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COMMENTO DELLA LETTERA AI GALATI

Ultimo Aggiornamento: 20/09/2018 14:56
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21/12/2011 22:14
 
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LA LETTERA AI GALATI
(Pedron Lino)

 

INTRODUZIONE

I Galati erano tribù di Celti che abitavano tra il Danubio e l’Adriatico. Una parte di esse, al comando di Brenno, nel 279 a.C. invase la Macedonia e si spinse verso la Grecia. Due tribù di essi riuscirono a passare l’Ellesponto, giunsero in Asia minore e si stanziarono nella regione centrale dell’attuale Turchia.

I Galati conservarono a lungo la loro lingua celtica e le loro usanze nazionali. Anche al tempo di san Girolamo nella regione si parlava il celtico (Prol. II in ep. ad Gal 3).

In quale occasione Paolo ha svolto un’attività missionaria presso i Galati? Gli Atti degli apostoli riferiscono che è passato attraverso la regione galata due volte: in 16,6 e 18, 23. In Gal 4,13 Paolo scrive di aver annunciato il vangelo ai Galati in seguito a una malattia che lo ha fermato da loro per qualche tempo. Questa lettera fu scritta probabilmente verso la fine dell’anno 57 in Macedonia. In tutta la lettera l’apostolo polemizza contro "alcuni" avversari concreti. È presumibile che la scelta dell’indefinito "alcuni" per indicare gli avversari serva a dimostrare da una parte il loro numero esiguo e dall’altra la disistima che Paolo nutre per loro: gente che non merita neppure di essere chiamata per nome. Tuttavia lo scritto non è indirizzato agli avversari, ma alle comunità della Galazia e gli enunciati che riguardano gli avversari sono espressi in forma indiretta e si trovano proprio nelle argomentazioni dell’apostolo. Chi fossero questi avversari non lo sappiamo con precisione perché le indicazioni di Paolo non sono sufficienti a fornire un’idea esatta su di loro. Ma certamente si può dedurre con chiarezza una cosa: in tutta la controversia si è trattato dell’essenza del vangelo; la predicazione degli avversari deve essere stata una replica all’annuncio dell’apostolo, con attacchi non solo al vangelo predicato da Paolo, ma anche alla sua persona. Ma lasciamo la parola a Paolo.

 

PARTE PRIMA

1
IL PRESCRITTO
(1,1-5)

1Paolo, apostolo non da parte di uomini, né per mezzo di uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre che lo ha risuscitato dai morti, 2e tutti i fratelli che sono con me, alle Chiese della Galazia. 3Grazia a voi e pace da parte di Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo, 4che ha dato se stesso per i nostri peccati, per strapparci da questo mondo perverso, secondo la volontà di Dio e Padre nostro, 5al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.

La lettera di Paolo ai Galati è uno scritto ufficiale dell’apostolo, nel quale prosegue da lontano il suo lavoro apostolico. Questa lettera sostituisce un viaggio di Paolo in Galazia: "Io vorrei essere presente in mezzo a voi" (4, 20). Ciò significa che la lettera sta al posto di Paolo: non è una lettera di circostanza, ma la stessa voce dell’apostolo.

vv. 1-2. Già nel prescritto, in riferimento alla situazione creata in Galazia dai suoi avversari, Paolo sottolinea che egli non ha ricevuto l’incarico apostolico da una comunità o da un uomo in particolare, ma direttamente da Gesù Cristo e da Dio Padre, che ha risuscitato Gesù dai morti. Lo specifico concetto di apostolo sta fin dall’inizio nell’ambito di una spiegazione cristologica ed ecclesiologica: gli apostoli sono gli inviati del Risorto per la Chiesa. Mediante la preposizione dià, per mandato, viene messo in risalto che l’autore dell’incarico apostolico di Paolo è Gesù Cristo e che dietro di lui sta Dio stesso, il Padre. Inoltre in Gal 1,16 e 2,7 risulta che la vocazione di Paolo ad essere apostolo di Gesù aveva come scopo l’annuncio del vangelo ai pagani. L’apostolato, come lo intende Paolo, è dunque fondato nel vangelo che egli ha annunciato ai Galati come "schiavo di Cristo" (1,10-11). Nel v.2 Paolo accomuna a sé, come mittenti della lettera, tutti i fratelli. Non si può precisare se intende i suoi collaboratori o l’intera comunità cristiana presso la quale in quel momento soggiorna. Ciò che gli importa con l’accenno alla totalità dei fratelli è di affermare che tutti i fratelli sono d’accordo con lui e con ciò che scrive alle comunità galate. Tuttavia la lettera non è un comunicato di un corpo collegiale, ma la comunicazione di Paolo che con l’autorità di Gesù Cristo scrive alle "comunità della Galazia".

V. 3. Il saluto è tripartito. Forse è una formula che l’apostolo ha preso dalla tradizione cristiana o addirittura dalla liturgia: in essa traspare qualcosa della liturgia protocristiana. Nella parola chàris, grazia, può esserci ancora un po’ dell’espressione di saluto ("salve"), ma il vocabolo è da tempo diventato specificamente cristiano, specialmente per opera di Paolo. Nei saluti delle lettere apostoliche, chàris indica soprattutto la compiacenza, la benevolenza di Dio, la sua assistenza di grazia. La parola eirène, pace, corrisponde all’ebraico shalòm e indica anzitutto non uno stato d’animo ("una coscienza tranquilla"), ma la condizione di salvezza escatologica preannunciata già dai profeti, che si fonda nel nuovo rapporto di Dio con gli uomini comunicato da Cristo. Nell’antico testamento shalòm significa anzitutto "buona salute". "A poco a poco si è diffusa la convinzione che shalòm non significhi primariamente e principalmente "pace". La bibliografia più recente si è trovata assai spesso d’accordo nel ritenere che il significato fondamentale di shalòm si debba scorgere nella completezza, nell’incolumità o integrità, nell’essere sano e salvo". (H. H. Schmid). Chàris e eirène sono doni del Padre celeste e del Signore Gesù Cristo. Dall’opera salvifica di Gesù risulta la pace escatologica fra cielo e terra, fra giudei e pagani, fra uomo e uomo. Questa pace non è augurata dall’apostolo ai Galati, ma promessa con piena autorizzazione come dono di Dio.

v. 4. Il versetto contiene un patrimonio di formule soteriologiche provenienti dalla Chiesa primitiva. Gesù Cristo è morto per i nostri peccati per liberarci da questo eone malvagio: Cristo è, in assoluto, il grande liberatore escatologico dell’umanità. Il presente "eone malvagio" si estende da Adamo fino alla parusia, con la quale esso deve definitivamente cedere il posto all’"eone futuro", che ha già inizio con Cristo: è il tempo del mondo presente che cederà il posto alla vita del mondo che verrà. Questa redenzione avviene "conformemente alla volontà di Dio Padre nostro": nella teologia paolina ogni evento salvifico viene ricondotto a Dio. La redenzione ci manifesta l’amore di Dio Padre nostro.

v. 5. A un tale Dio è perciò dovuta la gloria negli eoni degli eoni, cioè in eterno. L’"amen" acclamatorio esprime l’origine giudaica della dossologia.

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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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