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COMMENTO DELLA LETTERA AGLI EBREI

Ultimo Aggiornamento: 05/02/2019 14:01
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16/01/2012 23:02
 
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[7]Per fede Noè, avvertito divinamente di cose che ancora non si vedevano, costruì con pio timore un'arca a salvezza della sua famiglia; e per questa fede condannò il mondo e divenne erede della giustizia secondo la fede.
Di Noè si parla nella Genesi nei cc. 6.7.8.9. Riportiamo il solo capitolo sesto, perché esso introduce il tema sulla fede trattato dall’Autore.
Gn. 6,5-22: “Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male. E il Signore si pentì di aver fatto l'uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. Il Singore disse: Sterminerò dalla terra l'uomo che ho creato: con l'uomo anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito d'averli fatti. Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore.
Questa è la storia di Noè. Noè era uomo giusto e integro tra i suoi contemporanei e camminava con Dio. Noè generò tre figli: Sem, Cam, e Iafet. Ma la terra era corrotta davanti a Dio e piena di violenza.
Dio guardò la terra ed ecco essa era corrotta, perché ogni uomo aveva pervertito la sua condotta sulla terra. Allora Dio disse a Noè: E` venuta per me la fine di ogni uomo, perché la terra, per causa loro, è piena di violenza; ecco, io li distruggerò insieme con la terra. Fatti un'arca di legno di cipresso; dividerai l'arca in scompartimenti e la spalmerai di bitume dentro e fuori.
Ecco come devi farla: l'arca avrà trecento cubiti di lunghezza, cinquanta di larghezza e trenta di altezza. Farai nell'arca un tetto e a un cubito più sopra la terminerai; da un lato metterai la porta dell'arca. La farai a piani: inferiore, medio e superiore. Ecco io manderò il diluvio, cioè le acque, sulla terra, per distruggere sotto il cielo ogni carne, in cui è alito di vita; quanto è sulla terra perirà. Ma con te io stabilisco la mia alleanza. Entrerai nell'arca tu e con te i tuoi figli, tua moglie e le mogli dei tuoi figli. Di quanto vive, di ogni carne, introdurrai nell'arca due di ogni specie, per conservarli in vita con te: siano maschio e femmina. Degli uccelli secondo la loro specie, del bestiame secondo la propria specie e di tutti i rettili della terra secondo la loro specie, due d'ognuna verranno con te, per essere conservati in vita. Quanto a te, prenditi ogni sorta di cibo da mangiare e raccoglilo presso di te: sarà di nutrimento per te e per loro. Noè eseguì tutto; come Dio gli aveva comandato, così egli fece”.
Sono tre le verità proposte alla nostra attenzione in questo versetto:
Per fede Noè, avvertito divinamente di cose che ancora non si vedevano, costruì con pio timore un'arca a salvezza della sua famiglia: Il diluvio ancora non era iniziato quando Noè ha dato mano alla costruzione dell’arca. La costruì perché ha creduto al Signore. La sua è vera fede nella Parola del Signore. Il pio timore è la riverenza di Noè verso la Parola di Dio nella volontà di fare ogni cosa secondo il comando ricevuto, senza nulla aggiungere e nulla togliere.
Per questa fede condannò il mondo: condannò il mondo perché gli uomini vedevano che lui costruiva l’arca e nessuno si diede pensiero di ravvedersi, convertirsi, ritornare al Signore. Nel Nuovo Testamento Noè è citato per mostrare la stoltezza degli uomini, i quali, dinanzi al pericolo che li sovrasta, continuano nei loro peccati, nella loro vita sregolata, in ogni genere di idolatria e di abbandono del Signore.
Divenne erede della giustizia secondo la fede: Questa frase ha un solo significato: erede della giustizia secondo la fede è quella giustizia di cui Dio ci fa dono in seguito al nostro ascolto e alla nostra obbedienza. Per Noè questa giustizia è la salvezza della sua vita, di quella dei suoi familiari, e in loro, di quella dell’uomo, o della famiglia umana che sussiste grazie alla fede di Noè.
Osservazione: Ogni Parola di Dio contiene in sé una promessa. È giustizia secondo la fede entrare in possesso di questa promessa, solo però se si è adempiuta fedelmente tutta la Parola di Dio che la promessa conteneva. Il Paradiso è eredità della giustizia secondo la fede. Anche la benedizione di Dio è eredità della giustizia secondo la fede.
Riflettendo su questa verità (eredità della giustizia secondo la fede), chiediamoci: quante pratiche di pietà, quante azioni liturgiche, o paraliturgiche vengono compiute per dare un dono di Dio, che però sono prive, da parte di chi riceve il dono, del “diritto” che nasce della giustizia secondo la fede? Si può rimediare a questa incongruenza? Cosa fare perché questo non succeda?
La giustizia secondo la fede dovrebbe essere regola generale di santo comportamento nella comunità cristiana.
Al di là di ogni altra considerazione, Noè deve insegnare ad ogni cristiano la più grande verità della sua vita: l’ascolto e la messa in pratica della Parola di Dio, nella più assoluta fedeltà, è la più grande testimonianza resa a Dio, ma anche la più grande opera di evangelizzazione che uno possa fare.
Il perfetto compimento della Parola di Dio nella nostra vita non solo attesta la verità della Parola, ma anche manifesta la verità della nostra fede.
La fede è vera: quando nasce dalla pura Parola del Signore; quando la pura Parola del Signore è accolta e messa in pratica, ascoltata e realizzata in ogni sua parte. La Parola vera di Dio deve divenire Parola vera nel cristiano: è questo il cammino santo della Parola e quindi della fede.
Se la vera Parola di Dio non diviene vera Parola del cristiano, non c’è vera fede. Quella su cui si costruisce è una fede non vera. Il mondo per credere ha bisogno di questa garanzia, di questa certezza, anzi di questa duplice garanzia e certezza: Vera Parola di Dio che diviene vera Parola del cristiano. Una sola Parola vera di Dio e del cristiano. La verità della Parola del cristiano condanna il mondo. Solo questa Parola lo condanna. Tutte le altre lo giustificano nei suoi peccati.
[8]Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava.
Gn. 12,1-4: “Il Signore disse ad Abram: Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra. Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot. Abram aveva settantacinque anni quando lasciò Carran”.
Volendo fare un primo punto sulla situazione, è giusto dire che ogni persona di fede vive con Dio un rapporto singolarissimo: finora la fede dell’uno non è stata la fede dell’altro, perché la Parola per l’uno non era Parola per l’altro.
La Parola detta personalmente fa sì che la fede differisca da persona a persona, perché da persona a persona differisce la Parola.
Quella di Noè è una fede con futuro di vita. È una fede con promessa evidente, che si può facilmente constatare. È una Parola detta una volta per tutte. È anche una fede che nasce una volte per tutte.
Con Abramo invece inizia un altro tipo di fede. Inizia un vero cammino nella fede. Non è però un cammino nella fede nel senso che c’è una Parola che bisogna realizzare ed essa ha un valore che abbraccia tutta la vita.
Anche questo è cammino nella fede, ma è un cammino per realizzare la Parola ascoltata. Differente è invece il cammino della fede di Abramo. Abramo cammina ascoltando il Signore. Se lo ascolta cammina, se non lo ascolta resta fermo.
La sua è una fede totalmente dipendente dalla Parola che Dio gli farà udire oggi. Questo è il cammino della fede di Abramo: cammino nella Parola attuale di Dio.
Che sia un cammino di Parola in Parola lo si deduce già dal primo comando che il Signore gli rivolge: “Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò”.
Abramo deve partire. Il Signore gli indicherà dove andare. Quando? Al momento che Lui riterrà giusto.
Abramo deve ora imparare ad ascoltare il Signore, a discernere e a separare la voce di Dio da tutte le altre voci, anche da quelle del suo cuore.
Ci riuscirà? A volte c’era Sara a confonderlo. Ma poi interveniva il Signore e metteva ogni cosa al suo posto.
Osservazione: Si badi bene. Il cammino di Abramo nella Parola e con la Parola di Dio non è nella comprensione, è nell’ascolto, nell’obbedienza, nella realizzazione. Una cosa sempre da non fare è questa: non comprendo, interpreto, realizzo. La comprensione non deve mai annullare il “dettato” letterale della Parola, altrimenti non è più comprensione, è vera e propria alterazione. La giusta procedura è questa: non comprendo, compio quanto la Parola dice, attendo di comprendere. Oppure: Non comprendo, chiedo spiegazione a Dio, attuo quanto il Signore mi dice. Ogni altra attuazione è via umana, non divina di realizzare la Parola.
[9]Per fede soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa.
Il Signore aveva chiesto ad Abramo di partire verso il Paese che Lui gli avrebbe indicato.
Ma qual è questo Paese? Per Abramo non c’è Paese. Lui deve abitare in terra, o regione straniera, come pellegrino, forestiero.
Lui non dovrà avere una stabile dimora. La sua dimora sarà una tenda, che sposterà di luogo in luogo, finché il Signore non gli avrà indicato che è giunto nel luogo del suo riposo.
Qual è la fede di Abramo? Quella di camminare ascoltando il Signore, fidandosi sempre e comunque di Lui, senza nulla attendere, se non ciò che il Signore di volta in volta gli prometteva.
Questa fede di Abramo diviene consegna alla Parola attuale di Dio. È una fede dell’oggi per l’oggi, dell’oggi per il domani, ma il domani della fede di Abramo non è una fruttificazione di ciò che Lui crede oggi e realizza, ma è un dono di Dio e quindi una sua promessa.
Lui vive di fede e Dio opera per Lui, prepara per Lui un futuro ricco di speranza.
Questa fede ti pone in perenne stato di cambiamento, di affidamento, di dipendenza. Abramo è da Dio in tutto. Questa è la fede che il Signore gli chiede: essere sempre, comunque, in tutto da Dio, dalla sua Parola, dalla Parola che di volta in volta il Signore farà giungere al suo orecchio e al suo cuore.
Questa fede richiede il pieno, totale, perfetto abbandono al Signore. Esige lo svuotamento dei pensieri, dei sentimenti, anche la libertà dalle proprie opere o realizzazioni. Se tutto è da Dio, tutto deve essere da Dio sempre.
Ma tutto è sempre da Dio, se tutto Abramo è nella Parola di Dio, nella sua volontà ed è tutto nella Parola se si fa secondo la Parola, secondo la Parola si realizza. Lui esiste per realizzare ogni Parola di Dio. Il resto, tutto il resto lo realizzerà il Signore per Lui.
La fede di Abramo è così una fede senza futuro umano, senza certezze umane, senza speranze umane. È una fede la cui speranza è creata solo ed esclusivamente dalla Parola di Dio. È una fede quella di Abramo in cui sia presente, che lo stesso futuro di Abramo è da Dio, è nella sua Parola, ma non è nella Parola detta ieri, è in quella detta oggi.
Qual è allora la differenza tra la Parola di ieri e quella di oggi? Nessuna per rapporto alla fede. La Parola di ieri diceva il futuro della vita di Abramo. La Parola di oggi dice il futuro della vita di Abramo. Il futuro della vita di Abramo è Dio, non è il frutto della fede di Abramo, o l’opera della fede di Abramo.
Questa essenziale verità della Parola di Abramo fa sì che Lui possa ascoltare ogni Parola di Dio, anche se apparentemente l’una è in contrasto con l’altra, l’una in opposizione all’altra.
Può ascoltare l’una e l’altra Parola, anche se in contrasto, perché il futuro non nasce dalla Parola ascoltata e messa in pratica, ma nasce dalla fede nel Dio che dona la Parola.
Quella di Abramo è una fede che si fa obbedienza. L’obbedienza è alla Parola, non al frutto della Parola. Poiché l’obbedienza è alla Parola lui può ascoltare e mettere in pratica tutte le Parole di Dio. Il frutto nasce dall’obbedienza, non dalla Parola.
Osservazione: Il passaggio dalla Parola all’obbedienza è la cosa più difficile da realizzare. Lo si realizza ad una condizione: che si veda Dio che crea il nostro futuro, che lo crea nella nostra obbedienza, e non più come frutto della nostra messa in pratica della Parola. Per intenderci: è come se il Signore ci dicesse di piantare un albero e noi lo piantiamo. Poi ci dice di tagliarlo e noi lo tagliamo. Il frutto che il Signore ci dà perché noi lo mangiamo, ce lo dona in virtù della nostra obbedienza, non in forza della produzione dell’albero. Il frutto cioè non lo produce l’albero, ma il Signore. L’albero ci viene dato perché noi lo piantiamo, in obbedienza a Lui, ma anche perché lo tagliamo in obbedienza a Lui. Perché dobbiamo piantarlo e perché dobbiamo tagliarlo non appartiene a noi, a noi appartiene solo l’obbedienza ad ogni Parola di Dio. È questa totale fiducia nel Signore l’opera che il Signore vuole da chi dice di avere fede in Lui. Ci sta la nostra malata razionalità ad una simile fede?
In parole molto più semplici: il futuro non è frutto della realizzazione della Parola, ma dell’obbedienza. L’obbedienza è una, una sola: al Dio che parla. La Parola potrà essere in contraddizione, l’obbedienza mai.
[10]Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso.
L’Autore ci rivela ora perché per Abramo non c’era spazio sulla nostra terra. Lui non era stato chiamato per abitare una città costruita da mano d’uomo.
La città che Lui attendeva e che Dio gli aveva promessa è quella eterna: la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso.
È questa l’altra novità della fede in Abramo: lo spostamento della promessa: dalle cose della terra, alle cose del cielo, dal presente all’eternità, dall’opera dell’uomo a quella di Dio. È uno spostamento non di lieve entità. Con Abramo la via della fede apre sull’eternità ed è questa la vera finalità della fede: ricondurre l’uomo là dove era prima: nella città del Cielo, dalla quale era stato espulso a causa del suo peccato, come si può leggere nel capitolo terzo della Genesi, dove è mirabilmente manifestato lo stato miserevole in cui sono caduti Adamo ed Eva e la loro scacciata dal Paradiso terrestre.
Gn 3,1-24: “Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: E` vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino? Rispose la donna al serpente: Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete.
Ma il serpente disse alla donna: Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male.
Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture. Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l'uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino.
Ma il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: Dove sei? Rispose: Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto. Riprese: Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell'albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?
Rispose l'uomo: La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell'albero e io ne ho mangiato.
Il Signore Dio disse alla donna: Che hai fatto? Rispose la donna: Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato.
Allora il Signore Dio disse al serpente: Poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno.
Alla donna disse: Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà.
All'uomo disse: Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell'albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l'erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!
L'uomo chiamò la moglie Eva, perché essa fu la madre di tutti i viventi. Il Signore Dio fece all'uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestì. Il Signore Dio disse allora: Ecco l'uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male. Ora, egli non stenda più la mano e non prenda anche dell'albero della vita, ne mangi e viva sempre! Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto. Scacciò l'uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via all'albero della vita.
Osservazione: La non fede ha scacciato Adamo ed Eva dal Giardino di Dio, la fede deve avere questa unica finalità: riportarlo nel Giardino. Ogni annunzio che non indica all’uomo la via del Cielo, è un annunzio non di vera, retta, autentica fede. È questa una fede che non salva l’uomo, perché lo lascia in terra straniera, in regione forestiera, senza indicargli la via della città dalle stabili fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio. La fede che salva è quella che riporta l’uomo nella città del cielo. Oggi è proprio questa fede che fa difetto. Tutto si è spostato in ambito di città terrena, forestiera, straniera per l’uomo. Quanto sarebbe bello se ogni cristiano prendesse coscienza che Dio non lo chiama per stare bene su questa terra, bensì per stare bene nel Cielo. La via della vera fede è quella che conduce un uomo in Paradiso.
[11]Per fede anche Sara, sebbene fuori dell'età, ricevette la possibilità di diventare madre perché ritenne fedele colui che glielo aveva promesso.
Dal racconto della Genesi è giusto affermare che diverso da quello di Abramo è il cammino della fede di Sara.
La fede di Sara passa attraverso l’esperienza del compimento della Parola di Dio. Anche questa via è buona per aprirsi alla fede. Leggiamo:
Gn. 18,1-15: “Poi il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all'ingresso della tenda nell'ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall'ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ di acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l'albero. Permettete che vada a prendere un boccone di pane e rinfrancatevi il cuore; dopo, potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo. Quelli dissero: Fa’ pure come hai detto.
Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: Presto, tre staia di fior di farina, impastala e fanne focacce. All'armento corse lui stesso, Abramo, prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese latte acido e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse a loro. Così, mentr'egli stava in piedi presso di loro sotto l'albero, quelli mangiarono.
Poi gli dissero: Dov'è Sara, tua moglie? Rispose: E` là nella tenda. Il Signore riprese: Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio. Intanto Sara stava ad ascoltare all'ingresso della tenda ed era dietro di lui. Abramo e Sara erano vecchi, avanti negli anni; era cessato a Sara ciò che avviene regolarmente alle donne. Allora Sara rise dentro di sé e disse: Avvizzita come sono dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio! Ma il Signore disse ad Abramo: Perché Sara ha riso dicendo: Potrò davvero partorire, mentre sono vecchia? C'è forse qualche cosa impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te alla stessa data e Sara avrà un figlio. Allora Sara negò: Non ho riso!, perché aveva paura; ma quegli disse: Sì, hai proprio riso”.
Quanto si è detto introducendo questo versetto 11, penso trovi piena verità nelle ultime parole della citazione: “Allora Sara rise dentro di sé e disse: Avvizzita come sono dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio! Ma il Signore disse ad Abramo: Perché Sara ha riso dicendo: Potrò davvero partorire, mentre sono vecchia? C'è forse qualche cosa impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te alla stessa data e Sara avrà un figlio. Allora Sara negò: Non ho riso!, perché aveva paura; ma quegli disse: Sì, hai proprio riso”.
Sara veramente in un primo momento non crede: potrò davvero partorire, mentre sono vecchia?
Si apre alla fede nel momento in cui il Signore le dice: C’è forse qualche cosa impossibile per il Signore?
Quella di Sara è una fede che ha bisogno di spiegazione, di illuminazione, di chiarificazione, di ulteriore sostegno da parte di Dio.
Anche questo il Signore fa per i suoi amici. L’unica cosa che il Signore non farà mai è accogliere la provocazione di chi non vuole credere e lo sfida a dargli un segno di credibilità.
In questo caso c’è la durezza del cuore e la sua superbia, arroganza, tracotanza. Dio resiste ai superbi. Mentre agli umili, anche se piccoli e poveri nella fede, Lui viene sempre in aiuto.
Osservazione: come si è potuto constatare i processi e le vie attraverso i quali si forma la fede in un cuore sono molteplici e vari. Non ne esiste uno solo. Ne esistono molti. Il Signore viene in aiuto di ognuno. La condizione però è una sola: l’umiltà del cuore, la semplicità dello spirito, la chiarezza della coscienza. Dove c’è superbia, perversità, cattiva coscienza, tentazione del Signore, ipocrisia, ogni altro genere di chiusura dell’uomo in se stesso, Dio rifiuta la sua grazia. Lo abbiamo visto anche nel primo capitolo del Libro della Sapienza, citato qualche pagina fa.
[12]Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia innumerevole che si trova lungo la spiaggia del mare.
Viene ora indicato qual è il frutto di giustizia che Dio dona ad Abramo per la sua obbedienza alla Parola: una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia innumerevole che si trova lungo la spiaggia del mare.
Questa discendenza non è frutto di Abramo. È dono di Dio. È dono, però, che Dio fa a motivo della fede di Abramo.
Abramo crede. Dio crea. Abramo obbedisce. Dio dona. Il dono però non è il frutto della fede, è dono a motivo della fede, a causa di essa.
Osservazione: Questa verità serve per liberare l’uomo da ogni assillo di fruttificazione. Questa non nasce dalla sua opera, né dalla molteplicità delle sue azioni. Questa, cioè la fruttificazione, non è dall’uomo, è da Dio. Non è allora la molta, o la poca opera che genera molti o pochi frutti, ma è la fede con la quale si risponde al Signore. La fede è nella Parola, non nell’opera che si fa, o nelle molte opere. Questa verità ce la suggerisce anche San Pietro: abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla. Molto lavoro, niente frutti. Ma sulla tua Parola getterò le reti: poco lavoro, molta fede, molti frutti, anzi frutti abbondanti. Se non si entra in questa visione di fede, tutto diviene inutile. Ripeto: il frutto non è dall’opera che si svolge. È dalla benedizione di Dio, è da Dio e Dio lo dona non in seguito all’opera che si fa, ma alla fede con la quale ci si relaziona a Lui.
È questa la più pura e la più santa verità della nostra fede. Chi entra in questa verità, si libera dall’opera, entra nell’obbedienza. Il frutto è dall’obbedienza, non dall’opera.
La pastorale ha bisogno di questa verità. Chi sarà capace a dargliela? Ma chi sarà capace di accoglierla?
Questo significa forse che l’obbedienza non fa opere? Niente affatto. Significa che l’opera deve essere obbedienza. L’opera è il frutto della fede, ma il dono di Dio non è il frutto dell’opera, bensì della fede.
[13]Nella fede morirono tutti costoro, pur non avendo conseguito i beni promessi, ma avendoli solo veduti e salutati di lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sopra la terra.
La fede è nella Parola della promessa. La fede è in Dio che dice una Parola di promessa.
La fede è dell’uomo. La promessa è di Dio. La fede è dell’uomo storico. La promessa è del Dio senza storia, che è prima della storia, nella storia, e dopo la storia.
La fede dell’uomo è il terreno sul quale il Signore realizza la sua promessa. L’uomo gli offre il terreno, il Signore attua la promessa secondo arcani disegni che solo lui conosce.
Che l’uomo assista o non assista al compimento della promessa nella storia non ha importanza per lui. Importante per lui è che Dio attui per lui al momento della morte la promessa che si compie nell’eternità.
Abramo e tutti i giusti dell’Antico Testamento vedono la lontano la promessa di Dio che si compie nella storia degli uomini.
Al momento della morte però gustano i frutti di questa promessa, che Dio attua per loro a motivo della loro fede.
I beni promessi non conseguiti sono quelli storici, non quelli spirituali ed eterni. Questi sono stati conseguiti. Per la loro fede Dio li ha donati loro, in previsione dell’attuazione della promessa nella storia.
Abramo è benedetto da Dio nell’eternità a motivo della benedizione storica che si sarebbe tutta compiuta in Cristo Gesù.
Altra verità è questa: si è pellegrini sulla terra perché il bene ultimo della promessa è quello eterno, non quello terreno. La patria terrena è solo uno strumento, una via, un mezzo per il raggiungimento della patria eterna e questa si può raggiungere anche vivendo da pellegrini e da forestieri sulla terra.
Questa verità ci spinge ad affermarne un’altra: la non identificazione di nessun mezzo con il fine. Il mezzo per raggiungere il fine è solo la Parola del Signore e la fede in essa. La Parola è il mezzo assoluto. La fede in essa ci consente di raggiungere la Patria eterna.
La Parola conferisce libertà ad ogni altra cosa, che diventa relativa e non assoluta. Camminando nella Parola, seguendo essa, si diventa stranieri e forestieri per ogni altra cosa, non soltanto per la terra.
Osservazione: Comprendere la pienezza di libertà che nasce dalla fede nella Parola è la via per il continuo rinnovamento della propria spiritualità. È vera spiritualità quella che non è legata a nessuna realtà storica, ma solo alla Parola e al cammino nella Parola. Questa spiritualità è vera, perché la Parola libera da ogni cammino storico della fede, da ogni promessa storica della fede, da ogni conseguimento storico della fede. Questa spiritualità è vera, perché la Parola crea la storia e la crea giorno per giorno. Questa spiritualità è vera, perché in essa non c’è alcun condizionamento della storia sulla Parola. Oggi dobbiamo confessare che molti sono i condizionamenti storici sulla Parola. Alcuni di essi sono così gravi da condizionare, soffocare, uccidere la stessa Parola.
[14]Chi dice così, infatti, dimostra di essere alla ricerca di una patria.
Questo versetto si comprende solo a partire dalla vocazione di Abramo, dalla prima Parola che il Signore gli disse quando ancora era nella terra di Ur dei Caldei. Questa Parola la conosciamo: “Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò”.
Questa ha un valore perenne. È detta ad Abramo, ma non si compie con Abramo. È detta ad Abramo, ma in Abramo è detta ad ogni suo discendente.
Ogni suo discendente deve uscire dal Paese che possiede e il Paese che possiede è quello nel quale abita, vive, dimora.
Da questo Paese deve uscire, perché deve dirigersi verso il Paese che Dio gli indicherà.
Per questo motivo ogni discendente di Abramo non può avere Patria, perché dalla Patria deve uscire, la Patria deve abbandonare.
Lui deve seguire la Parola che gli indicherà il paese in cui abitare e questa Parola non termina con Abramo, termina con l’ultimo discendente di Abramo e con quanti sono della fede di Abramo.
È questo il motivo fondamentale per cui Abramo e ogni suo discendente non possono avere qui sulla terra una città stabile e duratura. Loro sono sempre in ascolto del Signore che li chiama ad uscire verso una Patria sempre nuova, sempre da raggiungere, mai raggiungibile sulla terra, perché la Patria che essi devono raggiungere è quella eterna.
Loro sono alla ricerca. Ma non sono loro che cercano la Patria futura. Non è la loro una ricerca immanente, che nasce cioè da un loro desiderio, o da una loro volontà, motivata anche da cause esterne, ma terrene. Loro sono alla ricerca, perché Dio li mette sempre in ricerca. La loro ricerca nasce dalla loro vocazione. La loro vocazione nasce dalla Parola attuale di Dio, che li chiama sempre a trascendersi, ad andare sempre oltre il già conquistato, o posseduto.
Osservazione: Questa verità merita tutta una nostra particolare considerazione. Il futuro da cercare non può nascere da una condizione immanente nell’uomo, deve necessariamente scaturire da una condizione trascendente e questa condizione chi la può dettare è solo Dio e la sua Parola attuale da Lui fatta risuonare al cuore e all’intelligenza dell’uomo. Questo richiede una capacità di ascolto non indifferente nell’uomo e l’ascolto è uno solo: la Parola che Dio oggi fa risuonare nella sua vita. I modi e le forme sono molteplici, tanti. Al singolo l’obbligo di sapere qual è la via attraverso cui Dio gli parla e la responsabilità di ascoltare ogni Parola da Lui pronunziata. È verità: ogni futuro pensato in maniera immanente dall’uomo conduce l’uomo nell’immanenza della storia e della sua vita. Questo futuro non è di Dio. Ogni futuro accolto come pensato, voluto, manifestato, rivelato da Dio porta l’uomo nella trascendenza e lo conduce verso la “Patria” verso la quale il Signore lo chiama.
Si pensi, per esempio, quale incidenza avrebbe nella nostra storia una pastorale di trascendenza, non pensata dall’uomo, ma voluta da Dio. Anche questa pastorale è “il paese” che Dio vuole indicare ad ogni uomo che vive la fede di Abramo.
[15]Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto possibilità di ritornarvi; [16]ora invece essi aspirano a una migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non disdegna di chiamarsi loro Dio: ha preparato infatti per loro una città.
Con Dio il cammino è sempre in avanti, mai è un ritorno al passato, al vecchio, a ciò che fu.
Con Dio bisogna pensare in termini di novità. Anche qui il discorso diviene serio, impegnativo. La novità però – è necessario ripeterlo – non è data da un pensiero immanente, che nasce dalla mente e dal cuore dell’uomo. La novità è data dalla Parola sempre nuova di Dio che chiama l’uomo ad una novità sempre più nuova, più vera, più santa.
La patria migliore cui essi aspirano non nasce dalla loro mente; è messa invece nel loro cuore dalla Parola di Dio.
È giusto puntualizzare che l’Autore è ispirato dallo Spirito Santo e quindi legge alla luce attuale della verità rivelata quanto è avvenuto in tutto il corso della Storia della Salvezza.
La verità storica è la Terra Promessa. La verità di fede va oltre la Terra Promessa, poiché questa è solo una tappa della Promessa di Dio, ma non è l’essenza, la verità della Promessa del Signore.
In conclusione: con Dio si cammina sempre in avanti, mai si guarda indietro. Ciò che vede l’uomo guardando in avanti è sempre una tappa, mai la sua realtà piena, perfetta, completa. Questo ci suggerisce un’altra verità: è obbligo di chi crede in Dio non fermarsi mai alla prima comprensione della Parola della Promessa; occorre andare sempre oltre, infinitamente oltre, perché l’oltre di Dio è sempre oltre ciò che l’uomo vede nella sua immediatezza.
La seconda frase del v. 16 risulta in verità di non facile comprensione: “Per questo Dio non disdegna di chiamarsi loro Dio: ha preparato infatti per loro una città”.
L’unica interpretazione che ci sembra in qualche modo attendibile è questa: Chi è il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe se non il Dio Onnipotente? Chi è il Dio dei profeti se non il Dio Creatore dal nulla, ma anche il Dio che viene per fare nuove tutte le cose?
Essendo il nostro Dio il Signore Creatore Onnipotente egli può chiamare, può promettere, può preparare una città futura per i suoi figli e questa città futura non è sulla terra, ma nel Cielo.
È il Cielo l’abitazione futura dell’uomo e il Cielo solo Dio lo può preparare. L’uomo, nessun uomo, nessun idolo, ha questa capacità.
Lui può preparare una città per i suoi fedeli proprio perché Dio, perché si chiama Dio, perché la divinità gli appartiene per natura. Lui è essenzialmente Dio e per questo può condurre i suoi fedeli nella città futura, cioè nella città celeste, eterna.
Osservazione: Con Dio non c’è ritorno indietro. Con Dio non c’è neanche pienezza su questa terra. Con Dio c’è cammino della terra al Cielo, dalla città terrena nella quale siamo forestieri e pellegrini alla Città del cielo, che sarà la nostra dimora eterna. È questo cammino che ogni fedele ascoltatore della Parola deve intraprendere. La fede solo per questa terra e per le cose di questa terra non ha alcun senso, alcun valore, alcuna potenza di trasformazione di un uomo. La fede di un uomo è la sua eternità. La forza di ogni predicazione è di indicare la città futura, ma anche quella di aiutare ognuno per il suo raggiungimento. Questa è vera pastorale. Ancora una volta siamo chiamati a passare dall’immanenza alla trascendenza e dalla terra al Cielo.
[17]Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio, [18]del quale era stato detto: In Isacco avrai una discendenza che porterà il tuo nome. [19]Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe e fu come un simbolo.
Questi versetti (17 e 18) sono importanti nella trattazione dell’Autore per un nuovo concetto che egli immette nella fede di Abramo. Leggiamo il testo e poi rifletteremo un po’ sulle verità che l’Autore ci vuole insegnare.
Gn. 22,1-19: “Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: Abramo, Abramo! Rispose: Eccomi! Riprese: Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va’ nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò.
Abramo si alzò di buon mattino, sellò l'asino, prese con sé due servi e il figlio Isacco, spaccò la legna per l'olocausto e si mise in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva indicato. Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da lontano vide quel luogo.
Allora Abramo disse ai suoi servi: Fermatevi qui con l'asino; io e il ragazzo andremo fin lassù, ci prostreremo e poi ritorneremo da voi. Abramo prese la legna dell'olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutt'e due insieme.
Isacco si rivolse al padre Abramo e disse: Padre mio! Rispose: Eccomi, figlio mio. Riprese: Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov'è l'agnello per l'olocausto? Abramo rispose: Dio stesso provvederà l'agnello per l'olocausto, figlio mio! Proseguirono tutt'e due insieme; così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l'altare, collocò la legna, legò il figlio Isacco e lo depose sull'altare, sopra la legna. Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l'angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: Abramo, Abramo! Rispose: Eccomi! L'angelo disse: Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio. Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l'ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio. Abramo chiamò quel luogo: Il Signore provvede, perciò oggi si dice: Sul monte il Signore provvede.
Poi l'angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta e disse: Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio, io ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce. Poi Abramo tornò dai suoi servi; insieme si misero in cammino verso Bersabea e Abramo abitò a Bersabea.
Sulla questione tra Parola, obbedienza, opera di giustizia della fede si è già detto ogni cosa utile per la retta comprensione del rapporto che esiste tra realizzazione della Parola e frutti di giustizia.
L’Autore ora ci dice qual è il fondamento della fede di Abramo. Questo fondamento non è nella Parola di Dio, ma in Dio. Anche questo in qualche modo si è accennato, ma sotto altra prospettiva.
Abramo aveva ricevuto due Parole da Dio: In Isacco sarà la tua discendenza, la prima; la seconda: prendi tuo figlio, l’unico che hai e sacrificalo a me sul monte.
Queste due parole sono in evidente contrasto. Sono in contrasto per rapporto all’uomo. Non sono in contrasto per rapporto a Dio.
Il Dio Onnipotente è vero in quello che dice, perché è capace di compiere ogni parola che dice, anche se per l’uomo sono in evidente contraddizione.
Abramo non vede il contrasto tra queste due Parole, perché pensa subito all’Onnipotenza di Dio. Il Dio che chiede il Figlio, poiché Onnipotente, è anche capace di ridarmelo. Io glielo dono e lui melo ridà. Me lo dona però dopo che io gliel’ho ridato e dopo che gli ho manifestato tutta la mia obbedienza alla sua volontà.
Questa fede segna la perfezione assoluta in una persona. Questa fede infatti non guarda né l’uomo, e neanche la Parola di Dio nel suo prima e nel suo dopo. Questa fede guarda solamente Dio e lo guarda nell’istante in cui parla, ordina, vuole. Con questa fede, quando è in un cuore, c’è obbedienza perfetta, assoluta, piena. Con questa fede l’uomo si dona totalmente a Dio nella sua Parola attuale, di oggi.
Osservazione: È possibile avere una fede così perfetta, da non mettere in confronto le diverse Parole di Dio, perché si vede solo il Dio che parla e che comanda? La risposta è affermativa. Questa fede è possibile. Questa fede nasce però su un fondamento di un amore grande per il Signore: un amore che non si interroga, che non chiede. Un amore che è pieno, totale, perfetto abbandono a Lui. Quando perfezione dell’amore e perfezione della fede si incontrano in un cuore, in una mente, in una volontà, c’è obbedienza piena, dalla quale nasce la vita per l’umanità intera. A questa fede ogni cristiano è chiamato. Questa fede è fiducia totale nel Dio che non inganna, non si inganna, non mentisce, non si contraddice, non illude, non dice una cosa per un’altra; questa fede è nel Dio Signore Onnipotente e Creatore di tutte le cose. Questa fede è possibile nel rinnegamento di ogni pensiero umano. È solo rinnegandosi nei suoi pensieri che un uomo può raggiungere le vette di una fede così perfetta nel Dio che parla.
[20]Per fede Isacco benedisse Giacobbe ed Esaù anche riguardo a cose future.
La fede di Isacco è nel Dio di suo padre Abramo. Egli dal padre ha ereditato questo bene divino. Dalla Genesi conosciamo l’inganno che gli fu fatto circa la benedizione, la quale invece che essere data ad Esaù fu data a Giacobbe. Ma questo non inficia minimamente la sua fede nella Parola della promessa da parte di Dio. Il testo della genesi così narra questi avvenimenti:
Gn 27,1-46: “Isacco era vecchio e gli occhi gli si erano così indeboliti che non ci vedeva più. Chiamò il figlio maggiore, Esaù, e gli disse: Figlio mio. Gli rispose: Eccomi. Riprese: Vedi, io sono vecchio e ignoro il giorno della mia morte. Ebbene, prendi le tue armi, la tua farètra e il tuo arco, esci in campagna e prendi per me della selvaggina. Poi preparami un piatto di mio gusto e portami da mangiare, perché io ti benedica prima di morire.
Ora Rebecca ascoltava, mentre Isacco parlava al figlio Esaù. Andò dunque Esaù in campagna a caccia di selvaggina da portare a casa. Rebecca disse al figlio Giacobbe: Ecco, ho sentito tuo padre dire a tuo fratello Esaù: Portami la selvaggina e preparami un piatto, così mangerò e poi ti benedirò davanti al Signore prima della morte. Ora, figlio mio, obbedisci al mio ordine: Va’ subito al gregge e prendimi di là due bei capretti; io ne farò un piatto per tuo padre, secondo il suo gusto. Così tu lo porterai a tuo padre che ne mangerà, perché ti benedica prima della sua morte.
Rispose Giacobbe a Rebecca sua madre: Sai che mio fratello Esaù è peloso, mentre io ho la pelle liscia. Forse mio padre mi palperà e si accorgerà che mi prendo gioco di lui e attirerò sopra di me una maledizione invece di una benedizione. Ma sua madre gli disse: Ricada su di me la tua maledizione, figlio mio! Tu obbedisci soltanto e vammi a prendere i capretti.
Allora egli andò a prenderli e li portò alla madre, così la madre ne fece un piatto secondo il gusto di suo padre. Rebecca prese i vestiti migliori del suo figlio maggiore, Esaù, che erano in casa presso di lei, e li fece indossare al figlio minore, Giacobbe; con le pelli dei capretti rivestì le sue braccia e la parte liscia del collo. Poi mise in mano al suo figlio Giacobbe il piatto e il pane che aveva preparato. Così egli venne dal padre e disse: Padre mio. Rispose: Eccomi; chi sei tu, figlio mio? Giacobbe rispose al padre: Io sono Esaù, il tuo primogenito. Ho fatto come tu mi hai ordinato. Alzati dunque, siediti e mangia la mia selvaggina, perché tu mi benedica.
Isacco disse al figlio: Come hai fatto presto a trovarla, figlio mio!. Rispose: Il Signore me l'ha fatta capitare davanti. Ma Isacco gli disse: Avvicinati e lascia che ti palpi, figlio mio, per sapere se tu sei proprio il mio figlio Esaù o no. Giacobbe si avvicinò ad Isacco suo padre, il quale lo tastò e disse: La voce è la voce di Giacobbe, ma le braccia sono le braccia di Esaù. Così non lo riconobbe, perché le sue braccia erano pelose come le braccia di suo fratello Esaù, e perciò lo benedisse. Gli disse ancora: Tu sei proprio il mio figlio Esaù? Rispose: Lo sono.
Allora disse: Porgimi da mangiare della selvaggina del mio figlio, perché io ti benedica. Gliene servì ed egli mangiò, gli portò il vino ed egli bevve. Poi suo padre Isacco gli disse: Avvicinati e baciami, figlio mio! Gli si avvicinò e lo baciò. Isacco aspirò l'odore degli abiti di lui e lo benedisse: Ecco l'odore del mio figlio come l'odore di un campo che il Signore ha benedetto. Dio ti conceda rugiada del cielo e terre grasse e abbondanza di frumento e di mosto. Ti servano i popoli e si prostrino davanti a te le genti. Sii il signore dei tuoi fratelli e si prostrino davanti a te i figli di tua madre. Chi ti maledice sia maledetto e chi ti benedice sia benedetto!
Isacco aveva appena finito di benedire Giacobbe e Giacobbe si era allontanato dal padre Isacco, quando arrivò dalla caccia Esaù suo fratello. Anch'egli aveva preparato un piatto, poi lo aveva portato al padre e gli aveva detto: Si alzi mio padre e mangi la selvaggina di suo figlio, perché tu mi benedica. Gli disse suo padre Isacco: Chi sei tu? Rispose: Io sono il tuo figlio primogenito Esaù. Allora Isacco fu colto da un fortissimo tremito e disse: Chi era dunque colui che ha preso la selvaggina e me l'ha portata? Io ho mangiato di tutto prima che tu venissi, poi l'ho benedetto e benedetto resterà. Quando Esaù sentì le parole di suo padre, scoppiò in alte, amarissime grida. Egli disse a suo padre: Benedici anche me, padre mio!
Rispose: E` venuto tuo fratello con inganno e ha carpito la tua benedizione. Riprese: Forse perché si chiama Giacobbe mi ha soppiantato già due volte? Già ha carpito la mia primogenitura ed ecco ora ha carpito la mia benedizione! Poi soggiunse: Non hai forse riservato qualche benedizione per me?
Isacco rispose e disse a Esaù: Ecco, io l'ho costituito tuo signore e gli ho dato come servi tutti i suoi fratelli; l'ho provveduto di frumento e di mosto; per te che cosa mai potrò fare, figlio mio?
Esaù disse al padre: Hai una sola benedizione padre mio? Benedici anche me, padre mio! Ma Isacco taceva ed Esaù alzò la voce e pianse. Allora suo padre Isacco prese la parola e gli disse: Ecco, lungi dalle terre grasse sarà la tua sede e lungi dalla rugiada del cielo dall'alto. Vivrai della tua spada e servirai tuo fratello; ma poi, quando ti riscuoterai, spezzerai il suo giogo dal tuo collo.
Esaù perseguitò Giacobbe per la benedizione che suo padre gli aveva dato. Pensò Esaù: Si avvicinano i giorni del lutto per mio padre; allora ucciderò mio fratello Giacobbe. Ma furono riferite a Rebecca le parole di Esaù, suo figlio maggiore, ed essa mandò a chiamare il figlio minore Giacobbe e gli disse: Esaù tuo fratello vuol vendicarsi di te uccidendoti. Ebbene, figlio mio, obbedisci alla mia voce: su, fuggi a Carran da mio fratello Làbano. Rimarrai con lui qualche tempo, finché l'ira di tuo fratello si sarà placata; finché si sarà placata contro di te la collera di tuo fratello e si sarà dimenticato di quello che gli hai fatto. Allora io manderò a prenderti di là. Perché dovrei venir privata di voi due in un sol giorno? Poi Rebecca disse a Isacco: Ho disgusto della mia vita a causa di queste donne hittite: se Giacobbe prende moglie tra le hittite come queste, tra le figlie del paese, a che mi giova la vita?
Ci asteniamo da un qualsiasi commento su quanto è avvenuto tra Rebecca e Giacobbe. Non è tema di questa Lettera.
Ora è giusto puntualizzare una cosa sola: la benedizione è trasmissione dei doni che la Parola della promessa contiene in sé e questi doni non possono essere trasmessi se non per mezzo della fede.
Questo ci induce ad una considerazione semplice, ma efficace: senza fede nessuna benedizione potrà mai essere data. La fede con la quale è necessario dare la benedizione non è tanto nella Parola della promessa, ma nel Dio capace di mantenere la Promessa e di portarla a pienezza di realizzazione.
Osservazione: Questa verità è giusto che sia sempre presa in seria considerazione. La fede della persona che trasmette la Parola è il terreno vitale su cui bisogna piantare l’albero della benedizione che si dona nel nome di Dio. Questo perché la benedizione non opera perché proferita, opera perché si crede nel Dio che è capace di portarla a compimento, a realizzazione. Quando non si crede, neanche si tramanda la benedizione. Non si tramanda perché non si è vissuto di benedizione nella benedizione del Signore. In tal senso è come se la fede di chi trasmette mantiene in vita, in vigore, dona consistenza alla benedizione, alla Parola, alla Verità che si trasmette agli altri. Chi riceve la Parola, la benedizione di Dio, la verità del Signore, la riceve nel rigoglio della sua vita, o pienezza di vita ed è per questo che porta frutto in chi la riceve. È come se si piantasse in un terreno una piantina verde. Essa ha la forza in sé di crescere e di produrre frutti. Se invece si pianta una piantina secca, questa pur venendo messa nel terreno, non ha alcuna vitalità in sé. È già secca e mai potrà produrre frutto. Questa regola vale anche per la trasmissione del Vangelo. Se esso è vivo in noi, vivo sarà dato agli altri. Se esso è morto in noi, morto sarà dato agli altri. È secco in noi ed è secco negli altri. È questo oggi il grave problema dell’evangelizzazione. Si vuole una nuova evangelizzazione ma con il Vangelo che è morto nel nostro cuore. Oppure si vuole che il Vangelo venga annunziato al mondo, quando è alla Chiesa che bisogna annunziarlo nuovamente e per intero. Sono, questi, problemi che meritano un’attenta considerazione.
[21]Per fede Giacobbe, morente, benedisse ciascuno dei figli di Giuseppe e si prostrò, appoggiandosi all'estremità del bastone.
Il discorso fatto per Isacco, vale anche per Giacobbe. La fede di Giacobbe è veramente esemplare. Appare dalla Lettura del testo della Genesi, e non solo nel caso specifico della benedizione.
Gn 49,1-33: “Quindi Giacobbe chiamò i figli e disse: Radunatevi, perché io vi annunzi quello che vi accadrà nei tempi futuri. Radunatevi e ascoltate, figli di Giacobbe, ascoltate Israele, vostro padre!
Ruben, tu sei il mio primogenito, il mio vigore e la primizia della mia virilità, esuberante in fierezza ed esuberante in forza! Bollente come l'acqua, tu non avrai preminenza, perché hai invaso il talamo di tuo padre e hai violato il mio giaciglio su cui eri salito.
Simeone e Levi sono fratelli, strumenti di violenza sono i loro coltelli. Nel loro conciliabolo non entri l'anima mia, al loro convegno non si unisca il mio cuore. Perchè con ira hanno ucciso gli uomini e con passione hanno storpiato i tori. Maledetta la loro ira, perché violenta, e la loro collera, perché crudele! Io li dividerò in Giacobbe e li disperderò in Israele.
Giuda, te loderanno i tuoi fratelli; la tua mano sarà sulla nuca dei tuoi nemici; davanti a te si prostreranno i figli di tuo padre. Un giovane leone è Giuda: dalla preda, figlio mio, sei tornato; si è sdraiato, si è accovacciato come un leone e come una leonessa; chi oserà farlo alzare? Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l'obbedienza dei popoli. Egli lega alla vite il suo asinello e a scelta vite il figlio della sua asina, lava nel vino la veste e nel sangue dell'uva il manto; lucidi ha gli occhi per il vino e bianchi i denti per il latte.
Zàbulon abiterà lungo il lido del mare e sarà l'approdo delle navi, con il fianco rivolto a Sidòne.
Issacar è un asino robusto, accovacciato tra un doppio recinto. Ha visto che il luogo di riposo era bello, che il paese era ameno; ha piegato il dorso a portar la soma ed è stato ridotto ai lavori forzati.
Dan giudicherà il suo popolo come ogni altra tribù d'Israele. Sia Dan un serpente sulla strada, una vipera cornuta sul sentiero, che morde i garretti del cavallo e il cavaliere cade all'indietro. Io spero nella tua salvezza, Signore!
Gad, assalito da un'orda, ne attacca la retroguardia.
Aser, il suo pane è pingue: egli fornisce delizie da re.
Nèftali è una cerva slanciata che dá  bei cerbiatti.
Germoglio di ceppo fecondo è Giuseppe; germoglio di ceppo fecondo presso una fonte, i cui rami si stendono sul muro. Lo hanno esasperato e colpito, lo hanno perseguitato i tiratori di frecce. Ma è rimasto intatto il suo arco e le sue braccia si muovon veloci per le mani del Potente di Giacobbe, per il nome del Pastore, Pietra d'Israele. Per il Dio di tuo padre egli ti aiuti! e per il Dio onnipotente egli ti benedica! Con benedizioni del cielo dall'alto, benedizioni dell'abisso nel profondo, benedizioni delle mammelle e del grembo. Le benedizioni di tuo padre sono superiori alle benedizioni dei monti antichi, alle attrattive dei colli eterni. Vengano sul capo di Giuseppe e sulla testa del principe tra i suoi fratelli!
Beniamino è un lupo che sbrana: al mattino divora la preda e alla sera spartisce il bottino.
Tutti questi formano le dodici tribù d'Israele, questo è ciò che disse loro il loro padre, quando li ha benedetti; ognuno egli benedisse con una benedizione particolare. Poi diede loro quest'ordine: Io sto per essere riunito ai miei antenati: seppellitemi presso i miei padri nella caverna che è nel campo di Efron l'Hittita, nella caverna che si trova nel campo di Macpela di fronte a Mamre, nel paese di Canaan, quella che Abramo acquistò con il campo di Efron l'Hittita come proprietà sepolcrale. Là seppellirono Abramo e Sara sua moglie, là seppellirono Isacco e Rebecca sua moglie e là seppellii Lia. La proprietà del campo e della caverna che si trova in esso proveniva dagli Hittiti. Quando Giacobbe ebbe finito di dare questo ordine ai figli, ritrasse i piedi nel letto e spirò e fu riunito ai suoi antenati.
La fede in Giacobbe si connota di un’alta moralità. Con lui la fede inizia un nuovo cammino: le azioni dell’uomo di fede non sono neutre per rapporto alla fede che professa. La fede obbliga ad una correttezza di vita morale. Ci sono dei limiti che l’uomo di fede non può oltrepassare.
Altra verità per la fede di Giacobbe è questa: la sua fede diventa ad un certo momento profezia. Essa gli consente di vedere oltre il presente perché guarda in un lontano e remoto futuro.
Osservazione: la connotazione morale della fede è uno dei più grandi difetti di certa teologia attuale. Fede e morale sono una sola inscindibile realtà. Nessuno, senza grave danno, può operare divisione in questa unità. La tentazione può attaccare singole persone e intere comunità. La vigilanza su questo argomento non è mai troppa. Inoltre quando la fede si apre all’invisibile, essa veramente raggiunge il sommo della sua perfezione. È perfetta questa fede perché vede il frutto di essa non solamente per oggi, ma per domani e per sempre. Questa fede è giusto che ogni discepolo di Gesù Cristo coltivi nel suo seno. Con questa fede si allargano gli orizzonti e si raggiunge Dio e ogni suo futuro intervento nella nostra storia.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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