vedremmo soltanto coincidenze o felici esiti: l'ufficio delle constatazioni di Lourdes non accetterebbe il caso del fratello e della sorella originari di Cesarea di Cappadocia guariti a Ippona vicino alle reliquie di Santo Stefano (28), portate poco prima in Africa e che avevano operati numerosi prodigi. Agostino si scusa di raccontarne tanto pochi e teme die i testimoni gliene facciano rimprovero e ci dice che se avesse redatto il racconto di tutti i miracoli fatti dal primo Martire a Bona e a Guelma sarebbero stati necessari molti libri, aggiungendo che i vescovi d'altronde non avevano raccolto notizie su tutti i miracoli (29). Infatti al principio del V secolo (415)

Curabatur a medicis: fistulas, quas numerosas atque pcrplexas habuit in po
steriore atque ima corporis parte, jam secuerant ei, et artis suae cetera medicamentis
agebant.
Sed unus inter multos sinus fefellerat medicos, atque ita latuerat, ut eum non
tangerent, quem ferro aperire debuerat.
Tremenda ferramenta proferuntur... ad manus secturi membra in Iectulo
componuntur, solvuntur nodi ligamentorum, nudatur locus, inspicit medicus... invenit
firmìssimam cicatricem.
Di che malattia si trattava? A noi sembra che Innocenzo soffrisse d una serie
di ascessi freddi, che avevano per orifizio le fistole e la sacca profonda di pus formava il
sinus, oppure si trattava d'una fistola anale?
Evidentemente si trattava di una malattia nervosa.
Quindi c'erano fin d'allora pubblicazioni ufficiali sui miracoli, che in qualche
modo preludevano alle moderne canonizzazioni.

furono scoperti a Gerusalemme i resti di Santo Stefano in seguito ad un'apparizione al prete Luciano che la racconta in una curiosa lettera (30). I nostri lettori avranno pensato spontaneamente all'invenzione della Santa Croce, avvenuta circa cent'anni prima. Il culto delle reliquie si diffonde, e possiamo seguirlo nelle strade dell'Impero romano.

Ben presto il mondo cristiano ebbe dei santi che non erano martiri, cioè i confessori e le vergini, che compivano anch'essi miracoli. Nel quarto secolo San Martino fu un taumaturgo straordinario, ma il suo biografo, Sulpicio Severo, ha fama di credulone e perciò non ci fermiamo sui miracoli dell'apostolo dei Galli. Però anche se Sulpicio Severo riporta fatti forse abbelliti dall'immaginazione popolare, la fama di Martino taumaturgo aveva un fondamento e gli attribuirono qualche falso miracolo solo perché ne compì dei veri. Trium mortuorum suscitator, dice la liturgia. Sorvoliamo i secoli merovingi e carolingi, per arrivare alla possente fioritura di santi del secoloXIII.
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12/01/2014 19:36
 
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Il Medioevo. - Le stimmate di San Francesco devono' essere considerate come uno dei miracoli più significativi di cui si gloria la Chiesa. Francesco visse per due anni con le mani e i piedi forati, con grumi di sangue nero in forma di chiodi, con il costato aperto: era veramente l'immagine viva di Gesù Cristo. Si sa che egli dissimulava le divine ferite e nella sua vita ben pochi riuscirono a vederle sotto le maniche sempre allungate. Tuttavia fra Pacifico vide di sorpresa la piaga d'una mano; un altro frate vide quella del costato che fra Rufino toccò, come è accertato da Tommaso da Celano, che visse tra i familiari di San Francesco e scrisse alcuni anni dopo la morte del santo. Le stimmate furono poi vedute da folle immense quando il cadavere di Francesco fu esposto prima delle esequie. "Alla morte del santo, racconta Tommaso da Celano, tutta la città d'Assisi si precipitò alla Porziuncola. Finalmente si vedevano le stimmate. Erano chiodi formati dalla carne del santo, sembravano " innati " nella stessa carne, e quando venivano premuti da una parte uscivano dall'altra... Noi abbiamo visto quello che diciamo e abbiamo toccato questi chiodi con la mano che scrive queste righe ".

Tommaso descrive le stimmate come le aveva viste,
Questa descrizione d'un teste oculare non lascia nulla a desiderare ed elimina in anticipo le possibili obiezioni. Renan aveva sospettato die fosse frate Elia, vicario generale dell'Ordine alla morte del Santo, a fabbricare le stimmate. Ma Elia oltre che essere, nonostante i suoi difetti, un uomo onesto, incapace d'ingannare tutti i familiari del Santo, come avrebbe potuto pensare di fabbricare dei chiodi col sangue coagulato? D'altronde non dimentichiamo che le stimmate erano già state vedute prima della morte di Francesco e che egli, senza mostrare né dire ai frati i segni impressi nel suo corpo, aveva loro confidato l'apparizione della Verna. Fra Illuminato, dall'emozione che vedeva in lui, aveva capito che qualche cosa di meraviglioso era accaduto e aveva chiesto che gli fosse svelato il mistero perché o non è solo per voi, ma anche per gli altri che vi sono stati svelati i misteri del cielo ". Allora il Santo aveva fatto tacere le sue ripugnanze e manifestato l'apparizione celeste, aggiungendo che colui che gli era apparso gli aveva svelato cose che non avrebbe mai detto a nessuno fino alla sua morte.

(30) E' in appendice del t. VII dell'ed. Benedettina di Sant'Agostino e nella P. L. t. XLI.

Le stimmate di San Francesco compiono la somiglianzà di Gesù Cristo crocifisso in un uomo, e la Chiesa le ritiene un miracolo cosi grandioso e toccante, che le commemora con una festa speciale (17 settembre). Si è preteso die l'isterismo possa produrre fenomeni analoghi. Qui non possiamo entrare in una discussione che richiederebbe troppo sviluppo, ma bisognerebbe sapere che cos'è l'isterismo. Se con Babinski lo si concepisce come una malattia dell'immaginazione con ripercussioni sul sistema simpatico, basta leggere con attenzione i documenti che riguardano San Francesco d'Assisi per constatare che egli non fu mai affetto da questa malattia. Recentemente è venuta alla luce una nuova concezione dell'isterismo: l'isteria pura non avrebbe niente a che fare con la mitomania, ma sarebbe una malattia della sensibilità. Il sistema simpatico scosso dalle emozioni, che non producono risultati morbidi in uomini normali, causerebbe allora ogni specie di sintomi dall'apparenza molto gravi, ma suscettibili di scomparire assai facilmente. Il dottor Poray-Madeyski ha cercato di spiegare cosi le stimmate di Teresa Neumann (31); la stessa spiegazione venne proposta in una riunione di psicologia religiosa di Avon per render conto di certi fatti (non stimmate) della vita di Madre Noblet.
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12/01/2014 19:42
 
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In quanto a Teresa Neumann, devo dire che l'opera di Poray-Madeyski non mi ha affatto convinto. È un'ipotesi nuda di qualsiasi prova; come mai un'azione degli ormoni e del simpatico, scatenata dalle emozioni, produrrebbe le stimmate a forma di chiodi quali le descrivono i testimoni, le abbondanti effusioni di sangue del venerdì eco, mentre negli altri malati produrrebbe soltanto fenomeni poco interessanti e senza significato? Pietro Janet nella sua celebre Maddalena, pur cosi pia ed emotiva, cercò di ottenere le stimmate con la suggestione, ma riuscì soltanto a vedere alcune gocce di sangue e non era ancora sicuro che Maddalena non si fosse graffiata la mano.

Si troverà una confutazione del dottor Poray-Madeyski nel libro di Parcot, Thérèse Neumann, la stigmatisée de Konnersreuth, Bloud et Gay, Paris. In-somma i medici nei loro malati non hanno mai constatato nulla che assomigli alle stimmate di San Francesco d'Assisi, descritte da Tommaso da Celano e da San Bonaventura (32).

(31) Thérhe Neumann, Lethielleux, Paris 1945.
(32) Sulle stimmate vedi soprattutto i testi di Tommaso da Celano e di San Bonaventura (che non è un teste, ma scrisse secondo i testi); inoltre GiovanniJobrgensen S. Francesco d'Assisi, S. E. I. Torino ; Stigmates de saint Francois, ài Leone Le Monne" e del Dr. Robert van der Elst, nel D. A. F. C. t. iv, 1493-1507.

Anche ammettendo che la formazione delle piaghe in mezzo alle mani e ai piedi sia spiegabile con un processo fisiologico naturale, le stimmate di Francesco, scavate in seguito all'apparizione della Verna e circondate da tanti prodigi con cui Dio favori il suo servo, sarebbero lo stesso un'opera di Dio. Il miracolo non è necessariamente quello che la natura non può fare in nessuna ipotesi, ma è prima di tutto l'operazione compiuta certamente da Dio, per manifestare agli uomini un insegnamento e un appello. Ora nella vita di San Francesco d'Assisi abbondano i miracoli, accertati dalle testimonianze più sicure. Subito dopo la sua morte egli compì in Assisi miracoli che vennero proclamati quando fu beatificato quattro anni dopo, come quello così commovente, del fanciullo paralizzato al quale Francesco apparve dandogli delle pere, e quello del sordomuto, al quale brave persone promettevano che lo avrebbero custodito, se Francesco lo avesse guarito. Il dono dei miracoli, che in vita San Francesco aveva talmente posseduto da sembrare che tutta quanta la natura fisica volesse fargli festa, egli trasmise ai suoi discepoli, tra i quali il più famoso taumaturgo è Sant'Antonio di Padova. Attorno alla sua persona la leggenda ha molto ricamato; ma di lui ripetiamo quello che abbiamo detto di San Martino: si fanno prestiti solo a chi è ricco. Il secolo xm conobbe una fioritura di santi estremamente grande: nelle loro vite si troveranno molti miracoli, e anche se la critica storica ne dovesse scartare qualcuno, ne resterebbero ancora tanti da riempire troppe pagine per riferirli qui.

Abbiamo parlato del compito delle visioni nell'antichità cristiana: visioni immaginative, rapide, un semplice avviso in una data situazione. In quei tempi ci furono anime favorite di visioni intellettuali, che entrarono' nei misteri della divinità attraverso i gradi superiori dell'orazione? È verosimile: gli scritti di San Gregorio di Nissa, per esempio, lo fanno pensare (33); ma il fatto è che i fenomeni mistici nel Medioevo si moltiplicarono e lasciarono tracce giunte fino a noi.

Più ancora che nei grandi secoli del Medioevo, è durante i grandi scismi, le guerre atroci, le pesti che spopolano la cristianità, poi nel Rinascimento paganeggiante che appaiono i mistici i quali sembrano trascorrere la loro vita intera nell'aldilà. Si direbbe che per venire incontro ai mali della Chiesa e per consolare le anime Dio interviene in modo più visibile e continuo. In Italia, nelle Fiandre, in Germania, poi nel secolo xvi in Spagna si succedono i mistici che si potrebbero chiamare classici: Santa Caterina da Siena, la beata Angela da Foligno e tant'altri, le cui cognizioni soprannaturali, comunicate da Dio, sono certamente miracoli e offrono un eccellente argomento apologetico. Spingendo tale argomento più avanti di quanto non abbia fatto il Bergson nelle Deux Sources de la morale et de la religion, si può dimostrare che i mistici cristiani attingono le più alte vette ove sia mai salita l'umanità; che le loro esperienze non sono al di sotto dell'intelligenza, ma al di sopra; che dalle loro esperienze soprannaturali derivano il loro amore e la loro azione così potente nel mondo; che le loro conoscenze soprannaturali non sono illusioni ma verità, e che di conseguenza il cristianesimo, del quale hanno veduto i misteri, è proprio la religione rivelata da Dio. Sfortunatamente questo argomento per essere sufficientemente sviluppato richiederebbe discussioni psicologiche, alle quali non possiamo qui fare posto. Perciò invitiamo il lettore a studiare lui stesso Santa Caterina da Siena o Santa Teresa, aiutandosi con lavori storici, psicologici, teologici seri, e questo studio rafforzerà solidamente la sua fede (34).

(33) Danielou, Platonisme et tipologie mystique chez saint Gregoire de Nyssc, Aubier, Paris 1946.
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12/01/2014 19:43
 
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II Rinascimento e i tempi moderni. - II secolo xvi vide un rinnovamento religioso e un fiorire di santità possente quanto quello del secolo xm e forse più meraviglioso. Nella Chiesa s'erano diffusi grandi disordini ed erano falliti molti tentativi di riforma; i protestanti pretendevano che Dio non fosse più con Roma e i cattolici di poca fede dovevano credere qualsiasi rinnovamento impossibile per sempre. Ora questo rinnovamento comincia quasi subito dopo Alessandro vi: grandi santi radunano attorno a sé discepoli che praticano tutte le rinunce; la fede, o meglio la contemplazione più sublime, ispira ovunque fondazioni caritative, opere d'evangelizzazione, di educazione e di scienza (35). La stona dei primi Gesuiti è splendida quanto quella dei primi Francescani e dei primi Domenicani. E oltre i Gesuiti quanti fondatori di ordini e quanti santi isolati! Leggendo le loro vite si potrebbe raccogliere una messe immensa di miracoli, che sarebbe anche più istruttiva dei miracoli del Medioevo, perché gli scrittori del Medioevo raccontavano i prodigi tali e quali, senza metterli nell'ambiente che da ad essi tutto il loro significato religioso, mentre nel secolo xvi possediamo molti documenti per capire il punto di partenza, il termine, le ripercussioni d'un miracolo. Cosi la corrispondenza di San Francesco Saverio, benché non parli dei suoi miracoli, ci permette collegarli con le disposizioni intime del Santo, ai bisogni dei suoi uditori, al successo della sua missione.

I miracoli di San Francesco Saverio furono certamente molto numerosi e splendidi. Disgraziatamente la prima inchiesta per la canonizzazióne, cominciata nel 1556, otto anni dopo la sua morte, fu fatta soltanto in alcune città occupate dai Portoghesi e mancò nei paesi di missione; d'altronde fu interrotta molto presto. La seconda inchiesta del 1576 fu molto tardiva; parecchi testimoni erano morti, quelli che deposero dicevano ciò che avevano sentito da testimoni oculari. Intanto, malgrado la situazione sfavorevole, se lo storico deve riconoscere che molti fatti furono un po' snaturati, non è del tutto privo di elementi di certezza. Francesco Saverio non parla dei miracoli che ha fatto lui stesso, ma parla dei miracoli dovuti alla fede dei suoi fedeli (36): è un modo per dissimulare la propria taumaturgia. Testimonianze di seconda mano s'accordano poi per raccontare prodigi e il loro accordo in molti casi può essere accettato dalla critica come una prova d'autenticità. Infine, oltre la corrispondenza di Francesco ed i processi di canonizzazione, abbiamo altre fonti, cioè corrispondenze di personaggi vissuti in Asia quando egli svolgeva il suo apostolato. Il P. Cros riunì svariatissimi interessanti documenti sul Saverio, e noi rimandiamo quelli che hanno il gusto dell'erudizione ai suoi due volumi (37), dove troveranno molti miracoli certamente autentici. Per coloro che ai documenti originali preferiscono una storia composta seriamente, con peripezie appassionanti, leggano la bella opera del P. Brou (38) e vi troveranno anche numerosi frammenti di lettere del Saverio, vivranno nella sua intimità e si meraviglieranno del suo apostolato conquistatore

(34) Abbiamo trattato la questione nella nostra Introduction à la tipologie Bloud et
Gay,p.a8 ss. e negli articoli della Revue Thomiste, magg.-giugno 1933 e di Vie SpiritueUt maggio 1935.

(35) II P. Tacchi Venturi lo dimostra con moltissimi fatti nel primo volume della
(36) Storia della Compagnia di Gesù in Italia, 2 ed., Civiltà Cattolica, Roma.
(37) Lettera citata dal P. Brou, I, p. aao. Le lettere di Francesco Saverio formano
un volume dei Monumenta historica Societaiis Jesu, Madrid igeo.
(38) Saint Franfois de Xavier, sa vie et ses lettres, 2 voli., Privai, Tolosa 1900.

In San Francesco Saverio Dio rinnova per gl'Indù e i Malesi i prodigi compiuti per mezzo degli apostoli per la conquista del mondo greco-romano. £ dopo di allora, fino a questi ultimi anni, la storia dei missionari è piena di miracoli, specialmente quando penetrano in regioni nuove. Mentre Francesco Saverio andava fino alle Molucche e al Giappone, Filippo Neri rinnovava Roma: a al principio della sua carriera erano mostrati a dito i fedeli che frequentavano i sacramenti, e se volevano sfuggire ai sarcasmi dovevano nascondersi " (39); alla fine della sua vita "le mura della città sono troppo strette per contenere la devozione suscitata " (40).

Il suo influsso anche se non fu l'unico, fu preponderante, nel mutare quest'ambiente smoralizzato. Esistenza banale e monotona al di fuori, che trascorreva in piccoli trattenimenti con gente di bassa condizione -e negli esercizi di pietà, straordinaria all'interno: un'unione incessante con Dio, un ardore appassionato, che tocca i cuori più duri, frequenti comunicazioni soprannaturali, visioni e, al bisogno, il dono dei miracoli. Chi avrebbe avuto un cuore cosi duro da non essere commosso nel vedere Filippo sul suo letto, tendere le mani alla Vergine Maria che si mostrava a lui (41), o andare in estasi guardando il Santissimo Sacramento? (42). Quest'uomo viveva sulla terra ma era già con l'anima nell'aldilà; non c'è da stupire che ne tornasse con la potenza di Dio.

I testi del processo di canonizzazione gli attribuirono un numero incalcolabile di miracoli. Il Bordet li discute con una severità estrema e quasi eccessiva (pp. 97-117); per alcuni trova spiegazioni naturali, ma restano pure molti fatti privi di ipotesi esplicative. Filippo leggeva nelle coscienze, e come avrebbe potuto divinare che il senese diciassettenne Tommaso di San Gemignano, vestito da laico, che non aveva mai visto, avesse ricevuto fraudolentemente l'ordinazione sacerdotale (p. 103)? Guarisce i malati dicendo che non vuole che muoiano e mettendo la sua mano sulle loro (Prospero Crivelli, p. 110), e quando Giovanni Battista Guerra cade dall'alto di un'impalcatura della Chiesa Nuova in costruzione e si fracassa la testa, egli grida: a Non voglio che quest'uomo muoia, perché voglio che finisca questa chiesa ". E il Guerra sfugge alla morte, si lavano le sue ferite, prende qualche rimedio e dopo qualche giorno è in piedi a proseguire i lavori (p. 110). Forse il giovane Massimo non fu proprio resuscitato, ma in ogni caso, quando Filippo con una preghiera richiamò alla vita il fanciullo, al quale il padre aveva chiuso gli occhi, per lasciarlo morire dopo un estremo colloquio, dimostra un dominio sulla vita e sulla morte che evidentemente è soprannaturale (p. 116).

Saint Francois de Xaoier, 2 voli., Beauchesne, Paris 1912.
L. Ponhule et L. Bordet, Saìnt Philippe Neri et la societé romaine de san tempi,
p. 66, Bloud et Gay, Paris. Questo tratto è citato su un documento del tempo.
Ivi, p. 65.
Ivi, p. 70.
Ivi, p. 74. Tutti questi fenomeni sono stati accertati da testimoni al processo
di canonizzazione; si veda un elenco delle visioni, nota ss, p. 75.


Baschi appassionati come Ignazio di Loyola e Francesco Saverip, un fiorentino fantasioso ed eccentrico come Filippo Neri, sembrano predestinati a fare miracoli; ma la scuola francese del secolo XVIII? Cartesiani che ragionano sempre e decidono solo con la ragione; preti gravi e compassati che non depongono mai la cotta, che esercitano umilmente le loro funzioni e non vogliono mai eccederei Aggiungete che qui è passato l'insegnamento di San Giovanni della Croce: l'uomo spirituale nulla deve evitare più dei favori straordinari. Tuttavia troviamo miracoli in pieno secolo xvii, non dico soltanto nella Bretagna di de Quério-let e del P. Maunoir, ma anche nella scuola francese. Gè n'è uno importante nella vita di Gian Giacomo Olier e anche in quella di Vincenzo de' Paoli.

Si sa che l'Olier, in possesso di ricchi benefici, da principio condusse la vita mondana e tiepida che al principio del secolo xvii troppo spesso conducevano gli ecclesiastici altolocati. Fu chiamato da Dio e illuminato sulla suavo-cazione da due sante donne: Maria Rousseau, vedova d'un negoziante di vino, e Madre Agnese, religiosa di Langeac. L'Olier, già tocco dalla grazia, s'era deciso a fare un ritiro a San Lazzaro, sotto la direzione di San Vincenzo de' Paoli. Ecco come egli stesso ha raccontato il fenomeno che avvenne durante il ritiro: a Io ero nella mia camera in orazione, quando vidi quella santa anima venire a me con grande maestà. In una mano teneva un crocifisso e nell'altra la corona. Il suo angelo custode, bello oltre ogni dire, reggeva un'estremità del suo mantello da coro e con l'altra mano un fazzoletto per ricevere le lacrime che ella versava. Mostrandomi un volto penitente e- afflitto, mi disse queste parole: io piango per te... Io credetti allora che fosse la Santa Vergine, per la santa gravita e la dolce maestà con cui mi apparve e a causa dell'angelo che le rendeva gli stessi servizi d'un servo alla sua dama ".

Qualche tempo dopo Olier, essendo nella sua abbazia di Pebrac non lungi da Langeac, desiderò vedere la religiosa la cui reputazione di santità era giunta fino a lui: presentiva che fosse stata proprio lei ad apparirgli. Dopo essersi presentato molte volte al parlatorio del monastero senz'ottenere di essere ricevuto, la Priora fu in grado di parlargli. Si rivolse a lui come a un ecclesiastico che conosceva solo per sentito dire. Ma l'Olier desiderando sapere se il suo presentimento non lo ingannava, domandò alla religiosa di togliersi il velo. Ella lo tolse, a Madre mia, gridò, io vi ho vista altrove ". Agnese gli rispose: a È vero; mi avete veduta due volte a Parigi, e vi sono apparsa nel vostro ritiro a San Lazzaro, perché avevo ricevuto dalla Santa Vergine l'ordine di pregare per la vostra conversione, poiché Dio vi ha destinato a gettare le fondamenta dei seminari del regno di Francia ". E queste due grandi anime s'intrattennero sui segreti che Dio manifestava loro. Non si tratta d'un sogno vago, seguito da un'interpretazione improvvisata: la testimonianza dell'Olier è precisa nelle sue memorie, e nelle biografie si troveranno altre testimonianze che la corroborano (43). L'Olier era destinato all'altissima missione di stabilire in Francia i Seminari richiesti invano dal Concilio di Trento e d'istituire la Congregazione che avrebbe formato tanti sacerdoti in Francia, nell'America del Nord, e ora in Indocina: non ci stupiamo che Dio abbia voluto istruirlo col ministero della Santa Vergine e d'una religiosa elevata alla più alta contem plazione. Per noi questo miracolo comporta anche l'insegnamento dell'efficacia apostolica degli ordini contemplativi: innumerevoli seminaristi devono il beneficio della loro formazione clericale a una religiosa domenicana che trascorse tutta la sua vita nella preghiera tra le mura di un monastero del Velay. (43) Faillon, Vie de M. Olier, 4 ed., voi. 1, pp. 93 e 99, Poussielgue, Paris 1873. Vedere alle pp. 99-103, la discussione dell'apparizione, le deposizioni di ventiquattro testimoni oculari di Lengeac
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12/01/2014 19:44
 
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Questa rapida scorsa nei secoli potrebbe fermarsi qui; intanto sappiamo che la Chiesa cattolica è accompagnata ovunque e sempre dai segni con cui Dio suggellò il ministero degli Apostoli. Per finire non con una visione, ma con fatti materiali, inspiegabili con le leggi fisiche, rechiamoci in Piemonte dall'oratoriano Sebastiano Valfrè, uno dei patroni di Torino, morto nella prima metà del secolo XVIII. Quest'uomo fu il Vincenzo de' Paoli del suo paese: l'esercizio della sua carità venne aiutato da splendidi miracoli. Ne citeremo due. Il conte d'Hustberg, venuto a Torino a presentare le condoglianze per la morte della duchessa di Baviera, sorella di Carlo Emanuele II, cadde gravemente ammalato. Il P. Valfrè lo visitava ogni giorno. Nella notte del 23 aprile del 1676, mentre il conte dormiva, e due valletti che lo vegliavano ed un certo Claudio Carrera, capo-cuoco della duchessa madre di Vittorio Amedeo II, si videro improvvisamente davanti Sebastiano Valfrè arrivato non si sa di dove, perché avevano chiuso tutte le porte, e tenevano le chiavi in tasca. Il caso pareva loro così strano che Carrera scese alla porta d'ingresso per accertarsi se fosse chiusa e un valletto ogni tanto andava verso la camera del conte per ascoltare che cosa facesse il Padre. Il malato s'era svegliato e vedendo il Valfrè diceva: " Padre, Dio vi ha mandato per me ". Mori sul finire della notte (44).

L'altro miracolo venne raccontato al processo di canonizzazione dal teologo Salino, prevosto di Cavaglià, che lo seppe da un amico. Questi accompagnava il Valfrè al monastero della Carità, dove visitava i malati. Passando da una camera all'altra, il compagno s'arrestò spaventato: i muratori avevano tolto l'impiantito e davanti alla porta si apriva una voragine. Ora il Valfrè, aperto la porta, attraversò la stanza camminando per aria (45).
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09/06/2014 19:26
 
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Sul potere del Battesimo:
una bambina agonizzante è tornata in vita

Storia di una vicenda miracolosa avvenuta in Cile nel 1957

Jeffrey Bruno
 
Era il 1957 e un focolaio di influenza aveva già mietuto centinaia di vittime in Cile. A Valdivia, la famiglia Eschmann Melero prese le precauzioni necessarie per evitare che le due bimbe piccole corressero dei rischi, ma María Soledad, che aveva appena 45 giorni, mise in allarme la mamma Alicia quando iniziò a rifiutare di mangiare.

A distanza di 57 anni, è la stessa María Soledad a raccontare alla rivista Portaluz quello che le ha riferito la sua famiglia di quei giorni in cui malattia, morte e grazia sacramentale hanno confluito per un evento straordinario che avrebbe segnato per sempre in lei e nella sua famiglia la certezza che Dio esiste e ci ama.

La diagnosi e la condanna

María Soledad afferma che poco dopo che aveva iniziato a rifiutare di nutrirsi si verificarono anche vomito, diarrea e forti pianti, segnali inequivocabili di problemi di salute. I genitori non esitarono a portarla all'Ospedale Regionale Base di Valdivia. I mezzi della struttura erano precari, come l'efficacia dei trattamenti farmacologici per risolvere i problemi che l'influenza provocava alla piccola. “Mi ricoverarono un paio di volte, e l'ultima il medico disse a mia madre: 'Riporti sua figlia a casa perché non possiamo fare più nulla per lei'”.

Alicia salì dall'ospedale con la figlia tra le braccia. Custodita dall'abbraccio della sua mamma, la piccola aveva smesso di piangere, ma era pallida e come intorpidita. Con il passare della mattinata, María Soledad perdeva vitalità e coscienza. “Verso l'una di pomeriggio, mia madre dice che corse con me a una farmacia vicina con la speranza che lì potessero aiutarla. Io non reagivo, ero moribonda e neanche lì poterono fare nulla per aiutarmi”.

La speranza sembra crollare

Con il peso della diagnosi medica che aveva tolto ogni speranza per la piccola e vedendo che respirava appena, Alicia corse piangendo a casa dei genitori. “Sulla via passò davanti a un negozio di famiglia e avvertì i suoi fratelli, i miei zii, che ero grave, e proseguì portandomi in braccio. Poco dopo arrivarono mia nonna e mia sorella”.

La casa si riempì di vicini allertati dai lamenti delle donne vedendo che la piccola non reagiva. “In quel momento, mia madre dice che svenne. Cadde a terra, e in un attimo i vicini iniziarono a preparare un tavolo per vegliarmi e cambiarmi d'abito, dandomi per morta. Un paio di vicini sollevarono mia madre e la portarono in camera da letto, dove c'era un'immagine della Madonna di Lourdes. Mia mamma dice che chiedeva alla Vergine di intercedere presso Dio per me, perché lei non voleva che me ne andassi”.

Verso l'incontro con Dio

La casa era in preda alla confusione... Alicia, in piena crisi nervosa, gridava senza controllo, e i vicini decisero di portarla in ospedale. La piccola giaceva inerme sul tavolo del salone quando entrò nella stanza Sara, la sorella di Alicia, che aveva appena saputo cosa accadeva alla nipote e aveva solo una certezza fin dal primo istante in cui era stata informata dell'accaduto.

“Erano quasi le due del pomeriggio del 25 gennaio 1957 quando mia zia mi prese dal tavolo, corse alla parrocchia di Nostra Signora del Carmelo a Collico e bussò alla porta. Il sacerdote nordamericano Enrique Angerhaus aprì e sentì la richiesta: 'Padre, per favore! Deve battezzare ora mia nipote perché non respira, sta agonizzando!' Il mio corpo era totalmente gelato, non dava segni di vita. Il sacerdote allora si preparò e prese gli Olii Santi. La gente che era in casa era corsa dietro a mia zia e c'erano molte persone nella chiesa”, ha raccontato María Soledad,

La vita che fluisce nel Sacramento

Come se fosse un fatto avvenuto appena ieri, María Soledad spiega dettagliatamente che in quel momento non avevano pensato a padrino e madrina, per cui “mia zia chiese a un vicino e a un'altra signora che era lì che fossero i miei padrini”.

Quando il sacerdote unse la piccola con l'olio santo, quelli che erano più vicini furono testimoni di un fatto straordinario...

“Feci un respiro profondo, che si ripeté nel momento in cui nel fonte battesimale mi versavano sulla testa l'acqua benedetta. Il sacerdote, colpito come tutti i presenti, mi alzò e disse davanti ai presenti: 'Il Signore ha avuto Misericordia di lei e l'ha riportata in vita'”.

“Quando ho ricevuto il Battesimo, il Signore mi ha fatta uscire dal sepolcro”, ricorda María Soledad. “Con le mie sorelle parliamo sempre di questo, e io dico che sono come Lazzaro, perché il Signore mi ha tolto dal sepolcro e sono tornata alla vita”.

Nel corso della sua vita, María Soledad Eschmann è rimasta salda nella fede e attiva nella Chiesa. Insieme al marito e ai due figli che Dio le ha affidato vive a Punta Arena, città australe del Cile, ed è membro fedele del Rinnovamento Carismatico. Lodare e ringraziare è un atto quotidiano del suo cuore grato.

“Nel Battesimo”, ha concluso, “il Signore si manifesta con una potenza d'amore che non riusciamo a comprendere”. Questa signora è senz'altro una testimone privilegiata di questa verità.


[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

 
 

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24/10/2015 22:22
 
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Nel mese di Aprile 1679 Elena Cipriani, romana, dama di D. Giustina Boncompagni, duchessa di Sora, giaceva a letto oppressa da acuta febbre maligna. I suoi genitori non tralasciarono nessun umano rimedio per farle recuperare la salute. Ma tutto fu invano perchè i medici, crescendo la forza del male, la diedero per spedita. Giunti alla disperazione, i parenti della moribonda ricorsero con fiducia alla Madonna della Neve, ma per allora la Vergine sembrò non esaudire le loro suppliche. La fanciulla qualche giorno dopo morì lasciando nella disperazione i poveri genitori che non facevano altro che ripetere: «Elena mia, Elena mia!».Era tutto pronto per i funerali e già stava per essere condotta al sepolcro quando proprio i genitori, forse interiormente ispirati, fecero nuovamente ricorso alla intercessione della Vergine con ferma speranza di veder vivere la morta.
Il loro desiderio non andò defraudato poiché, fra lo stupore di tutti, la fanciulla aprì gli occhi e lei stessa disse che la Vergine della Neve di Frosinone le aveva restituito la vita mediante il voto da lei fatto con i genitori quando era inferma.
Si può immaginare il gaudio di tutti i presenti. Pochi giorni dopo andarono tutti, con la rediviva fanciulla, a rendere grazie alla cappella dove lasciarono in memoria di un prodigio così stupendo un quadro riportante il fatto e l'iscrizione.

Nello stesso anno 1679 ai signori Antonio Capitani di Subiaco e Porzia sua moglie nacque una bambina che chiamarono Anna Antonia. La bambina aveva solo dieci giorni quando rimase priva di vita. Non pensavano i genitori che la loro creaturina fosse morta ma che fosse stata sorpresa da qualche mancanza di respirazione; ma quando ogni rimedio usato non diede alcun esito positivo si diedero ad un dirotto pianto.
Una zia della bambina: Angela, esortò tutti affinché con viva fede facessero voto alla miracolosa Madonna della Neve per ottenere un miracolo.
Fatto il voto ed avere la grazia fu un tutt'uno. I genitori, felici per tale grazia ottenuta, andarono ad ossequiare la prodigiosa immagine di Maria conducendo con sé la figlioletta e lasciando in memoria del fatto un voto d'argento rappresentante una bambina in fasce.
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24/10/2015 22:23
 
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Una giovane di nome Maria De Sanctis, del Piglio ma residente a Roma, fu sorpresa nel fiore degli anni da gravissimi dolori agli occhi che alla fine la resero cieca. Avendo saputo dei miracoli che si compivano a Frosinone, decise di andare ai piedi della Madonna a pregare per la sua guarigione.
Vi fu accompagnata il giorno 28 maggio 1675. Appena giunta nella cappella e presentate le sue suppliche alla Vergine, fu immediatamente esaudita recuperando la vista.

A causa di una grave infermità Silvia Ferri di Ferentino rimase miseramente cieca. Erano già due anni che versava in tale condizione quando le fu data notizia dei benefici che la Madonna della Neve dispensava con generosità.
Piena di fiducia si fece portare fino alla cappella protestando di non voler più partire di là finchè non avesse avuto la grazia di vedere con i suoi occhi il volto di Maria. La Madonna volle prenderla in parola e la povera Silvia rimase per tre giorni e due notti in preghiera, finché, giunta la sera del 22 dicembre 1675, con portentoso miracolo la Vergine le restituì la vista di cui godette fino alla morte.

Domenico Ciozza di Cisterna, all'età di 15 anni fu assalito da violenti dolori che lo resero cieco, senza speranza di guarire con rimedi umani.
I genitori ricorsero all'intercessione della Vergine della Neve, facendo voto di andarla a visitare conducendovi anche il figliolo cieco. Dopo la promessa cessarono i dolori acutissimi che permisero al ragazzo di riposare.
Al mattino, trovandosi ancora libero da essi, si accrebbe in lui e nei parenti la fiducia verso Maria. Senza indugiare partirono alla volta del Santuario e si avvidero che man mano che si avvicinavano il ragazzo si sentiva sempre meglio riuscendo perfino ad aprire un poco le palpebre.
Affrettarono il cammino e giunti al Santuario l'8 maggio 1678, Domenico disse alla madre di vedere il lume della lampada, anche se confusamente.
Dopo altre preghiere e suppliche ottennero la grazia completa; il fanciullo infatti riebbe la vista completamente, anzi migliore di quella che aveva goduto prima della infermità.
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24/10/2015 22:24
 
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Guarigione di storpi ed altre infermità delle membra.

Nei primi giorni di maggio del 1675 Anna Meloni, di Veroli, fu colpita da apoplessia, che dopo averle lasciata la bocca mostruosamente deformata, l'aveva offesa in tutto il corpo, rimasta inabile ad ogni operazione. I medici furono concordi nell'affermare che non c'erano umani rimedi capaci di portare l'inferma allo stato primitivo.
Essa si rivolse dunque alla Madonna della Neve promettendole di andarla a visitare appena ricevuta la grazia. E fu esaudita perchè in breve si trovò talmente libera che prima della fine dello stesso mese di maggio potè recarsi a soddisfare la sua promessa davanti all'altare della Vergine.

Fin dalla nascita Maddalena Nicolucci di Lenola, era destinata ad una vita infelice: aveva una mano rattrappita e in più tre dita della stessa mano erano chiuse ed incarnite.
In occasione dell'Anno Santo del 1675, il 31 di maggio faceva ritorno da Roma con la compagnia del suo paese, allorché in vista del Santuario della Madonna della Neve si staccò dalla comitiva prostrandosi davanti alla prodigiosa Immagine e pregando la Vergine di concederle l'uso della mano.
Così pregando la poverina toccò con essa l'immagine della Madonna e fu istantaneamente guarita. Si stupì talmente di questo repentino miracolo che, ringraziata la Vergine, corse incontro alla sua compagnia annunciando gioiosa il prodigio.

L'arciprete, che era presente, volle sincerarsi del fatto facendo sostenere alla graziata un crocifisso d'argento con quella mano che era prima inferma. Si sincerò del miracolo. Tutta la compagnia si diresse allora verso il Santuario dove entrarono lodando e cantando inni di ringraziamento alla Vergine santa.
Proprio mentre si cantavano le lodi di ringraziamento per la grazia ricevuta un altro pellegrino Francesco Lungaretti, della stessa compagnia di Lenola, il quale era rimasto mostruosamente curvo per una lunga sciatica tanto che non poteva drizzarsi in alcun modo, nel pregare davanti alla Vergine e davanti allo stupore di tutti, si drizzò poco a poco gridando che anche lui era stato guarito dalla Madonna della Neve.

Nella cronaca dei prodigi, operati in quel 31 maggio ai componenti la compagnia di Lenola reduce dall'Anno Santo 1675, bisogna aggiungere quello ricevuto dal sacerdote D. Francesco Coja il quale sorpreso da un colpo apoplettico e ritenuto morto fu portato davanti all'immagine ricevendo la guarigione.
E anche un povero uomo che mentre pregava fu colpito da un sasso staccatosi dalle mura della cappella ancora pericolante, senza aver riportato alcun danno.

Nel mese di giugno 1675 Matteo Patrizio di Morolo, era stato colpito da un male che lo aveva lasciato offeso in un lato del corpo rendendolo inabile a qualunque azione.
Avendo sentito parlare dei numerosi prodigi che venivano operati dalla Madonna anche lui chiese la grazia promettendo, se guarito, di venire a rendere grazie. Non fu vana la sua speranza; infatti dopo pochi giorni restò perfettamente guarito ed al 18 dello stesso mese andò a soddisfare la promessa.

Da sei anni il P. Giuseppe Mancini di Ceprano, minore osservante, era stato reso quasi immobile da una continua infermità di sciatica. Avendo udito il grido di miracoli che operava la Madonna della Neve, animato da una grande speranza di essere risanato, chiese che gli venisse portato l'olio della lampada che ardeva davanti alla sacra Immagine. Ricevutolo, si unse con fede la parte offesa il 26 giugno 1675 e nello stesso momento si sentì risanato.

All'età di due anni, Caterina, figlia di Gio. Andrea ed Eugenia di Segni, fu sorpresa da grande infermità che, trovando tenere e delicate le membra della bambina, la rese storpia.
All'età di dieci anni la bambina era così deformata che le sue membra avevano quasi perduta la figura di un corpo umano. La poveretta era ormai costretta a giacere in fondo ad un letto di peso a se stessa e ai parenti.

Il Signore, che con la sua provvidenza sa intervenire nei casi più disperati, ispirò ai genitori di rivolgersi alla Madonna della Neve. Vi andarono, portandovi la bambina, il 16 agosto 1675 e prostrati davanti alla sacra immagine più col cuore che con le labbra pregarono per la sua guarigione.
Fu la stessa Caterina che ad un tratto esclamò: «Mi sento assai bene e libera per camminare, lasciatemi andare da me». Fu quanto in realtà fece con meraviglia dei presenti.

E non fu la sola grazia in quel giorno. La Vergine, solita a concedere più di quello che le si chiede, restituì l'udito al padre della fanciulla facendogli udire per la prima volta le parole della figlia. Naturalmente fu grande la loro gioia ed altrettanto grande il loro grazie per questo duplice favore ricevuto.

Abitava a Pontecorvo un povero uomo chiamato Donato D'Arpino. Egli aveva un solo figlio quindicenne il quale però era storpio e rattrappito nelle gambe e nelle braccia. Decise un giorno di portarlo a Frosinone, alla Madonna della Neve e come meglio poté, lo legò, per trasportarlo, sopra un asino.
Portò con sé una tavoletta con dipinto lo stato del figlio; l'avrebbe appesa in memoria del beneficio che era sicuro di ricevere dalla Vergine. Si avviò alla volta del Santuario percuotendosi il petto con una pietra e invocando misericordia.
Giunse davanti alla Sacra Immagine il 10 dicembre 1675, continuando a piangere a percuotersi il petto e aggiungeva che non sarebbe più partito se prima non avesse visto la guarigione del figlio. Anche i presenti furono commossi a tale scena e si unirono alla preghiera.
La Madonna non tardò ad intervenire. Ad un tratto, Giuseppe, il ragazzo storpio, si alzò camminando speditamente come se non fosse stato mai impedito in alcuna parte del corpo.

Nicola di Guarcino per lo spazio di otto anni era stato costretto a camminare con le stampelle, essendo rimasto attratto e storpio. Uditi i prodigi che la Vergine operava nel Santuario della Neve vi si recò il giorno 5 agosto 1677.
Dopo aver molto pregato, fu colto dal sonno e, risvegliatosi, si trovò del tutto guarito con sua grande gioia. In memoria del miracolo lasciò le sue stampelle.
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24/10/2015 22:25
 
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Una tale Anna Goffredi di Fondi per molto tempo era stata soggetta al mal di lebbra. Questa malattia la rendeva molesta a se stessa ed a quelli di casa, data la sua natura. Visto vano ogni ricorso ai medicamenti, piena di fiducia, si fece portare al Santuario della Neve.
Non ricevette subito la grazia, ma perseverò nella preghiera con fiducia. Finalmente il 5 giugno 1675 ottenne la sospirata guarigione e le tornarono poco a poco le forze tanto da permetterle di tornare a casa da sola.

Il capitano Farina di Marino, si trovava in fin di vita a causa di una grave malattia. Si usarono tutti i rimedi ma nessuno potè vincere la potenza del male. Giunto all' estremo si rivolse alla Madonna della Neve, promettendo di venirla a visitare se avesse ottenuto la grazia.
Ottenne piena salute e il 10 dicembre del 1675 venne a ringraziare la Madonna portando in voto una lampada d'argento.

Il P. Narciso di S. Leopoldo, tedesco, Definitore Generale degli Agostiniani Scalzi, mentre dimorava a Roma fu sorpreso da febbre maligna il 21 settembre 1700.
I suoi confratelli che stimavano il Padre anche per le sue rare doti pregarono con fiducia la Madonna della Neve e fecero ungere l'infermo con l'olio della lampada. Si videro subito i segni della guarigione e levatosi dal letto si recò al Santuario insieme ai confratelli lasciando un voto di argento in memoria della grazia ricevuta.

Un altro religioso Agostiniano Scalzo era agonizzante nel convento di S. Maria Nuova colpito da una violenta febbre maligna: P. Achille dello Spirito Santo.
Gli si stava raccomandando l'anima quando i confratelli ricordandosi che l'infermo era stato di casa nel convento della Neve, decisero di far ricorso alla Vergine andando al Santuario a cantare una Messa in suo onore. Era il 28 agosto 1707. Terminata la Messa, l'infermo diede segni di miglioramento e di lì a poco riacquistò la salute perfetta.
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24/10/2015 22:27
 
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Il giorno 8 novembre 1675, mentre si facevano gli scavi per gettare le fondamenta della chiesa, cadde un gran masso di terra sopra un povero lavoratore di Frosinone, chiamato Gio. Battista Cupino che, rimasto totalmente sepolto dalla frana, fu creduto morto soffocato.
Ma quando i compagni corsero per dissotterrarlo lo trovarono vivo e senza alcuna lesione, che lodava la Vergine da cui era stato salvato, avendola invocata nel momento del pericolo.

Il 13 marzo 1681 Giacinta Magliocchi di Frosinone, abitante nei pressi del tempio era salita sopra un alto muro per stendere i panni. Mise un piede in fallo e cadde di sotto. Nel precipitare invocò la Madonna della Neve e non solo non ebbe neppure un graffio ma cadde in piedi. Mentre, sia per la mole pesante della sua persona e sia per l'altezza avrebbe dovuto subire ben altre conseguenze.
Riconoscendo la protezione della Vergine corse subito ad onoraria nel suo Santuario.



Liberazione degli ossessi.

In località detta Campo di miele viveva una povera donna, di nome Magnifica, crudelmente tormentata dal demonio la quale, dopo essere stata portata dai suoi parenti in diversi santuari, venne accompagnata anche a quello della Neve il 23 giugno 1675.
Il sacerdote faceva l'esorcismo mentre il demonio dibatteva il corpo della poveretta prostrata a terra. In quel momento si ripeté il prodigio della sudorazione della sacra Immagine e l'ossessa fissando il volto della Vergine restò liberata totalmente dal demonio.
Se ne andò ringraziando e benedicendo Gesù e Maria.

Da anni Antonia moglie di Carlo Savera di Articoli di Campagna era soggetta alle vessazioni diaboliche.
Fu condotta anche lei ai piedi della Madonna il 6 novembre 1675 dopo aver inutilmente provato in più luoghi. Al momento dell'esorcismo, invocando il sacerdote il nome Santissimo della Vergine fu visto dai circostanti uscire dalla bocca dell'ossessa come un dragone sotto forma di nerissima ombra.
La donna restò immediatamente libera e rese grazie alla Vergine santa e in seguito venne più volte a ringraziarla lasciando in dono due corone d'argento per adornare la fronte di Maria e quella del Bambino.

Un certo Gaetano di Velletri, all'età di venti anni, era invasato da uno spirito diabolico. Si avvicinava la festa del 5 agosto 1710 e la madre del giovane pensò di condurlo alla Madonna della Neve per chiedere la grazia alla Vergine.
Molto soffrì la povera donna per le stravaganze del figlio che non voleva entrare in chiesa. Alla fine riuscì ad introdurlo ma per la moltitudine del popolo lo smarrì e dovette faticare molto per ritrovarlo.
Lo condusse con forza davanti all'altare e dopo continue e fervorose preghiere fu consolata poiché vide il figlio liberato dal potere del demonio.
Il ragazzo, che da venti giorni aveva perduto anche la favella, riacquistò parola e chiese una corona della Madonna per recitare il Rosario.



Le Grazie nei tempi recenti.

Nell'anno 1900 il giorno 4 agosto, vigilia della festa di Maria SS. ma della Neve una certa Monaldini Elvira di 4 anni, nata a Frosinone uscendo dalla chiesa e attraversando la strada per raggiungere il padre fu investita da un carretto a quattro ruote con sopra sei persone. Due ruote passarono sopra il ventre della piccola. Accorsero i carabinieri fermando anche il vetturino. Portata la bambina in osservazione, le fu riscontrata una piccola traccia rossastra di nessuna entità, mentre sarebbe dovuta rimanere schiacciata dal gran peso. A giudizio di tutti fu questa una grazia della Vergine.

Il Sabato Santo, 18 aprile 1908, passava davanti alla chiesa della Madonna della Neve un carrozzino ad un cavallo guidato dal conte Luigi Stampa. Mentre guardava un gregge di pecore che si trovava vicino alla porteria del convento non si accorse di aver investito una creatura di quattordici mesi, Giulia Ferrante di Giuseppe.
Alle grida della madre della piccola e a quelle dei presenti il conte fermò il cavallo e scese per osservare l'accaduto. Tutti poterono costatare con gioia che la bambina, per intercessione della Madonna della Neve invocata in quel momento non aveva riportato che una piccolissima scalfittura alle labbra.

Papetti Giuseppe di Frosinone si trovava gravemente ammalato in Albania. Si rivolse alla Vergine con grande fiducia chiedendo il suo aiuto e promettendo un grosso cero non appena rimpatriato e ristabilito. Ottenuta la guarigione desiderata e non potendo portarsi personalmente al Santuario, inviò alla propria madre la somma necessaria, pregandola di comprare la candela ed accenderla davanti alla sacra Immagine di Maria. Questo avveniva dall' 11 settembre al 5 ottobre 1918.

La signorina Ceccarelli Maria Domenica di Frosinone era da tempo afflitta da forti pene spirituali. Invocando la Madonna della Neve ne fu liberata. Ed in seguito, afflitta da un forte esaurimento nervoso per tutto il 1917-18 e ridotta in fin di vita, aveva già chiesto e ricevuto il S. Viatico.
Ricordandosi di aver già sperimentato la protezione di Maria si rivolse di nuovo a Lei e con grande stupore l' inferma recuperò in breve la primitiva salute.

I fatti sopra riportati non sono che una parte di quelli che si trovano nel primo libretto delle Notizie Storiche del santuario.

Una cosa appare subito sorprendente, se non prodigiosa. In una piccola cona abbandonata e sconosciuta, fino al giorno 10 maggio 1675, avvengono una serie di prodigi e miracoli nel giro di pochi giorni e da paesi tanto distanti da Frosinone.
Evidentemente fu un fenomeno religioso di grande risonanza in quei tempi in cui le comunicazioni sociali erano lentissime. Ciò giustifica la grande devozione popolare che seguì al prodigio della sudorazione della Immagine e dimostra come la Vergine fosse prodiga di favori celesti verso i suoi fedeli.
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13/04/2016 12:05
 
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TERESA NEUMANN: 

   Teresa Neumann nacque a Konnersreuth, un paesino della Baviera nord-orientale che contava all'epoca meno di mille abitanti, l'8 aprile 1898, un venerdì santo. La casa natale di Teresa si trova proprio sulla piazza principale, di fronte alla chiesa. Konnersreuth è un paese agricolo, posto in zona leggermente collinare alle pendici del Fichtelgebirge: intorno ha prati e campi, più lontano boschi. Alla fine del secolo e negli anni precedenti la prima guerra mondiale il paese era molto povero; tuttavia la maggior parte degli abitanti viveva in casette di proprietà e possedeva un fazzoletto di terra, coltivato in genere dalle donne. Gli uomini, per guadagnare qualcosa, lavoravano nelle fabbriche di cristallo e porcellana non lontano da Konnersreuth o nelle cave di pietra. La famiglia di Teresa era povera come la maggior parte delle famiglie del paese: il padre Ferdinand era sarto, la madre Anna, quando le cure della numerosa famiglia lo consentivano, lavorava a giornata nei campi. Teresa era la prima degli undici figli di Ferdinand e Anna, nati fra il 1898 e il 1912; essendo la maggiore, cominciò ben presto a occuparsi dei fratellini e a sostituire presso di loro la mamma quando questa era assente per lavorare. Nonostante la povertà e le privazioni, nella famiglia Neumann regnava una grande armonia e i bambini crebbero in un'atmosfera serena e affettuosa. Quanto fosse povera la famiglia risulta evidente da questo episodio narrato da Teresa stessa al dottor Gerlich: finite le scuole primarie, Teresa fu mandata a servizio presso la famiglia di un contadino e qui vide la padrona di casa condire la minestra di pane col burro.

   Credette che l'avesse fatto per errore e tornata a casa raccontò la cosa alla mamma; la quale però le spiegò che la minestra di pane deve essere condita col burro, ma lei non l'aveva mai potuto fare perché non poteva permetterselo. Esortò però la figlia a non dirlo a nessuno, per non far vergognare troppo i genitori! Anche l'episodio seguente fu narrato da Teresa a Gerlich, che lo riporta nel suo libro: quando il sarto Ferdinand aveva finito di confezionare un abito, affidava a uno dei figli l'incarico di portarlo al cliente, e spesso al bambino veniva data una piccola mancia. Questa però non veniva spesa subito, bensì conservata e nascosta in uno sportellino della macchina da cucire del padre. Quando in casa non c'erano più soldi, cosa che capitava abbastanza spesso, tutta la famiglia si riuniva solennemente intorno a quella piccola cassaforte: il gruzzoletto veniva prelevato e utilizzato per le immediate necessità. I bambini erano orgogliosi di contribuire in questo modo al ménage familiare. Il cibo abituale della famiglia Neumann, come del resto degli altri abitanti della zona, erano le patate. Nonostante il povero nutrimento, Teresa e i fratelli crebbero sani e forti. Raggiunsero infatti tutti un'età avanzata, meno Engelbert (nato nel 1901), che morì di malattia ad appena quattro anni. Ferdinand (nato nel 1911) e Agnes (nata nel 1909) sono ancora vivi. La famiglia di Teresa era cattolica: gente pia e devota, che frequentava regolarmente la chiesa e si accostava spesso ai sacramenti. I bambini ricevettero un'educazione cristiana e il padre teneva moltissimo che in chiesa fossero attenti e rispettosi: se qualcuno di loro chiacchierava durante le funzioni, a casa doveva inginocchiarsi per terra e recitare il rosario.

   Teresa da adulta raccontava, sorridendo, che le sue sorelle Anna e Ottilia erano spesso incappate in questa punizione, mentre lei e Maria l'avevano sempre evitata. Teresa fu sin da piccola sempre attiva e piena di vita. Da bambina la sua occupazione preferita era guardare libri illustrati e coltivare le piante e i fiori: un amore che l'accompagnò sempre e le procurò grandi gioie. Lavorava volentieri anche in casa, puliva le stanze e lavava la biancheria per sollevare la mamma da queste fatiche. A scuola studiava volentieri: la frequentò dal 1904 al 1911 e assolse l'obbligo scolastico con buoni voti. Non mostrò, da bambina, una devozione superiore agli altri membri della famiglia, che come abbiamo visto erano religiosi ma alieni da qualunque forma di bigotteria; si sa però che partecipava volentieri alle lezioni di religione e usava scrivere su quaderni i propri pensieri e le proprie riflessioni in materia. Purtroppo di questi scritti nulla si è conservato: nel 1927 la casa dei genitori fu ristrutturata e molte vecchie cose, tra cui i quaderni di scuola dei bambini, furono bruciate. Ben presto Teresa cominciò a contribuire al bilancio familiare andando a servizio: già nell'ultimo semestre di scuola lavorava nel pomeriggio in un podere distante un quarto d'ora da Konnersreuth. E a 14 anni, nel 1912, fu messa a servizio in una grande tenuta adiacente al paese, di proprietà di un certo Max Neumann; l'anno dopo trovò lavoro nella medesima fattoria anche la sorella Maria, di 13 anni, e durante la guerra anche Anna. Il lavoro era duro, perché la tenuta era grande e con molto bestiame, ma Teresa era robusta e amava i lavori dei campi, gli animali e tutto ciò che aveva a che fare con la natura. Aveva un carattere energico e indipendente, e niente la spaventava. Anche Teresa, come le sue sorelle, ebbe dei corteggiatori, ma lei non prestò mai loro attenzione: i suoi progetti erano ben diversi. Fin da ragazzina infatti cominciò a coltivare in cuore il desiderio di farsi suora missionaria e di andare in Africa non appena il suo aiuto in casa non fosse più stato indispensabile, e a questo scopo prese i primi contatti con le missionarie benedettine di Tutzing. Le cose però dovevano andare diversamente.

L'incidente del 10 marzo 1918

   Sull'episodio, che per molti aspetti segnò il destino di Teresa, così ha raccontato il fratello Ferdinand: « Nel 1914 scoppiò la guerra e nostro padre fu richiamato alle armi. Prima di partire si fece promettere solennemente da Resl che finché lui non fosse tornato a casa lei non sarebbe entrata in convento, ma sarebbe rimasta con la madre e i fratelli. Resl naturalmente promise, pur continuando a coltivare dentro di sé il desiderio della vita monacale. Alla fattoria il lavoro cresceva sempre più, perché uno dopo l'altro tutti gli uomini furono richiamati e Teresa era sempre più impegnata. Appena poteva però correva a casa e si occupava anche di noi. Questo durò fino al 1918, quando ci fu l'incidente...». Un incidente evidentemente voluto dal destino. Racconta infatti ancora Ferdinand Neumann: « In quel mese di marzo del 1918 successe qualcosa che a me personalmente ha sempre fatto una grande impressione, ma che finora non è stato fatto notare da nessuno: cioè il rapporto preciso, immediato e concreto fra il ritorno di nostro padre e l'incidente di Resl, che pose fine alle sue speranze di farsi suora. Papà tornò dalla guerra la sera del 9 marzo e l'incidente avvenne la mattina dopo, il 10 marzo! Teresa non ebbe neppure il tempo di tornare sui suoi progetti. Evidentemente il suo destino non era quello...». L'incidente avvenne così: la mattina di quel 10 marzo scoppiò un incendio molto violento nella fattoria vicina a quella in cui Teresa lavorava. Col suo carattere spontaneo e generoso, Resl fu tra i primi ad accorrere in aiuto: in piedi su una panca afferrava i secchi d'acqua che le venivano allungati, li sollevava e li passava a un'altra persona più in alto. A un certo punto avvenne l'irreparabile: per lo sforzo Resl si procurò una slogatura alla spina dorsale. Come fu constatato in seguito, c'era stato uno spostamento della seconda e terza vertebra lombare con conseguente compressione del midollo, il che provocò subito intorpidimento alle gambe e mancanza di equilibrio. Lì per lì nessuno si allarmò in maniera particolare e Teresa stessa pensò a un « colpo della strega » particolarmente violento.

   Tornò a casa da sola e rimase in riposo per un paio di giorni; poi riprese, con grande fatica, la solita vita. Seguirono alcune cadute rovinose dovute all'intorpidimento alle gambe, che peggiorarono ulteriormente la situazione, finché per l'aumentare dei dolori e il crescente senso di intorpidimento Resl dovette mettersi a letto. Ma non servi, perché la malattia continuò a peggiorare: si presentarono crampi spaventosi che addirittura la facevano svenire, difficoltà a inghiottire, disturbi alla vista e graduale incapacità a muoversi. Resl fu curata come meglio si poté, fu anche ricoverata per alcune settimane all'ospedale di Waldsassen, a qualche chilometro da Konnersreuth, ma senza alcun risultato. Nel marzo del 1919, a un anno esatto di distanza dall'incidente, Resl era completamente paralizzata alle gambe e priva della vista. La cecità era sopravvenuta dopo un'ennesima caduta, questa volta dalla sedia dove era stata messa a sedere mentre le rifacevano il letto: aveva battuto la testa violentemente contro la porta, era sopravvenuto un crampo spaventoso e lei aveva perso i sensi. Era poi rimasta vari giorni in stato di incoscienza, e quando aveva finalmente riaperto gli occhi non ci vedeva più. Racconta ancora Ferdinand Neumann: « I miei riuscirono a trovare un oculista, cosa a quel tempo non facile, il quale dopo aver visitato Resl dichiarò che il nervo ottico era lesionato e non esistevano medicine per migliorare la situazione. Mia sorella, che fino a quel momento aveva sperato di guarire e di tornare a lavorare, dovette perdere ogni speranza. Anni dopo, nei colloqui che avevamo quando la portavo a fare quelle passeggiate in macchina che tanto le piacevano, mi confidò che aveva impiegato due anni ad accettare quello che le era capitato, a dire si alla malattia. Noi fratelli comunque l'abbiamo sempre vista rassegnata e paziente: la sofferenza era divenuta il suo pane quotidiano e lei l'accettava come l'aveva accettata Gesù. Pregava molto e traeva grande conforto dalla comunione che il parroco padre Naber le portava ogni giorno.

   In particolare era devota a santa Teresa di Lisieux, di cui aveva un'immaginetta che papà le aveva portato dalla Francia durante la guerra. Oltre che dalla cecità e dall'infermità, Resl era tormentata da piaghe da decubito, atroci dolori di testa, crampi spaventosi. La gamba sinistra era rattrappita e il piede completamente girato verso destra ». Oltre alle grandi sofferenze fisiche, Teresa era tormentata dall'idea di essere di peso alla famiglia: non solo non lavorava e non guadagnava più, ma doveva essere costantemente assistita. I genitori e i fratelli sopportarono però sempre tutto con grande coraggio e rassegnazione e fecero il possibile per alleviare la condizione di Resl, sia standole molto vicino che procurandole tutte le cure mediche che riuscirono a trovare. La malattia di Teresa durò complessivamente sette anni: la guarigione fu progressiva - prima fu liberata dalla cecità e poi dalla paralisi - e miracolosa.

La guarigione dalla cecità

Teresa Neumann rimase cieca quattro anni e guari improvvisamente il 29 aprile 1923, giorno della beatificazione di santa Teresa di Lisieux. E’ ancora Ferdinand Neumann che racconta: « Il 29 aprile era domenica. Teresa aveva avuto il giorno prima gravi disturbi di stomaco e nostro padre si era svegliato presto per andare a Neustadt da un terapeuta a prendere un certo tè di erbe che già altre volte le aveva fatto bene. Alle sei, quando andò a salutare Resl, lei era ancora cieca e non lo vide. Poi mia sorella dormi ancora un poco: raccontò poi di aver avuto la sensazione che mentre dormiva succedesse qualcosa al suo guanciale, "come se graffiasse". Si svegliò alle sei e mezzo e poté vedersi le mani, la camicia da notte, il letto. Alzò gli occhi verso la stanza, vedeva ogni cosa. Allora prese il bastone e lo batté sul pavimento, come usava fare per chiamare i familiari quando aveva bisogno: voleva chiamare la mamma. Arrivò invece nostra sorella Crescenzia, e Teresa in un primo momento non la riconobbe, perché in quattro anni era molto cresciuta. Teresa le disse di chiamare subito la mamma. Appena arrivò, Teresa le gridò che vedeva! La mamma in un primo momento non le credette, pensò che non si sentisse bene, ma Teresa insisteva. Allora la mamma prese dal davanzale della finestra un vaso di fiori bianchi e glielo mostrò, e Teresa fece un commento preciso; poi le mostrò dei fiori rossi, e Teresa descrisse anche quelli. La mamma allora ci chiamò tutti, e Teresa ci parlò e ci riconobbe, uno dopo l'altro. La vista le era ritornata! Piangemmo insieme di gioia!». Il giorno dopo il dottor Seidì visitò Teresa, ma non trovò alcuna spiegazione del fatto. « Teresa e tutti noi », racconta ancora Ferdinand Neumann, « attribuimmo il miracolo alla piccola Teresa di Gesù Bambino ». Teresa stessa, in una lettera che il 27 maggio 1923 scrisse alla sua amica signorina Simson, che era stata maestra a Konnersreuth, descrisse la propria guarigione dalla cecità. Cara signorina Simson, Salve! Così vorrei gridarle con immensa gioia! Pensi un po': con l'intercessione della beata Teresa, il Signore mi ha ridonato la vista. Che felicità!... Sabato 28 aprile vedevo ancora buio davanti agli occhi, come nei trascorsi quattro anni; domenica mattina, 29 aprile, aprii un po' gli occhi, ma li sentivo pesanti per gli ultimi tormenti allo stomaco. Ero davvero molto spossata; a un certo momento aprii gli occhi e... credetti di sognare: vedevo tutto distintamente. Bussai alla mamma che accorse temendo che avessi ripreso il vomito sanguigno, invece mi udì esclamare felice: « Mamma, ci vedo! ».

   Lei credette che vaneggiassi e per sincerarsi pose un vaso di fiori bianchi davanti a me. « Oh, che bei fiori bianchi! », dissi io, « a maggio li porteremo in chiesa alla Madonna ». Immagini un po', cara signorina, la gioia di quella domenica. Il sabato era stato tutto nero, come sempre, e la domenica vedevo tutto e bene. Ringrazio sempre, e assieme a Dio mille volte la piccola Teresa. Nessuno l'avrebbe creduto, e io meno degli altri, che allo stato in cui mi trovavo avrei recuperato la vista. Un anno fa il dottor Seidì disse a una mia zia: « Per gli occhi non c e più alcuna speranza, dovrebbe succedere un miracolo per farli risanare». Sabato, 28 aprile, il medico era di nuovo qui, quando un crampo mi tirò il piede sinistro fin sotto il ginocchio destro. Ancora una volta lui disse: «Non c'è più nulla da fare». Stavo quasi per arrabbiarmi. I medici vedono nell'avvenire tanto poco quanto noi. Questo è riservato solo a Dio, per il nostro meglio, e noi dobbiamo abbandonarci con gioia alla Provvidenza divina. Che il buon Dio faccia di me quello che vuole. Se mi farà guarire, sarò contenta, e se mi farà soffrire per altri cinquant'anni alle gambe, fa lo stesso. Se mi vuol togliere di nuovo la vista, è affar suo; se mi facesse morire sarebbe la mia più gran gioia. Ho spesso tanta nostalgia del paradiso, ma forse dovrò salire ancora molti gradini della Via crucis... Con la vista, Teresa aveva riacquistato la possibilità di leggere e di ammirare la natura, grande gioia per lei. Gli altri guai però erano rimasti. I due anni che seguirono furono colmi di sofferenze, cristianamente accettate. Da una lettera che Teresa scrisse a una sua amica, che era stata sua compagna di scuola e con la quale aveva progettato di andare nelle missioni, possiamo renderci conto del modo in cui Teresa accettava le pene che quotidianamente la tormentavano: « Cara sorella, non va troppo male, anche se le sofferenze occupano gran parte del mio tempo. Questa ormai è la mia professione. Non mi è stato concesso di operare nelle missioni all'estero, conquistando anime al mio diletto Salvatore, ma posso farlo qui, a casa mia. Fa lo stesso, vero, il posto dove si opera; siamo dovunque a casa nostra finché non giungeremo alla nostra vera dimora verso la quale aneliamo con nostalgia! ».

La guarigione dalla paralisi

Venne il giorno della santificazione della piccola Teresa di Lisieux, 17 maggio 1925. Dal Diario di padre Naber ricaviamo la descrizione di quanto avvenne: « Quel giorno fui chiamato presso l'ammalata perché non si sapeva che cosa avesse. La trovai con gli occhi fissi e rivolti verso qualcosa davanti a lei, le mani tese nella stessa direzione, il volto radioso; faceva cenni di assenso con la testa, come se stesse parlando con qualcuno. Improvvisamente si mise a sedere, cosa che per sei anni e mezzo non era riuscita a fare. Quando quello stato straordinario sparì, le chiesi dove fosse stata. Invece di rispondere, lei dichiarò con sorprendente sicurezza che ora poteva alzarsi e camminare. La madre guardò stupita il piede sinistro che da circa nove mesi era rattrappito e girato verso il destro: ora era di nuovo normale come l'altro. Subito la malata si alzò e sorretta dal padre camminò per la stanza per mezz'ora. Alla mia rinnovata domanda dove fosse stata, raccontò che all'improvviso, mentre pregava, le era apparsa davanti agli occhi una luce e una voce straordinariamente amichevole le aveva chiesto se volesse guarire; lei aveva risposto che per lei tutto andava bene, guarire, restare malata, morire, come voleva Dio. Al che la voce aveva replicato che oggi avrebbe avuto una piccola gioia, si sarebbe alzata e avrebbe camminato. Però avrebbe dovuto soffrire ancora molto e nessun medico avrebbe potuto curarla. Non doveva comunque disperare: "Io ti ho aiutata finora e ti aiuterò anche in avvenire". La voce parlò ancora del significato del dolore e concluse: "Io ho scritto: Si salvano più anime coi patimenti che con le prediche più brillanti" ». (Vedi la sesta lettera di santa Teresa di Gesù Bambino ai missionari). Da allora le due vertebre, che prima erano distorte e compresse, tornarono in posizione naturale, i crampi e la paralisi sparirono e la malata poté camminare appoggiandosi al bastone e a una persona... » L'opera fu completata qualche mese dopo: « Il 30 settembre, anniversario della morte di santa Teresa », leggiamo ancora nel Diario del parroco, « la meravigliosa luce apparve di nuovo e la stessa voce disse all'ammalata che Dio voleva che ora camminasse senza aiuto. E così fu ».

   Ancora una volta Teresa descrisse in una lettera a un' amica suora la grande esperienza della guarigione. La lettera è datata 16 giugno 1925, un mese dopo il recupero dell'uso delle gambe: Cara amica, voglio raccontare anche a te la grande, immeritata grazia che è stata concessa il 17 maggio. Pensa, cara amica, che ora posso sedere e camminare. Non so lontanamente descriverti come mi sento: tutto il mondo mi sembra nuovo... Sai, non sono mica guarita del tutto; anche la voce mi aveva detto che avrei sofferto ancora molto, ma questo mi rallegra perché senza dolori e patimenti non so più immaginare la vita. Ma i dolori più grandi, quelli alla spina dorsale, sono scomparsi completamente. Il punto leso sta bene, le vertebre sono tutte a posto, grazie a Dio. Ti voglio raccontare brevemente con e successo. Il 17 maggio, giorno della canonizzazione della piccola santa Teresa, stavo nel pomeriggio sola soletta nella mia stanza, immersa nella devozione del mese di maggio. Recitavo appunto il rosario quando d'improvviso si fece una gran luce davanti a me. Non posso descriverti quel chiarore. Al primo momento mi spaventai, tanto che gettai due forti grida che furono udite persino dai miei cari, da basso. Ma quando vennero su, non li vidi né li udii. Però non avevo piu il crampo. I miei cari s'accorsero subito che avevo un altro aspetto. Vennero le sorelle Arzberg e mia sorella Anna, e poi andarono a chiamare il signor parroco. Egli racconta che, appena entrato dalla porta, comprese in quale stato mi trovassi: non somigliavo più a me, né sapevo chi fosse presente. Ma ciò che accadeva dentro di me lo ricordo come fosse ora. Quando vidi la luce, sentii una voce dolcissima che incominciò a chiacchierare. Mi chiese se volessi guarire. Risposi che per me andava bene tutto: vivere o morire, essere sana o malata. Tutto ciò che vuole il Signore va bene per me, tanto lui sa ciò che è per il meglio. Allora la voce disse: « Ti farebbe piacere se potessi badare a te stessa? », ed io: « Tutto mi fa piacere ». La voce disse ancora: « Perché sei così sottomessa, come piace al Signore, ora avrai anche tu una piccola gioia. Ma dovrai soffrire ancora molto e a lungo: nessun medico ti potrà aiutare. Io ti sono stata sempre vicina e continuerò ad esserlo. E ora puoi metterti a sedere. Prova, via, io ti aiuterò ». E qualcosa mi afferrò alla mano destra e mi aiutò a sedere.

   Ma nello stesso istante ebbi un dolore tremendo nel punto leso della spina dorsale, tanto che mi dovetti sdraiare di nuovo. La voce continuò a parlare ancora e ancora, ma ora diceva soltanto cose che riguardavano il mio intimo. Parlò molto e insistentemente delle sofferenze, ma questo non intendo rivelarlo. Solo al mio confessore narrai tutto, per obbedienza. La voce aggiunse ancora una frase riguardo ai patimenti: « Questo l'ho già scritto tempo fa». Da quella frase il mio confessore riconobbe che la voce apparteneva a santa Teresa, perché la trovò nei suoi scritti, ma solo il lunedì seguente. La voce parlò ancora di cose spirituali e poi disse: « Adesso puoi alzarti e camminare ». Di nuovo sentii afferrare la mia mano e sedetti. Poi la voce disse ancora qualche cosa e d'improvviso la luce sparì. Solo in quel momento vidi e udii i miei cari... Si, cara amica, le mie vertebre ora sono diritte e così anche la gamba, solo un po' più corta. Come abbia fatto a raddrizzarsi, non lo ricordo affatto, ma la mia cara mamma e le reverende suore videro, durante quell'ora, che a poco a poco la gamba si stendeva, mentre prima era ancora tutta rattrappita. Qualche giorno dopo venne il dottor Seidi e rimase stupefatto. Egli mi visitò a fondo e constatò che la lesione al midollo spinale era del tutto guarita. Però proprio del tutto sana non lo sono, sai; quelle sofferenze che dipendono dal sangue sono rimaste. Se la santissima volontà di Dio avesse disposto che guarissi completamente, la voce me l'avrebbe detto. Già così sono molto felice: senza patimenti non vorrei vivere. Ora i miei cari non hanno più tanto da fare intorno a me... anzi, ora che c'è la raccolta del fieno sono io che lavo i piatti e che rassetto le stanze da basso. Poi vado a passeggiare nel bel mondo di Dio e tutto mi sembra nuovo. Quant'è buono il Signore con noi peccatori! Quante gioie dà al mondo!

   Io mi rallegravo già tanto quando mi portavate i fiori e ora, pensa, posso raccoglierli da me... Con la guarigione dalla paralisi alle gambe i miracoli non erano però finiti. Il 13 novembre di quello stesso anno Teresa Neumann ebbe un violento attacco di appendicite acuta con febbre altissima. Il medico curante, dottor Seidì, ravvisò la necessità di un'immediata operazione, da farsi nel vicino ospedale di Waldsassen. Poiché la madre di Teresa piangeva disperatamente, la malata chiese al parroco padre Naber se potesse posare una reliquia di santa Teresa di Lisieux sulla parte dolente e implorare il suo aiuto. Il parroco non trovò nulla da obiettare e Teresa allora fece posare la reliquia sull'addome sofferente e pregò: « Santa Teresa! Tu puoi aiutarmi! L'hai già fatto tante volte! Non lo chiedo per me, ma sentì un po' cosa sta combinando la mamma! » Padre Naber, che fu presente tutto il tempo, così descrisse il fatto nel suo Diario: « La malata si contorceva nel letto come un verme, mentre i presenti pregavano santa Teresa. All'improvviso si voltò verso qualcosa, aprì gli occhi, il viso le divenne radioso, alzò le mani e le tese verso qualcuno davanti a sé, disse alcune volte: "Si", e poi si drizzò. Premette alcune volte sulla parte ammalata chiedendo: "Veramente?". Io domandai allora se fosse apparsa di nuovo santa Teresa e la risposta fu: "Si, e ha detto che devo andare subito in chiesa a ringraziare Dio. Mamma, portami un vestito!". Si vestì e andammo in chiesa, tra lo stupore di tutta la gente del paese. Ogni dolore era passato. Durante la notte tutto il pus fu espulso per via naturale, solo le croste provocate dalla febbre sulle sue labbra durarono otto giorni. Oltre a sentire la voce, Teresa aveva visto questa volta anche una mano, bianca e sottile. La voce aveva detto: "La tua completa sottomissione e la tua gioia nel sopportare i dolori mi rallegrano. Affinché il mondo riconosca che questo è un avvenimento straordinario, non occorre che ti operi; ma va' subito, subito, a lodare il Signore e a ringraziarlo. Tu dovrai soffrire ancora molto, ma non temere nulla, neppure i patimenti interiori. Solo così potrai contribuire alla salvezza delle anime. Dovrai sempre di più rinunciare al tuo io, ma resta sempre così, candidamente innocente...». La strada di Teresa Neumann era segnata: visioni soprannaturali e sofferenze caratterizzeranno d'ora in poi la sua esistenza.

Le stigmate

Tra il 1923 e la fine del 1925 Teresa aveva miracolosamente recuperato la vista e la mobilità. A partire dall'inizio del 1926 si verificò una serie di fatti più straordinari ancora, se possibile: l'impressione delle stigmate, l'inizio del digiuno che doveva protrarsi per ben trentasei anni, fino alla morte, e il presentarsi di quelle visioni relative ai fatti biblici, alla vita di Gesù, della Madonna e dei santi che dovevano anch'esse accompagnare, con ritmo praticamente quotidiano, la vita della Resl, come Teresa Neumann veniva comunemente chiamata da amici e familiari. Nel febbraio del 1926 Resl fu colta da malessere ed estrema debolezza, per cui dovette mettersi a letto dove rimase più di un mese, fino a Pasqua. La notte fra giovedì 4 marzo e venerdì, mentre era a letto tranquillamente e non pensava a niente di particolare, ebbe all'improvviso la visione di Gesù in ginocchio nell'orto degli ulivi e lo sentì pregare; vide anche i discepoli addormentati. Dentro di sé provò uno slancio d'amore e compassione per il Redentore: in quel momento lui la guardò fisso e Teresa sentì nella zona del cuore un dolore così intenso che credette di morire. Quando si riprese, la zona era coperta di sangue e sul lato sinistro si era aperta una ferita che continuò a sanguinare fino al giorno dopo. Teresa riuscì a nasconderla a tutti, occultandola con bende. Alla sorella che dormiva con lei, disse di essersi bruciata. Una settimana dopo, alla stessa ora, Teresa vide ancora Gesù nell'orto degli ulivi e in seguito anche la flagellazione. La settimana seguente assistette all'imposizione della corona di spine. Ogni volta la ferita al cuore sanguinava copiosamente fino al giorno dopo. Il venerdì della Passione, 26 marzo, Teresa vide Gesù portare la croce e cadere sotto il suo peso e quando si riprese dallo stato d'estasi, sulla sua mano sinistra si era aperta una ferita sanguinante che non fu possibile nascondere. Quando la madre le chiese come si fosse fatta male, Teresa dovette rispondere che la ferita si era formata da sola. La notte fra giovedì e venerdì santo (10 e 2 aprile) Teresa vide per la prima volta tutta la Via crucis, dall'orto degli ulivi fino al Golgota e alla, morte in croce, e sulla mano destra e sui piedi si aprirono altre ferite. Fu chiamato allora padre Naber, che accorse con un altro sacerdote: « Giaceva come una martire », scrisse il prelato nel suo Diario, « con gli occhi pieni di sangue, due strisce di sangue sulle guance, pallida come una moribonda. Fino alle tre, ora della morte del Salvatore, soffrì le pene spaventose della morte. Poi si calmò». La visione delle stigmate commosse profondamente il sacerdote, come aveva turbato e sconvolto i genitori e i fratelli di Teresa. « Mi ci volle parecchio tempo prima che ritrovassi la mia calma interiore », scrisse ancora padre Naber nel suo Diario. Domenica 4 aprile, giorno di Pasqua, Teresa vide il Salvatore risorto, si sentì molto meglio e poté alzarsi dal letto. E’ bene sapere che Teresa Neumann non sapeva nulla delle stigmate e non le aveva affatto desiderate. Come ebbe a dire in seguito, un tale desiderio le sarebbe apparso una « peccaminosa presunzione ». La notizia delle stigmate si diffuse molto rapidamente, con le conseguenze che ognuno può immaginare. « Resl non riusciva ad abituarsi all'idea che la gente venisse a sapere che aveva quelle ferite », racconta il fratello Ferdinand. « Temeva di essere presa per pazza, di essere ritenuta una mistificatrice, un'isterica. Di carattere era riservatissima e avrebbe preferito che le ferite non si vedessero: se proprio era desiderio del Signore che lei le avesse, che fossero soltanto per lei. In seguito però capì che erano invece destinate soprattutto alla gente, che erano un segno divino per tutti. Anche in seguito, quando si venne a sapere che non mangiava né beveva più, ebbe a dirmi in molte occasioni che avrebbe preferito essere come gli altri, visto che quel fatto attirava su di lei una curiosità morbosa. Per evitarla nei limiti del possibile, Teresa usò sempre guanti corti senza dita e maniche lunghe che coprivano quasi completamente le mani. E quando usciva dal paese, per non farsi riconoscere, invece di portare in testa il fazzoletto bianco che le era abituale, si vestiva tutta di nero come le vecchie contadine. Per il resto però accettò sempre volentieri ogni cosa inviata dal Salvatore, comprese le terribili sofferenze del venerdì, che continuarono fino alla morte ». All'inizio comunque la famiglia Neumann esitò a credere all'origine soprannaturale delle ferite e cercò di farle cicatrizzare prima con mezzi empirici e casalinghi, poi con l'aiuto del medico. Leggiamo dal Diario del pastore Naber: « Alcuni giorni dopo Pasqua venne il medico, dottor Seidì, ed esaminò le ferite. In precedenza si era tentato di far guarire le ferite con metodi casalinghi, però la malata non era riuscita a sopportarli. Anche l'unguento ordinato dal medico fu messo due volte sulle ferite, ma non fece bene.

    Io allora ordino a Teresa di applicare ancora una volta il medicamento, per non doverci poi sentir rimproverare di non aver usato a sufficienza i rimedi naturali. Conseguenza della rinnovata applicazione sono gonfiori alle mani, ai piedi e al fianco e forti dolori. Quando togliamo l'unguento, i dolori cessano. Il 16 aprile il medico torna e fascia personalmente le ferite; subito però si presentano gonfiore e dolori. Io allora consento alla malata di fare quello che ritiene sia meglio. Le fasciature messe dal medico vengono tolte, le ferite sanguinano ma non fanno più male. Teresa si trova in grande imbarazzo a causa delle prescrizioni mediche e chiede consiglio alla piccola santa Teresa. Subito dopo l'invocazione alla santa, si accorge che le bende di lino che erano state poste a protezione delle ferite si allentavano: subito dopo smisero di sanguinare e si asciugarono. Da sabato 17 aprile a giovedì 22 aprile le ferite rèstarono chiuse. Quella sera alle dieci Teresa era a letto e leggeva, quando le si ripresentarono davanti agli occhi le visioni del giovedì santo; le ferite ripresero a sanguinare e a dolere, cosa che fecero anche il venerdì. Sabato la situazione era di nuovo come la settimana precedente e le ferite erano chiuse. La settimana dopo successe la stessa cosa...». Questa situazione si ripeté fino alla morte di Teresa: le sue stigmate dolevano continuamente, ma sanguinavano soltanto durante la visione della Passione. Familiari e medico rimasero alquanto stupiti da quelle ferite che, se medicate, producevano atroci dolori e se invece lasciate stare non si infiammavano né si infettavano. E da allora in poi rinunciarono completamente a curarle. Nel novembre di quello stesso anno 1926, tra il 18 e il 19 (giovedì, venerdì), mentre Teresa aveva la visione dell'incoronazione di spine, apparvero per la prima volta tre macchie di sangue nel fazzoletto bianco che usava portare in testa.

   Quando il fazzoletto fu tolto, i capelli risultarono imbevuti di sangue e tutta la testa era assai dolorante. La settimana successiva le macchie di sangue salirono a otto, e tali rimasero. Le stigmate di Teresa Neumann furono oggetto di molti controlli medici, da parte anche di padre Agostino Gemelli che nel 1928 si recò a Konnersreuth come medico e come commissario di papa Pio XI. Padre Gemelli si era fatto sacerdote dopo la laurea in medicina ed era docente all'Università Cattolica di Milano, di cui era anche rettore. Dopo aver visitato la stigmatizzata, egli dichiarò: « Avendo visitato con la massima attenzione Teresa Neumann, dichiaro che non c'è assolutamente nessuna traccia di isterismo e, naturalmente, che le sue condizioni non sono scientificamente spiegabili ». In seguito padre Gemelli fece rapporto al pontefice, il quale impartì la sua benedizione a lui e a Teresa Neumann, la quale avvertì chiaramente quella benedizione e lo disse a padre Naber. Il documento con la benedizione apostolica giunse a Konnersreuth alcune settimane dopo.

Il digiuno

Alle stigmate intanto si aggiunse il digiuno. Da molto tempo, cioè fin da quando si era ammalata, Teresa aveva mostrato un sempre più scarso bisogno di nutrimento. A partire dal 1922, anche a causa della paralisi che le bloccava i muscoli della deglutizione, si era nutrita soltanto di alimenti liquidi. Poi gradualmente, dal 1926 in poi, non aveva più sentito neppure la necessità di questi. Tuttavia, per compiacere la madre che comprensibilmente se ne preoccupava molto, accettava di ingoiare ogni giorno un paio di cucchiai di latte o succo di frutta, che però in genere rimetteva subito. A partire dal Natale 1926 Teresa provò una totale ripugnanza per cibi e bevande e smise completamente di nutrirsi. Soltanto dopo la comunione quotidiana prendeva alcune gocce d'acqua per inghiottire meglio l'ostia; padre Naber tuttavia testimonia che dal settembre 1927 non ci fu più bisogno neppure di quella. Da allora, per quasi trentasei anni, Teresa visse senza mangiare né bere: la comunione era il suo unico, indispensabile nutrimento. Padre Naber, che le diede la comunione ogni giorno fino alla morte, ha annotato nel suo Diario che Teresa affermava di vivere « del Salvatore ». E aggiunge: « In lei si compie alla lettera la parola di Dio: "La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda" » Dell'autenticità del digiuno totale di Teresa Neumann non è lecito dubitare. Dice Ferdinand Neumann: « In una famiglia numerosa come la nostra non sarebbe mai stato possibile simulare una cosa del genere. A che scopo poi? Teresa rifuggiva da ogni notorietà e la curiosità che, suo malgrado, la gente aveva per lei soprattutto per questa faccenda del digiuno le dava molto fastidio. Inoltre Konnersreuth è un piccolo paese e tutti partecipavano molto da vicino a quello che capitava a mia sorella. Teresa non avrebbe mai potuto nutrirsi di nascosto, per trentasei anni di seguito: ce ne saremmo accorti! In più mia sorella ha vissuto a più riprese per settimane intere a casa del professor Wutz, il famoso orientalista che era anche sacerdote, a Eichstàtt, e anche lì fu constatato che il suo digiuno era totale...». Come abbiamo accennato in precedenza, a Konnersreuth vivono ancora molte persone che hanno conosciuto bene Teresa e hanno partecipato direttamente alla sua vita mistica, constatando di persona, con comprensibile stupore, i fenomeni straordinari di cui la loro compaesana era protagonista. Tutti concordemente descrivono Teresa come una donna di grande semplicità e disponibilità, di carattere allegro, gioviale, aperta al dialogo, innamorata della natura e di quello che chiamava « il bel mondo di Dio». A titolo di esempio riporto le parole di Max Dietz, 83 anni, contadino, parente di Teresa (suo fratello è il marito di Agnes, l'unica sorella superstite di Teresa, oggi molto anziana): « Mio fratello e io siamo praticamente cresciuti insieme alla famiglia Neumann e abbiamo assistito ad ogni cosa. Ricordo i tentativi per far mangiare Teresa: ci provavamo tutti, senza risultato. Sembrava che avesse la gola chiusa. Neppure con la cannuccia le andava giù niente! Hanno sospettato inganni, frodi, ma sono tutte calunnie. Per trentasei anni, vivendo in una famiglia numerosissima e sempre piena di amici e conoscenti, ed essendo per di più sempre al centro dell'interesse e della curiosità di tutti, Teresa non ha mangiato né eliminato mai nulla: come avrebbe potuto fingere e fare ogni cosa di nascosto? Noi tutti l'abbiamo vista soffrire nel letto, per anni, cieca e paralizzata. Quando all'improvviso guari, pensammo tutti subito a un miracolo: che altro avremmo potuto pensare? E anche il digiuno e le stigmate furono miracoli. Teresa ci ha abituato ai miracoli! ».

   Le stigmate e il digiuno di Teresa Neumann, che venivano ad aggiungersi alle sue guarigioni miracolose di cùi già avevano tanto parlato i giornali, attirarono sempre più l'attenzione generale. Si mosse ufficialmente anche la Chiesa, e più esattamente la curia di Ratisbona da cui dipende Konnersreuth, e ordinò un rigorosissimo controllo che fu eseguito nel luglio 1927 in casa Neumann, su precisa richiesta del padre di Teresa. Johannes Steiner, che seguì per quarant'anni il caso di Teresa Neumann, così descrive i fatti nel suo libro: « Nel luglio 1927, con la sua approvazione e su iniziativa della curia di Ratisbona, Teresa fu sottoposta ad una minuziosa e rigorosa sorveglianza di una commissione medica e di quattro suore di Mallensdorf. La curia aveva preventivamente interrogato alcuni esperti per sapere per quanto tempo una persona può, normalmente, vivere senza prendere cibo e bevanda. L'esito di questa indagine stabilì un periodo massimo di undici giorni, specialmente riguardo al bere. Su questo indice si decise di protrarre la vigilanza per quindici giorni. A due a due le suore, sotto giuramento, osservarono incessantemente Teresa durante quei quindici giorni secondo le istruzioni ecclesiastiche e mediche. E’ stata misurata l'acqua per sciacquarsi la bocca; sono state controllate tutte le secrezioni. Furono prese fotografie delle stigmate sanguinanti e il sangue stesso fu esaminato. Venne persino sottoposta, senza chiederle il permesso, a visite molto penose di cui per dieci anni lei si vergognò di parlare, perfino con i genitori. Nel corso di tali accertamenti fu fatto, durante lo stato di estasi del venerdì, un esperimento di abbacinamento con una lampada ad arco di cinquemila watt, dirigendo un raggio luminoso sui suoi occhi spalancati. Se Teresa si fosse trovata in condizioni di sensibilità normale, questo esperimento avrebbe potuto provocare disturbi visivi molto gravi, specialmente a lei che già era stata affetta da cecità. Invece non si mosse, né batté ciglio, e ciò dimostra che nello stato di contemplazione visionaria era insensibile ad ogni impressione esterna. Nei quindici giorni non fu constatata la minima immissione di alimenti. Il peso, che all'inizio dell'esame era di 55 kg, scese durante le sofferenze del venerdì a 51 kg la prima volta e a 52,5 la seconda, e alla fine dell'esame ritornò al livello iniziale malgrado l'assoluto digiuno. Il peso medio di Teresa Neumann, nel corso degli anni seguenti, non è mai diminuito, anzi con l'età e per predisposizione ereditaria è piuttosto aumentato. Ha sempre perduto peso nei venerdì (fino a 4 kg), ma lo ha recuperato regolarmente nel corso della settimana. Un organismo normale non sopporterebbe, a lungo andare e senza sostentamento, così continue variazioni di peso senza registrare notevoli disturbi...». La curia di Ratisbona si dichiarò pienamente soddisfatta dell'esito del controllo. Nel suo bollettino del 4 ottobre 1927 pubblicò infatti quanto segue: « L'esteso, esauriente rapporto dell'ufficiale sanitario dottor Seidì e il testo scritto di proprio pugno dal docente universitario professor Ewald, nonché i due gruppi di diari delle quattro suore ci convincono che un osservazione effettuata in un ospedale o in una clinica, come all'inizio era stato auspicato ma non fu possibile effettuare, non avrebbero potuto dare risultati migliori. Firmato: Scheglmann, vicario generale. Wùhrl, segretario ».

   Negli anni seguenti tuttavia furono fatte pressioni a Teresa perché ripetesse il controllo del digiuno. A un secondo esame tuttavia non si arrivò mai, perché i vescovi non furono d'accordo nella richiesta di un secondo esame che veniva da parte dei medici e dei politici. Inoltre il padre di Teresa, dopo aver appreso certi particolari del primo controllo, si oppose assolutamente a che ne venisse compiuto un secondo. Egli stesso lo espresse chiaramente in una lettera al vescovo di Ratisbona, monsignor Michael Buchberger: la lettera è datata 10 marzo 1937. Rev.mo signor vescovo, in questi giorni ho appreso da mia figlia una cosa che cambia radicalmente il mio atteggiamento riguardo a un rinnovato esame clinico. Durante l'osservazione ordinata dal suo predecessore, il professor Ewald, senza che io lo sapessi e senza il permesso di mia figlia, l'ha visitata in rapporto alla sua verginità. Mia figlia, non essendo nelle condizioni di potersi opporre, ha dovuto subire l'affronto senza protestare, ma il professor Ewald non doveva mai farlo senza il suo consenso. In tutti questi anni lei non mi ha mai parlato del fatto, perché si vergognava... E’ inaudito e vergognoso sotto ogni aspetto che da parte della curia, sotto il titolo di « osservazione del mancato nutrimento », si concedano pieni poteri a un medico, e per di più a un medico protestante, poteri che gli consentono di trattare e visitare una ragazza illibata come una prostituta alla sezione di polizia. Con ciò ogni discorso intorno a nuovi esami medici è definitivamente chiuso... Stigmate e digiuno non autorizzano in alcun modo a tale incredibile impudenza, che non si oserebbe imporre a un essere normale. Ad ogni buon conto, a me non capiterà di certo mai più che si abusi della fiducia della mia famiglia in modo così vergognoso, visto che neanche gli ordini del vescovado garantiscono protezione alcuna. Con reverenza. FERDJNAND NEUMANN

Nella sua opposizione netta e precisa Ferdinand Neumann fu confortato dal sostegno dei vescovi: monsignor Michael Rackl, vescovo di Eichstàtt, lo esortò a non aderire per nessuna ragione a un nuovo esame; e il cardinale Preysing di Berlino, che era stato in precedenza vescovo di Eichstàtt e conosceva quindi molto bene la situazione, affermò pubblicamente: « Mi rallegro molto che il padre abbia una testa così dura. E’ ovvio che un medico non crederebbe ai risultati dell'altro, né una clinica all'altra ». Johannes Steiner riferisce nel suo libro che papa Pio XI avrebbe detto al cardinale Schuster con riferimento a Teresa Neumann e al problema di un ulteriore controllo: «Lasciatemi in pace quella creatura!». Steiner aggiunge poi, a titolo personale, che il padre di Teresa aveva detto a più riprese: « Per conto mio possono mettere Teresa in una cassa di vetro e osservarla quanto vogliono, ma non permetterò mai che si facciano esperimenti su di lei ». Egli temeva infatti che se la figlia fosse stata ricoverata in clinica per accertamenti relativi al digiuno le cose sarebbero andate come la prima volta; in più probabilmente avrebbero tentato di nutrirla con sonde o avrebbero fatto esperimenti sulle stigmate.

   Questi ultimi timori erano stati espressi a Ferdinand Neumann da amici medici ed erano pienamente giustificati, anche perché durante il terzo Reich nessuno sapeva cosa potesse capitare in una clinica. Teresa fu quindi lasciata in pace. Nel suo Diario padre Naber racconta di averle chiesto, mentre si trovava in stato di estasi, che cosa si poteva sperare da un nuovo esame, e lei aveva fls'posto: « Se il Salvatore si fosse riproposto di ricavare da un nuovo esame qualche cosa in suo onore e che fosse utile alla salvezza della gente, avrebbe da tempo già portato a termine la faccenda! ». Resta da aggiungere, per completare il quadro relativo al digiuno di Teresa Neumann, che tale digiuno ebbe un'importante conferma indiretta: durante il terzo Reich Teresa fu cancellata dalle liste annonarie e dall'inizio della guerra fino alla riforma monetaria del 1948 non ebbe la tessera alimentare. Le fu concessa invece una doppia razione di detersivi per lavare la biancheria che ogni venerdì inondava di sangue. Teresa Neumann, la sua famiglia e i suoi amici furono sempre nettamente contrari al nazismo, e non ne fecero certo mistero; ciò nonostante non ebbero fastidi di alcun genere. Hitler ebbe, a quanto pare, rispetto di lei e la parola d'ordine nei suoi confronti era: « Konnersreuth non si tocca! ». A proposito del digiuno di trentasei anni di Teresa Neumann, il gesuita dottor Carl Stràter, che fu incaricato dal vescovo di Ratisbona monsignor Rudolf Graber di studiare la vita della stigmatizzata di Konnersreuth e di raccogliere materiale in vista di una possibile beatificazione, afferma: «Il significato del digiuno di Teresa Neumann è stato quello di dimostrare agli uomini di tutto il mondo il valore dell'eucarestia, far capire che Cristo è veramente presente sotto la specie del pane e che attraverso l'eucarestia può conservare anche la vita fisica ».
[Modificato da Credente 13/04/2016 12:13]
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13/04/2016 12:17
 
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BEATA ALEXANDRINA DA COSTA:



Il 30 marzo 1904, cento anni fa, a Balasar (Portogallo) nasce Alexandrina da Costa. Cresce in una giovinezza singolarmente pura e pia, in cui Gesù è davvero tutto per lei. Ma la svolta della sua vita avviene attorno ai 20 anni. 
Aveva solo 14 anni ed era una bella ragazza, quando per sfuggire a tre uomini, penetrati nella sua casa per insidiarla, si era buttata dalla finestra per salvare la sua purezza.
Non guarì più dal terribile colpo subìto e, ventenne, si trovò paralizzata nel suo letto, per la mielite alla spina dorsale.

Una vita singolare

A questo punto, la sua esistenza sale verso l’alto, secondo la chiamata di Gesù, che la vuole per una via tutta sua.
Nella solitudine della sua cameretta, ella diventa l’angelo consolatore di Gesù presso tutti i tabernacoli del mondo e, contemporaneamente, ostia con Gesù Ostia divina, la Vittima immolata per la salvezza delle anime.
Nel suo corpo e nella sua anima, Alexandrina vive misticamente l’agonia e la passione di Nostro Signore, dal Getsemani alla Crocifissione sul Calvario, in riparazione degli oltraggi, dei sacrilegi e delle profanazioni contro di Lui eucaristico.
Non potendo andare in chiesa ad adorare il Santissimo Sacramento e a partecipare alla Santa Messa, dal suo letto ella diventa adoratrice di giorno e di notte con il suo cuore e la sua mente presso tutti i Tabernacoli della terra, e si unisce con fede e con amore senza limiti al Sacrificio di Gesù ripresentato su tutti gli altari.
Gesù, attraverso i suoi direttori spirituali, di cui l’ultimo sarà 
il salesiano Don Umberto Pasquale, e Lui stesso direttamente, la guida in modo singolare all’offerta di tutta se stessa, per mezzo di una voce interiore, e nelle estasi, piuttosto frequenti, Gesù le dice:

«Faccio in modo che tu viva solo di me, per mostrare al mondo il valore e la potenza dell’Eucaristia, che è la vita mia per le anime».

Per lunghi anni, Alexandrina si nutrì solo dell’Eucaristia, senza alcun altro cibo.

«Parla alle anime, figlia mia, parla loro del Rosario e dell’Eucaristia. Il Rosario, il Rosario! L’Eucaristia, il mio Corpo e il mio Sangue!».

Tra le mura della sua cameretta, Alexandrina diventa cooperatrice salesiana, sicura che lo stile salesiano di apostolato in mezzo alla gioventù può essere vissuto anche nell’offerta sacrificale con il Crocifisso, come aveva pure insegnato Don Bosco e avevano vissuto in modo singolare i salesiani come Don Augusto Czartoryski, Don Luigi Variara, Beati e Don Andrea Beltrami.

Nel silenzio della sua stanzetta, mentre sale a Dio la sua offerta, vera oblatio munda con Gesù, ella riceve folle di persone che accoglie sempre sorridendo, nonostante le grandi sofferenze che ininterrottamente vive nel corpo e nello spirito.
A loro dona luce, gioia e senso cristiano della vita: avvengono così prodigi di conversioni in numerose persone che dall’incredulità si avvicinano a Gesù, mentre altre passano a una vita più fervente.
Anche il Papa Pio XI si interessa al suo caso e incarica il canonico Emanuele Percira Vilar, di esaminare l’ammalata di Balasar. Lei gli chiede con insistenza di consacrare il mondo al cuore immacolato di Maria. Ma al momento nessuno comprende.
Durante un’estasi, il Signore le dice: «
Io voglio la Consacrazione del mondo alla mia Madre Immacolata. Ma voglio che tutto il mondo ne sappia la ragione «perché si faccia penitenza e preghiera. È per questo che ti faccio soffrire. E dovrai soffrire ancora molto finché il Papa lo consacri». Nella stessa estasi, Alexandrina riferisce: «Vedevo una distruzione tanto grande: case che crollavano una dopo l’altra e in poco tempo tutta la terra sembrava sommersa da un grande fumo. Il Signore mi disse: Quello che vedi è quanto capiterà.

E se il mondo sarà consacrato alla Mamma del cielo?
Soltanto per lei potrà essere salvato, ma solo se il mondo farà penitenza e si convertirà».
Era la notte fra il 24 e il 25 aprile 1938, quando Alexandrina ebbe questa estasi.
Nella primavera del 1942 il Signore le disse:

      «Non ti alimenterai più sulla terra. Il tuo cibo sarà la mia Carne».
Iniziò allora lo straordinario digiuno che durò fino alla morte. I medici esaminarono scientificamente il caso. «Perché non mangia?», le chiesero.
      «Non mangio perché non posso; mi sento sazia, non ne ho necessità. Però ho desiderio di cibo».

Per quaranta giorni i medici sottoposero Alexandrina a uno scrupoloso esame, senza mai abbandonarla né di giorno, né di notte. Alla fine scrissero che il suo era un caso eccezionale che non trovava nessuna spiegazione anche perché il suo peso rimaneva immutato, e non c’erano variazioni né sulla temperatura, né nella respirazione, né per la pressione o il polso e che le sue facoltà mentali restavano normali, costanti e lucide.
È segnata nel suo corpo dalle stigmate, i segni della Passione di Gesù, ma pur tra atroci dolori, il suo sorriso diviene trasparenza di Cielo, irradiazione della Vita divina; tocca i cuori che escono dall’incontro con lei, portando i segni del cambiamento interiore.
È una vita singolarmente attiva, di una socialità straordinaria, la socialità massima della Croce di Cristo, che è il dono supremo, che
 Don Umberto Pasqualenella sua biografia ha narrato con dovizia di episodi e di particolari, narrando una vera storia d’amore, una delle più grandi meraviglie del secolo XX. Per più di trent’anni, Alexandrina rimane immobile nel suo letto, fino al 13 ottobre 1955, quando avviene il suo passaggio dalla vita terrena al Cielo.
All’alba chiede che le sia dato il crocifisso e la medaglia dell’Addolorata da baciare. Alle otto riceve ancora la Comunione. È l’ultima. Nella mattinata vengono in molti a visitarla. A un gruppo di persone raccomanda:

«Non peccate. Il mondo non vale nulla. Fate sovente la Comunione. Recitate il Rosario ogni giorno. Addio, arrivederci in Cielo».

Verso le 11 si volge al medico e gli dice con gioia: «Manca poco!». Il medico le dice:

«Non si dimentichi... preghi molto per noi». Chi le è accanto le dice: «sì, in Cielo, ma non adesso».
Lei, con un sospiro dice ancora: «Sì, in Cielo. Vado in Cielo... presto... adesso».

Alle ore 20 dà un bacio lunghissimo al Crocifisso. Ventinove minuti dopo, senza un tremito, senza un sussulto, spira.
A Oporto, nel pomeriggio del giorno 15, i fiorai rimasero tutti privi di rose bianche. Tutte vendute. Erano state inviate a Balasar: un omaggio floreale ad Alexandrina che era stata la rosa bianca di Gesù.

Alcuni messaggi

Ecco alcuni dei messaggi che Alexandrina ci ha lasciato, frutto delle sue locuzioni interiori.
«Fa’ che io sia amato – le chiede Gesù – che io sia consolato e riparato nella mia Eucaristia».
«Di’ in mio nome che a quanti faranno bene la Santa Comunione per i primi sei giovedì del mese e passeranno un’ora di adorazione davanti al mio Tabernacolo, in intima unione con Me, Io prometto loro il Cielo».
«Di’ che onorino, attraverso l’Eucaristia, le mie sante Piaghe... chi al ricordo delle mie Piaghe, unirà quello dei dolori della mia Madre benedetta e per loro chiederà grazie spirituali e corporali, ha la mia promessa che saranno accordate, a meno che non siano di danno per la loro anima».
«Parla dell’Eucaristia, che è prova del mio amore infinito, che è il mio sacrificio perenne, l’alimento celeste delle anime».
«Di’ alle anime che mi amano, che vivano unite a Me durante il loro lavoro; nelle loro case, sia di giorno che di notte, si inginocchino sovente in spirito e a capo chino dicano: “Gesù, ti adoro in ogni luogo dove abiti sacramentalmente; ti faccio compagnia per coloro che ti disprezzano; Ti amo per coloro che non Ti amano; Ti do sollievo per coloro che ti offendono. Gesù vieni nel mio cuore e prendine totalmente possesso».
«Questi momenti saranno per me di grande gioia e consolazione. Quanti crimini si commettono contro di me, nella Santissima Eucaristia!».
«Venga ben predicata e ben propagata la devozione all’Eucaristia, perché per giorni e giorni, le anime non mi visitano e non mi amano, non riparano. Non credono più che Io abito nel tabernacolo, diversamente mi farebbero compagnia, in primo luogo i miei consacrati».
«Voglio che accenda nelle anime la devozione verso l’Eucaristia. Sono tanti che pur entrando nelle chiese, neppure mi salutano e non si soffermano un momento per adorarmi».
«Lontano dal Cielo, lontano da Gesù... oh se fosse ben compreso quale tesoro racchiude il tabernacolo! È la vita, è l’amore, è la gioia, è la pace, è il Paradiso in terra. Vorrei che vi fossero tanti amici prostrati davanti al tabernacolo per non lasciar accadere tanti e tanti crimini».
Il 25 aprile 2004, il Santo Padre, Giovanni Paolo II, eleva alla gloria degli altari l’eroica cooperatrice Alexandrina da Costa.
                                                                                                     
       Paolo Risso


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13/04/2016 12:22
 
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Marthe Robin


Dal  libro “La guerra contro Gesù” (Rizzoli)


La storia di Alessandra (di Rudinì, nda) dimostra che infine dal pantano della cultura nichilista, che genera disperazione, non ci libera un’altra cultura, neanche cattolica, ma un incontro, dove si sperimenta che davvero Gesù è vivo, oggi e opera potentemente (e questa è la prova della sua resurrezione).


Così come i sofismi di certi antichi filosofi greci sull’impossibilità del movimento venivano spazzati via non da altri sofismi contrapposti, ma dalla concretezza di un uomo in movimento. Dal fatto che accade.


Anche i pregiudizi ideologici dell’esegesi razionalista (poiché un pregiudizio è impermeabile agli argomenti altrui) sono spazzati via di colpo solo da un fatto in cui ci si imbatte e che mostra tangibilmente Gesù esistente e vivo, quindi risorto, operante qui e ora.


E’ quanto accadde – secondo Guitton – a uno dei più radicali fra gli esegeti razionalisti: Paul-Louis Couchoud.


Abbiamo già visto il suo pensiero espresso in “Le mystère de Jésus”. Ecco le sue parole: “L’idea che Dio si sia incarnato… ci urta. E’ una concezione prekantiana. Essa è stata accettata da grandi spiriti come sant’Agostino, san Tommaso, Pascal; però oggi è inammissibile”[1].


Couchoud esprimeva con perfetta lucidità il “pregiudizio” dei moderni.


Egli infatti eliminava “a priori” la possibilità dell’incarnazione perché “inconcepibile”, pretesa tipica del razionalismo moderno secondo il quale ciò che supera le possibilità del raziocinio umano non esiste (come se l’Essere fosse stato partorito dagli uomini e quindi dovesse star “dentro” la loro mente, quando è evidente il contrario: gli uomini sono “contenuti” dentro l’Essere e la loro mente è piuttosto una finestra aperta sull’infinito che una scatola contenente il Tutto)[2].


Il suo pensiero si inseriva nel filone “mitico” dell’esegesi, quello che da David Strauss ritiene che Gesù sia stato “inventato”, come Dio incarnato che soffre e redime, per dare concretezza a un pensiero, a un simbolo dell’immaginario collettivo.


Couchoud, filosofo, esegeta, medico, docente universitario, fondatore di un nota collana di libri “anticristiana”, arrivava alle conclusioni estreme.


Jean Guitton, che fu suo amico e ha scritto molto su di lui e la sua parabola umana e intellettuale, sintetizza così il suo caso: “Egli era la persona più estranea al cristianesimo che vi sia stata al mondo (negava l’esistenza storica di Gesù)”[3]


Quella sua negazione a priori dell’esistenza storica di Gesù non aveva il supporto di veri argomenti storici, perché anzi i documenti dimostrano il contrario.


La sua era una paradossale conclusione filosofica ed esegetica che nasceva dal riconoscere che la riduzione di Gesù a semplice rabbi, fatta dagli esegeti alla Loisy e Renan, faceva sorgere un problema ancor più grande di quello che pretendeva di risolvere, perché così diventava assolutamente impossibile spiegare “la nascita del cristianesimo”, che ai suoi occhi appariva “un’incredibile assurdità e il più bizzarro dei miracoli”[4].


Era dunque su posizioni radicalmente anticristiane.


Eppure anche Couchoud capovolge la sua posizione e si converte – secondo la testimonianza di Guitton[5], contestata da alcuni – perché un giorno si imbatte in un fatto, nella presenza evidente di Gesù vivo e operante nel XX secolo.


La clamorosa conversione di Couchoud si verifica grazie al suo incontro con Marthe Robin.


Marthe è una straordinaria mistica. Figlia della profonda Francia contadina, questa ragazza intelligentissima, dolce, semplice, di grande forza interiore, nata nel 1902 e morta il 6 febbraio 1981, dopo ripetuti gravi problemi, dal 1928 resta completamente paralizzata e perfino impossibilitata a deglutire.


Per 50 anni, nel suo villaggio tra il Rodano e le Alpi, vivrà inchiodata al suo letto, senza più poter dormire, senza più poter mangiare né bere alcunché, nutrendosi solo dell’eucaristia che inspiegabilmente poteva deglutire.


Non vedeva. Ogni venerdì riviveva le sofferenze della Passione di Gesù del quale portava le stimmate. Dal suo letto di dolore, tramite le persone che andavano da lei, ha fondato centinaia di centri di preghiera in tutto il mondo, i “Foyers di carità”.


Il 15 ottobre 1925 aveva messo nero su bianco il suo atto di abbandono e offerta al Signore: “una vera e propria lettera d’amore. Ha ventitré anni, è il suo fidanzamento”[6].


Ecco le sue parole:


Signore, mio Dio, hai domandato tutto alla tua piccola serva. Prendi dunque e accogli tutto.


In questo giorno mi affido a Te senza riserve e senza nulla in cambio.


O mio amato, è solo Te che voglio…


E per amor tuo  rinuncio a tutto…


O Dio d’amore prendi la mia memoria e tutti i suoi ricordi.


Prendi la mia intelligenza e fa’ che sia a servizio solo della tua massima gloria…


Prendi tutta la mia volontà…


Prendi il mio corpo e tutti i suoi sensi, il mio spirito e tutte le sue facoltà, il mio cuore e tutti i suoi affetti.


Ricevi l’immolazione che ogni giorno e ogni ora io Ti offro in silenzio. Degnati di accoglierla e trasformarla in grazie e benedizioni per tutti coloro che amo, per la conversione dei peccatori e la santificazione delle anime…


Prendi e santifica tutte le mie parole, tutte le mie azioni, tutti i miei desideri.


Sii per l’anima mia il suo bene e il suo tutto. La dono e l’abbandono a Te.


Accetto con amore tutto ciò che viene da Te: dolore, sofferenze, gioia, consolazione, aridità, abbandono, rinuncia, disprezzo, umiliazione, lavoro, prove…


Dio mio, Tu conosci la mia fragilità e l’abisso infinito della mia grande debolezza. Se un giorno dovessi essere infedele alla Tua suprema volontà, se dovessi… disertare il Tuo cammino d’amore, oh!, te ne supplico, fammi la grazia di morire all’istante!


O Dio dell’anima mia, o sole divino, io Ti amo, Ti benedico, Ti lodo, mi abbandono tutta a Te. Mi rifugio in Te.


Nel Tuo seno… Prendimi con Te.


Non voglio vivere che in Te.


 


Riferisce Jean Guitton: “Mi accadde di parlare con de Gaulle di Marthe Robin e di sentirgli dire che la considerava forse la persona più eccezionale di questo secolo. Il cardinale Daniélou condivideva questa opinione”[7].


Il fatto curioso è che Guitton, importante filosofo cattolico, conobbe Marthe proprio su invito di Couchoud che con lei aveva intrecciato una grande amicizia: “un’amicizia che legava il più grande ateo dell’esegesi alla persona mistica più singolare del mondo”[8].


Guitton dà ancora qualche flash su Marthe: “Possedeva un carisma superiore a qualunque altra persona che io abbia mai conosciuto. Non so spiegarlo: quella donna era isolata da tutto; lottava continuamente contro il demonio. Non si poteva entrare nella sua stanza senza che tutti i mobili fossero scagliati a terra, non si sa come”[9].


Il vescovo di Valence incaricò due illustri medici di visitare Marthe ed esprimere il loro parere scientifico. Il dottor André Ricard, chirurgo degli Ospedali di Lione, e il dottor Jean de Chaume, professore alla Facoltà di medicina e primario della Clinica neuropsichiatrica di Lione, la visitarono per un’intera giornata e stilarono un rapporto medico in cui, sotto giuramento, scrissero:


“Non presenta turbe psichiche di rilievo, né segni di affezione clinica: escludiamo la frode, la simulazione e l’origine isterica delle manifestazioni (stigmate, inedia, visioni, estasi); siamo obbligati a riconoscere la nostra impotenza; dichiariamo la presenza di vere stigmate sanguinanti, al di fuori di ogni imbroglio e preferiamo riconoscere che non vediamo né la causa né il meccanismo in base alle nostre attuali conoscenze e le consideriamo di ordine soprannaturale”[10].


L’incontro e l’amicizia con Marthe Robin fu decisivo per Couchoud.


Il grande ateo, lo studioso razionalista, non poteva negare l’evidenza del Mistero, in quella presenza. Le scrisse: “Ignoro quello che ignori. Vorrei sapere quello che sai. Di quello che preghi, mi giunge il profumo. Non dimenticarti di me, o piena di vita!”.


Jean Guitton, che ha conosciuto e seguito questa loro amicizia, testimonia la conversione finale di Couchoud nel libro “Ogni giorno che Dio manda in terra” [11].


Da Antonio Socci, La guerra contro Gesù, Rizzoli





[1] Cit in storia esegesi spadafora… p. 228




[2] Quello straordinario maestro di razionalità che è don Luigi Giussani osserva: “Se c’è un delitto che una religione può compiere è quello di dire ‘io sono l’unica strada’. E’ esattamente ciò che pretende il cristianesimo. Non è ingiusto sentirsi ripugnare di fronte a tale affermazione. Ingiusto sarebbe non domandarsi il motivo di tale pretesa” (All’origine della pretesa cristiana, p. 31). Quindi l’atteggiamento razionale, osserva Giussani, è quello di chi si chiede – davanti a simile pretesa – se sia vera oppure no, se sia accaduto oppure no, se Dio si è davvero fatto uomo o no. Perché “se fosse accaduto, questa strada sarebbe l’unica… perché l’avrebbe tracciata Dio” (p. 34).




[3] Guitton, Ritratto di Marthe Robin, p. 19.




[4] Cit. in Messori, Ipotesi su Gesù, p. 152




[5] Guitton, Ogni giorno che Dio manda in terra, cit. pp. 157-159




[6] Così scrive Raymond Peyret, in “Marthe Robin” (Massimo…), p. 24. Da questo libro riprendo anche il testo scritto da Marthe.




[7] Guitton, Ogni giorno che Dio manda in terra, p. 112




[8] Guitton, Ritratto di Marthe Robin, p. 25




[9] Guitton, Ogni giorno che Dio manda in terra, p. 112




[10] Guitton-Antier, Poteri misteriosi della fede, Piemme, p. 206




[11] Guitton riferisce i fatti in “Ogni giorno che Dio manda in terra”, pp. 157-158




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03/06/2016 21:39
 
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Shrine of the Lord of Mercy in Ocotlán, state of Jalisco, Mexico,

Quando migliaia di persone videro l'immagine di Gesù in cielo


Il miracolo “perfettamente provato” di Ocotlán





È un grande miracolo di cui probabilmente non avete mai sentito parlare.


Domenica 3 ottobre 1847, più di 2000 persone videro aOcotlán, in Messico, un’immagine perfetta di Gesù Cristo crocifisso apparsa in cielo per oltre 30 minuti.


Approvato dall’arcidiocesi di Guadalajara nel 1911, il fenomeno è noto come “miracolo di Ocotlán” ed ebbe luogo il giorno prima di un terremoto che uccise 40 persone e ridusse in macerie la città dello Stato di Jalisco.


Prima dell’inizio della Messa al cimitero della cappella dell’Immacolata Concezione, presieduta dal vicario parrocchiale, padre Julián Navarro, due nuvole bianche si unirono in cielo e apparve l’immagine di Cristo.


I presenti e chi abitava nelle città vicine rimasero profondamente colpiti, fecero atti di contrizione e gridarono “Misericordia, Signore!” Questa apparizione di Cristo venne chiamata “il Signore della Misericordia”, e in suo onore nel settembre 1875 venne benedetta, consacrata e dedicata una nuova parrocchia.


Tra i fedeli che testimoniarono il miracolo c’erano anche padre Julián Martín del Campo, pastore della comunità, e Antonio Jiménez, il sindaco locale. Entrambi inviarono delle lettere ai rispettivi superiori riferendo ciò che era accaduto.

Dopo il miracolo, venne scritto un resoconto dell’evento con la testimonianza di 30 testimoni oculari. Cinque anni dopo, nel 1897, per ordine dell’allora arcivescovo di Guadalajara, Pedro Loza y Pardavé, venne scritto un nuovo resoconto con altri 30 testimoni, tra i quali cinque sacerdoti.

Il 29 settembre 1911, l’arcivescovo di Guadalajara dell’epoca, José de Jesús Ortiz y Rodríguez, firmò un documento che avvalorava l’apparizione di Cristo a Ocotlán e la devozione e la venerazione della gente della zona alla statua di Nostro Signore della Misericordia, collocata nel santuario omonimo.

“Dobbiamo riconoscere come fatto storico, perfettamente provato, l’apparizione della beata immagine di Gesù Cristo crocifisso… e che non avrebbe potuto essere opera di un’allucinazione o di una frode, visto che è avvenuta in pieno giorno, davanti a più di 2000 persone”, affermò il cardinale.

Il porporato dichiarò anche che perché il Signore della Misericordia non venisse mai dimenticato i fedeli dovevano “riunirsi in qualsiasi modo possibile, dopo aver purificato la propria coscienza con i santi sacramenti della Penitenza e della Santa Comunione, e giurare solennemente alla presenza di Dio, per se stessi e per i loro discendenti, che anno dopo anno avrebbero celebrato l’anniversario del 3 ottobre”.

Dopo l’approvazione e per conformarsi alle disposizioni dell’arcivescovo di Guadalajara, nel 1912 si avviarono festeggiamenti pubblici in onore del Signore della Misericordia, ricordando il miracolo del 1847. Le celebrazioni attualmente durano 13 giorni, dal 20 settembre al 3 ottobre.

Nel 1997 San Giovanni Paolo II ha inviato la sua benedizione apostolica alla popolazione di Ocotlán in occasione del 150° anniversario del miracolo.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]


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20/02/2017 22:12
 
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Il santuario in cui Gesù è rimasto impresso su una pietra

 

Nel comune colombiano di Sopó, a circa 40 minuti di macchina da Bogotà, c’è un santuario meraviglioso, immerso nella natura e custodito dall’immenso cielo blu che d’estate copre Sabana de Bogotá. È il Santuario de Mi Padre Jesús de la Piedra de Sopó, dove il volto di Gesù è rimasto impresso su una pietra.

 

La storia di questo posto risale al 3 dicembre 1753. Rosa Nieto, una donna di grande semplicità e dai valori cristiani, viveva nella parrocchia. Aveva il compito di lavare le tovaglie per il servizio dell’altare, e si recò al torrente Moya, dove l’acqua era pura, per lavare le tovaglie in una pozza che si era formato lì.

 

Tutta intenta nel suo lavoro, notò una cosa singolare: c’era una luce che saliva fino in superficie. La chiarezza e la bellezza dei raggi di luce erano tali che Rosa decise di avvicinarsi quanto più possibile e mise un braccio nell’acqua. Quando ritirò la mano, prese con sé una pietra. Rimase delusa nel notare che non vi era più luce. Ma poi notò che sulla pietra era impressa un’immagine: quella di Gesù, l’Ecce Homo.

 

Rosa portò la pietra con sé, e tornata a casa la posizionò nel suo altare personale, insieme ai suoi più preziosi oggetti di devozione. Al calar della notte, quando stava per iniziare ad addormentarsi, rimase a bocca aperta vedendo che la pietra stava brillando al buio, intensamente, proprio come al torrente.

 

Il giorno dopo decise di raccontare al parroco quello che era successo. Padre Raymond Chavez Forero, che era anziano e non vedeva molto bene, non riusciva a notare l’immagine impressa sulla pietra. Nonostante la sua incredulità, il prete le disse di continuare a venerare il sasso, perché Dio usa la semplicità degli umili per manifestare la Sua gloria. E disse che se davvero l’immagine impressa sulla pietra era opera di Dio, l’episodio si sarebbe verificato nuovamente.

 

Tornata a casa, Rosa diede ascolto al parroco e si mise a pregare con grande devozione davanti all’immagine, chiedendo spiegazioni sulle parole del prete. Qualche giorno dopo, con suo gran stupore, Padre Raymond notò che aveva una vista migliore. Andò immediatamente da Rosa – che nei giorni precedenti aveva trattato in modo un po’ scortese – affinché gli mostrasse la misteriosa pietra.

 

Vedendola, il sacerdote rimase stupito, perché poté vedere Nostro Signore Gesù Cristo durante la Sua flagellazione. Ci furono anche altri testimoni oculari, che confermarono di aver visto l’immagine impressa.

 

 

 


 

Ben presto la pietra guadagnò fama, e i devoti assistettero a numerosi prodigi. Si dice che i colori dell’immagine siano diventati persino più ravvivati negli ultimi 80 anni, dando una maggiore nitidezza all’immagine stessa.

 

 

 

Proprio accanto al torrente, nel 1953 fu costruito un santuario in suo onore, dove si venera la pietra, che si trova sull’altare maggiore. Ogni anno vi si recano migliaia di fedeli e pellegrini per pregare il “Signore della Pietra di Sopó”.

 

Quasi quarant’anni anni fa la pietra fu incredibilmente rubata ma, come per miracolo del Signore, fu poi restituita. Era il 21 aprile 1977. In questo anniversario, nel 2017, l’evento sarà ricordato in modo speciale nel santuario colombiano.

 

Preghiera del pellegrino al Signore della Pietra di Sopó

 

Dio Padre, hai impresso su questa pietra l’immagine dolorosa e umiliata di tuo figlio Gesù Cristo. Ti preghiamo affinché lo Spirito Santo, che ha dato forza al cuore della Madre Addolorata, imprima anche nei nostri cuori il segno misericordioso del Tuo amore e del Tuo perdono; che ognuno di noi senta la presenza di Gesù e la scopra nel volto del prossimo. Così, uniti alla croce di Tuo Figlio, diamo, come membri della tua Chiesa, una chiara testimonianza della nostra speranza. Tu, che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

 

Gaudium Press / 

 

















[Modificato da Credente 20/02/2017 22:16]
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23/03/2017 09:32
 
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La notte in cui la Madonna fermò un esercito:
“Non possiamo andare avanti. C’è una Signora che ci sbarra la strada”

“Gli occhi, di una tenerezza indicibile, erano fissi su di noi. Come una vera madre, sembrava più felice di guardare noi che noi di contemplarla”

Nel 1871 la Francia era devastata a causa della guerra franco-prussiana. Tre quarti del Paese erano sotto l’occupazione dell’antica Prussia.

Nella notte stellata del 17 gennaio, nel piccolo villaggio di Pontmain, in Bretagna, Cesar Barbadette e i suoi due figli, Joseph e Eugène, di 10 e 12 anni, stavano finendo di fare i compiti nel granaio. Eugène guardò fuori dalla finestra e vide una zona senza stelle sopra la casa del vicino. All’improvviso vide la Madonna sorridergli. Anche Joseph vide la Madonna. In seguito, quando era già diventato sacerdote, egli stesso riferì ciò che aveva visto:

“Era giovane e alta, vestita con un mantello blu… Il suo vestito era coperto di stelle dorate brillanti. Le maniche erano ampie e lunghe. Indossava sandali dello stesso blu del vestito, ornati con archi d’oro. Sulla testa aveva un velo nero che le copriva metà della fronte, che le nascondeva i capelli e le orecchie e le ricadeva sulle spalle. Sopra a questo aveva una corona simile a un diadema, più grande sulla fronte e che si allargava ai lati. Una linea rossa circondava a metà la corona. Le mani erano piccole ed erano tese verso di noi, come nella medaglia miracolosa. Il volto aveva la delicatezza più soave e un sorriso di una dolcezza ineffabile. Gli occhi, di una tenerezza indicibile, erano fissi su di noi. Come una vera madre, sembrava più felice di guardare noi che noi di contemplarla”.

Anche se i loro genitori videro solo tre stelle in un triangolo, vennero chiamati il parroco e le religiose della scuola parrocchiale. Anche due bambine, Françoise Richer e Jeanne-Marie Lebosse, di 9 e 11 anni, avevano visto la Signora.

Gli abitanti del villaggio, circa sessanta tra adulti e bambini, iniziarono a recitare il rosario. Mentre pregavano, i veggenti riferirono che la visione aveva subito un cambiamento. In primo luogo, le stelle della sua veste si erano moltiplicate, facendo sì che il vestito blu sembrasse quasi completamente dorato. A ogni preghiera successiva, apparivano delle lettere per chiarire i messaggi in una fascia dispiegata ai suoi piedi: “Per favore, pregate, figli miei”, “Dio in breve ascolterà le vostre preghiere”, “Mio Figlio vi aspetta”.

Quando cantarono “Madre della Speranza”, uno degli inni regionali più popolari, Nostra Signora sorrise e li accompagnò. Durante il canto “Mio dolce Gesù”, una croce rossa con un corpo apparve tra le braccia di Maria, il cui sorriso scomparve dando luogo al dolore. Quando gli abitanti cantarono “Ave Maris Stella”, però, il crocifisso scomparve, il sorriso della Signora tornò e un velo bianco la coprì, chiudendo l’apparizione alle 21.00. L’apparizione era durata più di tre ore.

Le truppe prussiane vicine a Laval si erano fermate alle 17.30, alla stessa ora in cui l’apparizione era comparsa per la prima volta a Pontmain, a pochi chilometri di distanza. Il generale von Schmidt, che stava per avanzare in direzione di Pontmain, aveva ricevuto ordini dal comandante di non conquistare quella città.

Si dice che Schmidt, la mattina del 18 gennaio, abbia detto: “Non possiamo avanzare. Più avanti, in direzione della Bretagna, c’è una Signora invisibile che ci sbarra la strada”.

Il piccolo villaggio di Pontmain è una prova del fatto che le fervide preghiere sono in grado di cambiare la storia.

 


Un anno dopo, nella festa della Purificazione, il 2 febbraio, l’apparizione di Pontmain venne approvata come autentica e confermata da papa Pio XI con una Messa.

Nel 1932, papa Pio XII concesse che la Madre della Speranza, titolo dato a questa apparizione, fosse solennemente omaggiata con una corona d’oro. Oggi i pellegrini visitano la basilica di Pontmain come segno di speranza nel tragico contesto della guerra.

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[Traduzione dal portoghese a cura di Roberta Sciamplicotti]


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