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COMMENTO DELLA LETTERA AGLI EBREI

Ultimo Aggiornamento: 05/02/2019 14:01
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16/01/2012 23:06
 
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Nell'anno centoquarantacinque, il quindici di Casleu il re innalzò sull'altare un idolo. Anche nelle città vicine di Giuda eressero altari e bruciarono incenso sulle porte delle case e nelle piazze. Stracciavano i libri della legge che riuscivano a trovare e li gettavano nel fuoco. Se qualcuno veniva trovato in possesso di una copia del libro dell'alleanza o ardiva obbedire alla legge, la sentenza del re lo condannava a morte.
Con prepotenza trattavano gli Israeliti che venivano scoperti ogni mese nella città e specialmente al venticinque del mese, quando sacrificavano sull'ara che era sopra l'altare dei sacrifici. Mettevano a morte, secondo gli ordini, le donne che avevano fatto circoncidere i loro figli, con i bambini appesi al collo e con i familiari e quelli che li avevano circoncisi.
Tuttavia molti in Israele si fecero forza e animo a vicenda per non mangiare cibi immondi e preferirono morire pur di non contaminarsi con quei cibi e non disonorare la santa alleanza; così appunto morirono. Sopra Israele fu così scatenata un'ira veramente grande.
2Mac 7,1-42: “Ci fu anche il caso di sette fratelli che, presi insieme alla loro madre, furono costretti dal re a forza di flagelli e nerbate a cibarsi di carni suine proibite. Uno di essi, facendosi interprete di tutti, disse: Che cosa cerchi di indagare o sapere da noi? Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le patrie leggi.
Allora il re irritato comandò di mettere al fuoco padelle e caldaie. Diventate queste subito roventi, il re comandò di tagliare la lingua, di scorticare e tagliare le estremità a quello che era stato loro portavoce, sotto gli occhi degli altri fratelli e della madre. Quando quegli fu mutilato di tutte le membra, comandò di accostarlo al fuoco e di arrostirlo mentre era ancora vivo. Mentre il fumo si spandeva largamente all'intorno della padella, gli altri si esortavano a vicenda con la loro madre a morire da forti, esclamando: Il Signore Dio ci vede dall'alto e in tutta verità ci dá  conforto, precisamente come dichiarò Mosè nel canto della protesta: Egli si muoverà a compassione dei suoi servi.
Venuto meno il primo, in egual modo traevano allo scherno il secondo e, strappatagli la pelle del capo con i capelli, gli domandavano: Sei disposto a mangiare, prima che il tuo corpo venga straziato in ogni suo membro?Egli rispondendo nella lingua paterna protestava: No. Perciò anch'egli si ebbe gli stessi tormenti del primo. Giunto all'ultimo respiro, disse: Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re del mondo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna.
Dopo costui fu torturato il terzo, che alla loro richiesta mise fuori prontamente la lingua e stese con coraggio le mani e disse dignitosamente: Da Dio ho queste membra e, per le sue leggi, le disprezzo, ma da lui spero di riaverle di nuovo; così lo stesso re e i suoi dignitari rimasero colpiti dalla fierezza del giovinetto, che non teneva in nessun conto le torture.
Fatto morire anche costui, si misero a straziare il quarto con gli stessi tormenti. Ridotto in fin di vita, egli diceva: E` bello morire a causa degli uomini, per attendere da Dio l'adempimento delle speranze di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te la risurrezione non sarà per la vita.
Subito dopo, fu condotto avanti il quinto e fu torturato. Ma egli, guardando il re, diceva: Tu hai potere sugli uomini, e sebbene mortale, fai quanto ti piace; ma non credere che il nostro popolo sia stato abbandonato da Dio. Quanto a te, aspetta e vedrai la grandezza della sua forza, come strazierà te e la tua discendenza.
Dopo di lui presero il sesto; mentre stava per morire, egli disse: Non illuderti stoltamente; noi soffriamo queste cose per causa nostra, perché abbiamo peccato contro il nostro Dio; perciò ci succedono cose che muovono a meraviglia. Ma tu non credere di andare impunito dopo aver osato di combattere contro Dio.
La madre era soprattutto ammirevole e degna di gloriosa memoria, perché vedendo morire sette figli in un sol giorno, sopportava tutto serenamente per le speranze poste nel Signore. Esortava ciascuno di essi nella lingua paterna, piena di nobili sentimenti e, sostenendo la tenerezza femminile con un coraggio virile, diceva loro: Non so come siate apparsi nel mio seno; non io vi ho dato lo spirito e la vita, né io ho dato forma alle membra di ciascuno di voi. Senza dubbio il creatore del mondo, che ha plasmato alla origine l'uomo e ha provveduto alla generazione di tutti, per la sua misericordia vi restituirà di nuovo lo spirito e la vita, come voi ora per le sue leggi non vi curate di voi stessi.
Antioco, credendosi disprezzato e sospettando che quella voce fosse di scherno, esortava il più giovane che era ancora vivo e non solo a parole, ma con giuramenti prometteva che l'avrebbe fatto ricco e molto felice se avesse abbandonato gli usi paterni, e che l'avrebbe fatto suo amico e gli avrebbe affidato cariche. Ma poiché il giovinetto non badava affatto a queste parole il re, chiamata la madre, la esortava a farsi consigliera di salvezza per il ragazzo. Dopo che il re la ebbe esortata a lungo, essa accettò di persuadere il figlio; chinatasi verso di lui, beffandosi del crudele tiranno, disse nella lingua paterna: Figlio, abbi pietà di me che ti ho portato in seno nove mesi, che ti ho allattato per tre anni, ti ho allevato, ti ho condotto a questa età e ti ho dato il nutrimento.
Ti scongiuro, figlio, contempla il cielo e la terra, osserva quanto vi è in essi e sappi che Dio li ha fatti non da cose preesistenti; tale è anche l'origine del genere umano. Non temere questo carnefice ma, mostrandoti degno dei tuoi fratelli, accetta la morte, perché io ti possa riavere insieme con i tuoi fratelli nel giorno della misericordia.
Mentre essa finiva di parlare, il giovane disse: Che aspettate? Non obbedisco al comando del re, ma ascolto il comando della legge che è stata data ai nostri padri per mezzo di Mosè. Ma tu, che ti fai autore di tutte le sventure degli Ebrei, non sfuggirai alle mani di Dio. Per i nostri peccati noi soffriamo. Se per nostro castigo e correzione il Signore vivente si adira per breve tempo con noi, presto si volgerà di nuovo verso i suoi servi. Ma tu, o sacrilego e di tutti gli uomini il più empio, non esaltarti invano, agitando segrete speranze, mentre alzi la mano contro i figli del Cielo; perché non sei ancora al sicuro dal giudizio dell'onnipotente Dio che tutto vede.
Già ora i nostri fratelli, che hanno sopportato breve tormento, hanno conseguito da Dio l'eredità della vita eterna. Tu invece subirai per giudizio di Dio il giusto castigo della tua superbia. Anche io, come già i miei fratelli, sacrifico il corpo e la vita per le patrie leggi, supplicando Dio che presto si mostri placato al suo popolo e che tu fra dure prove e flagelli debba confessare che egli solo è Dio; con me invece e con i miei fratelli possa arrestarsi l'ira dell'Onnipotente, giustamente attirata su tutta la nostra stirpe.
Il re, divenuto furibondo, si sfogò su costui più crudelmente che sugli altri, sentendosi invelenito dallo scherno. Così anche costui passò all'altra vita puro, confidando pienamente nel Signore. Ultima dopo i figli, anche la madre incontrò la morte. Ma ora basti quanto s'è esposto circa i pasti sacrificali e le incredibili crudeltà.
Questi versetti 35.36.37.38 ci rivelano la più grande verità che avvolge la nostra fede: La Parola di Dio deve essere la tenda che ripara la nostra vita, la protegge, la difende, la custodisce, la conduce verso il Cielo.
In questa tenda è la vita. Fuori di questa tenda è la morte. Per rimanere in questa tenda e restare nella vita bisogna sacrificare la stessa vita del corpo. È questa la prova suprema della fede.
A questi uomini e a queste donne è stata chiesta questa prova: il sacrificio totale di se stessi e loro lo hanno offerto a Dio. Sono rimasti nella vita, sono ora nella vita con Dio nel Cielo.
Nel v. 35 è detto anche che per fede alcune donne hanno riacquistato i loro morti per risurrezione. I casi di risurrezione nell’Antico Testamento sono solo tre: Elia risuscita il figlio della vedova di Zarepta di Sidone; Eliseo risuscita il figlio della Sunammita, l’altro caso è quello del cadavere che viene scaricato sulla tomba di Eliseo e riacquista la vita.
Anche questa è potenza e forza della fede.
[39]Eppure, tutti costoro, pur avendo ricevuto per la loro fede una buona testimonianza, non conseguirono la promessa: [40]Dio aveva in vista qualcosa di meglio per noi, perché essi non ottenessero la perfezione senza di noi.
Anche se in alcuni la fede non è del tutto perfetta, è però vera fede e Dio rende loro buona testimonianza.
Noi crediamo nell’Ispirazione della Scrittura e la Lettera agli Ebrei è ispirata. Quanto essa dice è frutto nell’Autore dello Spirito Santo, che rende testimonianza della bontà della fede di tutti questi uomini e queste donne che vengono menzionati in questo contesto.
Ripeto: c’è ancora la fragilità della natura umana e la fede è incarnata in questa fragilità, ma è pur sempre vera fede in Dio.
Questa fede vera non ha conseguito ancora la promessa, perché la loro missione non era quella di realizzare la promessa di Dio, bensì quella di veicolare la Parola della promessa.
La promessa non l’avrebbe portata sulla terra un uomo. L’avrebbe portata invece l’Uomo Dio, il Dio fattosi uomo.
La perfezione non è nella Parola, è nella Persona. È la Persona che la Parola promette, annunzia, profetizza.
Finché non viene la Persona profetizzata dalla Parola, non vi potrà essere alcuna perfezione.
Questa è la verità. La perfezione è Cristo, la perfezione è in Cristo, la perfezione è per Cristo, la perfezione è da Cristo, la perfezione è con Cristo.
Essa non è nella Parola, è in Cristo. La fede in Cristo poi è fede nella Persona di Cristo che è Parola e Grazia, Verità e Vita, Via e Santificazione, Redenzione e Giustizia di Dio per noi.
Anche la fede di quanti ci hanno preceduti era fede nella Persona. La Persona loro attendevano, verso la Persona loro camminavano, la fede in Essa li attraeva e li conduceva.
Se la Parola dell’Antico Testamento spinge verso Cristo, verso la Persona della nostra salvezza, è mai possibile ritornare ad una Parola, o credere in quella Parola senza la Persona che essa promette, annunzia e profetizza?
Sarebbe questa vera stoltezza, insipienza. Sarebbe un immergersi nell’idolatria la più pericolosa: quella dell’adorazione di una Parola che è solo veicolo perché la Persona della nostra salvezza venga nel mondo.
Altra verità è questa: la Persona non la porta la Parola. La porta la discendenza. La Parola serve perché la discendenza porti la Persona.
La discendenza si è compiuta. Ma anche con Cristo le genealogia si chiude, si interrompe, finisce.
Non c’è più discendenza né di Abramo, né di Davide, perché Cristo Gesù è l’ultimo anello della discendenza dalla quale sarebbe venuta la benedizione di Dio sulla nostra terra.
Altra osservazione è questa: se si pone bene attenzione alla Lettera della Scrittura si deve affermare con assoluta certezza che la perfezione, la salvezza di Dio è sempre da una Persona che deve venire.
Questa Persona è il suo Unto, il suo Cristo, il suo Messia. Il Messia è però da venire nel futuro, mai egli è detto venuto nel passato.
Se tutto l’Antico Testamento è attesa del Messia che verrà, che senso avrebbe per questi Ebrei, Destinatari della Lettera, volgere lo sguardo nuovamente al passato, mentre la salvezza è nel presente, o nel futuro? La fede obbliga a guardare in avanti, ad ascoltare il Signore oggi, in questo tempo. Questa è la legge della fede: vivere il presente di Dio con Dio, non il suo passato, non il suo futuro. Il passato ci ha condotto al presente, il presente ci rende perfetti e ci conduce verso il futuro. Ieri per ieri, oggi per oggi, domani per domani, ma sempre con Dio, che è la verità di ogni fede e di ogni Parola di fede.
Anche per noi del Nuovo Testamento vale la stessa verità. Dio ci ha dato Cristo. Cristo non è di ieri, non sarà di domani. Cristo è di oggi.
Oggi, il Cristo di oggi, è la nostra salvezza. Oggi Lui cammina con noi per condurci nella verità e nella grazia; oggi è con noi per metterci, o immetterci sulla sua via. Oggi, ma oggi per oggi.
Cristo è sempre lo stesso: oggi, ieri, sempre. Sempre lo stesso però non è l’uomo da salvare. Sempre la stessa non è la perfezione dell’uomo. Sempre lo stesso non è il cammino dell’uomo.
La salvezza dell’uomo è Cristo che si dona oggi, che parla oggi, che dice oggi la via da percorrere per raggiungere la salvezza di Dio.
L’oggi di Dio, che diviene e si fa l’oggi di Cristo, è anche l’oggi della fede del cristiano.
Le conseguenze pastorali, ascetiche, teologiche di questa verità non sono minime, non sono poche. Provate a pensarne qualcuna. La vita ne rimarrà sconvolta.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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