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MEDITIAMO la PASSIONE guardando la SINDONE

Ultimo Aggiornamento: 15/01/2019 16:00
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17/08/2010 09:11
 
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Quel lenzuolo di lino
Pubblichiamo volentieri il brano poetico segnalatoci da Maria Teresa Fiorista “Questo episodio poetico in versi offre un excursus suggestivo e incisivo della storia della Sindone, dal momento della Resurrezione fino ai giorni nostri. È raccontato con spirito di fede, ma anche con precisi riferimenti di ordine teologico, storico e scientifico e facilmente si imprime nella mente di chi legge, avendo in mente il Sacro Sudario. L’episodio è tratto dal libro “I VANGELI IN VERSI E IN RIMA”, un popolare poema sulla storia di Cristo, che ricrea personaggi e figure del Vangelo, portando insieme sulla scena primi attori e comprimari come in una sacra rappresentazione. L’autore è un medico cardiologo dell’Ospedale San Carlo Borromeo di Milano. Credo che il brano allegato possa offrire un contributo a questo grande evento e spero che questa Ostensione possa diffondere nei cuori sentimenti di fede per Gesù Cristo: il volto della Sindone interpella ciascuno di noi e a ciascuno rivolge la domanda: e voi chi dite che io sia?”.
QUEL LENZUOLO DI LINO
Ma era rimasta lì
Una donna allibita
A guardare la tomba
Deserta e incustodita,
Non corse con le altre
Il fatto ad annunciare,
Ma restò lì, stranita,
E come a curiosare.
Col cuore che batteva
E piena di paura
Restava sulla soglia
Di quella sepoltura:
Guardava ora la pietra,
Ora i sigilli al suolo,
Finché infine il suo sguardo
Si pose sul lenzuolo.
Per tutta la lunghezza
Lo srotola, lo spiega,
Come un lungo papiro,
Da alfa fino a omèga:
Man mano che ogni gesto
Lei compie piano piano
Ecco che la figura
Scopre di un corpo umano.
Il Nazareno sopra
Vi è raffigurato,
Dal capo fino ai piedi,
La schiena ed il costato;
Poiché il telo sul corpo
Fu ripiegato ad U,
Non soltanto di fronte
Lei vi vede Gesù;
La destra e la sinistra
Però son rovesciate
Come se le due effigie
Vi fossero specchiate.
E come su una lastra
Di nitrato d’argento
Vi era rimasto impresso
Il corpo in quel momento,
Come accade oggigiorno
Con la fotografia
Rimase impressionato
Dal corpo che andò via;
Fu un atomo di tempo,
Il morto tornò vivo,
E nell’attraversarlo
Lasciò il suo negativo.
E come quando un nucleo
Subisce una fissione
Sì che impazzito schizza
Via via ogni neutrone,
Così si liberò
Un’energia infinita
Come quando dal caos
Prese forma la vita;
Si sprigionò dal corpo
Una luce radiante
Che, risorgendo, il telo
Impressionò all’ istante.
L’impronta più o meno
Rimase su quel telo
Secondo quanto il corpo
Distava da quel velo,
E sopra vi rimase,
Impressionato e fisso,
Il segno di com’era
Lui stato crocifisso;
E sopra vi rimase,
E non sarà più tolto,
L’indelebile segno
Di come fu sepolto.
Sulla nuca e sul capo
Dove si attacca il crine
Precisi e puntiformi
I segni delle spine,
Le guance tumefatte,
Uno zigomo offeso,
Qualche ruga di sangue
Sulla fronte rappreso.
Malgrado le torture,
Nonostante i tormenti,
Quel viso esprime ancora
Perfetti lineamenti,
Nonostante i supplizi
Di tutta la Passione
Sereni sono i tratti,
Pacata è l’espressione.
Si leggono distinti
In modo misterioso
I segni del Suo sangue
Venoso ed arterioso;
Sopra la schiena i segni
Delle percosse avute,
Impressi sui ginocchi
I segni di cadute.
Presenti al dorso e ai fianchi
Da doppia direzione
I segni paralleli
Della flagellazione,
Attraverso le spalle
Obliquamente un segno
Dove poggiava il peso
Della trave di legno.
A destra, sul costato,
Il colpo di una lancia,
Con la chiazza di sangue
Che cola sulla pancia;
Tutt’intorno un alone
Di un più chiaro elemento,
Il siero che dovette
Uscire in quel momento.
Sugli avambracci i rivoli
Del sangue giù colato,
Una mano sull’altra,
Un polso trapassato;
Le orme impresse dei piedi,
Un polpaccio più corto
Per il rigore freddo
Di quando era già morto.
Quanto i Vangeli dicono
Circa quel venerdì
Vi rimase tal quale
Impresso su così,
Quanto storicamente
È scritto nel Vangelo
Come fotocopiato
Si impresse su quel telo.
Quel telo sopravvisse
Agli incendi di Tito,
Poi sempre in qualche casa
Rimase custodito,
La libertà di culto
Che diede Costantino
Trovava ancora intatto
Quel lenzuolo di lino.
Poi i barbari abbatterono
Le aquile romane,
Irruppero impetuose
Le orde maomettane,
Giungeva fino al Volga
L’impero bizantino
E ancora restò intatto
Quel lenzuolo di lino.
E da Gerusalemme
Poi lungo la Turchia
Giunse fino a Bisanzio,
Non si sa per che via;
Ma già il volto di Cristo
Ben oltre i Dardanelli
Ha quella stessa barba,
Quegli stessi capelli.
Passava l’anno Mille,
Vennero le Crociate,
Dal Catai Marco Polo
Portò sete pregiate;
Scoppiava qui la guerra
Tra il Guelfo e il Ghibellino,
Sempre restava intatto
Quel lenzuolo di lino.
Milleduecentoquattro:
In quell’antica data
Avanzano i cristiani
Della quarta crociata,
Depongono la spada
E in fila, a capo chino,
Si segnano al vedere
Quel lenzuolo di lino.
Ma alla rovina di
Bisanzio saccheggiata
Quella reliquia s’è
Già volatilizzata,
E quando poi sul Bosforo
Monarca è Baldovino
È scomparso nel nulla
Quel lenzuolo di lino.




E poi per oltre un secolo
Non si seppe più niente,
Era ancor sul Mar Nero?
Era già in Occidente?
Tra le svariate ipotesi
Quella più accreditata
Che forse dai Templari
Sia stata trafugata.
Sorsero poi i Comuni,
Venne l’età vulgare,
Fiorivano i commerci
Per terra e per il mare,
E al tempo in cui Boccaccio
Scrisse il Decamerone
Quel telo fa in Europa
La prima apparizione:
Un cavalier crociato
Deposta la sua lancia
L’affida ad un canonico
Nella terra di Francia,
Nella terra di Francia
Un cavalier crociato
L’affida ad un canonico
Intatto e ben piegato.
E già volge al tramonto
Qui ormai la Signoria,
Brucia Giovanna d’Arco
A Reims per eresia;
Non v’è più un amanuense
Che copi stando chino,
Sempre rimane intatto
Quel lenzuolo di lino.
Tre caravelle audaci
Solcan la nuova onda,
Ritocca col pennello
Leonardo la Gioconda,
Ritrae uno stanco Papa
Raffaello da Urbino
E giace sempre intatto
Quel lenzuolo di lino.
Trasportano i velieri
Caffè e cioccolato,
Scaricano le stive
Argento insanguinato,
A Roma si ribella
Un monaco tedesco,
Quel lenzuolo di lino
Riposa intanto al fresco.
Ma nella quarta decade
Del Millecinquecento
Per poco prese fuoco
Nel rogo di un convento,
Però non stava scritto
Che a causa di un cerino
Scomparisse dal mondo
Quel lenzuolo di lino.
Le zone bruciacchiate,
Le parti un po’ annerite
Furon curate come
Se fossero ferite,
Di nuovo ancora inferte
Come quando Lui visse...
Solo che le pie donne
Ora son le Clarisse.




Michelangelo muore,
C’è la Controriforma,
Giunge infine sul P0
Quella divina orma,
E dentro una Cappella
Del Duomo di Torino
Si posa finalmente
Quel lenzuolo di lino.
Brucia Giordano Bruno
Col libero pensiero,
Le stelle apron le menti
A Galileo e Keplero,
La scienza muove i primi
Passi, come un bambino,
E sempre posa intatto
Quel lenzuolo di lino.
Trionfa la ragione,
Si rifiuta il Divino,
Si nega la parvenza
Di quel pallido lino;
Cadon le teste sotto
Una violenza cieca,
E sempre quel lenzuolo
Riposa in una teca.
Muore Napoleone,
Tramano i Carbonari,
Sbuffano lenti i primi
Treni lungo i binari,
L’Italia è unita dal
Rosso garibaldino
Ma il tempo non intacca
Quel lenzuolo di lino.
(E ad un’ostensione
Quasi a fine Ottocento
Pensò qualcuno di
Fare un esperimento;
E allora un avvocato,
Tale Secondo Pia,
Scattava a quel lenzuolo
Qualche fotografia.
La lastra fuoriuscita
Dalla camera oscura
Fu sconvolgente, e quasi
Da mettere paura:
C’era, sul negativo,
L’immagine risolta,
Quasi che fosse Lui
Risorto un’altra volta!)
Si viaggia tra le nuvole,
E’ il Millenovecento:
Si accendono nel buio
Le ombre in movimento,
La radio rende l’uomo
All’uomo più vicino
E sempre giace intatto
Quel lenzuolo di lino.
Solo quando le bombe
Piovono giù dal cielo
In luogo più sicuro
Vien portato quel telo,
E dentro un’abbazia
Nei pressi di Avellino
Resta ancora inviolato
Quel lenzuolo di lino.




Cadono imperi e regni,
Si alterna la fortuna
Delle vicende umane,
L’uomo va sulla luna,
Dalla messa la Chiesa
Abbandona il latino,
Ma sempre resta intatto
Quel lenzuolo di lino.
Cadono i blocchi, crolla
Il muro di Berlino,
Ma sempre resta intatto
Quel lenzuolo di lino;
Crolla un’ ideologia
Che era sembrata eterna,
L’Europa è ancora in guerra
Ma questa è storia odierna.
E quasi già al Duemila
L’ultimo vilipendio,
Brucia una notte il Duomo
Nel fuoco di un incendio:
Fu solo per incuria?
O fu invece per dolo?
Però ancora una volta
Si salva quel lenzuolo.
Quel lenzuolo di lino
E’ la testimonianza
Della luce che il buio
Sconfisse in quella stanza,
Quel lenzuolo di lino
Per noi è il segno visivo
Di un corpo che già morto
Per sempre tornò vivo.
Sosterranno che è un falso,
Diran che non è vero,
Però resta impossibile
Spiegar quel bianco e nero,
Diran che è stato fatto
In tempo successivo
Però resta impossibile
Spiegar quel negativo.
Diran che quella stoffa
Non è dell’anno Zero
Ma non sapranno come
Spiegare quel mistero,
Diranno che datarla
Non è affatto sicuro
Ma non sapranno come
Spiegar quel chiaroscuro.
S’affanneranno a dire
Che è tutta un’impostura
Ma non sapranno come
Spiegar quella figura,
Porteranno i più esatti
Cavilli della scienza
Ma non sapranno come
Spiegar quella parvenza.
Si appelleranno al
Carbonio radioattivo
Ma quell’ombra comunque
Sarà senza un motivo,
Diran che quell’indizio
E’ l’unico che conta
Ma non sapranno come
Spiegare quell’ impronta.




Ma anche a chi sostiene
Che il telo è una bugia,
Quel volto dice: -... E Voi,
Chi dite che io sia...? -,
Ed anche a chi non crede
Divino quel sembiante,
Quel volto, muto, pone
Un quesito inquietante.
A chi lo guarda scettico
Incredulo e stranito,
Quel volto sembra dire:
- Mettimi qui il tuo dito -,
Quel volto sembra dire,
Muto, coi suoi perché,
Quello che fate a un uomo
L ‘avrete fatto a me... -.
Solo una cosa è certa,
E per tutti è sicura,
L’effigie su quel telo
Non è certo pittura;
Solamente di un fatto
Sono tutti convinti,
I tratti di quell’uomo
Non son stati dipinti.
E ancora allo scoccare
Di quest’anno Duemila
Milioni di persone
Pazienti fan la fila,
In cuore vuole ognuno
Vedere da vicino
Anche solo un istante
Quel lenzuolo di lino.
Nel vederlo ripensi
Proprio a quel primo giorno
Che il sabato seguiva,
Allorché quella salma
Per sempre tornò viva,
Nel vederlo ripensi
Che in quel primo mattino...
Si afflosciò vuoto al suolo
Quel lenzuolo di lino.

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