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VITE ESEMPLARI

Ultimo Aggiornamento: 22/06/2021 17:38
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20/09/2020 11:04
 
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Don Roberto Malgesini ucciso a Como, il dolore del Papa: "Testimone di carità"


Al termine dell'Udienza generale, il Santo Padre ha invitato ad una preghiera silenziosa per sacerdote che ha perso la vita








Don Roberto Malgesini durante una celebrazione
Don Roberto Malgesini durante una celebrazione



Como, 16 settembre 2020 - Una preghiera in silenzio per don Roberto Malgesini, il sacerdote 51enne ucciso a Como da un senzatetto con problemi psichiatrici. E' l'invito di Papa Francesco al termine dell'Udienza generale che ha sottolineato il "martirio di questo testimone della carita' verso i piu' poveri".


"Desidero ricordare in questo momento don Roberto Malgesini, sacerdote della diocesi di Como che ieri mattina e' stato ucciso da una persona bisognosa che lui stesso aiutava. Una persona malata di testa". "Mi unisco al dolore e alla preghiera dei suoi familiari e della comunita' comasca. E - ha continuato - come ha detto il suo vescovo, rendo lode a Dio per la testimonianza, cioe' per il martirio di questo testimone della carita' verso i piu' poveri. Preghiamo in silenzio per don Roberto Malgesini e per tutti i preti, suore, laici, laiche che lavorano con le persona bisognose e scartate della societa'".






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Don Roberto Malgesini ucciso a Como, il dolore del Papa: "Testimone di carità"


Al termine dell'Udienza generale, il Santo Padre ha invitato ad una preghiera silenziosa per sacerdote che ha perso la vita








Don Roberto Malgesini durante una celebrazione
Don Roberto Malgesini durante una celebrazione



Como, 16 settembre 2020 - Una preghiera in silenzio per don Roberto Malgesini, il sacerdote 51enne ucciso a Como da un senzatetto con problemi psichiatrici. E' l'invito di Papa Francesco al termine dell'Udienza generale che ha sottolineato il "martirio di questo testimone della carita' verso i piu' poveri".


"Desidero ricordare in questo momento don Roberto Malgesini, sacerdote della diocesi di Como che ieri mattina e' stato ucciso da una persona bisognosa che lui stesso aiutava. Una persona malata di testa". "Mi unisco al dolore e alla preghiera dei suoi familiari e della comunita' comasca. E - ha continuato - come ha detto il suo vescovo, rendo lode a Dio per la testimonianza, cioe' per il martirio di questo testimone della carita' verso i piu' poveri. Preghiamo in silenzio per don Roberto Malgesini e per tutti i preti, suore, laici, laiche che lavorano con le persona bisognose e scartate della societa'".






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02/01/2021 16:09
 
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Papa: sarà beato il giudice Livatino,




martire 'in odium fidei' Tweet Il giudice Livatino sarà beato, per la Santa Sede è stato un martire 22 dicembre 2020 Sarà beato il giudice Rosario Livatino, assassinato ad Agrigento il 21 settembre 1990, all'età di 37 anni, dai mafiosi della 'Stidda'. Di Livatino, nato a Canicattì il 3 ottobre 1952, la Santa Sede ha infatti riconosciuto il martirio "in odium fidei" (in odio alla fede). E' questo il contenuto di un decreto di cui papa Francesco ha autorizzato la promulgazione, nel corso di un'udienza col cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione per le Cause dei santi.

Maria Falcone, la Chiesa ha reso onore a un martire "La notizia che il giudice Rosario Livatino sarà beato mi rende molto felice. Livatino è stato ed è esempio di rigore e indipendenza, di una lotta alla mafia senza compromessi, di una vita improntata al rispetto delle regole anche fuori dalle aule del tribunale. Proclamandolo beato, la Chiesa ha reso giustizia a tutti coloro che hanno creduto di dare un senso alla propria esistenza impegnandosi nella difesa del bene comune". Lo dice Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni Falcone, ucciso nel 1992 dalla mafia, e presidente della Fondazione che porta il nome del magistrato, commentando la decisione della Santa Sede di riconoscere per Livatino il martirio "in odium fidei".

"Dalla sua morte - ha aggiunto Maria Falcone - sono trascorsi ormai 30 anni, ma il ricordo di quel giovane magistrato, delle sue capacità investigative, delle sue intuizioni sugli interessi economici delle mafie, della sua sobrietà e della sua fermezza è rimasto vivo".  Salvatore Borsellino, "come Paolo fede fondamentale" "Io non conoscevo personalmente il giudice Rosario Livatino ma, da quello che ho potuto leggere e apprendere, anche indirettamente da mio fratello che l'aveva conosciuto, so che aveva una grande fede. D'altra parte, è la stessa profonda fede che aveva mio fratello. Tanto è vero che tre giorni prima di essere ucciso, Paolo aveva chiamato il suo padre spirituale, Cesare Rattoballi, per chiedergli di andarlo a confessare in Procura. E alle rimostranze di don Cesare - 'Perché in procura? vieni in chiesa' - Paolo si giustificò spiegando che 'voleva sentirsi pronto',  tanto era sicuro di quello che gli sarebbe successo".

Così all'AGI Salvatore Borsellino, fratello del magistrato Paolo ucciso dalla mafia nella strage in via D'Amelio il 19 luglio del 1992, commentando la beatificazione del giudice Rosario Livatino. Poi ha aggiunto: "Credo che per persone come Paolo o Rosario la fede sia fondamentale per affrontare i rischi che correvano e la serenità con cui l'hanno fatto. Di Livatino  non ho ricordi diretti - ha ribadito -, però se penso alla fede che provava Paolo capisco quale potesse essere quella di Rosario". Centro Pio La Torre: "Aprire la Casa museo a Canicattì" Nel giorno dell'annuncio della beatificazione di Rosario Livatino, il centro Pio La Torre ha lancia un appello per realizzare la casa museo dedicata al giudice a Canicatti'. "La sua casa - spiega il Centro -  è intatta come lui l'ha lasciata quella mattina per andare in tribunale ad Agrigento. Con le sue toghe, i suoi libri, gli appunti, la sua vita che nessuno può conoscere e apprezzare veramente perché è chiusa al pubblico, ormai pericolante".

"Inutili gli appelli di tanti a farne una casa museo, a memoria e insegnamento per le nuove generazioni - scrive il presidente del Centro, Vito Lo Monaco-. L'abitazione di Livatino è in possesso di una signora che non vuole lasciarla, che si oppone a ogni timida iniziativa di farne un bene pubblico. Nell'ignavia della Pubblica amministrazione locale, dello Stato e della Regione che non fanno niente".

- See more at: www.rainews.it/dl/rainews/articoli/papa-sara-beato-giudice-livatino-martire-odium-fidei-b6b55d66-25c5-4dc9-b011-df9d3a491...

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15/02/2021 21:50
 
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Il sacerdote che salvò una ragazzina da un soldato delle SS che poi lo uccise il giorno dopo


GIOVANNI FORNASINI


L'amore del 29enne don Giovanni Forasini per i suoi parrocchiani gli costò la vita





Giovanni Fornasini era nato il 23 febbraio 1915 a Pianaccio, nei pressi di Bologna. Suo padre, Angelo, era un carbonaio. Sua madre si chiamava Maria Gucci, e aveva un fratello maggiore, Luigi.


Angelo rimase ferito nella I Guerra Mondiale e non poté più svolgere il suo lavoro. La famiglia si trasferì a Porretta Terme, sempre in provincia di Bologna, dove Angelo riuscì a lavorare come postino. Anche Maria trovò un impiego. Giovanni frequentò la scuola locale, ma non si sa se abbia completato la scuola elementare. È documentato che dopo aver lasciato la scuola riuscì a trovare un lavoro come fattorino d’ascensore presso il Grand Hotel di Bologna.


Da adolescente sapeva già di essere chiamato al sacerdozio


Giovanni sentì presto la chiamata al sacerdozio, e a 16 anni venne accettato nel seminario minore di Borgo Capanne. La struttura chiuse nel 1932, ed egli fu trasferito al Seminario Pontificio di Bologna. Venne ordinato sacerdote il 28 giugno 1942.


Iniziò il suo ministero come assistente a Sperticano, in provincia di Bologna. La parrocchia aveva circa 400 fedeli, e padre Giovanni si curava particolarmente di loro. Erano i suoi “bambini”, e prendeva molto sul serio il suo compito. La sua prima Messa Solenne venne celebrata il 12 luglio 1942 nella chiesa di San Tommaso di Sperticano. Nell’omelia disse ai presenti “Il Signore mi ha scelto monello tra i monelli”, per far capire ai fedeli che era uno di loro.


Il 25 luglio 1943 il giovane sacerdote, appena un anno dopo la sua ordinazione, fece suonare le campane della chiesa quando Benito Mussolini venne deposto.


Sorvegliato dai nazisti


 

I nazisti erano a conoscenza del coinvolgimento di don Giovanni con i partigiani, e lo sorvegliavano da vicino. Il giovane sacerdote difendeva i parrocchiani indifesi dalla crudeltà e dall’oppressione nazista, e salvò molte vite mettendo a rischio la propria.


Il 12 ottobre 1944, in una scuola di Sperticano si festeggiava il compleanno di un comandante tedesco. Gli invitati avevano bevuto molto, e si divertivano al suono della musica mentre le prostitute ballavano. Il giovane sacerdote sedeva in un angolo, facendo del suo meglio per contenere la rabbia. Perché era lì? Perché cercava di salvare una pecora del suo gregge.





Quel giorno, un ufficiale delle SS aveva visto una ragazza nel rettorato tra gli sfollati, e aveva deciso di volere che quell’innocente prendesse parte ai festeggiamenti. Don Giovanni non aveva alcuna intenzione di permettere che le si facesse del male.

Li guardò tutta la sera

Don Giovanni palesò bene la propria presenza all’evento, guardando per tutta la sera i presenti. I nazisti non volevano incitare l’animo dei parrocchiani, e quindi, incredibilmente, il comandante ordinò al sacerdote di tornare in chiesa con la ragazza che era venuto a cercare. Don Giovanni sospirò di sollievo e andò via con lei. L’aveva salvata.

La mattina dopo, però, il sacerdote, con la borsa piena degli olii e dell’acqua santa necessari per seppellire i defunti, risalì la strada rocciosa che portava al punto in cui venivano lasciati i cadaveri di coloro che erano stati giustiziati con l’intenzione di seppellirne il più possibile. Quando raggiunse la vetta della collina, vide lo stesso ufficiale delle SS che voleva la ragazzina il giorno prima. Il soldato tedesco tirò fuori la pistola, sorrise a don Giovanni e gli sparò alla testa.

Terminava così la vita terrena del 29enne don Giovanni Fornasini, morto in “oblatio vitae” (offrendo la propria vita). Conosceva bene le conseguenze delle sue azioni, e le abbracciò per amore di Dio e del prossimo. Morì il 13 ottobre 1944.

Il 21 gennaio 2021, Papa Francesco ha approvato la causa di beatificazione di don Giovanni.


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18/06/2021 11:35
 
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“Era un angelo nell’abisso del male”: martirio nel campo di concentramento e un rosario di pane




Photo with the consent of the Dominican Sisters






Anna Gębalska-Berekets - pubblicato il 11/06/21





Suor Julia Rodzińska venne brutalmente picchiata, ma dalla preghiera traeva forza e speranza. Andavano da lei prigioniere di varie nazionalità che desideravano recitare il Rosario

Le sue compagne di prigionia nel campo di concentramento la chiamavano “angelo di bontà”. La beata Julia Rodzińska è morta nel campo di concentramento di Stutthof a 46 anni. È tra i 108 martiri morti durante la II Guerra Mondiale beatificati da Papa Giovanni Paolo II nel 1999, ed è stata la prima Domenicana ad essere stata elevata all’onore degli altari.

Nel campo di concentramento, suor Julia ha condiviso letteralmente tutto, anche il poco pane a disposizione, con gli altri reclusi. È stato con una fetta di pane che ha realizzato il suo rosario. Traeva forza e speranza dalla recita del Rosario. Prigioniere di varie nazionalità andavano da lei per ritrovare la forza nella preghiera.

 

Orfana

Da bambina, dopo la morte dei genitori, venne accolta dalle Domenicane di un convento vicino, e poi studiò Magistero.

A 17 anni decise però di abbandonare gli studi ed entrò nella Congregazione delle Suore Domenicane. Vestì l’abito bianco e assunse il nuovo nome di Maria Julia. Venne mandata a Cracovia (Polonia), dove proseguì gli studi, e dopo aver superato l’esame di abilitazione ottenne il certificato di insegnante.

Era particolarmente affettuosa nei confronti degli orfani, preoccupandosi dei loro abiti e che venissero istruiti. Si prendeva cura dei bambini più poveri e lavorava in un orfanotrofio.

 

Quando l’esercito sovietico invase Vilnius nella guerra polacco-sovietica, la situazione delle religiose peggiorò drammaticamente. Nel settembre 1920, le Domenicane vennero rimosse dal loro lavoro, e con il permesso delle autorità ecclesiali passarono a indossare abiti laici. Suor Julia insegnò clandestinamente anche durante l’occupazione tedesca, fino all’arresto nel 1943.

(FOTOGALLERY) Julia Rodzińska martire nel campo di concentramento

Angelo nell’abisso del male

La religiosa venne arrestata e torturata a Łukiszki, ma nonostante questo non abbandonò la sua fede e i valori fondamentali. Venne tenuta per un anno in una cella di isolamento, e poi spedita con altri prigionieri al campo di concentramento di Stutthof.

Da allora, suor Julia divenne la prigioniera numero 40992. Le condizioni di vita del campo erano difficili: sporcizia, vermi, accesso limitato all’acqua potabile, poco cibo distribuito in condizioni estremamente precarie. Lei, però, non perse la speranza, ed era un punto di riferimento per le altre prigioniere.

 

Un giorno seppe che un prigioniero stava progettando il suicidio nel campo annesso, e allora iniziò a inviargli messaggi segreti perché le assicurasse che non si sarebbe ucciso. In seguito, l’uomo ammise che fu grazie a suor Julia che riuscì a sopravvivere all’inferno del campo.

Un’altra sopravvissuta, Ewa Hoff, ha ricordato con emozione un episodio in particolare: “Mi ha toccato con delicatezza, come solo una madre può svegliare un bambino: ‘Ho un po’ di zuppa per te, e vorrei che la mangiassi finché è ancora calda’”.

Testimone di misericordia

Quando un’epidemia di tifo scoppiò nel campo nel 1944, le autorità isolarono il blocco degli ebrei. Il progetto era che morissero tutti. I prigionieri evitavano il “blocco della morte”, ma non suor Julia, che vi andava per consegnare acqua e medicinali.

 

Continuò ad aiutare anche dopo aver contratto il tifo. Alcuni testimoni hanno affermato che “ha portato la misericordia in condizioni in cui l’esistenza stessa della misericordia era stata dimenticata”. È morta da martire.

Una delle detenute coprì il corpo nudo di suor Julia, gettato su altri corpi per essere bruciato. Lasciò sul suo un pezzo di stoffa a righe, come modo per esprimere gratitudine e rispetto per la sua vita di sacrificio per gli altri.

Con lo sguardo all’eternità

Durante la Messa per il 20º anniversario della sua beatificazione, padre Piotr Ciuba OP, priore del priorato domenicano a Cracovia, ha osservato: “Era un angelo nell’abisso del male, offrendo aiuto ai sofferenti. È la prova del fatto che il bene può fiorire anche laddove sembra che il male si sia ormai radicato”.

I sopravvissuti al campo nazista la ricordano come “una suora inginocchiata su una tavola di legno, con schiena dritta e testa alta, gli occhi fissi sull’Eternità”.

FONTE aleteia


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22/06/2021 17:38
 
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Francesca Lancellotti, nata a Oppido Lucano (PZ) il 7 luglio 1917, ebbe sin da bambina un legame speciale con le realtà celesti. Sposata con Faustino Zotta, ebbe da lui due figli, Maria Luigia e Domenico. Il 7 luglio 1956, giorno del suo trentanovesimo compleanno, le è apparso in visione l’arcangelo Michele, con un preciso messaggio per lei: doveva lasciare Oppido Lucano con la sua famiglia e andare a Roma. Francesca ubbidì a quel richiamo: si stabilì in quella città e visse ricevendo persone di ogni genere ed estrazione sociale, esercitando i doni del consiglio e dell’intercessione. Morì nel suo appartamento di via Cavour a Roma il 4 settembre 2008, a 91 anni. È stata sepolta nel cimitero di Prima Porta. L’“Associazione Figli Spirituali di Francesca Lancellotti” e la Parrocchia S. Maria ai Monti in Roma sono gli Attori della sua causa di beatificazione e canonizzazione, che si è aperta presso il Vicariato di Roma il 16 giugno 2016. Il 17 gennaio 2020, presso il Vicariato di Roma, si è chiusa l’inchiestFa diocesana.



Francesca Lancellotti è nata a Oppido Lucano (Potenza) il 7 luglio 1917, battezzata il 15 agosto, festa della Madonna Assunta, e morta santamente in Roma il 4 settembre 2008. Già da bambina, sente una speciale attrazione per le realtà celesti ed è animata da forte desiderio di preghiera. La sua fede forte e solare trova espressione nel matrimonio, dove la vita familiare è intesa come scala alla perfezione cristiana.
Il 7 luglio 1956, fa una singolare esperienza mistica dell’arcangelo Michele. Quella mattina tra le 9,30 e le 10 ha un forte mal di testa, così forte da doversi ritirare nel retro bottega, chiudere le imposte delle finestre e adagiarsi sul letto. “In quel momento avvertii un fortissimo ronzio”, dice Francesca. E le appare ai piedi del letto un Angelo che lei riconosce essere uguale all'immagine di S. Michele. Si impaurisce molto ma vince il timore e dice: “Vattene, fuggi lontano da me, tu sei apparso da una cosa bella, ma tu sei il demonio, io vado nel nome di Dio”.
L’Arcangelo, allora le si avvicina e con dolcezza aggiunge: “Non sono quello che credi, ma sono l’angelo di Dio inviato a Te”. Allora lei replica: “Ma se sei l’Angelo di Dio, che risposta mi hai portato?” e l’Arcangelo risponde: “Sei padrona vai a Roma, avvicinerai tanta gente a Dio. Devi Vincere”. Così mentre l’Arcangelo scompare, fra miriadi di sfumature di luci mai viste prima, la cui intensità illumina tutta la stanza, continua a ripetere: “Devi vincere! Devi vincere”.
Pertanto, all’età di 43 anni, si trasferisce a Roma con la famiglia per adempiere in spirito di obbedienza alla speciale missione cui si sente chiamata da Dio: attrarre anime al Signore, guarire i cuori e le malattie mediante la preghiera, il sacrificio personale. A lei accorrono moltitudini di persone bisognose di ascolto e di aiuto spirituale e materiale: a tutti si rende disponibile con bontà e carità evangelica. La sua casa diventa un punto di riferimento spirituale per la capitale; la sua fede irradia luce e infonde speranza nei cuori.
Dotata di singolari carismi e doni preternaturali, con la sua preghiera ottiene da Dio eventi prodigiosi: guarigioni e conversioni alla fede. Tanti ammalati e sofferenti si rivolgono alla sua preghiera e ottengono la guarigione del corpo e tante volte anche quella dell’anima, poiché ritornano a Dio dal quale si erano allontanati. Si sparge sempre più la sua fama di santità e i suoi doni carismatici, ma lei con grande umiltà si definisce una nullità, un “verme di terra”.
Dopo la sua morte ha continuato ad intercedere presso Dio, ottenendo numerose grazie speciali a quanti ricorrono alla sua preghiera. Oltre alle testimonianze sulle virtù, la Postulazione ha raccolto molteplici attestazioni con relativa documentazione di grazie ricevute, da gente di tutta Italia, per intercessione di Francesca Lancellotti. Quanti ricorrono alla sua preghiera e al suo soccorso spirituale, trovano aiuto, conforto e rimedio ai problemi che li affliggono.

La Causa di beatificazione e canonizzazione si è aperta il 16 giugno 2016 presso il Vicariato di Roma e il 17 gennaio 2020 si è chiusa l’inchiesta diocesana, alla presenza del Cardinale Angelo De Donatis, Vicario generale di Sua Santità per la diocesi di Roma. Gli Attori della causa sono l’“Associazione Figli Spirituali di Francesca Lancellotti” e la Parrocchia S. Maria ai Monti in Roma, mentre il postulatore è Mons. Paolo Rizzi, officiale della Segreteria di Stato di Sua Santità. Tutta la documentazione raccolta nell’inchiesta diocesana è stata chiusa e sigillata. Una copia è custodita in una sezione specifica dell’archivio del Vicariato, mentre l’altra copia è stata portata in Vaticano, alla Congregazione delle Cause dei Santi, affinché possa seguire il suo iter.


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Questa è la vita: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo. Gv.17,3
 
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