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L'UOMO E' RELIGIOSO PER NATURA

Ultimo Aggiornamento: 06/02/2015 22:06
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28/04/2012 23:09
 
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Capitolo 4: ragione e rivelazione

 L’energia della ragione tende a entrare nell’Ignoto: tende a conoscere ciò che ha intuito come l’inarrivabile, il Mistero. Scoprire il Mistero, entrare in esso, è il motivo della ragione, la sua forza motrice. E’ il rapporto con quell’al-di-là che rende possibile anche l’avventura dell’al-di-qua.

L’Ulisse dantesco è il simbolo di tutto ciò. Dominatore del mare nostrum, sente l’esigenza di andare oltre le colonne d’Ercole, al di là delle quali la saggezza comune poneva solo vuoto e pazzia. La mentalità positivista cerca di scoraggiare questo ardimento dando per sicuro solo ciò che si misura all’interno dei confini stabiliti. Ma oltre le colonne d’Ercole sta l’oceano del significato: è nel loro superamento che uno comincia sentirsi uomo.

Nella Bibbia troviamo una pagina ancora più grande: la lotta di Giacobbe con Dio. Il patriarca rimane segnato da questa lotta, che mostra tutta la statura dell’uomo; una lotta senza vedere il volto dell’altro.

Ma rimanere sospeso alla volontà di questo ignoto ‘signore’, che giunge a me attraverso le circostanze, è unaposizione vertiginosa per la ragione.

Un eccessivo attaccamento a sé (‘amor proprio’) spinge la ragione a dire: “ecco, ho capito, il Mistero è questo”. E così l’uomo esalta il proprio punto di vista: un particolare viene pompato a definire la totalità. Il senso religioso viene corrotto, costretto a identificare il suo oggetto con qualcosa che l’uomo sceglie, con qualcosa di ‘comprensibile’ a sé.

Il problema è cosa sia la ragione: o l’ambito del reale o un varco sul reale, un varco sull’essere nel quale non si è mai finito di entrare. Pretendere invece di essere la misura di tutto significa pretendere di essere Dio.

Il particolare con cui la ragione identifica la spiegazione di tutto la Bibbia lo chiama idolo: qualcosa che sembra Dio e non lo è. Ne segue una corruzione  dell’umano descritta da San Paolo (Romani 1,22-31). Nella misura in cui gli idoli sono esaltati l’umano viene meno. Per la Bibbia l’origine della violenza come sistema di rapporti, cioè la guerra, è l’idolo.

Come idolo l’uomo sceglie qualcosa che ‘capisce’ lui. La razza, il partito, il capo, in nome del quale tutto è lecito.

Ma l’idolo non fa mai unità e totalità senza dimenticare o rinnegare qualcosa.

 

Esistenzialmente l’uomo è spinto ad interpretare male il segno che è la realtà, cioè prematuramente, impazientemente. L’intuizione del rapporto col Mistero si corrompe in presunzione.

Per questo San Tommaso d’Aquino dice che è necessaria per gli uomini una “divina rivelazione”. E prima di lui Platone invocava “l’aiuto della rivelata parola di un dio”. All’estremo della coscienza appassionata e sofferta dell’esistenza si sprigiona questo grido dell’umanità più vera, come una implorazione, una mendicanza.

E’ l’ipotesi della rivelazione.

Già il mondo è in se stesso, in quanto segno, una rivelazione del Mistero. Ma in senso proprio “rivelazione” non è il termine di una interpretazione che l’uomo fa sulla realtà: si tratta di un possibile fatto reale, un eventuale avvenimento storico. Un fatto che l’uomo può riconoscere o non riconoscere. Un fatto per cui Dio entra nella storia dell’uomo come un fattore interno alla storia, come una presenza dentro la storia, che parla come parla un amico: “il punto d’intersezione del senza tempo col tempo” (Eliot).

  • Una simile ipotesi prima di tutto è possibileNegare la possibilità di questa ipotesi è l’ultima estrema forma di idolatria, l’estremo tentativo che la ragione compie per imporre a Dio una propria immagine di Lui. “A Dio nulla è impossibile” (Luca 1).
  • In secondo luogo questa ipotesi è estremamente conveniente. Perché si incontra con il desiderio più autentico dell’uomo. Horkheimer: “Senza la rivelazione di un dio l’uomo non riesce più a raccapezzarsi su se stesso”.
  • In terzo luogo ci sono due condizioni che questa ipotesi deve rispettare:

-               deve essere una parola comprensibile  all’uomo

-               il risultato della rivelazione deve essere l’approfondimento del Mistero come mistero, non deve essere una riduzione del mistero. Sapere che Dio è padre, come ha rivelato Cristo, è illuminante, ma nello stesso tempo rimane il mistero, rimane più profondo: Dio è padre, ma è padre come nessun altro è padre. Il termine rivelato porta il mistero più dentro di te.

L’impossibilità di una rivelazione è il dogma fondamentale del pensiero illuministico, il tabù predicato da tutta la filosofia liberale e dai suoi eredi materialisti. Ma l’ipotesi della rivelazione non può essere distrutta da alcun preconcetto. Occorre che nell’uomo rimanga quell’apertura originale del cuore verso questo fatto possibile. 

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