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STORIA DEI CREDENTI IN CRISTO

Ultimo Aggiornamento: 28/11/2012 08:26
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29/03/2012 16:45
 
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(seguito del post precedente)

Il comportamento dei cristiani è, anche alla luce della testimonianza della lettera a Diogneto, ed all'atteggiamento di Pomponia Graecina, che giustifica il suo cambiamento di vita con un lutto familiare, molto riservato; 
- si riuniscono per la celebrazione dell'eucaristia, 
- per ascoltare le parole degli apostoli, o dei loro testimoni, vivendo, anche sacramentalmente, ciò che anche noi, oggi, viviamo nella Chiesa. 
Da Tertulliano apprendiamo che, fin dal primo momento, fondamentale per la loro vita, era l'incontrarsi per celebrare l'eucaristia, per istruire i catecumeni prima del battesimo, e per fare penitenza prima di spezzare il pane. Fin dai primi tempi, le comunità erano rette dagli anziani, che, chiamati vescovi più tardi, avevano come punto di riferimento ultimo, a partire dal secondo secolo, il Vescovo di Roma, come immediato successore di Pietro

E' emblematico il caso della diatriba sui cosidetti "lapsi", coloro che, per timore, avevano abiurato la loro fede, e intendevano tornare in seno alla comunità: nella controversia tra due vescovi africani, fu demandata la soluzione al Papa Cornelio, e la sua decisione definì la questione, una volta per tutte. Una continuità, quindi, nella vita della Chiesa, mai interrotta, nel metodo e nella sostanza, laddove lo stesso metodo, l'incontro personale, diventa vita vera. Non sono certamente perfetti, sono uomini normali, tra loro nascono invidie, rancori, come in tutti gli uomini normali, anche se certa cinematografia ci fa vedere persone quasi beote, con un sorriso stupido sempre stampato sul volto, possiamo affermare che l'idillio, la poesia, è astrazione, la realtà è quella trasmessaci dalle lettere, dalle testimonianze letterarie, e dai dipinti rinvenuti nelle catacombe e nelle chiese domestiche. 

Le eresie trovano spazio fin dai primissimi anni, tentativi di purificazione, o, semplicemente, tentativi di "dare la propria personale impronta" ad una fede che non si fonda su di una idea o una filosofia, ma su una persona. Dice bene Peguy, il quale definisce il cristianesimo come una catena di umanissimi e imprevisti incontri, sempre così ci si imbatte nel fatto cristiano, indipendentemente dalle proprie origini, dalla propria indole, o idea religiosa

Fino al 64, anno dell'incendio di Roma, non si assiste a vere e proprie persecuzioni, ma, con Nerone, i cristiani vengono accusati di ogni turpitudine, e, soprattutto, di"odio humani generis", per non adorare gli dei propizi all'impero. Il martirio di Pietro è collocato in questo periodo. La colpa di cui i cristiani sono incriminati, secondo Svetonio, è quella di "superstitio illicita", come Pomponia Graecina, una superstitio che però comportava sempre secondo Svetonio, la commissione di "flagitia", atti malefici (oscenità, incesti, così i pagani interpretavano l'eucaristia ed il fatto che tra di loro si chiamassero fratello e sorella). In realtà, questi uomini che sembravano essere contenti senza dedicarsi a divertimenti sfrenati, erano oggetto anche di scherno (a Pompei, è stato ritrovato un graffito che denomina i cristiani "saevi solones", sapientoni dalla faccia scura, e anche Pomponia Graecina era additata per la sua vita dimessa). 

Gli Imperatori della dinastia dei Flavi, e, più in particolare, Tito e Vespasiano, ebbero modo di conoscere i cristiani in Palestina, e, probabilmente, li frequentarono, addirittura molti dei loro familiari lo divennero (Flavio Sabino, fratello di Vespasiano, Flavio Clemente e Flavia Domitilla, il membro dell'aristocrazia Acilio Glabrione, tutti perseguitati, più tardi da Domiziano, nel 95). Domiziano rinfacciava a Domitilla e Flavio Clemente, suo marito, di essere atei, di non adorare più gli dei tradizionali, stessa accusa toccò a Acilio Glabrione (notizie tratte da Dione). 

L'avvento di Nerva e Traiano apre un periodo di tranquillità e prosperità, anche se continuano le persecuzioni, soprattutto nelle provincie, su accusa di singoli ebrei o pagani; è del 111-113, il famoso rescritto di Traiano, la risposta che l'imperatore fornisce al governatore della Bitinia, Plinio, il quale si chiedeva come comportarsi con i cristiani accusati, ma verso i quali non riteneva vi fossero veri e propri reati da imputare. Traiano permette l'assoluzione degli apostati, suggerendo di chiedere loro non se fossero mai stati cristiani, ma se lo fossero attualmente; ma, soprattutto, vieta il perseguimento d'ufficio. Antonino Pio si attenne alle norme dei suoi predecessori, ma, almeno nel caso di Policarpo, vescovo di Smirne, la norma fu violata: Policarpo fu condannato , a seguito di pressioni da parte della folla inferocita, solo in quanto cristiano. Con Marco Aurelio, per la prima volta, la filosofia stoica si innesta al potere; egli rimane indifferente alla nuova setta, fino all'impatto con il fanatismo montanista, che vietava ai cristiani di prendere parte alla vita politica, pubblica, e di combattere. 

Si trattò di un equivoco, perché la Grande Chiesa combattè questa vera e propria eresia, come attestano le apologie di Atenagora di Atene, Melitone e Milziade. Con Commodo, ebbe fine la persecuzione, e i rapporti furono aperti e tolleranti. L'episodio del Papa Vittore e di Marcia si colloca in questo contesto. Solo con Decio, intorno al 249, si assiste ad una ulteriore persecuzione, molto cruenta e feroce, con veri e propri massacri, così come con Valeriano; ma qui siamo in piena crisi politica e economica, i barbari sono alle porte, la peste decima le città, la carestia spopola le campagne, e il popolo accusa i cristiani anche di questo. Valeriano ne riconosce l'illiceità, mentre, con Gallieno, le comunità divenivano soggetti di diritto, ed ai Vescovi, era riconosciuta l'autorità e venivano restituiti i beni confiscati. La pace dura fino alla tremenda persecuzione di Diocleziano, che, nel suo delirio di restaurazione delle tradizioni, sobillato dai sacerdoti pagani, ritenne i cristiani, soprattutto quelli della classe senatoria,colpevoli di ateismo e di lesa maestà.

Ma, fin dall'inizio, i cristiani, da un lato per assicurarsi uno spazio di libertà, dall'altro per sottolineare l'assoluta novità della loro esperienza, usavano gli strumenti giuridici messi a disposizione dall'ordinamento romano statale; innanzitutto, il "collegium religionis causa", una sorta di figura associativa,attraverso la quale essi aprivano e gestivano scuole, ospedali e banche

Identica cosa accadeva nel linguaggio usato (Ecclesia). I primi, pur stretti intorno al tesoro che ciascuno di essi aveva avuto la fortuna di incontrare, vivono immersi nel mondo, conducendo una vita ordinaria, seppur diversa, più piena; perfettamente integrati, secondo la studiosa Marta Sordi, nella vita civile, militare e politica. Non si preoccupano di distruggere l'istituto della schiavitù, per esempio, ma Paolo, rimandando Onesimo a Filemone, suo "padrone", dopo la fuga, lo definisce "fratello", né si preoccupano di riformare i costumi. Essi rispettano l'imperatore, le leggi, ben sapendo che non sono le battaglie di idee a cambiare l'uomo, ed a renderlo felice. Anzi, consapevoli che, per poter liberamente incontrare altri uomini, era necessario rispettare chi aveva il potere; la comunità cristiana, nella sua libertà e autentico realismo, non disdegnò la protezione politica, le donazioni, tutte le forme di tutela loro concesse. 

Il rapporto con lo stato è stato sempre improntato ad un pragmatismo, che nascedal sano realismo; solo quando gli imperatori hanno preteso di inteferire nelle questioni di fede, imponendo il culto e l'adorazione alle loro persone, scattava l'opposizione, il rifiuto drastico. I martiri sono, pertanto, persone che, ben consapevoli del loro vero bene, vanno incontro alla morte più atroce, non come "fanatici" (così definiti da certa storiografia), ma come chi, dopo aver sperimentato il centuplo sulla terra, va incontro alla felicità senza fine. 

Abbiamo numerose testimonianze dagli atti dei martiri, soprattutto dalle lettere che Ignazio di Antiochia, nel viaggio verso Roma, in catene, scriveva alle comunità che incontrava sul suo cammino. Fanciulle giovanissime, bambini, donne e uomini di ogni rango, ci hanno lasciato commoventi testimonianze e accanto alle loro tombe sempre i fedeli hanno continuato a voler farsi seppellire. Le catacombe, infatti, non erano, come comunemente si crede, il luogo di ritrovo dei cristiani, ma semplicemente, i cimiteri, messi a loro disposizione, spesso insieme ai pagani, per seppellire i "loro" amici. Famoso, il terreno donato dalla nobile Domitilla, oggi catacomba visitabile, presso il quale spesso i cristiani si ritrovavano per venerare i morti, i santi, e anche per celebrare l'eucaristia. 

Del realismo cristiano è testimone la reazione di Agostino, Vescovo di Ippona, allorquando apprende che i barbari sono alle porte (Socci). Il suo distacco nasce dal fatto che qualcosa d'Altro riempie la sua vita, qualcosa, o meglio Qualcuno reale e concreto, che non gli può essere tolto da rivolgimenti politici, che dà gioia e senso anche alla fine di un mondo. Identico realismo soggiace al comportamento "politico", improntato ad una "Libertas ecclesiae", che è cosa ben diversa da una semplice libertà religiosa, o libertà di associazione (la stessa differenza che passa tra un'idea ed un fatto); è molto di più: essi, essendo soddisfatti del continuo dono di Grazia, e dalla felicità che Cristo dà loro, vogliono semplicemente goderselo. 


Per approfondire: 
SOCCI Antonio, Tutti gli amici del senatore a fine impero. Roma, i cristiani dell'anno 380, in Il Sabato, 28.8.1993, n. 35, p. 46s. 
SORDI Marta, I Cristiani e l'Impero Romano, Jaca Book, Milano 1995
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