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COMMENTO DELLA SECONDA LETTERA AI CORINTI

Ultimo Aggiornamento: 04/03/2012 22:30
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16/02/2012 14:29
 
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CAPITOLO DECIMO


PAOLO DIFENDE IL SUO APOSTOLATO
[1]Ora io stesso, Paolo, vi esorto per la dolcezza e la mansuetudine di Cristo, io davanti a voi così meschino, ma di lontano così animoso con voi;
Paolo aveva iniziato a parlare di sé in questa Lettera, aveva presentato il ministero dell’apostolo, aveva manifestato le regole di vita che lo muovevano nella sua opera missionaria. Poi era passato a trattare la questione della colletta in favore della Chiesa di Gerusalemme.
Terminato il tema della colletta, ritorna nuovamente a parlare di sé, a spiegare alcune cose ai Corinzi che forse ancora non avevano compreso appieno.
Ancora una volta è giusto che si precisi che Paolo non parla di sé per parlare di sé, parla di sé per parlare di Cristo Gesù, per rendere credibile Cristo Gesù, per far sì che la sua parola sia creduta non come parola di uomo, ma come Vangelo del Figlio di Dio.
La giustificazione del suo apostolato ha un solo scopo: la difesa del Vangelo che egli annunzia. Poiché il Vangelo si è fatto voce umana, ed è la sua, difendendo la sua persona e il suo ministero, egli ha in mente di difendere il Vangelo della grazia, in modo che sia reso credibile agli occhi di tutti.
D’altronde chi ha un compito così importante, quello cioè di essere voce umana della voce di Dio, veicolo umano dei beni divini, deve rendersi sempre credibile e per questo è giusto che si difenda, che difenda la sua opera dinanzi ai suoi denigratori. Non deve farlo per sé, ma per il Vangelo, per la missione, per l’opera che il Signore gli ha dato da compiere.
Paolo fa appello ora alla dolcezza e alla mansuetudine di Cristo Gesù. Egli vuole dire ai Corinzi una cosa sola: il suo stile è veramente quello di Cristo Gesù, dolce e mansueto, mite e umile. Così Gesù si è definito. “Imparate da me che sono mite e umile di cuore”.
Qui Paolo lo definisce: dolce e mansueto. La dolcezza e la mansuetudine sono proprietà dell’anima e in qualche modo dicono riferimento al canto del Servo del Signore. In questo canto il Servo del Signore è definito mansueto come pecora muta dinanzi ai suoi tosatori.
Paolo non ha altre virtù da imitare se non quelle di Cristo Gesù e Cristo Gesù è mite e umile di cuore, dolce e mansueto. Se Cristo è dolce e mansueto, se lui è dolce e mansueto, perché i Corinzi dicono che lui è meschino e animoso, meschino da vicino, come se avesse paura, animoso da lontano, in assenza delle persone?
La meschinità di paura, timore degli uomini, dice anche povertà di sapienza e di saggezza, dice mancanza di intelligenza nel condurre bene le cose del Signore; in certo qual modo dice anche trasformismo, capacità cioè di adattarsi agli uomini che gli stanno davanti. L’animosità è assenza di ragionevolezza, è impulso e istinto e difesa della propria persona e di quanto ha fatto, ma senza addurre le ragioni di una tale difesa. È anche un modo sottile di aggredire le persone a parole, ma da lontano, non avendo il coraggio e la forza di aggredirle da vicino.
Questo pensavano di Paolo i suoi denigratori. Come si può constatare lo reputavano un uomo non saggio, non sapiente, non intelligente, privo di verità e di santità, capace di fingere, animoso da lontano, meschino da vicino. Un uomo cioè di cui non ci si poteva fidare, perché non attendibile, non credibile, non capace di imporre la verità, perché la verità non era sulle sue labbra.
Se fosse un qualcosa che toccava solo la sua persona, come una percossa o un insulto, uno sputo e una bastonata, egli sicuramente avrebbe taciuto, avrebbe presentato l’altra guancia così come vuole la Parola di Cristo Gesù.
Qui non si tratta di Paolo, è in verità del Vangelo e della sua credibilità che si tratta. Per questo bisogna intervenire e manifestare la verità che muove sempre il cuore di Paolo nella Parola, nelle azioni, nei propositi, nelle relazioni con gli uomini. Lo esige il Vangelo e lui lo fa da par suo, con chiarezza, determinazione, vigore, tenacia, smentendo ogni falsità e riportando la verità nei cuori e assieme alla verità, anche la pace.
[2]vi supplico di far in modo che non avvenga che io debba mostrare, quando sarò tra voi, quell'energia che ritengo di dover adoperare contro alcuni che pensano che noi camminiamo secondo la carne.
Animoso e meschino qui si concretizzano come totale assenza in Paolo di vera, autentica spiritualità.
Coloro che lo avevano calunniato, i suoi detrattori, per metterlo in cattiva luce, dicevano di lui che cammina secondo la carne, cammina cioè da uomo che non ha nulla di Vangelo nel suo spirito e nella sua mente. Cammina come un uomo non ancora toccato da Cristo Gesù.
Lui parla di Cristo, ma Cristo non lo conosce; annunzia Cristo, ma di Cristo non vive; predica il Vangelo, ma lo spirito del Vangelo non è in lui.
In lui vi è solo lo spirito della carne che è l’esatto contrario dello spirito del Vangelo. Egli vive e pensa da uomo peccatore, poi indossa le vesti dell’apostolo e va a predicare quel Vangelo che neanche lui vive.
Paolo li supplica a smetterla con il dare credito a queste calunnie infamanti contro la sua persona perché distruggono e minano alle basi il suo ministero, il suo apostolato, la sua predicazione.
Lo dice con tono vigoroso, con cuore pronto ad agire con tenacia e con forza, con determinazione anche quando sarà in mezzo a loro. Se non mostra la forza quando è vicino è per ragioni di Vangelo e se la mostra quando è lontano è per la stessa ragione. Se loro non intendono ravvedersi egli sarà costretto questa volta ad usare la forza e l’energia sufficiente non solo da lontano, per Lettera, ma anche da vicino, di presenza, viso a viso con i suoi denigratori, alla presenza dell’intera comunità.
Paolo non è animoso e meschino, è dolce e mansueto, ma è anche forte e tenace, capace di proclamare la verità senza temere alcuno. Egli non ha paura degli uomini, egli teme solo il Signore.
Come si può constatare, quando il cuore è cattivo, impuro, trasforma con abilità le virtù degli altri in vizi e il bene in male e la misericordia e la bontà del cuore in meschinità, la fortezza invece la dice animosità. La difesa del Vangelo incapacità di perdono, ricordo del male subito.
L’uomo di Dio ha già votato il suo corpo al martirio; egli non ricorda per sé, non difende se stesso, ricorda per la difesa del Vangelo, difende Cristo Gesù e la sua volontà di salvezza a favore del mondo intero.
Purtroppo quando il cuore è cattivo, quando è inondato dalle tenebre, secondo queste tenebre giudica la santità di Dio che si riflette nel cuore dei suoi missionari, secondo questa tenebra legge la verità di Cristo che difende se stessa di fronte alle calunnie e alle maldicenze che non offendono la persona che porta il Vangelo, ma vogliono distruggere il Vangelo che la persona porta.
[3]In realtà, noi viviamo nella carne ma non militiamo secondo la carne. Infatti le armi della nostra battaglia non sono carnali,
Viene qui smentita l’accusa. Paolo vive nella carne, ma non milita secondo la carne.
È lo stesso pensiero di Cristo Gesù: Voi siete nel mondo, ma non siete del mondo. Oppure l’altro sua affermazione: Io ho vinto il mondo.
Paolo non ha nulla di questo mondo, non vive secondo la carne. Cioè: non pensa secondo la carne, né si comporta secondo la carne.
Vivere, comportarsi, agire secondo la carne è operare senza la verità di Dio nel cuore e senza la sua grazia. È agire da uomo tutto inabitato dal peccato, dal vizio, dalla superbia, dalla concupiscenza.
Vive secondo la carne colui che non è stato santificato dallo Spirito, né colpito dalla Parola di grazia che è il Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo.
È questa una accusa gravissima. Paolo che è il testimone della grazia e della verità di Cristo Gesù viene presentato agli uomini come un nemico della croce, un nemico del Vangelo, un nemico di Cristo Signore, uno che combatte lo stesso Spirito Santo, poiché le sue azioni sono del tutto contrarie alla mozione dello Spirito che deve possedere un uomo tutto intento a proclamare che Gesù è il Signore, il Messia, il Salvatore degli uomini.
Questa accusa rende Paolo uno strumento non idoneo a proclamare il Vangelo di Cristo Gesù. Se lui la lascia cadere, in qualche modo dona adito a che si creda che le cose sono e stanno veramente così.
Anche l’altra accusa egli smentisce. Lui non è animoso e meschino. Lui non usa le armi della carne che sono la convenienza, l’opportunità, il trasformismo, l’ipocrisia, l’inganno, il sotterfugio, l’ambiguità e ogni altro ritrovato di una mente contorta e inquinata di peccato.
Se fossero queste le sue armi, mai avrebbe potuto difendere il Vangelo del Signore Gesù, mai avrebbe potuto combattere la buona battaglia della salvezza presso Giudei e pagani.
Le sue armi sono ben altre e sono le armi stesse di Dio. Queste armi sono la verità, la carità, la dolcezza, la mansuetudine, la misericordia, il perdono, il dialogo, la fermezza, la fortezza che vengono dallo Spirito Santo.
[4]ma hanno da Dio la potenza di abbattere le fortezze,
L’arma di Paolo è lo Spirito Santo di Dio che agisce in lui con potenza, si manifesta con energia divina, simile a fuoco e a vento che si abbatte gagliardo.
La sua arma è la pazienza e l’amore di Cristo Gesù in croce, che sa perdonare, che dona ed offre il perdono perché i cuori si convertano, vivano, ritornino nella casa del Padre.
La sua arma è la misericordia del Padre che non vuole che il peccatore muoia, ma che si converta e viva.
La sua arma è la sua sollecitudine per tutti gli uomini, peccatori e giusti. Egli deve amare anche coloro che lo offendono e deve amarli perché è questa la legge di Cristo ed è la regola del suo Vangelo.
Queste armi di Paolo, che sono armi dello Spirito Santo di Dio e non della carne, della fragilità e della concupiscenza degli uomini, hanno il potere di abbattere le fortezze.
Le fortezze sono quelle infernali, fortezze invisibili, le cui radici sono nell’inferno, ma i cui rami sono invece nel cuore degli uomini e i cui frutti sono sulle labbra menzognere anche di certi fratelli nella fede e nell’amore di Cristo Gesù.
Queste fortezze nessuna potenza umana, nessuna forza che viene dall’uomo potrà mai sconfiggerle. Sono irresistibili ad ogni attacco dei soli uomini e delle sole loro forze.
Chi può distruggerle è solo la potenza di Cristo, dello Spirito Santo e di Dio Padre. Paolo è proprio forte di questi poteri divini.
Solo con essi si possono distruggere le fortezze infernali e Paolo le distrugge perché pieno di questi poteri. Il Signore gli ha dato la sua forza e lui se ne serve per abbattere le potenze del male.
Il mondo, che è frutto di queste fortezze, nessuno lo può vincere. Solo la forza di Dio lo può. La forza di Dio agisce in Paolo ed egli smentisce ogni menzogna umana, svela i pensieri malvagi dei cuori, mette a nudo le loro calunnie, svela quanto di ambiguo e di malvagio ancora regna anche negli uomini che per ministero, per fede, per verità e per santità dovrebbero essere interamente di Cristo e di Dio.
Paolo ci dona qui la regola suprema che deve governarci se vogliamo essere vincitori sul mondo. Dobbiamo rivestirci anche noi della potenza dello Spirito Santo, dobbiamo anche noi indossare Lui. Solo con Lui nel cuore, nell’anima, nella mente e nel nostro corpo, solo con lui che ci muove e ci governa, possiamo non solo resistere al male, quanto possiamo essere dei vincitori sul male, vincerlo in noi, aiutare gli altri a vincerlo. Paolo lo ha vinto in sé, aiuta gli altri a vincerlo. Egli lo ha potuto e lo può tuttora, perché lo Spirito del Signore agisce in lui con potenza, forza e saggezza.
[5]distruggendo i ragionamenti e ogni baluardo che si leva contro la conoscenza di Dio, e rendendo ogni intelligenza soggetta all'obbedienza al Cristo.
Le fortezze infernali trovano la loro potenza di fuoco di male nella menzogna, nella falsità, nella calunnia, nella detrazione, nell’interpretazione ambigua di ogni cosa che l’altro fa ed opera di bene e di verità.
L’abilità di queste fortezze è quella di inoculare questo veleno di morte nei cuori dei semplici, dei piccoli, di quanti non sono ancora maliziosi, di quanti sono facilmente portati a credere in ogni cosa che l’altro dice.
L’abilità di queste fortezze a volte mira anche in alto e riesce ad entrare nella mente e nel cuore di coloro che hanno autorità nella comunità. La loro coscienza viene realmente scossa da queste potenze.
Se loro non sono forti della stessa fortezza dello Spirito Santo difficilmente potranno resistere alla potenza di menzogna che dal cuore di queste potenze di male si riversa nei cuori dei giusti, degli onesti, dei buoni.
Solo lo Spirito Santo di Dio può distruggere queste fortezze. Chi non ha lo Spirito Santo di Dio, forte nel cuore e nella volontà, sappia che prima o poi anche lui sarà infangato, ingannato, travolto dalla falsità e dall’errore. Penserà secondo il male e non più secondo il bene.
Chi cade in questo errore, non potrà riprendersi da sé. Il male lo ha inquinato per sempre. Il dubbio sarà nel suo cuore come un tarlo. Solo lo Spirito Santo lo potrà liberare, ma per questo è necessario che lo invochi, lo preghi, chieda che si manifesti a lui secondo tutta la potenza di luce, perché nessun dubbio circa la verità dimori nel suo cuore e nessuna ombra di calunnia e di menzogna abbia a infangare ancora la sua mente e la sua coscienza.
La forza dello Spirito Santo distrugge questi ragionamenti di male, abbatte ogni baluardo che si leva contro la conoscenza di Dio.
Solo lo Spirito Santo può ricondurre le intelligenze all’obbedienza a Cristo, alla sua verità.
Perché gli uomini di Dio si lasciano fuorviare dagli uomini di satana? Perché un uomo che milita nella verità, che la verità conosce, che ha fatto esperienza della verità, ad un certo momento, quando viene a contatto con un uomo di satana, abbandona la verità nella quale ha creduto finora e si consegna anche lui alla menzogna e alla falsità?
La ragione è una sola: si sta con il corpo nella verità dello Spirito Santo, mentre con il cuore non la si cerca, non la si brama, non la si vuole veramente.
Per convenienza si sta con la verità, ma per convenienza si passa poi nella menzogna. La stessa convenienza umana che lo faceva stare prima con la verità, ora lo fa stare con la menzogna. Questo significa che non c’è fuoco di Spirito Santo dentro di lui, vuol dire che ancora non si è rivestito dello Spirito del Signore, è assai evidente che costui gioca con lo Spirito Santo. Chi gioca con lo Spirito Santo prima o poi dovrà fare i conti con l’uomo di satana che inoculerà nel suo cuore i veleni della morte nella falsità e nella menzogna, in quella calunnia che trasforma il bene in male e la verità in falsità, il perdono in odio e la ricerca di verità in rancore verso tutti coloro che hanno fatto della loro vita un dono per la proclamazione della verità di Cristo Gesù in mezzo agli uomini per la loro salvezza.
Bisogna stare attenti a non giocare con lo Spirito del Signore. Se giochiamo con Lui, quando verrà il momento di lottare contro lo spirito di satana, con i suoi uomini, che egli manda per tentarci e condurci nella menzogna, difficilmente potremo resistere; non resisteremo perché lo Spirito del Signore non è in noi, non agisce per noi perché noi quando era tempo non abbiamo agito con Lui e per Lui.
Quando invece lo Spirito di Cristo è forte in noi, attraverso la nostra fortezza queste intelligenze consacrate alla falsità, possono ritornare all’obbedienza a Cristo, possono rivestirsi della verità e della santità ed abbandonare per sempre la via della menzogna e della falsità.
In fondo Paolo ci rivela qui la grande responsabilità che hanno tutti gli uomini di Dio. Questi mai devono scherzare con lo Spirito del Signore. In loro lo Spirito di Dio deve essere forte, divinamente forte.
Lo richiede la battaglia che essi devono ingaggiare contro lo spirito del male, contro gli uomini di satana.
È nella loro verità la vittoria sullo spirito del male, è nella loro fortezza la sconfitta di questi uomini di satana, è nella loro comunione con lo Spirito Santo, comunione di verità e di grazia, comunione che li ha trasformati, santificati, elevati, resi verità, la sola possibilità che un uomo di satana si converta, creda nella verità, ritorno all’obbedienza a Cristo Gesù.
[6]Perciò siamo pronti a punire qualsiasi disobbedienza, non appena la vostra obbedienza sarà perfetta.
Paolo rivela qui tutta la dolcezza e la mansuetudine di Cristo che abita in lui e che governa la sua vita.
Egli come apostolo del Signore deve intervenire per punire ogni disobbedienza a Cristo Gesù. Non si tratta certo di una punizione corporale, perché queste punizioni non sono permesse alla Chiesa.
Si tratta sempre e comunque di punizioni spirituali, che hanno un solo significato, quello di richiamare l’attenzione di colui che ha peccato e che persevera nel peccato, perché desista dal perseverare nell’errore, abbandoni la via della falsità, rientri nella verità di Cristo Signore.
È in potere dell’apostolo punire queste disobbedienze. La pena nella Chiesa è però sempre medicinale. Il suo scopo e il suo fine è uno solo: curare il malato, portarlo nella piena salute in Cristo Gesù.
Una volta che il malato è guarito e che la verità abita in lui la pena non ha più alcun significato e quindi bisogna che venga tolta. Non può rimanere nella pena colui che non è più nel peccato. Questa saggezza ha sempre mosso la Chiesa e sempre la muoverà.
La Chiesa è il grembo dei peccatori. Essa deve accoglierli in esso, per partorirli a nuova vita, per rigenerarli di nuovo. Per questo secondo parto necessità anche dell’aiuto di qualche medicina spirituale ed è ben giusto che se ne serva se le circostanze lo richiedono, anzi lo esigono.
Paolo però, mosso sempre dalla mansuetudine e dalla dolcezza di Cristo Gesù, è pronto a punire ogni disobbedienza. Ma quando? Quando tutti saranno rientrati nell’obbedienza, cioè mai.
Lui non vuole passare attraverso le punizioni spirituali, non fanno parte del suo stile evangelico, non sono conformi al suo cuore di madre amorevole. A lui basta una parola forte, di persuasione, di convincimento. Su questa egli conta e di questa si serve per far ritornare la verità e la pace nella comunità.
Paolo sa la potenza creatrice della Parola di Cristo Gesù, della Parola di verità e di salvezza, di questa vuole sempre servirsi, non di altri poteri che il Signore ha posto nelle sue mani. Con questa arma dello Spirito Santo egli vince le fortezze infernali, svela e manifesta i falsi ragionamenti dei cuori, riconduce all’obbedienza a Cristo i cuori traviati, porta la pace nella comunità, perché ristabilisce in essa la verità di Cristo e di Dio.
Questo principio di Paolo dovremmo tutti usarlo, farlo nostro. Ma spesso non possiamo, perché non siamo uomini di verità, non cerchiamo la verità di Cristo, spesso proponiamo e difendiamo la nostra verità, i nostri pensieri, ma non il pensiero e la verità del Vangelo.
Paolo invece ha un solo desiderio nel cuore: far trionfare la verità di Cristo, far sì che essa brilli nei cuori e nelle menti di ogni suo discepolo.
[7]Guardate le cose bene in faccia: se qualcuno ha in se stesso la persuasione di appartenere a Cristo, si ricordi che se lui è di Cristo lo siamo anche noi.
Altra falsità di questi uomini di satana che Paolo evidenzia e smentisce. Questi uomini si facevano passare per uomini di Cristo Gesù, dipingevano Paolo come un nemico di Cristo, dal momento che dicevano che lui era uomo che agiva secondo la carne.
Chi è di Cristo non può agire secondo la carne; se agisce secondo la carne non è di Cristo, non è dello Spirito Santo.
Paolo è di Cristo Gesù, non più di quelli che lo denigravano, ma almeno al pari di loro. Se loro sono di Cristo, anche Paolo è di Cristo.
Apparentemente questa è un’affermazione senza fondamento, senza principi giustificativi, senza le radici che dimostrino e attestino la verità di quanto viene affermato. Apparentemente sembra un’affermazione e basta.
Ciò che apparentemente sembra invece non lo è. La verità che qui Paolo afferma: lui è di Cristo al pari dei suoi denigratori, trova il principio di sussistenza, di validità nei cuori di coloro che lo ascoltano, di coloro ai quali scrive. Sono costoro la prova visibile che Paolo è di Cristo e se loro sono di Cristo, non i denigratori, ma quelli della comunità di Corinto, devono convenire che anche Paolo è di Cristo.
Ci sono delle verità il cui principio e fondamento non è in colui che le annunzia o le proclama, ma è nel nostro cuore ed è in esso che bisogna trovare questi principi e farli assurgere a giustificazione della verità che l’altro proferisce.
Se i Corinzi sono sinceri, veri, giusti, se sono loro inabitati dalla verità di Cristo, se lo Spirito del Signore li ha forgiati nella verità, loro possono sapere con certezza che Paolo è di Cristo.
Poiché in qualche modo lo Spirito è in loro, la verità abita in loro, Cristo governa ancora i loro cuori, devono essere loro la difesa di Paolo, devono essere loro a rinnegare i detrattori dicendo e affermando la verità che è nel loro cuore e che fa riconoscere Paolo come uomo appartenente a Cristo Gesù.
Quando questo non avviene, quando la verità che è nel nostro cuore non riconosce la verità che è fuori di noi, è il segno manifesto che neanche nel nostro cuore dimora la verità e allora noi siamo falsi, falsi adoratori di Cristo, falsi tempi dello Spirito Santo, falsi figli del Padre, falsi operai nella vigna del Signore.
Siamo falsi, perché non riusciamo a cogliere la verità che è fuori di noi e a renderle quella testimonianza necessaria, richiesta dalla nostra stessa verità, dalla quale noi dipendiamo e siamo.
Loro sono dalla verità di Paolo; se Paolo non è dalla verità neanche loro lo sono. Se Paolo è falso, anche loro sono falsi; se Paolo non è dalla santità di Cristo neanche loro lo sono. Ma se loro lo sono, anzi alcuni fanno chiara professione di essere di Cristo, negando allo stesso Paolo questa appartenenza, se loro sono di Cristo devono riconoscere che anche Paolo è di Cristo.
Se loro non lo riconoscono significa che il loro Cristo non è quello di Paolo. Ma la maggior parte di loro sono ancora da Paolo e dal Cristo di Paolo, devono pertanto riconoscere che anche Paolo è di Cristo, anzi appartiene a Cristo più di tutti loro, perché sono loro ad essere dal Cristo di Paolo e non Paolo dal loro Cristo.
[8]In realtà, anche se mi vantassi di più a causa della nostra autorità, che il Signore ci ha dato per vostra edificazione e non per vostra rovina, non avrò proprio da vergognarmene.
Paolo appartiene a Cristo, è di Cristo. Si può benissimo vantare di questa appartenenza. Non farebbe proprio del torto ad alcuno. Direbbe solo la verità. Anzi della verità che lo avvolge neanche ne direbbe una piccolissima parte.
Veramente lui è stato afferrato da Cristo. Veramente Cristo ne ha fatto uno strumento eletto per portare il suo nome dinanzi al mondo intero. Veramente il Signore lo ha arricchito di ogni dono di grazia, di verità e di sapienza. Veramente lo Spirito vivo del Signore è sopra di lui che lo muove e lo conduce. Veramente lui è uomo trasformato dalla verità, fatto una sola cosa con Cristo Gesù. Questa è la sua verità, la sua vita, il suo essere, la sua essenza. Manifestarla ai Corinzi non sarebbe sicuramente né vanto, né vanagloria.
Direbbe solamente ciò che il Signore ha fatto in lui e ciò che il Signore vuole fare attraverso di lui nel mondo intero.
Questo per quanto riguarda la sua persona e i doni di cui il Signore lo ha arricchito. Ma c’è un altro principio che in questo versetto merita di essere posto in risalto.
L’autorità nella Chiesa, autorità che viene da Dio, serve per l’edificazione del regno di Dio, per la salvezza delle anime, non per la loro rovina, o distruzione.
Su questo bisogna riflettere, pensare, meditare. Non è l’autorità che pone problemi alla Chiesa, agli uomini di Chiesa e al mondo. Pone un serio problema l’esercizio dell’autorità.
Come principio di fede dovrebbe valere questo. L’autorità è dono dello Spirito, è l’esercizio della potestà di salvezza di Cristo Gesù.
Come essa viene data a noi dallo Spirito Santo, così per esercitarla, bisogna che vi sia sempre lo Spirito vivo dentro di noi che ci muove nell’azione e nell’esercizio di essa.
Lo Spirito che ce l’ha data, lo stesso Spirito deve esercitarla. Non basta la sua fortezza per poter esercitare l’autorità dello Spirito. Occorre anche la sua sapienza, la sua saggezza, la sua intelligenza, la sua prudenza, la sua giustizia, il suo santo timore, la sua pietà e ogni altro dono.
Che un uomo sia nello Spirito del Signore, che sia lo Spirito del Signore ad agire in lui ci si accorge dal modo come lui esercita l’autorità nella Chiesa e tra i fratelli.
Chi non ha un esercizio santo dell’autorità non è nello Spirito del Signore; chi si lascia tentare dalla sua superbia, dalla sua concupiscenza, dalla sua stoltezza, dalla vanagloria non è nello Spirito Santo; chi cerca la legge e non la persona nell’esercizio dell’autorità non è nello Spirito Santo.
Chi è nello Spirito Santo fa dell’autorità un vero strumento di amore, di comunione, di edificazione. L’esercizio dell’autorità è in fondo l’equilibrio santo che deve sempre regnare tra grazia e verità, tra carità e verità, tra parola e obbedienza, tra obbedienza e cammino storico dell’uomo.
L’esercizio dell’autorità è la prova vera della santità di un uomo, è la manifestazione reale dell’abitazione in lui dello Spirito Santo che opera efficacemente per la salvezza dei cuori.
Che lo Spirito Santo abiti sempre negli uomini rivestiti di autorità perché con essa e per essa possano edificare, costruire, ingrandire la comunità dei credenti, liberandola dal male e da ogni errore.
[9]Non sembri che io vi voglia spaventare con le lettere!
Paolo vuole qui rassicurare i Corinzi. Se le sue lettere sono forti della stessa fortezza dello Spirito Santo, questo non è perché vuole la loro rovina, vuole invece la loro edificazione.
Se lui dinanzi a degli errori gravi che entrano nei cuori e li conducono su una falsa strada, lontano da Cristo, tace, egli non fa altro che usare la sua autorità per la loro rovina. Ha visto il male, può intervenire con la sua verità, non interviene, egli altro non fa che giustificare il male che nella comunità vive, ha posto le sue radici.
Paolo deve essere come un buon agricoltore. Questi usa la zappa come sua propria autorità sulla terra. Con questo strumento egli fa sì che la terra germogli, produca, rechi un grande beneficio all’uomo.
Se lui vede un’erba cattiva che sta infestando il suo campo e non interviene con il suo strumento di amore, altro non fa che cooperare alla distruzione del bene degli uomini. Con l’uso della sua autorità che ha consentito ad un’erba cattiva di prosperare nel suo buon terreno, ha fatto sì che il buon grano fosse soffocato e non producesse frutti di vita e di benedizione per l’uomo.
Così è dell’autorità. Essa può essere esercitata in forma positiva, intervenendo efficacemente. Ma anche esercitata in forma negativa, lasciando che l’erba cresca e prosperi fino al completo soffocamento del buon frumento.
Molti pensano che l’esercizio dell’autorità sia solo quello di pronto intervento. Questo uso è inferiore, infimo all’altro. L’altro è costante, ed è vero esercizio dell’autorità.
Uno vede che un’erba cattiva sta entrando nella Chiesa, con la sua autorità non interviene per distruggerla, la lascia prosperare, quell’erba distrugge tutto il buon grano. Lo distrugge per l’esercizio dell’autorità. Il giudizio che presiede ad ogni esercizio di autorità ha giudicato quell’erba non dannosa, l’ha lasciata prosperare, il danno è irrimediabile.
Anche questo è esercizio dell’autorità. Anche di questo modo di esercitarla si è responsabili dinanzi a Dio e agli uomini.
Paolo non scrive per spaventare, non scrive per incutere paura; scrive perché vuole liberare il loro campo da tutte le cattive erbe velenose che lo stanno infestando. Se non lo facesse, sarebbe anche questo un uso di autorità, sarebbe la sua autorità a permettere all’erba di prosperare e di crescere fino al totale soffocamento del buon grano.
Quest’uso dell’autorità oggi è assai deleterio. È spesso un uso di permissione al male di poter prosperare, crescere, diffondersi, dilagare tra di noi. Di questo uso dell’autorità dobbiamo domani rendere conto a Dio, il quale farà ricadere su di noi tutti i peccati che l’esercizio al negativo della nostra autorità hanno fatto crescere e prosperare nel mondo intero.
[10]Perché «le lettere si dice sono dure e forti, ma la sua presenza fisica è debole e la parola dimessa».
È in fondo la stessa accusa riportata al versetto 1 di questo capitolo 10: da lontano e animoso, da vicino è meschino.
Ora invece si aggiunge qualcosa in più: le parole delle lettere sono dure e forti, la sua presenza fisica è debole e la parola dimessa.
Su che cosa si fonda questa accusa? Qual è il comportamento di Paolo che in qualche modo ha potuto ingenerare nei cuori una così grande falsità sul suo comportamento sempre animato dalla più grande dolcezza e mansuetudine di Cristo Gesù? Quale l’appiglio storico su cui fondare una tale menzogna sul suo modo di agire a favore della edificazione e della costruzione bene ordinata e santa delle comunità da lui fondate?
La lettera vede la verità, difende la verità, proclama la verità, dona i principi divini sui quali la verità si fonda.
La verità è detta in modo assoluto, nella sua pienezza, valevole per ogni tempo e ogni luogo.
La verità proclamata prescinde dalle persone, anche se sono state le persone a far sì, con la loro storia di non verità, a farla precisare e a porla sul lucerniere, perché fosse luce per il mondo intero.
Quando invece ci si trova dinanzi alla persona che ha sbagliato, che ha peccato, che ha commesso l’errore sia nelle azioni che nei pensieri, allora si mostra la misericordia di Dio, le si manifesta tutto l’amore del Signore e lo si manifesta perché la si vede pentita, umiliata, convertita, perché ha smesso con i suoi peccati e con i suoi errori ed è ritornata nella casa del Padre.
Se la persona che ha peccato e non vuole ritornare a Dio, non si pente, non accoglie la Parola di vita, in questo caso bisogna essere fermi con la proclamazione di tutte le esigenze della verità, anche se bisogna farlo con un solo scopo: non quello di allontanare dalla casa del Padre, ma di fare avvicinare e quindi si manifesta tutto l’amore possibile assieme alla fermezza nella verità.
In fondo è anche questo lo stile delle Lettere. Se si fa bene attenzione, nelle Lettere Paolo unisce mirabilmente la forza della verità e la dolcezza dell’amore, la fermezza del pastore che deve guidare le pecore verso l’ovile della salvezza e l’amore che è capace di prendere le pecore malate sulle spalle e portarle lui personalmente nella casa della salvezza.
[11]Questo tale rifletta però che quali noi siamo a parole per lettera, assenti, tali saremo anche con i fatti, di presenza.
L’ammonimento di Paolo manifesta quanto si è detto finora. Paolo è remissivo, caritatevole, arrendevole, saggio oltre misura, sapiente, sempre mosso dallo Spirito del Signore per aiutare i peccatori a convertirsi, a ritornare nella casa del Padre, nel fare ritorno all’ovile della salvezza, che è il loro rientro nella verità di Cristo Gesù.
Questo non deve significare per nessuno che egli sia disposto a tacere la verità della salvezza. Se colui che ha peccato, che ha infangato il Vangelo di Gesù che lui porta, non si converte, troverà in Paolo lo stesso uomo forte anche di presenza e non solo per Lettera.
Se Paolo non abbinasse la fermezza della verità assieme alla dolcezza dell’amore, non amerebbe il gregge, perché lo esporrebbe alla morte eterna, al buio eterno.
Il cammino verso il regno dei cieli si compie nella verità del Vangelo. Negare la verità ad un uomo, volendo solo mostrargli amore, significa condannarlo all’inferno.
Paolo non lavora per l’inferno, lavora per il paradiso e chiunque vuole andare in paradiso deve incamminarsi sulla via della verità del Vangelo, senza deviare né a destra e né a sinistra. Come può, Paolo che lavora solo per il regno dei cieli, che vuole la salvezza di ogni uomo, che per la salvezza ha esposto la vita all’ignominia e al martirio, tacere la verità per manifestare solo l’amore?
Rinnegherebbe con un comportamento siffatto tutto il suo ministero, tutta la sua missione. Si esporrebbe lui al pericolo della morte eterna, perché sarebbe responsabile dei peccati commessi dagli altri a causa della mancanza di responsabilità, dovuta al silenzio colpevole della verità da lui taciuta.
Questo vale per ogni missionario del Vangelo, per ogni predicatore della buona novella. O per lettera, o di presenza, quando ci si accorge che ci si trova dinanzi ad un pericolo grave di perdizione eterna a causa dalla caduta dalla verità, è obbligo di coscienza, con conseguente peccato di omissione, dire tutta la verità che salva.
Paolo ama il Signore, ama la vita eterna, ama il Cielo, desidera essere con il Signore e non può caricarsi di un peccato di omissione che lo porterebbe lontano da Lui. La sua fermezza è anche per questioni di coscienza e non solo per amore del Vangelo e della salvezza degli altri.
Sarebbe un vero assurdo pensare alla salvezza degli altri, senza pensare alla propria. Chi non pensa alla propria come potrà mai pensare a quella degli altri? Paolo pensa alla propria e a quella degli altri e per questo è vero per se stesso e per gli altri, cammina lui per primo nella verità del Vangelo affinché in essa possano camminare tutti gli altri.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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