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COMMENTO DELLA PRIMA LETTERA AI CORINTI

Ultimo Aggiornamento: 04/05/2019 17:13
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30/11/2011 22:12
 
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Parrocchie di

Sammartini, Caselle, Bolognina, Ronchi



Lettura continua


1 CORINTI


1 Corinti 1, 1-3; 

Fecondità del saluto


- Per una comprensione più forte e diretta e un desiderio di grazia più grande, è importante collegare la Messa di oggi, con la quale iniziamo la nostra strada nella Prima Lettera ai Corinti, alla festa dell'Annunciazione celebrata ieri. Chiediamo che scenda su di noi la fecondità del saluto dell'angelo e dell'annuncio evangelico, di cui si percepisce così bene la forza nei primi tre versetti della lettera. Chiediamo che l'atmosfera della casa di Nazaret ci accompagni lungo la strada di questa lettura continua. Chiediamo che l'invocazione del nome di Gesù e il pentimento del nostro cuore ci dispongano ad un cammino ricco di frutti di grazia e di pace.


- La lettera che iniziamo a leggere, scritta ai fedeli della comunità di Corinto ma oggi destinata a tutte le chiese, si può in qualche modo paragonare al profumo dell'unguento che si spande in tutta la casa di Betania, di cui parla il brano evangelico di oggi.

- Già dal saluto, si vede chiaramente che il mistero di Dio è più grande di ogni persona e di ogni chiesa. In un certo senso la famiglia è sempre troppo piccola rispetto all'agnello (Pasqua descritta nel libro dell'Esodo), e si deve unire ad una più grande.

- "Chiamati ad essere santi": è la risposta al dono ricevuto. Ricorda Ebrei 4,10 (santificati dal sacrificio di Gesù) e Gv 17, 19 (consacrati alla verità).

- vs 2: i destinatari non sono solo i Corinti, ma anche gli altri; non è più come nei Salmi, dove l'elezione è solo per il popolo di Israele, ma è per tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore. Questo fa venire in mente Gv 4, 20-24 quando il Signore dice alla Samaritana che l'adorazione di Dio non è più un problema di luogo, ma di "spirito e verità".

- Viene fortemente sottolineata l'estensione del dono di Dio: lui, Paolo, chiamato (donato); loro, i Corinti, chiamati (donati).

- vs 2 "...chiamati ad essere santi insieme a tutti...": non c'è una santità singola, personale, ma una santità di chiesa. Invocare il nome del Signore è importante per questa dimensione comunitaria, ecclesiale. Invocare Gesù ci rende santi e ci unisce. Vedi Atti 4, 12 "..non vi é altro nome...".

- "santificati" espressione piuttosto rara, si trova in 1 Cor 6,11 "...siete stati lavati, santificati, giustificati...": ricorda il Battesimo. Non solo Paolo si definisce apostolo, ma anche i destinatari sono "dedicati" al Signore. Tutti sono consacrati ed hanno ricevuto da Dio un'investitura molto importante.

- Bello il verbo chiamato/i: fa pensare che c'è qualcuno che chiama e perciò non si è più soli. Adamo nel giardino è chiamato. Ora Gesù ci chiama alla sua comunione.


- Nel vs 2 il testo originale non dice "chiamati ad essere santi", ma "chiamati santi". Questa modifica è pericolosa perchè dà al testo un significato etico (ce la farà a diventare santo?). Invece il testo vuole esprimere un'azione di Dio: i santi portano questo nome non perchè sono stati bravi, ma perchè sono stati santificati da Dio, cioè hanno ricevuto in pienezza il dono di Dio. Così nell'Annunciazione il saluto dell'angelo comunica a Maria quello che lei è già (piena di grazia) e non sa di essere. Questo è vero anche per ciascuno di noi: ogni persona è quello che Dio ha fatto per lui.

Per la santità ci sono tre passi: 1) l'azione di Dio; 2) ci si fa santi con Gesù; 3) si esplicita la santità nella invocazione (vs 2). In 1 Pt 3 21-22 si dice che "il battesimo non è rimozione di sporcizia del corpo, ma invocazione di salvezza rivolta a Dio da parte di una buona coscienza in virtù della resurrezione di Gesù Cristo". La caratteristica dei santi, prima di un comportamente morale retto, è l'invocazione, che unisce umiltà e pace. Non più solitudine, ma condizione nuova di comunione con Gesù.

Il vs 3 ("grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo"): più che un desiderio o un augurio, esprime l'azione rinnovatrice del dono di Dio. Quando nella liturgia riceviamo la benedizione, noi siamo veramente benedetti dal Signore. Per prima cosa c'è il dono di Dio (nell'Annunciazione, "piena di grazia"), poi la pace che è il primo frutto prezioso della grazia. I due termini sono sempre legati assieme. Chiediamo di rinnovarci a vicenda nel dono di Dio scambiandoci questi saluti.

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30/11/2011 22:13
 
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1 Corinti 1, 4-9; 



I doni sono dati a ciascuno per tutti


- Il corto brano di oggi è molto importante per tutta la lettera. Paolo passerà presto ad ammonire e rimproverare i Corinti per le molte contraddizioni della loro vita, che sembrano negare quanto oggi è descritto. Non deve sorprenderci. La forma del vangelo è sempre questa: annuncio e memoria del dono di Dio, che mette a giudizio la vita dei credenti. Ogni ammonizione e rimprovero, però, non sono fine a sè stessi, ma ci sono dati per mandarci verso la pienezza del dono, che è riservato a tutti. La vita parte dal dono di Dio già ricevuto ed è tesa alla pienezza dello stesso dono. Chiediamo perdono per tutte le volte che smarriamo questa via, per quando lasciamo che il giudizio arresti la nostra vita su considerazioni che non sono nè di grazia nè di pace. Chiediamo che grazia e pace, per la potenza della misericordia di Dio, rischiarino i nostri cuori e i nostri sentimenti e rendano buone le nostre parole.


- vs 6: "testimonianza" può essere letta non come dice la nota (testimonianza resa a Cristo), ma come testimonianza di Cristo, cioè la sua passione e resurrezione, fonte di ogni dono.

- vs 7 "... nessun dono di grazia più vi manca, mentre aspettate la manifestazione del Signore ": fa intravvedere la tensione del cuore di Paolo per provvedere "l'equipaggiamento" ai suoi fratelli durante l'attesa della pienezza della rivelazione. Da una parte sembra abbiano tutto, ma poi c'è una dinamica: un dono promuove il desiderio di un altro (come succede per l'Eucarestia).

- vs. 8 richiama il vs. 6: questo dono è la fedeltà di Dio. Essere irreprensibili è dono del Signore, come dice la regola sulla comunione con Dio e fra noi.

- vs 9: "... dal quale (Dio) siete stati chiamati alla comunione...". E' la premessa di un discorso che verrà sviluppato nei Cap.10 e 11 ed in tutta la lettera. Questa comunione è il dono fondamentale di cui siamo stati arricchiti (vs 5 ) E' la comunione con Gesù e di Gesù col Padre e lo Spirito.

- vs 4 "Ringrazio sempre.." Ringraziamento continuo, nonostante tutto, perchè Paolo vede prima di tutto i doni.

- In ogni versetto, come ieri, è nominato Gesù Cristo; questo non impedisce però di nominare molte volte Dio, anche attraverso verbi al passivo che hanno Dio per soggetto. Gesù è lo spazio in cui Dio opera in fedeltà. Al vs 9 non dice "dal quale", ma "per mezzo del quale (Dio)" siete stati chiamati.

- vs 5: "...arricchiti di tutti i doni..."ricorda l'Eucarestia e la regola che dice che in essa è tutto ricevuto.


- E' un testo sotto sotto molto severo. Anzichè partire dall'elenco dei difetti e dei peccati dei fedeli della chiesa di Corinto, Paolo parte da un ringraziamento a Dio per tutti i doni che ha fatto loro in Gesù. Poi per tutto il resto della lettera dovrà parlare delle aggressioni fatte al dono di Dio. Questo vale anche per noi. Abbiamo ricevuto tutto, non ci manca nulla, non abbiamo alibi: quindi il testo è severissimo. Se la storia fosse più misera, meno illuminata, minore sarebbe la nostra responsabilità, avremmo meno errori nostri.

Paolo evita di parlare di singole persone, di singoli avvenimenti, di singoli doni; tratta tutto globalmente e c'è un rapporto fra tutta la realtà e l'unica persona di Gesù. Poi parlerà di suddivisioni di vario genere. La testimonianza di Cristo è fortissima in mezzo a loro. Cristo è lì presente. Poi c'è la certezza che le cose andranno ancora meglio: loro non sono ancora arrivati, ma Paolo non dice che sono così cattivi da aver rovinato tutto. Li avverte che "avverrà": Dio è fedele, continuerà la sua opera buona. Quindi quello che Paolo rivolgerà ai Corinti non sarà un rimprovero senza speranza e senza pace. Sarà una cosa delicata, ma senza interrogativi angoscianti.

C'è anche da sottolineare che il dono viene sempre fatto a tutti anche quando è depositato in un singolo cuore. La comunione non è un progetto nostro (cioè, singolarmente abbiamo avuto dei bei doni, e allora cerchiamo di metterli assieme). Invece i doni sono già dati a ciascuno per tutti. La comunione è già dentro l'atto di Dio. Una comunità divisa, non può accogliere il dono.

10-4-97 1 Corinti 1, 10-17; Gv 12, 20-26 (Giovanni)


Essere unanimi in Gesù


- Non si può che acconsentire a quanto oggi ci dice la lettera, in quanto sappiamo bene che non c'è nulla di più doloroso di tutto ciò che contraddice la comunione alla quale siamo stati chiamati. L'esperienza terribile della divisione la percepiamo già nel nostro cuore quando ci accorgiamo della nostra capacità sottile di cogliere anche la minima traccia di male nella vita dei nostri fratelli. A volte ci sembra che la comunione d'amore non possa essere una realtà, ma il Signore ci chiama ad essa ogni giorno e, malgrado le nostre resistenze, fa in modo che si compia il grande mistero della carità. E' importante che tutto questo avvenga attraverso una esperienza di dolore, il salutare dolore della consapevolezza dei nostri peccati. Convertiamoci insieme dai peccati alla pace di Dio, pienamente consapevoli di essere parte dell'assemblea santa, ma anche di esserlo soltanto grazie alla misericordia che il Padre effonde sulla nostra vita.


- vs 17: si collega al vangelo quando dice: "il seme se non muore non porta frutto". Questa è la sapienza dell'evangelizzazione.

- vs 13: contiene tre domande poste in modo diverso: la prima può avere risposta sia positiva che negativa, la seconda e la terza solo negativa. Questo è importante perchè è l'affermazione che nessun uomo può essere salvato nel nome di un altro, ma Cristo può essere diviso dall'uomo. Nei primi versetti viene data molta importanza al fatto che ci vuole unità di pensiero. Rimanendo vero il valore della diversità, c'è però da considerare che la croce di Cristo deve essere la base comune di tutto.

- vs 17: "...a predicare il vangelo non con un discorso sapiente, perchè non venga resa vana la croce..". I nostri discorsi non hanno garanzie di verità; il discorso sapiente è la croce di Cristo, che rivela e sana.

- E' importante la comunione di intenti, come anche indicato in Fil 2, 5: "Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù". La sapienza è la carità e quindi il problema non è quello di una diversità di opinioni, ma di portare tutto nella carità, di uniformare se stessi a Cristo.

- vs 17: "...non venga resa vana la croce". "Vano" è usato nei Filippesi quando parla di svuotamento fino alla morte di croce. Anche qui sembra sia uno svuotamento di Paolo a causa della sua fede nella croce.

- vs 12: "..ciascuno di voi..". Nessuno è esente, tutta la chiesa di Corinto è coinvolta in questa diatriba forse fatta nel nome di una risposta più radicale al vangelo, secondo diversi "tagli" della predicazione. Ma questo può portare all'inganno di mettere gli uomini al posto di Dio.

- Il vs 10 (dire tutti la stessa cosa) è spiegato dal vs 17 (come predicare il vangelo). Al vs 10 "perfetta unione" può voler dire "preparati". Questo richiama Ebrei 10, 5 :"un corpo mi hai preparato", che poi nel Salmo citato (Salmo 39) è "gli orecchi mi hai aperto". E' l'ascolto della parola.


- C'è esigenza di un'unità che raccoglie tutto, tutto l'essere, l'agire, i pensieri, i sentimenti, la volontà. L'apostolo forse non tende a dirci che dobbiamo lottare per fare emergere l'unità, ma ci dice che questa unità è il punto di partenza (e, vedremo, d'arrivo). Non si può transigere: bisogna partire dall'unità di pensiero e di intendimenti, cioè da Gesù; su questo bisogna essere d'accordo. Questa unanimità si può anche trovare in cose piccole: quando preghiamo insieme, pensiamo e diciamo le stesse cose. Anche il canto è importante per celebrare questa unità. C'è una bellezza consolante nella celebrazione, al di là di noi, in cui si realizza la nostra unità in Gesù. Può sembrare molto piccolo questo, ma anche la morte di Gesù umanamente è una cosa piccola. Stare dentro al nome di Gesù significa vivere nella carità. La giornata poi è un esilio che ci espone a negare comunione e carità. Tutto questo ci è dato e dobbiamo amarlo. Non dobbiamo aver paura della parola perfezione, perchè è opera del Signore come il nostro battesimo, che abbiamo totalmente ricevuto. Dobbiamo accogliere con fiducia e lieti la Messa che ci unifica, sia pure nelle nostre passività, perchè è dono di Dio, con cui iniziamo la giornata. Siamo pessimi cristiani, ma il Cristo è morto per noi. Bisogna aver volontà di accettare questo, di partire da questo; poi entreremo nella nostra storia frantumata. Ogni forma di appartenenza non rinnovata dall'annuncio evangelico, rischia di essere carnale. Quello che ci unisce è Gesù, che è molto più importante di quello che ci divide (Papa Giovanni). Trasmettere il vangelo ad altri, significa liberarli. Con fiducia dobbiamo fare memoria per tutto il giorno di ciò che ci unisce: se questo prevale e "vigila" sulla nostra giornata, sarà un'unanimità sapienziale. Questo è il richiamo più severo alla conversione urgente e profonda. Dobbiamo preoccuparci di questa unanimità nel Signore; poi vedremo che lo spirito ha ampi spazi di diversità.


11-4-97 1 Corinti 1, 17-25; Gv 12, 27-36 (Giovanni)


Sapienza del mondo e sapienza cristiana


- Sapienza e stoltezza ci sono state regalate per capire che anche a noi è chiesto di farci guidare dallo spirito di Dio.


- La croce viene chiamata stoltezza: si assimila alla stoltezza della predicazione. La predicazione è una realtà molto vicina a noi (nella Messa), e quindi possiamo avvicinarci anche alla croce. Nella regola il lavoro è indicato come opera che può parlare con eloquenza della croce.

- vs 21: la stoltezza della predicazione ci fa aderenti a Cristo: accogliere la stoltezza della predicazione ci mette in rapporto nuziale con Lui.

- vs 18: "quelli che si salvano" letteralmente è "quelli che sono salvati". Al vs 20, "sottile ragionatore": cercare è positivo, ma bisogna che non sia orientato verso il mondo. Si può pensare anche alla ricerca della Maddalena al sepolcro.

- vs 21: La liturgia della parola non è introduzione alla liturgia eucaristica. Paolo rivendica l'autonomia della predicazione che è di per se stessa salvezza.

- Il cristianesimo è una profonda delusione per il mondo. I segni cercati dai greci e dai Giudei (vs 22) sono le aspirazioni più alte dell'umanità. La debolezza di Dio è più forte degli uomini (vs 25): la croce non porta trasformazione eclatanti, ma trasforma dall'interno tutte le cose (lievito nascosto).


- Quando si è in contatto con la parola del Signore ci viene messo davanti tutto il quadro della nostra vita. Dobbiamo ripudiare la sapienza del mondo per ereditare quella del vangelo? Ci è chiesta una conversione? Quando si arriva alla salvezza dei credenti (vs 21), si arriva al cuore del problema. Noi sperimentiamo la sapienza della croce attraverso la sconfitta di quella del mondo che è in noi. Ed è sempre così. Nessuno può assumere la sapienza della croce come regola applicabile una volta per sempre, ma si vivrà sempre la sapienza di Dio come dono di salvezza su tutte le nostre sconfitte. Esempio: uno che lavora è giusto che goda del frutto del suo lavoro, ma la sapienza nuova gli dirà di donare tutto. La sapienza di Gesù è la contraddizione che Dio mette sempre nelle nostre sapienze mondane. Dio ha disposto il fallimento dei nostri programmi e delle nostre certezze (cioè la Pasqua), per far sempre risorgere in noi la via del vangelo. Noi stiamo troppo a pensare che cosa bisogna fare. Invece bisogna ogni giorno sperimentare che Dio ci salva, accorgersi delle cose che Lui fa per noi e farne tesoro. Procedere nella sapienza vuol dire accorgersi di come Gesù ci fa passare dalla morte alla vita.

12-4-97 1 Corinti 1, 26-31; Gv 12, 37-43 (Giovanni)



Chi si vanta si vanti nel Signore


- Ognuno di noi si sente profondamente unito a quelli che Dio, in tutti i luoghi e in tutti i tempi, ha chiamato e chiama. Ringraziamo il Signore, stupiti di essere nella schiera degli eletti. Siamo sempre costretti a verificare con dolore e imbarazzo che la chiamata è collegata a quello che consideriamo nostra umiliazione e nostra sconfitta. Anche le persone che ci sono accanto sono una verifica che Dio ha scelto in loro quello per cui noi li giudicheremmo. Perchè Dio è buono, e la sua misericordia è senza fine. Perchè non è attratto dalle nostre virtù, ma ha compassione delle nostre miserie. Mentre chiediamo perdono per i nostri peccati, ricordiamo che Gesù può soccorrerci proprio perchè si è umiliato.


- vs 26: Paolo chiede di guardare la chiamata, e di considerare che essa è collegata alla stoltezza. "Chiamata" implica una minorità di chi la riceve. E' stata la stoltezza della predicazione (vs 21) che li ha resi stolti e quindi adatti alla chiamata.

- Al vs 9 aveva detto "...chiamati alla comunione del Figlio suo Gesù...": oggi si può riprendere quel vs. Come contrasto al vantarsi, dice che siamo in Cristo Gesù e che il nostro vanto è nella nostra comunione con Gesù (vs 30-31).

- vs 30: "Gesù ... diventato per noi sapienza" vuol dire "fatto sapienza per noi". Ricorda tutto il cammino fatto da Gesù, dal Padre fino a noi. Il modo scelto (l'umiliazione) è quello che può liberare ogni uomo. Dal brano di oggi del vangelo si vede invece che coloro che preferiscono la gloria del mondo non sono liberati, ma rimangono nella paura.

- A proposito della chiamata, ricordiamo che in Ef 1, 4 dice che Dio "In lui (Cristo) ci ha scelti prima della creazione del mondo, e che in Gv 15, 1 dice: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi...".

- La chiamata è già avvenuta, per cui guardandoci attorno nella nostra comunità ci rendiamo conto delle nostre miserie e allo steso tempo, della potenza di Dio. Il fatto stesso che siamo qui è dimostrazione della potenza di Dio.

- L'ultimo vs richiama alla mente la preghiera di Salomone fanciullo che invoca il dono della sapienza (Sap 9).


- E' bello avvertire che siamo coinvolti tutti assieme in una considerazione attuale (vs 1), ma che riflette tutta la nostra storia. Ma come mai fra noi ci sono pochi nobili, potenti, sapienti? Come mai chi è dotato ed attrezzato trova difficoltà? Perchè tutto quello che siamo ed abbiamo entra in crisi nell'incontro col vangelo. Perchè in chi è chiamato, Dio ha scelto le cose deboli, non quelle forti; i difetti, non le virtù. E si noti che sceglie le cose deboli e stolte del mondo, non cose misteriose: le nostre sconfitte, le nostre ferite, gli spazi in cui noi non possiamo. Sono queste le cose a cui è attento, e che portano alla elezione. Noi invece tendiamo a mondanizzare il nostro rapporto con Dio, siamo portati a pensare che esso si incentri sul fatto che Lui approva le nostre virtù e disapprova i nostri difetti, quasi fosse un macchinino per registrare bene/male. Invece il centro di tutto è la compassione. Noi siamo ossessionati dal dare a noi e agli altri un comportamento etico: si deve fare così e non così, ecc. Invece dovremmo semplicemente contemplare il fatto che Lui dalla morte fa fiorire la vita. Oggi sottolinea che il nostro vanto è nel Signore: quanto è stato bravo il Signore per me! Dentro di noi Dio ha confuso tutte le cose sapienti. S. Tommso dice che ogni cosa buona, giusta e vera viene da Dio. Però storicamente non è così. Dio con noi ha solo un rapporto di salvezza, che non è bene/male, ma tirar fuori dal male verso il bene. Questo è il vero respiro della fede. La prospettiva è quella di una gioiosità infinita. Ci sono persone, come Maria di Nazaret e i beati, che sanno bene chi è Dio ed esultano in Lui. Noi invece vogliamo essere come Lui, e ci mettiamo molto impegno. Col riferimento alla chiamata, Paolo vuole dirci: "non vedi come sono andate le cose?". Noi non siamo qui per una gara vinta, ma per la sua misericordia. E di questo dobbiamo vantarci.

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30/11/2011 22:30
 
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Annuncio del vangelo con timore e trepidazione


- Nel raccontarci la nostra chiamata, Paolo parla non solo della cose che sono accadute, ma anche della struttura intima dell'annuncio di Gesù, che con le parole del Vangelo ci porta dalla morte alla vita. Nel brano di oggi racconta infatti il suo rapporto con Gesù mentre lo Spirito lo spingeva a chiamare quelli che nel nome di Dio dovevano essere salvati. Più si cammina nella fede, anche se fra molti peccati, più si capisce che il termine assoluto di riferimento è Gesù. Anche chiedere perdono è confessare al Signore la nostra temerarietà, cecità, poca sapienza che riversiamo su tutto e su tutti quando perdiamo la luce serena di Gesù e rimaniamo nei nostri pensieri. Chiediamo di essere restituiti alla luce e di essere riconosciuti, nel perdono, come figli amati.


- vs 3 "Io venni in mezzo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione"; timore e trepidazione si trovano spesso nel Nuovo e Antico Testamento (es: le donne al sepolcro vuoto; i discepoli al vedere Gesù risorto che non osano chiedere chi era; Pietro in casa di Cornelio).

- vs 2: "ritenni di non sapere..." è in realtà "giudicai di non sapere in voi..."; è un giudizio di salvezza, come quello di cui parla il vangelo (vs 47).

- Nel testo di oggi si possono cogliere alcuni richiami ai testi della liturgia di ieri (III domenica di Pasqua). vs 9: le cose di cui parla (che non salgono al cuore dell'uomo) sono quelle della sapienza di Dio, mentre ieri Gesù rimproverava i discepoli perchè nel loro cuore salivano ragionamenti non frutto della sapienza di Dio. I "perfetti" (vs 6): ieri (1 Gv 2, 5) ci veniva spiegato che l'amore di Dio è perfetto in colui che osserva la Parola, e quindi diventa sempre più capace di parlare non con propri ragionamenti, ma per rivelazione di Dio.


- Non è semplice capire cosa sia accaduto, come sia andata la vicenda dell'annuncio. E' chiaro che timore e tremore non sono dovuti alle difficoltà che potevano venire dalla gente (greci o ebrei zelanti), ma al rapporto stesso con la Parola. In che modo ci si può accostare al vangelo, se non con un senso d'inadeguatezza che porta addirittura al disagio? Di fronte al vangelo ci si sente lontani e spaventati. Il vangelo è uno sconvolgimento, perchè le cose di Dio sono troppo grandi.

La manifestazione dello Spirito e della sua potenza (vs 4) non fa pensare, come suggerisce la nota della Bibbia di Gerusalemme, a miracoli, ma piuttosto alla predicazione di Pietro come narrata negli Atti ed al conseguente "cuore trafitto" degli ascoltatori. C'è una corrispondenza fra timore e tremore di Paolo che annuncia, e timore e tremore di coloro che ricevono l'annuncio. Perchè timore e tremore? Perchè deve morire la nostra sapienza, perchè lo Spirito opera in noi con una sapienza tutta nascosta e tutta regalata. Il mistero della Pasqua e la frantumazione di chi riceve la parola di Dio per l'illuminazione che viene dall'alto richiamano il versetto "alla tua luce vediamo la luce" del Salmo 35. Senza la sua luce regalata, non si vede nessuna luce.

E' un discorso di grande respiro, in cui si nota l'assenza di ogni considerazione di tipo morale. Paolo qui descrive semplicemente cosa succede. Né di lui, né degli altri si dice che sono o debbono essere particolarmente bravi (anche se si può sperare che lo diventino per la potenza del dono di Dio). Tutto parte dall'azione buona di Dio. Poi ci saranno indicazioni sul come fare, ma è importante pensare alla nostra vita come opera bella di Dio.

15-4-97 1 Corinti 2, 10-16; Gv 13, 1-11 (Giovanni)


Abbiamo ricevuto lo Spirito di Dio


- In questa liturgia celebriamo il piegarsi di Dio verso di noi, la divina compassione e l'eterna condiscendenza del Padre per i figli. Dio ha pietà di noi, ci visita, forza le porte chiuse del nostro cuore e del nostro spirito. Dio ci riempie di sè, proclama e dona la sua pace, abbatte il muro di separazione, fa di tutti un popolo solo con la sua croce. Nulla impedisce la potenza del dono di Dio, se non il demone dell'orgoglio che ci inganna e ci lascia alla tristezza della nostra solitudine. Chiediamo perdono per non aver avuto parte con Lui, per non avergli consentito di essere l'eredità magnifica della nostra vita.


- vs 11: noi abbiamo lo Spirito di Dio per conoscere le cose di Dio: queste cose si possono conoscere seguendo il Signore nella mitezza, nella piccolezza, fino alla croce. In Fil 1, 29 dice: "a voi è stata concessa la grazia non solo di credere in Cristo, ma anche di soffrire per lui".

- vs 16: noi abbiamo il pensiero di Cristo: è una rivelazione esplosiva. Ma qual'è il pensiero di Cristo? E' il pensiero del più piccolo, di colui che, come Gesù nel vangelo di oggi, serve i fratelli.

- vs. 12: lo Spirito che ci è donato (uno spirito umile) ha una sua attività: deve farci capire che tutto ci viene da Dio. Bisogna esplorare il nostro rapporto con Dio. Parla poi di cose, non di segreti. Lo Spirito non è un lusso che ci permette indagini particolari, ma ci fa vedere le cose come stanno alla luce della verità. Al vs.14, anzichè "uomo naturale" direbbe "psichico", con una connotazione un po' negativa: è un uomo ferito (la natura è ferita) e non può raggiungere la verità. L'uomo spirituale è colui che fa una ricerca vera.

- Il richiamo al vangelo di Matteo, quando Gesù ringrazia il padre per aver rivelato le cose ai piccoli, ci fa capire che la dimensione spirituale non si può conquistare, ma solo ricevere. Se si esce dalla dimensione di fanciullezza, si entra in quella psichica. Siamo chiamati ad esercitare il giudizio (vs.15) su ogni cosa, riflettere su ogni cosa. Avere il pensiero di Cristo (vs.16) chiama ad un grande impegno.


- Quello che Gesù fa nel brano evangelico (lavanda dei piedi) esprime in modo perfetto ciò che dice Paolo nella lettera. L'accostamento dei due testi è particolarmente importante per l'obiezione di Pietro e la risposta che il Signore gli dà. Avere il pensiero di Cristo vuol dire avere un pensiero totalmente ricevuto, non un pensiero proprio: è l'opposto della sapienza umana. La lavanda dei piedi è emblematica della possibilità dell'uomo di entrare nella condizione di Dio. Il testo (vs 1) dice che lo Spirito "scruta" (non dice lo Spirito "conosce"). E' un verbo dinamico, perchè Dio è infinito e lo Spirito continua a viaggiare dentro il suo mistero. Nella sapienza nuova si continua a scrutare, mentre le sapienze mondane tendono a definire. Non c'è una dottrina fissa, ma lo Spirito ci introduce in un movimento perenne.

Le cose iniziano non col capire, ma col fare cose che capiremo dopo e che già abbiamo ricevuto in dono (vedi sia il vangelo che la lettera). La notizia importante che oggi ci è segnalata è che Dio ha varcato il confine e si è donato a noi. Lo Spirito di Dio lo si può continuamente ricevere, mai possedere. Nel vangelo, è la carità. Se non ci è dato lo Spirito di Dio, abbiamo lo spirito dell'uomo, carnale, chiuso dentro la morte (è il "non avrai parte" di cui parla il vangelo) e non potremo capire niente del mistero di Dio. All'uomo psichico le cose di Dio sembrano stoltezze. E' solo lo Spirito di Cristo che ci permette di vedere la verità. Ma è stata ben calcolata da parte di Dio la tenuta del contenitore "uomo"? Reggiamo questo vino troppo frizzante? Forse no. Tutte le volte che facciamo la Comunione capiamo che si sta rapidamente compiendo per noi il mistero della Pasqua e che è l'ultima ora della storia. La barca tocca subito la riva: più in là di così non si può andare. Il Signore mette fine a tutta la dialettica dei nostri pensieri. Ormai ci siamo.

16-4-97 1 Corinti 3, 1-9; Gv 13, 12-20 (Giovanni)


Approfondire il mistero del Signore per volersi bene


- In Paradiso le cose funzionano bene perchè tutto e tutti concorrono a gioire attorno al mistero di Dio, che è Cristo mandato a far nuove tutte le cose. Il senso della nostra vita deve essere un itinerario di ammirazione e di riconoscenza perchè Dio ha fatto bene tutte le cose. Dobbiamo abbandonare ogni residuo di tristezza e confessare l'ingombro che la nostra persona e la nostra violenza pongono davanti alla dilatazione del mistero del Signore. Dobbiamo confessare di essere stati di ostacolo a tanti, e di essere stati noi stessi sedotti da molti aspetti della vita. Chiediamo di avere un cuore libero e un pensiero puro, perchè la nostra vita sia aperta al dono che il Padre oggi vuole rinnovare in ciascuno di noi e in noi tutti insieme.


- vs 3: fa pensare all'annuncio della Passione e alla risposta che Gesù dà a Pietro: tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini. Invidie e contese sono mancanze di amore, e quindi cose di satana, per cui "lungi da me....".

- vs 5: riprende il discorso dell'unitarietà e delle differenze. Fa vedere la bellezza del cristiano, che è chiamato a generare gli altri alla fede. Poi dice che chi pianta e chi irriga sono"l'uno" (una cosa sola) Il motivo di unione è l'unicità del corpo di Cristo. Questo termine, "l'uno", appare in Gv 10 nel brano del buon pastore quando Gesù dice: "Io e il Padre siamo una cosa sola".

- vs 5: la parola "ministri" (diaconi) è usata da Gesù nel passo di Luca quando dice "Io sto in mezzo a voi come colui che serve". E anche "Chi riceve me, riceve colui che mi ha mandato". Si tratta di accogliere chi il Signore manda, di fare posto alla parola.

- E' importante il brano evangelico per il vs 8: ricorda Gesù che dà l'esempio perchè facciamo come lui. Le azioni sono diverse ma, compiute come il Signore (lavare i piedi), ci fanno diventare "uni" con lui.

- vs.1 "neonati in Cristo": c'è un contrasto col fatto che si parla della sapienza del mondo. Paolo ricorda ai Corinzi che c'è una dimensione fondamentale nella quale sono molto indietro. Essere neonati in Paolo è sempre una situazione da superare (nell'inno all'amore, nella lettera agli Ebrei). In Ef 4, 11-14 è legato all'unità, all'arrivare all'uomo perfetto. E' un grande richiamo a crescere e maturare

- vs 1: "neonati in Cristo": può significare "carnali". Chi è lontano da Cristo non viene escluso, ma ritorna all'inizio della strada.

- vs 5: e' importante che Dio fa crescere e dà pace alla vita della chiesa. Altrimenti i ministri(=sacerdoti) sarebbero agitati per voler far molto e i fedeli delusi per gli scarsi risultati.

- vs 2: il tono è quello di una cura affettuosa e materna per persone che vanno rispettate e accolte per quello che sono, più che rimproverate.


- Il brano di oggi, in modo inatteso, va a cercare le ragioni per le quali i Corinti non si vogliono bene. Noi di solito non lo facciamo, e piangiamo su noi stessi perchè non ci vogliamo bene, senza cercarne il motivo. E' un testo severo, ma orientato. Li sgrida non perchè non si vogliono bene, ma perchè non si decidono a prendere una posizione giusta di fronte al mistero di Dio. Sottolinea una duplice impossibilità: lui non ha potuto dare loro quello che doveva dare, loro non potevano prenderlo. I Corinti hanno tutti i doni, ma di questi si impossessano. Bisogna prendere la via giusta, secondo la quale si vedono i pregi e i limiti di ciascuno, e ci si vuole bene. Tutto va guardato con affetto. Ciascuno fa una parte piccola (chi semina, chi irriga, ecc.). Tutto sarebbe frantumato e statico se sotto non ci fosse la dinamica misteriosa di Dio. Ciascuno rimane stupito dal grande esito finale delle sue parziali azioni. Fanno parte di un'unica grande impresa, e le singole azioni valgono molto perchè c'è il risultato dell'insieme. Ma siccome non abbiamo ben qualificato l'azione di Dio, pensiamo che l'importanza sia nelle nostre azioni. La grande ansia della vita cristiana, stare attorno alla tavola senza volersi bene, si placa se si tiene presente il mistero del Signore. Paolo comanda di approfondirlo questo mistero: questo farà si che ci vogliamo bene. Dobbiamo essere più contenti di Lui, allora saremo anche più contenti di noi e degli altri. Fuori dallo spazio cristiano, il problema della carità c'è ma viene messo meno in evidenza. Gesù apre gli occhi e ci fa mettere in gioco tutto.

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30/11/2011 22:32
 
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1 Corinti 3, 10-23; 



Costruire su Cristo


- Celebrando la morte e resurrezione del Signore, le parole delle Scritture ci invitano a sollecitare in noi un desiderio forte: fare della Messa tutto il centro della nostra vita. La Messa ci dà il nutrimento necessario, senza il quale abbiamo paura di affrontare la giornata che ci aspetta. Ma di più: nella Messa celebriamo il senso ultimo della nostra vita, il fine di tutte le cose. Nella Messa viene edificata la casa di Dio, viene costruita la pace, la giustizia, la verità. Tutto quello che succede durante il giorno è preparazione o prosecuzione della Messa. Chiediamo perdono per la mancanza di cura per la nostra persona e per la persona degli altri. Chiediamo doni di umiltà e di mitezza perchè l'opera preziosa di Dio in noi possa essere portata a compimento.


- Considerazione architettonica: in una casa le fondamenta non si vedono, ma precedono la costruzione, sono già poste. Si vede solo quello costruito sopra. Questi versetti richiamano la fine del discorso della montagna (casa costruita sulla roccia o sulla sabbia). Rimane la domanda: Ci sono due architetti: uno pone il fondamento e l'altro costruisce?

-Al vs 15 dice: "Se l'opera finirà bruciata, sarà punito...". Questo verbo "sarà punito" si ritrova in Filippesi ("perdita" ai fini di Cristo). Paglia è la sapienza del mondo, oro è la partecipazione alla croce di Gesù. Il gesto della vedova che mette tutto quanto aveva per vivere nel tesoro del tempio è oro; il sovrappiù che mettono molti ricchi è paglia. Negli Atti, durante la difficile navigazione, Paolo incoraggia i compagni di viaggio perchè lui sa che, se c'è saldo fondamento, quello che è importante, le vite, verranno salvate.

- vs 17 e 18: ci sono due parole importanti, "distruggere" ed "illudersi". Si ritrovano in 2 Co 11. Bisogna rimanere in Cristo e nella sua opera, tutto il resto è del diavolo.

- vs 11: c'è un fondamento, Gesù, la pietra angolare che è presente nel cuore di ogni uomo, misteriosamente. Il problema è individuare quel fondamento e saper costruire sopra di lui e non fuori. La casa può essere anche d'oro, ma bisogna vedere se resiste al fuoco della tentazione. Fino al giorno della prova del fuoco, non si distingue se la casa è costruita con materiale buono o cattivo.


- Nel testo di oggi si nota una differenza molto importante rispetto a quello di ieri: l'assenza di Dio. Ieri Dio era fortemente presente, faceva crescere le cose e rendeva tutto il resto relativo. Oggi Dio è assente, e viene messa in evidenza l'opera fondamentale che ha fatto l'apostolo: mettere nei cuori il fondamento giusto, che è Gesù. E' la trasmissione del dono di Dio che è affidata ad ogni uomo, poi ci sarà la costruzione.

La nota della Bibbia di Gerusalemme fa l'ipotesi che possano esserci dei costruttori (predicatori) buoni o cattivi; ma non è così. Il vero problema è che l'edificazione è compito di ciascuno. Il fondamento è dato ed è buono, ma bisogna costruire in modo coerente al fondamento. Il grande giudizio del Vangelo saggerà come uno ha costruito la sua casa. Con quale materiale abbiamo costruito la giornata di ieri? C'è una tensione di rapporto fra il fondamento e quello che io faccio nella mia giornata. Poi Paolo introduce l'immagine del tempio: è una realtà preziosissima, è la responsabilità di non aggredire, di non distruggere. Il grande rischio viene dalle sapienze mondane che abbiamo dentro di noi. Sia la costruzione della casa con la paglia, sia la distruzione del tempio che è in noi, non sono legate a cose negative, ma alla sapienza-orgoglio. Bisogna diventare stolti, cioè scegliere la sapienza del Signore. Solo se ci si apre al dono di Dio si potrà costruire bene e non aggredire.

La conclusione del testo inaugura il cap.4: i figli di Dio hanno la signoria dell'umiltà. Tutto è vostro, il tempo, le cose, le persone, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio. Questa sottomissione fa vedere che, nella nostra obbedienza al mistero del Signore, non c'è niente che ci asservisce, ma siamo partecipi della Sua signoria su tutto. La porta stretta è la scelta fra due alternative: tutto interpretare nel mistero del Signore, o giudicare secondo la sapienza mondana.

L'assenza di Dio nel testo di oggi è per far si che ci rendiamo conto della preziosità della vita che ci è stata affidata.

18-4-97 1 Corinti 4, 1-5; Gv 13, 31-38 (Giovanni)


Ciascuno avrà la sua lode da Dio

- La nostra riconoscenza a Dio è oggi particolarmente attivata dalle presenze luminose che ci concede quando ci riuniamo nella santa liturgia attorno alla sua parola. Accanto al Signore, si rendono presenti i suoi figli e fratelli: oggi, questi ministri che danno a ciascuno di noi consolazione e incoraggiamento. Chiediamo di ricevere dal Signore, per loro tramite, il dissiparsi delle ombre che ci circondano e il porre sull'altare tutta la nostra esistenza. Chiediamo perdono per tutto quello che non abbiamo dato, espresso, consumato nella carità, accolto con mitezza e riconoscenza. Dio si cela nelle piccole creature, come il bimbo Luca, ed in esse si svela. Per la ricchezza della intercessione di questi piccoli, affidiamoci con pace alla misericordia di Dio.


- Nel vangelo, ieri Gesù dava l'esempio (lavanda dei piedi), oggi dà un comando: il comandamento dell'amore. Il giudizio (di Dio) di cui parla la lettera sarà su questo comandamento.

- Il vs 5 ("Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori: allora ciascuno avrà la sua lode da Dio") sorprende e anche piacevolmente stupisce, perchè a noi sembrerebbe difficile che tutti possano ricevere lode e piuttosto ci saremmo aspettati una distinzione buoni/cattivi. - In Lc l'espressione che c'è nella prima parte del versetto ha un significato meno positivo perchè si riferisce al problema dell'ipocrisia dei farisei. - "Manifesterà le intenzioni dei cuori" esprime la grande tenerezza con cui il Signore si muove nei nostri confronti. Il giudizio sarà basato non sulle opere, ma sull'intenzione del cuore, come farebbe una mamma. Questa interpretazione è confortata dalla liturgia bizantina della Pasqua che, per invitare tutti alla comunione, fa una parafrasi della parabola della vigna: non è necessario aver lavorato, ma semplicemente averne avuto l'intenzione. Questo è uno dei punti più alti del NT.- Si può pensare che l'insistere di Paolo sul fatto che sarà Dio a dare la lode sia in contrapposizione alle lodi che si possono ricevere gli uomini. Più avanti (vs 9) rivendicherà la sua stoltezza in Cristo, una strada "altra" dalla lode degli uomini.

- Nel testo originale il vs 4 è più radicale. Dice che l'uomo non può esaminare. Il cuore dell'uomo, come ricorda un Salmo, è un abisso insondabile. Forse con l'eccezione della manifestazione della profezia (14, 24) che può manifestare i segreti del cuore nell'assemblea dei fedeli.

- Continuando ciò che diceva nel cap precedente, insiste sul fatto che è importante essere fedeli (ministri di Cristo) e senza divisioni (senza giudizi).

- Ministri (servi) ricorda Mt 26 dove Pietro segue il Signore e si siede fra i servi. E' bello pensare ai ministri come coloro che seguono, seppur da lontano, il Signore nella passione.

- "vs 1: "di Cristo,. di Dio": come alla fine del cap 3. Chi si sente di Dio, non può non sentirsi peccatore.


- E' un discorso severo, ma di consolazione e di incoraggiamento. La gente va portata tutta alla salvezza, ma ciò non toglie che ciascuno debba "muoversi". Avremo la lode, ma non si può consideralo scontato, perchè non siamo adeguati. Noi pensiamo che la presenza di Dio nella vita degli uomini sia per verificare il nostro comportamento, mentre la realtà è che Dio viene per operare (salvarci). Il centro del problema è quindi riconoscerlo (e indicarlo, e supplicarlo, e piangere, ecc.). Questo è evidente se consideriamo il piccolo Luca: la sua importanza non sta nel fatto che è bravo, in quanto non può esserlo, ma nel fatto che in lui c'è in modo evidente il segno della presenza del Signore. Riconoscerlo è la cosa che conta.

Paolo dà anche una chiara risposta alle domande fondamentali "chi siamo?" e "cosa dobbiamo fare?". Siamo servi di Cristo e dispensatori della parola di Dio. Queste risposte vanno sempre tenute presenti nelle ansie e nei problemi della vita. Quello che conta è che la nostra vita sia una liturgia e un luogo di epifania. Quando di fronte ad un problema diciamo "e adesso cosa faccio?'" abbiamo già saltato il primo passaggio e quindi perso l'orientamento. Dobbiamo imparare da Paolo togliendo il giudizio e aspettando con fiducia la nostra lode. Il Signore (e Paolo) vuole che nessuno si perda, e quindi consola. Gesù è un grande disturbatore, che muove tutti, anche chi non crede. In Lui tutta la storia e tutti sono messi in un'ipotesi positiva (la salvezza), mentre noi tendiamo a dividere in buoni e cattivi. L'agire cristiano ha sempre una tensione inclusiva: evidenzia il male solo per includere tutti in una prospettiva di resurrezione.

Paolo ci insegna anche a non esagerare nel giudizio (negativo) su noi stessi, perchè può diventare penalizzante. Dando per scontato che siamo tutti peccatori , facciamoci servi e dispensatori della Parola.


19-4-97 1 Corinti 4, 6-13; Gv 14, 1-7 (Giovanni)



Non "sopra" le Scritture


- Il canto iniziale (Chi mi darà l'aiuto, Salmo120) ci ha ricordato che l'aiuto non ci verrà mai a mancare perchè Dio è misericordioso. Le due persone (Paolo e Apollo) che appaiono nel brano di oggi ci fanno pensare a tutte le persone preziose (due in particolare, don Giuseppe e don Umberto) che ci sono state di esempio, segno efficace della presenza del Signore in mezzo a noi. Dalla descrizione che Paolo fa della vita sua e di Apollo emergono il volto e la presenza di Gesù. Noi siamo invitati a ricevere questo dono, ringraziando i fratelli che ci stanno accanto ogni giorno nella celebrazione dei santi misteri. L'accondiscendenza divina è perenne, e porta sempre in mezzo a noi la presenza di Gesù. Chiediamo perdono per tutte le volte che non abbiamo voluto riconoscere la presenza del Signore negli altri e non abbiamo permesso che lo Spirito da noi la manifestasse ad altri.


- Oggi si ha l'impressione di conoscere bene quello di cui tratta il brano.L'apostolo invita i Corinti ad una crescita graduale: devono stare alla parola scritta, non fare di più. Altrimenti, pensando di fare di più o più bene, finisce che cresce l'orgoglio. Bisogna riconoscere di avere in altri i maestri. Paolo e Apollo sono per loro come un peso che li trattiene, per impedire che pensino di essere re.

- il vs 13: ci sono due termini che significano rifiuto e oggetto di espiazione. E' un accostamento prezioso perchè ci ricordano Gesù: colui che è rifiutato è strumento di espiazione, cioè è colui che salva.


- Al vs 1 è bello il verbo espresso con "le ho applicate a modo di esempio", che si ritrova con un significato accostato in Rm 12. Questi nostri fratelli santi non ci danno soltanto una dottrina, ma sono il segno del Signore. Da essi lo Spirito fa emergere la persona di Gesù, e non solo la sua parola e la sua memoria. Attraverso loro, quindi, i cristiani hanno la possibilità di contattare Gesù. Il vangelo di oggi ci dice che Gesù è la presenza del Padre. Così questi fratelli santi sono la presenza di Gesù in mezzo a noi.

Sempre al primo versetto, quando parla delle scritture, dice che attraverso di loro (Paolo e Apollo) dobbiamo imparare "il non sopra, non al di là" di ciò che è scritto. Il fondamento di tutto è stare in ciò che è scritto. C'è infatti un grosso rischio: un rapporto fra l'andare "sopra" alle scritture e "andar sopra" l'uno contro l'altro. Poi aggiunge che il bello della nostra vita è considerare il dono ricevuto e vivere in esso, senza gareggiare e prevaricare. La prima domanda (vs 7: "chi dunque ti ha dato questo privilegio?" potrebbe intendersi "chi dunque fa discernimento di te, chi ti discrimina?". In modo stupefacente tutti abbiamo qui un posto. L'hai ricevuto, e perchè allora ti dai delle arie? E' sempre lo stesso insegnamento: non stare sopra le righe, non prevaricare.

Nel resto del testo, per descrivere la loro situazione ferita in contrasto alla situazione di grandezza dei Corinti, utilizza i verbi della passione del Signore. Così facendo Paolo rende presente l'obbrobrio di Gesù.

"Noi stolti,...voi sapienti": se si è dentro alla sapienza vera, si appare stolti al mondo. Il massimo rischio non è quello di assumere una sapienza mondana, ma di assumere la sapienza di Gesù come qualcosa che ci fa grandi anzichè trascinarci nella Pasqua.. Questo stravolgimento della sapienza di Cristo può diventare una via tremenda di potere e di affermazione. Il contenuto letterale della verità evangelica non basta, se non è espresso attraverso la croce di Gesù. Il vangelo può diventare un macigno se non è la vera sapienza della Pasqua, cioè stoltezza per il mondo. Questo va dentro a tutti gli spazi della vita (lavoro, fame, oltraggi, ...), in contrasto con l'esaltazione dei Corinti.

Oggi si avverte chiaramente che il ruolo prezioso dei santi non è quello di portarci notizie o suggerimenti anche importanti, ma quello di mostraci persona di Gesù.

21-4-97 1 Corinti 4, 14-21; Gv 14, 8-14 (Giovanni- Ritiro Sovere)


 

Chi annuncia il Vangelo genera alla vita


- Sentiamo grande riconoscenza per il testo della lettera ai Corinti che apre oggi i nostri giorni di preghiera. E questo per due motivi: innanzitutto perché prolunga la grazia della domenica appena trascorsa in cui la prima lettera di Giovanni ci ha avvertiti del grande amore con cui siamo amati e il Vangelo ci ha portato l’immagine del pastore venuto a chiamarci e a far risuonare in noi il mistero grande della chiamata di Dio. In secondo luogo perché in tutto questo il brano di oggi diventa “memoria” di quelle vie del Vangelo nelle quali siamo stati generati. Celebrazione della nostra condizione filiale fraterna e familiare, contemplazione profonda del bene ricevuto e nel quale siamo stati costituiti. Per altro vi possiamo anche vedere i nostri peccati, soprattutto quelli dell’orgoglio e della vanità che tendono a strapparci alla condizione filiale e ci portano alla tristezza e al risentimento. Chiediamo il perdono del Padre per tutto quello che partendo da noi ha oscurato la bellezza della figliolanza e il prodigio della fraternità


- Bella immagine di paternità: siccome il Vangelo è la vita, chi annuncia il Vangelo trasmette la vita e diventa padre.Svincolato da ogni ministero e da ogni carica, chiunque può essere padre. Sgonfiarsi delle parole in più e consegnare nudo il Vangelo perché ciascuno sia in grado di attingere dalla potenza del regno di Dio.

- Un po’ stupisce che Paolo si definisca padre mentre fin’ora si era compiaciuto di considerarsi molto meno definendosi un semplice “strumento” insieme ad altri. Questa novità può solo riferirsi alla sua comunione col Padre come faceva Gesù nel Vangelo di ieri ”Come il Padre conosce me così io conosco il Padre”.

- Qualcosa sembra portare Paolo a una nuova considerazione della figura dell’apostolo quale lui è stato. Dai vv. precedenti si capisce che Paolo comprende di avere avuto una funzione unica nei confronti della comunità: é stato in mezzo a loro la presenza di Cristo nella passione, tanto da poter essere considerato l’ultimo (v.9ss.). La sua parte è stata dare la vita. La generazione è avvenuta, ora potrà bastare che un altro vada a fare memoria di quel primo momento.

- Timoteo é mandato a fare memoria di questa figliolanza. La messa è memoria del mistero del dare la vita

- Le vie che Paolo ha insegnato: tutte, al plurale, sono il Vangelo:solleciatazione a non chiudersi in un’unica via ma ad accogliere le tante vie che devono essere riconosciute tutte come buone.

- Pedagoghi e padri: non c’é contrapposizione. La tensione tra i due termini sta nel fatto che molti ci conducono ma pochi danno la vita per noi

- Invito ad essere generanti. Non essere chiamati Padri ma esserlo di fatto, con potenza.Per questo li esorta a divenire suoi imitatori (v.16).


= “Amati, diletti” attributo con cui chiama i cristiani di Corinto.Nel Vangelo é dato solo al Figlio Gesù , poi siccome il Vangelo viene portato fino ai confini della terra, viene attribuio a tutti i cristiani.Punta a quelle relazioni intime che esistono tra Gesù e il Padre e che sono il trasferimento a noi del mistero e della persona del Signore.

= v.6 “Non bisigna andare al dilà di ciò che é scritto” I guai dell’orgoglio cominciano di qui : nell’andare al di sopra delle parole. E’ proprio nel Vangelo che si realizzano queste relazioni preziose.Il Vangelo é potente a generare: le parole scritte diventano potenza. L’Apostolo può chiedere di essere suoi imitatori perché in lui risplende il Vangelo come in Gesù risplende il Padre: Il Vangelo non è una semplice lettura ma la manifestazione del volto di Cristo. In Paolo traspare Gesù e in lui tutti possono riconoscere la potenza di Dio( attraverso le fatiche, i travagli, le difficoltà, i rifiuti cfr.v.9 ss.)

= Impressiona la fragilità della situazione. A causa delle sue assenze sono esposti a un certo pericolo e la sua nuova presenza potrebbe aggiustare le cose. Di qui l’invio di Timoteo che può ricordare ai Corinti le sue vie.

= Le mie vie in Cristo, c’è anche il possessivo nel testo originale. Da una parte c’è la riaffermazione dell’oggettività (in Cristo) e non la sequela di vie soggettive. Dall’altra si è invitati ad ammirare la varietà dei doni di Dio. Ci sono dei tempi nel nostro cammino in cui vediamo sottolineate particolarmente alcune linee rispetto ad altre ( vedi la nostra piccola Regola). Eppure tutto è in Cristo che è sempre lo stesso Signore. Restando fedeli al Vangelo possiamo ammirare la varietà dei doni. Se andiamo “al di sopra” perdiamo la concordia e la pace.


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30/11/2011 22:34
 
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1 Corinti 5, 1-13; 



Potati per la nostra salvezza


- Ho colto l’invito all’umiltà del cuore per ciascuno singolarmente ma anche di umiltà tutti insieme, di timor di Dio e beatitudine nella mestizia del pentimento come segno di vera forza nel Signore.

Preghiamo per la nostra famiglia perché faccia cadere ogni giudizio verso altri nella consapevolezza degli errori e delle ferite che rigurdano noi nell’insieme: la nostra non riuscita nella preghiera e nella carità, segni della nostra lontananza dal Vangelo

Ci aiuti la consapevolezza dei nostri peccati e la convinzione che noi, prima di tutti, siamo chiamati a conversione. Preghiamo perché il vanto di orgoglio sia sostituito dall’unico vanto del Signore che anche in questo momento ci accoglie nel suo perdono.


- Grande sgomento perché non è la correzione fraterna come é presentata nel Vangelo

- Gesù é stato consegnato ai sommi sacerdoti (Satana?) perché il suo corpo fosse distrutto per la salvezza. In prospettiva positiva : per la salvezza.

- Stesso concetto del testo dell’adultera: ‘va e non peccare più’. Vuol dire ‘distacca il tuo cuore dal peccato: addolorati per il peccato’.

- Tenere conto che poteva essere un peccato non avvertito data la loro provenienza pagana. La legge di Mosè l’aveva individuato chiaramente (Lev.18). Mancava loro la consapevolezza che essere passati nella Pasqua del Signore comportava l’inveramento di tutta la visione di Dio sull’uomo che anche l’antico testamento aveva dato. La scomunica dalla comunità, che ha in sé tutti i doni necessari alla difesa da Satana, é per sperimentare il bisogno di salvezza nella comunità.

- Consegnato a una condizione di morte per sentire il bisogno della salvezza.

- Brano diviso in tre sezioni : il caso specifico, il ricordo degli azzimi, alcune considerazioni più generali. Il cuore del suo discorso é il dovere di celebrare la festa come si deve : contro l’ubriacatura etica dei nostri tempi la morale deve essere funzionale alla festa di Pasqua. Attenti a non essere più trasgressori dei pagani. Il giudizio è per la salvezza, per la terapia. Infine non possiamo giudicare le cose esterne alla comunità. Sarà Dio a giudicare quelle. A noi sta porci ‘con potenza e non con parole’, cioè con un modello di vita che possa essere giudizio per il mondo.


= Condivido la precisazione che conviene tenere le parole come sono, insieme alla sottolineatura della festa e alla distinzione di giudizio ‘di dentro’ e ‘di fuori’.

Ma il tema di Paolo é l’orgoglio dei Corinti che definisce così :” andare sopra a ciò che è scritto, non starci sotto (4,6)”. La sua prima accusa : rigonfiano di orgoglio invece di rattristarsi. L’orgoglio potrebbe consistere nel dire ‘non importa’ di fronte a un fatto grave. Invece a Dio importa. L’atteggiamento positivo é l’afflizione (é la prima indicazione che viene data), l’essere ‘tolto di mezzo’ sembra strettamente legato alla loro afflizione ( beatitudine di Mt. legata alla morte e alla morte di Cristo). Il modo vero di affrontare il peccato dell’altro é la categoria del dolore (d.Giuseppe) : vuol dire una partecipazione.

tolto di mezzo” : ‘potato’ direbbe il Vangelo di Giovanni per aprire una prospettiva di salvezza per il colpevole che non potrà salvarsi se non sarà consegnato a Satana. E ancora prima di arrivare a ‘salvezza’ la parola ‘rovina’, anche questa sempre in vista di una risurrezione, ricostruzione. Passaggio necessario per poter giungere alla gioia di poter essere salvati.

Altrimenti tutto si appiattisce e non c’é la festa nuova.

E’ importante che lo riceviamo insieme, non solo singolarmente. Questa afflizione é proprio un frutto della Pasqua. E’ perché si é accesa una luce che tante cose ci affliggono. Se ci vediamo di più, più cose pure ci affliggono. Tante volte rischiamo di chiudere gli occhi davanti a noi stessi e davanti a tante realtà. Da tutto questo viene un suggerimento in ordine all’umiltà, alla misura di noi stessi.



23-4-97 1 Corinti 6, 1-11; Gv 14, 22-26 (Giovanni- Ritiro Sovere)


 

Subire ingiustizia per celebrare il Signore in noi


- La nostra partecipazione alla messa è la fortuna di essere giudicati ogni giorno dal Signore ed evitare così il giudizio finale. In confronto a questo è incommensurabilmente triste farsi giudicare dai tribunali pagani il che accade ogni volta che torniamo alla razionalità dei diritti e dei doveri, alla difesa di ciò che dovrebbe essere il riconoscimento del nostro spazio e del nostro impegno.

Quanto affaticamento, per questi motivi, nella nostra vita e quindi quanta estraneità dal Vangelo. Quando l’apostolo dice che è preferibile subire ci mostra semplicemente la via di Gesù. Nella nostra vita c’è un accumulo di fatica e di tristezza perché lasciamo entrare il tribunale pagano.

Domandiamo al Signore di essere finalmente liberati da tutto ciò che non è Vangelo. Chiediamo al Signore di tagliarci le ragioni delle nostre ragioni e di consegnarci al silenzio di cui parla la Regola e che secondo Sofonia é l’ora del giudizio mite che il Padre ha espresso in Gesù per la nostra salvezza.


- Grande rilievo dato alla condizione in cui ci si trova all’interno della comunità. Santi cioè santificati, capaci di giudicare gli angeli. Dignità altissima che si vive all’interno della comunità. Il rischio è di cercare fuori i soccorsi e le consolazioni di cui abbiamo bisogno.

- Chi é stato giustificato non può non accettare di subire ingiustizia dal momento che molto gli è stato perdonato.

- Il centro del testo é il v.7: é preferibile subire ingiustizia anche per porre fine alla spirale dei risentimenti umani. Così Gesù davanti a Pilato, così Paolo quando esorta a vincere il male col bene.

- L’insegnamento di Paolo è in ordine a un cammino nella consapevolezza degli effetti della passione del Signore.

- Non é l’invito a lavare i panni sporchi in famiglia ma a sentire l’esigenza della testimonianza della carità che dobbiamo nella comunità e anche nei confronti di chi é più esterno.


= Innanzitutto un legame essenziale con il testo di ieri: oggi per un atteggiamento mondano si fa giudicare, ieri per lo stesso atteggiamento mondano non si voleva giudicare e affrontare un problema grave. E’ sempre perché non si sta “sotto a ciò che è scritto” per un atteggiamento mondano.

- “Ingiusti” come nell’antica economia : colui che non é dentro allo spazio della giustizia di Dio come lo sono i “santi” che non sono i bravi, ma quelli riempiti dalla grazia. L’abominio descritto oggi è che questi santi che hanno avuto tutto il dono di Dio si espongono al giudizio di chi non é a conoscenza di Dio agli ingiusti. Qui é esplicitato il criterio del giudizio (v.6): é Gesù che viene portato davanti agli infedeli e messo a morte da noi! Tutte le volte che non esprimiamo il giudizio del Vangelo ci rendiamo rei della morte del Signore.Invece di celebrare il Signore, celebriamo la parte degli uccisori.

Quello che conta é celebrare la festa: anche adesso quello che conta é celebrare il mistero del Signore in noi.

E’ un giudizio che assolutamente va esercitato assumendo ciascuno il giudizio di salvezza. La forma nuova del giudizio é la passione di Cristo. Ogni volta che veniamo a messa siamo sottoposti al giudizio della memoria forte della morte del Signore di cui noi risultiamo gli uccisori. Noi siamo santi perché ogni giorno, nel sacrificio di Cristo, siamo confermati nella salvezza dal male. Noi possiamo anche assumere i criteri della mondanità, ma tutto questo non eredita il regno di Dio. La bellezza del tribunale di Dio è che provoca la conversione. Tutte le volte che lo Spirito Santo ci consente mitezza liberiamo attorno a noi una potenza più grande di quando affermiamo noi stessi. La croce del Signore crea in mezzo a noi la vita nuova e la sua efficacia perché crea in noi il pentimento.


24-4-97 1 Corinti 6, 12-14; Gv 14, 27-31 (Giovanni- Ritiro Sovere)


Il Signore é per il corpo

-Oggi il Signore ci apre una porta preziosa nelle Scritture che é il centro di ciò che ci deve essere comunicato. Nessun testo del NT parla del corpo in modo più circostanziato e più prezioso. Si tratta di un tema centrale, mentre non sempre lo è nella comune riflessione dei cristiani. Lo é ancora più raramente nella dimensione espressa dal testo di oggi, cioè nel riferimento fondamentale tra il corpo e il Signore, avvenimento centrale e quotidiano della vita cristiana, il contatto con il S. nel mistero del sacramento del suo corpo. La grazia di oggi potrà essere quella di entrare nell’ascolto di questo particolare annuncio con più attenzione, preghiera, supplica, pianto, ringraziamento. Chiediamo al Signore di riceverci pentiti, bisognosi di essere salvati, desiderosi di essere illuminati, col rimpianto di avere perso il suo dono seminato in noi con tanta cura, col desiderio di rientrare in pienezza nel dono.


- C’é una parte che facciamo noi ma c’é anche una parte del Signore che tende verso il nostro corpo. E’ consolante. - “Tutto é lecito”, visione altissima della dignità e libertà dell’uomo (= ‘non sapete che giudicheremo gli angeli?’; ‘tutto é vostro, ma voi di Cristo e Cristo di Dio’3,23 ). - “Non tutto giova”, criterio che porta a una grande limitazione della libertà. Essendo il corpo orientato alla resurrezione, non giova tutto ciò che ci trattiene nella realtà mondana, giova tutto ciò che ci fa camminare verso il Padre. - Il Signore é per il corpo. Il S. vuole stare nel nostro corpo e noi dobbiamo essere il tempio della sua presenza, in questo modo egli ci libererà dalle passioni - Si potrebbe avere una traduzione diversa “ Il corpo non appartiene alla fornicazione, il S. appartiene al corpo” Il problema é l’appartenenza, per questo bisogna fuggire la fornicazione, altrimenti si perde l’appartenenza al S. - Il criterio del “Non tutto giova” pone in una condizione delicata. I precetti erano più chiari, ora si è più esposti a dover capire (con l’esperienza ?) la misura della libertà in relazione alla risurrezione del S.


= C’é un altro punto della traduzione che va rivisto. Temerario tradurre “Tutto mi é lecito”, meglio più modestamente e letteralmente“ tutte le cose mi sono lecite”. Travisa meno il pensiero di Paolo e appare più legato, come é, al problema dei cibi, che non posso prendere come voglio perché c’é la carità di mezzo. Altrimenti tutti pensiamo spontaneamente a una totale legittimità di tutte le azioni. Il discorso sta volgendo verso il rapporto corpo/carità . Io ho intorno a me tante cose, persone, o precetti ed entro però in questa situazione nuova per la quale la giustizia o l’ingiustizia non é determinata da una certa staticità delle cose e del precetto quanto dalla sua intenzionalità e dal suo scopo. Il passaggio dal regime della legge al regime dello spirito é questo. La resurrezione di Gesù nel suo corpo é il grande avvenimento che ha cambiato tutte le cose. E’ buono ciò che giova, non ci deve essere nessun elemento che mi ‘domina’. Questo verbo viene ripreso all’inizio del capitolo 7 per dire che la moglie e il marito devono reciprocamente pagarsi il debito nella vita sessuale perché il marito non può essere il padrone del suo corpo nè la donna del proprio corpo. E’ l’altro che é il padrone del tuo corpo in ragione della carità, perché loro devono sempre celebrare questa. E’ il comandamento dell’amore, cioè le grandi nozze con Cristo devono determinare tutta la mia vita. Colpisce l’importanza data ai corpi. Coagulo di elementi corporei in cui però si colloca ciò che uno é. Il corpo nostro, quello di Cristo, i loro rapporti reciproci e infine il grande discorso sulla resurrezione. Valore assoluto che il nostro corpo ha a motivo del suo. Dal giorno del nostro Battesimo in poi, quando Dio ci strappa dalla nostra morte, noi sperimentiamo la risurrezione dai morti. Che é stata, é, e sarà. E’ l’opera del Signore di cui facciamo continuamente esperienza.- Non si possono considerare più le cose nella loro percezione immediata. Se non c’è la resurrezione di Cristo la relazione fondamentale resta una relazione di un corpo con un altro corpo, non può essere più corpo/Cristo e quindi rimane impudicizia/ fornicazione. Si definisce qui che la chiamata globale di tutti é la verginità: essere il corpo per il S.: relazione di tutti a motivo della resurrezione di Cristo. L’umanità é la ‘moglie’ di Cristo e lui da’ la vita per essa. Su questa si innesta il sacramento del matrimonio, dove l’altro ti é dato come segno altissimo del Cristo e della chiesa. Il senso della nostra vita é l’amore di noi per lui. E’ l’elemento che va al di là della morte: l’amore, il volersi bene, la carità. Il nostro corpo é destinato alle nozze. Tutto ciò che non giova a queste nozze non va bene.Dalla morte alla vita perché la nostra vita sia con lui : va dedicata a lui perché lui per primo é dedicato a noi. Lui é dedicato a noi attraverso la croce e noi attraverso la stessa croce siamo dedicati a lui, consacrati a lui. L’amore é il linguaggio di questa consacrazione. Del corpo dell’altro dovremmo sempre pensare che é quello per il quale Cristo é morto! Questo glorifica ogni corpo malato, deforme debole.


25-4-97 1 Corinti 6, 15-20; Mc 16, 15-20 (Giovanni- Ritiro Sovere)


Non sapete che siete...?


- Affidiamo all’Evangelista Marco questa celebrazione dei misteri nella tonalità delle parole che oggi riceviamo dalla bontà di Dio. Tema centrale della nostra fede quello del corpo sarà un punto di attenzione privilegiato anche per gli anni che ci aspettano. I doni del Signore su questo mistero grande del corpo impegnano la nostra casa e famiglia a partire da quel corpo pienamente realizzato, pienamente dato ed espresso che é il corpo di Gesù.

Chiediamo al Signore la grande grazia di non farci traviare nè da spiritualismi sospettosi nè da cedimenti banali. Renda invece sempre più ricco un grande dialogo, all’interno delle nostre famiglie, una grande comune esperienza a partire dal corpo del Signore. Per questo è necessaria una virtù descrittiva del rapporto di Gesù con il Padre, l’umiltà. Essa consente di guardare con verità e realismo, e soprattutto con grande speranza di bene e di comunione per guardare con gioia, a un tema che se guardato con paura o con orgoglio di fatto può portare a molta sofferenza e a molti dolori. Chiediamo perdono al S. per non aver accolto con vera castità il suo dono. Il dono é dato ogni giorno perché tutto rinasca per il bene dell’altro. Domandiamo per noi e per tutti una quiete una confidenza serena una grande fiducia per comunicare a noi stessi e tra di noi e ai nostri fratelli più giovani e più anziani, E per entrare nel mistero di colui che ha assunto la nostra corporeità per farne il luogo della grande celebrazione dell’amore.


- v.13 “ per...per...” : il fine e lo scopo del nostro stesso esistere. In questa terra si é uniti al corpo del Signore dopo la morte si é uniti nella resurrezione.

- Assimilazione tra il corpo e Dio. “ chi ...pecca contro il proprio corpo”. Tesoro da custodire. Deposito affidato alle nostre cure.

- Non sapete ? ripetuto tre volte. Non appartenete a voi stessi per la presenza dello Spirito Santo e ciò nasce dalle azioni di Dio nei nostri confronti. E’ dal sacrificio del Signore che tutto ha fondamento e ritroviamo il senso di tutto questo.

- L’alternativa alla fornicazione non é né la l’autocontrollo né una donna legittima ma avere un rapporto di comunione con il Signore. Oltre che il fine é anche il principio, una realtà data. Accento sul fatto che l’acquisizione é fatta: il prezzo é già stato pagato, il dono é già stato fatto. Rimaniamo in questo, senza ricerca di movimento e rimanendo nell’approfondimento del dono.

- In Ap.14 c’é per due volte “comprare”. I “redenti” sono “vergini”, anche gli sposati che certamente non si sono contaminati con donna. Perciò verginità non solo astensione dalla sessualità ma qualcosa di più.


= E’ il nostro Battesimo la verginità. Una volta era ovvio legare la verginità al Battesimo dopo di ché anche sul piano educativo era più facile capire che quindi non è che uno scegliesse la verginità o il matrimonio. La verginità é di tutti in quanto rapporto con il Signore. Quindi é la nostra consacrazione battesimale la verginità. E’ chiaro che si esige che sia nuzialità sia verginità nell’ età adulta della fede, vengano confermate davanti a Dio e che Dio stesso le sigilli .

- A proposito del v. 17 “chi si unisce al Signore forma con lui un solo Spirito” mi sembra che Paolo incalzi nell’argomento quando cita Genesi “ i due -é detto- saranno un corpo solo”, ma se si unisce al Signore é “uno spirito solo” per dire che quindi c’é un trascendimento rispetto al quale il testo di Gen è profetico e rispetto al quale quello che adesso succede quando due si sposano è che in realtà sono un solo Spirito perché ognuno dei due unendosi all’altro, come segno del Cristo, si unisce a Cristo. Quindi questo v. vale come compimento della realtà e di chi non si sposa e di chi si sposa, in ogni caso tutti si uniscono a Cristo, quindi tutti sono un solo spirito con lui. Il matrimonio certamente compie questa realtà. E’ un’ unione a Cristo che il matrimonio celebra. Non celebra semplicemente l’unione tra loro due. Sono uno stesso spirito in Dio, uno stesso Spirito in Gesù. Non possono che riceversi reciprocamente come segno del Cristo. - “Non sapete?” No, non si sa! Queste cose sono svelate all’interno dell’Evangelo senza Evangelo non si sanno. Chi può sapere tutte queste cose ? E’ impossibile che uno fuori dall’annuncio evangelico le sappia. Che non ci si appartiene, che siamo stati comprati e soprattutto che il peccato è un peccato grave a motivo di Cristo.Ma il problema più grosso é il peccato di cui si parla è un peccato grave a motivo di Cristo. E questo non viene mai fuori. Quello che compare invece è quello che è legato alla pura naturalità del problema e alle sue inflessioni di tipo psicologico. Tutte cose che non sono l’argomento che lui porta qua. Si sa che è grave, ma non si sa perchè è grave. Si sa che è un comportamento grave perchè è molto ricco dal punto di vista delle reazioni. Ci si sbaglia nella valutazione, non si coglie il tema centrale che é l’attentato a ciò che siamo e non a un comportamento ( ‘ non sapete che siete ...? ‘ ): ci si fa sommergere dagli aspetti psico-emotivi e non si coglie il mistero del Signore. Riflettiamo sui tre “non sapete ?” per poterli sapere bene perché lì ci sono le motivazioni del mistero da sapere. Ed é la meraviglia che qui c’è dentro, e cioè questa cosa straordinaria che non è prevista da nessun pensiero umano cioè che se tu ami una persona questo amore tende alla creazione di un organismo unico ( come nell’immagine della vite e dei tralci che son proprio una cosa sola, non vivono se non insieme ). Queste cose noi non le sappiamo se non dal vangelo ! Solo il Vangelo dice la meraviglia che ad ogni creatura umana Dio ha regalato attraverso il mistero di Gesù. E noi abbiamo bisogno di essere restituiti continuamente a questa memoria perchè altrimenti torniamo a dimenticare chi siamo. Bisogna che continuamente noi accettiamo con umiltà di doverci convertire alla memoria evangelica, cioè a Gesù stesso per ricordarci chi è lui e chi siamo noi. Perchè altrimenti ci facciamo delle altre religioni e si fanno delle altre teorie che non sono più la nostra fede. Solo il Vangelo dice la meraviglia del mistero di nuzialità tra Dio e l’uomo. Che ne é del mio corpo, dato il Signore? Nessuna realtà é più immediata. Non è il peccato più grave ma quello in cui più faccio esperienza in modo emergente del mio rapporto con Gesù ed esperimento in modo emergente la mia infedeltà. Anche rispetto ai giovani è inutile fare il ragionamento, l’unica cosa é fare l’annuncio, perchè è solo Gesù che può giustificare tutto questo. Nessuna ragione di buon senso. Nessuna bella spiegazione (‘è il segno del volersi bene, è il segno del patto tra due persone.’). Per un momento bisogna ricordare che le regole seguono l’annuncio.

26-4-97 1 Corinti 7, 1-7; Gv 15, 1-11 (Giovanni- Ritiro Sovere)


Non sapete che siete...?


- Questa mattina domandiamo un ultimo sigillo di grazia e di misericordia al Signore che ci ha accompagnati e guidati e rigenerati con tanta tenerezza in questi giorni, propio anche dalla protezione particolarissima che abbiamo avuto dalla vicenda di Luca e dall’affetto e dalla preghiera di chi gli è stato vicino. Mi ha colpito che abbiamo avuto notizia della sua partenza da noi al termine della lettura del rito della professione che stavamo facendo qua. Commento sapienziale ed estremamente concreto di tutto ciò che nei giorni scorsi avevamo ricevuto dalle Scritture. Davanti alle parole di questa mattina siamo tutti confrontati con severità sia per la nostra aggressività ma anche per le nostre indifferenze, le nostre interpretazioni della vita secondo il potere e il possesso e anche i grandi vuoti del nostro cuore, tutto quello che ci impedisce di essere offerti a Dio come lo è certamente questo piccolo bambino.


- “non astenetevi”: Non defraudatevi, portare via un bene che appartiene ad un altro. Il bene dell’amore coniugale. Protezione dell’amore coniugale come bene. Il pericolo è perdere questo bene, privarsi del bene come impoverimento.

- “non toccare donna è cosa buona”. Gesù dice nel vangelo di Giovanni alla Maddalena “ non mi toccare perchè non sono ancora salito al Padre”. Forse il motivo è che Gesù è in movimento verso il Padre e il mio contatto può rallentare od ostacolare questo movimento di ritorno al Padre. Ci sono tanti spazi nei quali possiamo impedire il viaggio di comunione verso il Padre del fratello e della sorella.

- Preferibile aderire al testo dove si trova una grande glorificazione della verginità considerta superiore a tutti gli altri doni. Annuncio grande dato agli sposi. Anche per loro c’è il dono della verginità. Le indicazioni che vengono date sono per far fiorire questo dato battesimale dato a tutti.


- domando se è proprio vero che ne è stata fatta una lettura così letterale, soprattutto perchè è stata introdotta una parola inesistente nel testo e cioè la parola verginità. Cioè mi chiedo se di fronte a questo testo non si dà per scontato una interpretazione tradizionale sulla quale bisogna chiedersi se quando lui dice che “tutti siano come lui” si riferisca al suo stato di verginità. Questo lo possiamo affermare ed essere nella probabile esattezza, ma mi chiedo se l’esigenza non sia qui molto maggiore. In verità sulla sua verginità lui non diece niente, mentre invece si trovano molte cose che lui dice di sè, fino a dire in modo assoluto che tutti devono imitarlo e vuole che “tutti gli uomini” siano come lui. Ho considerato un indebolimento della traduzione il condizionale e che quello che è tassativo è che tutti siano come lui. Per cui poi dopo ho spinto meno su quel “ma”, perchè in realtà dato un elemento fondamentale, poi tutti devono correre secondo quella che è la volontà di Dio. Non mi sembra molto semplice qui contrapporre la verginità dell’apostolo e la loro condizione di sposati, lo sento come un vestito troppo stretto, la mia proposta è Gesù! Cito un solo testo per spiegarmi, cap. 4, 9-13 dove la descrizione della condizione dell’apostolo che lì si fa, ci aveva indotto a fare l’osservazione di come emergesse potente l’icona del Signore Quindi io ho letto progressivamente questo testo in termini piatti, incollati, per arrivare a dire che sulla condizione degli sposi il Signore ci dice cose importantissime assolutamente globali “voglio che tutti”. Percorrendo quelle che sono le esigenze profonde delle nozze molte cose dice a me.

C’è una dinamica di crescita in tutto questo perchè dobbiamo diventare quello che siamo e per certi aspetti siamo sempre nell’amareza della negazione di questo, per esempio il “toccare donna”.

Questo verbo “toccare” nel N.T. è un verbo fortissimo. Se non si può toccare donna allora bisogna averla, anzi bisogna riceverla e poi spiega come si fa a stare insieme. E quindi dice che tutto quello che bisogna dire della dottrina del matrimonio è esattamente l’opposto del toccare donna. Noi da anni cidibattiamo sul fatto che secondo noi la formula liturgica in italiano del matrimonio è troppo possessiva.

Così nell’incontro di Gesù con Maria Maddalena noi non possiamo prenderlo perchè non è nostro, proprio perchè salendo al Padre lui potrà andare e poi ritornare e starà ma non possiamo noi prenderlo prima che lui vada perchè il Cristo non lo si può nè prendere nè trattenere ma solo ricevere in dono e quindi “glorificato alla destra del Padre, a noi donato nel suo spirito e come Gesù Cristo così la sposa lo sposo eccetera. Non si può toccare. Si può solo ricevere.

Su questa strada ho trovato delle risposte che mi sono sembrate importanti e che mi hanno dato una certa letizia. Per esempio questa condanna della solitudine a me sembra molto importante, cioè che non c’è nessuno che sta da solo a causa della “pornia” mi sembra molto importante, perchè l’altro ti viene dato come un aiuto a causa di un pericolo che incombe su di te. Ieri ci aveva dato una prima spia usando una parola importante nel N.T., rara ma importante, “ fuggite !”, oggi ci dice qual’è il metodo di fuga, la comunione d’amore! Quindi questo rapporto tra solitudine ed esposizione alla “pornia” è una realtà che si sente che è preziosa che è un dato assoluto della vita.

Così come mi ha preso molto il cuore il fatto del “dovere” verso la moglie perchè in realtà si tratta appunto di restituire il debito, di pagare il debito, tanto che nei termini tecnici si usa sempre questa terminologia del “debito”, anche nei termini dell’etica matrimoniale, parola tanto bella. Paolo al cap.9 ci parla del fatto che lui predica gratuitamente il Vangelo e questa è una necessità che gli incombe , e dice “ma io lo devo fare!” Mi pare stupendo il fatto che ci sia la segnalazione di questa cosa fondamentalissima per l’interpretazione della vita cristiana e cioè che tutto comincia con la scoperta che dobbiamo pagare un gran debito. Due parole spingono verso quel meraviglioso versetto del cap.13 dei Romani “non abbiate alcun debito con nessuno se non quello di un amore vicendevole”. Fa capire che questo debito della carità è il debito fondamentale e che bisogna pagare questo debito.

Il versetto seguente pone subito il problema del potere, e si fa vedere che sul problema del potere ci sono tre ipotesi. La prima è che evidentemente “non posso farmi dominare da niente”, la seconda ipotesi è che però neanche tu puoi essere dominatore dell’altro se no vieni preso in giro da Gesù come fa nel Vangelo di Luca quando dice che coloro che hanno il potere si fanno chiamare anche “benefattori”, e non è vero perchè è vero invece che esercitano un potere, e quindi la via del potere è questa consegna all’amore per cui il potere è quello che “l’altro” ha su di te, per cui non sei tu il padrone ma è l’altra persona che è il padrone. Per cui diventa una caratteristica assoluta del mistero cristiano questa introduzione del terzo potere, questa assoluta novità per cui siamo servi gli uni degli altri, e dobbiamo tutti continuamente reciprocamente pagare il debito e non dobbiamo avere debiti con nessuno se non quello della carità vicendevole. Certo rispetto al fatto che tu sia dominato da qualcuno il riscatto di questo è certo già un riscatto, ma uno non può fermarsi all’ipotesi drammatica che tu sia padrone di te stesso, allora dice, no c’è un’altra ipotesi che quindi invece ci sia di fatto questo mistero dell’amore, interpretazione radicalmente rinnovata del potere.

Così come mi sembrava molto importante il rapporto tra la nuzialità, l’esercizio della sessualità e la preghiera, perchè è vero che la preghiera èla via più alta della celebrazione nuziale della nostra comunione con Dio. Ed è, mi pare, straordinariamente bello perchè da una parte quindi, l’unione dei sessi nel matrimonio viene elevata di dignità e dall’altra la preghiera viene qualificata come l’atto supremo della nuzialità. C’è rapporto ! Non è vero che non c’entra la preghiera col sesso! E Paolo introduce questo discorso per farci vedere che c’è vicinanza tra preghiera e gesto della nuzialità perchè certamente la preghiera è la celebrazione più diretta che noi abbiamo con lo “sposo di sangue” della nostra vita. E’ li che in modo grande lui si incontra con noi e noi ci incontriamo con lui.

per comprensione” non nell’uso comune di “sii comprensivo, cioè abbi compassione”, qui invece dice che lui queste cose le sa, e che quindi questo è il frutto e il dato della sua esperienza e di una esperienza comune, per partecipazione conoscitiva.

Il v.7 che conclude è il sigillo volitivo di tutta questa faccenda. “ Voglio che tutti siano come me” ma non nel senso che tutti siano frati, ma nel senso che tutti siano nell’ innesto cristiano profondo. Non che lui sia aperto a una delusione...penso che lui in prima istanza si riferisca a quella verginità di fondo che è il nostro battesimo e la nostra appartenenza esclusiva e gelosa al Cristo, quella che però a motivo di questa gelosia di Cristo ti spinge se sei sposato a pagare il tuo debito- e questo credo che gli sposi lo conoscano bene come dato serio di castità, assai serio, e a non essere il padrone del proprio corpo.


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30/11/2011 22:36
 
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1 Corinti 7, 8-16;

Dio vi ha chiamati alla pace


- Ringraziamo il Signore: per fede siamo stati afferrati da Cristo Gesù e veniamo ogni giorno potati e lavorati perchè il corpo della nostra miseria sia reso conforme al corpo della sua gloria. Siamo stati tutti innestati nel suo corpo glorioso nel giorno del battesimo. Chiediamo perdono al Signore per tutte le volte che ci siamo distaccati dal corpo di Cristo, abbiamo rinnegato la nostra più vera identità, ci siamo separati dai nostri fratelli.


- vs 14: "santificare" può significare, in modo molto semplice, il fatto che uno dei due coniugi porta su di sè l'amore del Signore ricevuto dall'altro. Santità, cioè, intesa come grazia ricevuta, non come comportamento morale. Così appunto la santità dei figli è segno dell'amore gratuito di Dio. Questa interpretazione spiega anche il sigificato di "impurità", parola incontrata spesso in precedenza. C'è impurità tutte le volte che i nostri rapporti umani non riflettono l'amore di Dio.

- Santificare: parola che si è incontrata anche nel capitolo precedente, con riferimento al battesimo. C'è anche in Efesini quando, con riferimento al matrimonio, parla dell'amore di Cristo per la chiesa. E anche nei cap. 10 e 13 di Ebrei. In tutti questi testi si vede che chi riceve la santificazione non ha fatto niente per meritarla. Importa chi fa l'azione, chi "santifica". E' un atto unilaterale, pura grazia, oggi associata al vincolo coniugale.

- vs 8: "...come sono io;" Paolo è nella gioia del dono, e questa è la cosa importante per tutti.

- vs 15: finisce con la parola "pace". Molto importante, perchè i vari casi presi in esame prevedono sempre eccezioni (vs 8, 10, 15). Queste eccezioni non sono viste come peccati, perchè l'importante è vivere in pace. Ogni comportamento deve portare al vivere in pace.


- I capitoli VI e VII della lettera sono un appello rivolto ad una comunità molto divisa. La preoccupazione di Paolo è sottolineare la vocazione comune alla pace. Il brano di oggi ricorda molto il vangelo di ieri (1 Gv 3, 18-24) nel quale ricorreva per ben 7 volte la parola "rimanere". Anche quelle del brano di oggi sono infatti indicazioni nella direzione della stabilità. Ciascuno rimanga nel vincolo, nella situazione in cui si trova. E' quindi un testo facilmente collegabile all'immagine dei tralci inseriti nella vite. Questa impostazione, confermata dallo stesso vangelo di oggi ("Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi..") taglia alla radice la possibilità di scegliere qualcuno. Al vs 9 c'è la parola continenza, che viene ripresa al cap 9 vs 25 nell'esempio delle corse degli atleti ("temperanza in tutto"). La temperanza è richiesta a tutti, non sposati e sposati, perchè tutti devono ricevere il premio.

Per quanto riguarda la separazione (vs 11), è sottolineato che essa non deve essere seguita da una costruzione nuova. E' ammessa se non ci sono poi nuove nozze. In Rm, alla fine del cap 8, viene usata la parola separare per dire che nessuna forza ci potrà separare dall'amore di Dio espresso in Gesù. E' una esortazione molto forte a non lasciare spazio a divisioni.

Per quanto riguarda il vs 14, "santificare da" è in realtà "santificare per mezzo". Cioè il marito (o la moglie) credente non è la fonte della santificazione del coniuge, ma la mediazione per l'opera di santificazione che compie il Signore. La linfa vitale che passa di tralcio in tralcio sembra quindi raggiungere anche i tralci non attaccati. E' la fede dell'altro che tiene attaccato. Forse questo è il ruolo del cristiano: stabilire un ponte, in modo che la fonte della santificazione arrivi a tutti.



29-4-97 1 Corinti 7, 17-24; Gv 15, 18-21 (Francesco)



Importanza/non importanza della situazione in cui ci si trova


- Le parole della scrittura di oggi ci invitano a rimanere nella situazione (dono) in cui ci troviamo. E' ancora presente la luce del vangelo di domenica scorsa (1 Gv 3, 18-24) cioè l'invito a gustare il dono di essere tralci, il dono della comunione col Signore. Con in più un nuovo motivo di riconoscenza per il dono particolare che ci è toccato in sorte. Il nostro atto penitenziale, quindi, è su due fronti: dobbiamo chiedere perdono perchè, distratti dagli eventi della vita, non siamo stati col Signore, e perchè non abbiamo saputo accogliere la nostra situazione concreta come grazia di Dio, e ne abbiamo invece fatto oggetto di lamentela.


- Al vs 17, in mezzo a tanti "rimanere", c'è "camminare". Richiama Rom 6, 4 ("così che anche noi possiamo camminare in novità di vita") e Galati quando dice che non è la circoncisione che conta, ma essere nuova creatura. Cioè non si rimane nella condizione di prima, ma è già cambiato tutto: c'è adeguamento alla Pasqua del Signore. C'è insomma un grande cambiamento, come mostra l'esempio dello schiavo, ora liberto in Cristo.

- Il testo dice che la condizione in cui ci si trova non conta, ma anche conta. Nel senso che le condizioni esterne non devono essere subite o assunte come scusanti, ma devono divenire tramite per dare la risposta giusta al Signore.

- La chiamata per noi si può pensare sia l'appello quotidiano della Parola, che ci interpella in ogni specifica situazione, in senso dinamico.

- La chiamata va intesa come l'invito a camminare ogni giorno nel mistero della passione/resurrezione di Gesù.

- vs 24: ha il senso di approfittare della condizione in cui si è, di saper cogliere il dono. La chiamata iniziale si fa poi storia di ogni giorno, bisogna rimanere e camminare in essa.

- vs 17: si può intendere "....come ha diviso, separato il Signore." La diversità della chiamata è una cosa voluta dal Signore. Questo concetto verrà ripreso al cap 12 (diversità dei carismi).

- vs 21-22: sottolineano un rovesciamento di condizione in funzione del rapporto che situazioni contrapposte hanno col Signore. Poichè Cristo ci ha comprati a caro prezzo, si smette di appartenere agli uomini e tutto si rovescia.


- Notare la svolta che si realizza col testo di oggi. In modo esplicito Paolo estende il discorso dal problema sposato/non sposato a tutti gli aspetti della vita cristiana. Il che conferma che anche i brani precedenti andavano interpretati in senso generale (ad esempio, quando diceva "come sono io", vs 8, si può intendere che si riferisse non tanto al suo stato di celibe, quanto al suo essere unito a Gesù).

I due esempi di oggi sono molto forti, perchè c'erano grosse differenze fra persona circoncisa e non circoncisa e fra schiavo e libero. Quindi appare ancora più forte l'affermazione della indifferenza dell'essere in una situazione o in un'altra. La cosa importante è osservare i comandamenti, nel senso che questa è la via per rimanere nell'amore, come dice il vangelo. Ciò che al fondo rende indifferenti le condizioni è che siamo stati tutti riscattati da Cristo, siamo suoi. Sopra tutte le differenze, conta molto di più essere di Cristo.

E' però anche vero che, da un altro punto di vista, appartenere ad una specifica condizione non è indifferente. Lo schiavo deve rimanere schiavo, e approfittare di questa sua situazione particolare per cogliere la grazia speciale ad essa associata. Quindi dovremmo riguardare a tutte le nostre situazioni particolari non come a lacci che ci limitano, ma come ad occasioni di ringraziamento e di letizia.

30-4-97 1 Corinti 7, 25-35; Gv 15, 22-25 (Francesco)


Vicini al Signore, senza distrazioni


- Chiediamo ai quattro santi della nostra regola che ci aiutino ad accostarci al testo di oggi. Paolo ci parla della ricerca/desiderio di stare vicino al Signore senza distrazioni. Dio vuole la comunione con noi. Ci è richiesto un comportamento sapiente nella nostra relazione con le cose, le persone, il tempo. Chiediamo perdono per i nostri affetti sbagliati, per le nostre distrazioni, le nostre lontananze dal Signore della nostra vita.


- Il testo di oggi per certi aspetti può suscitare perplessità. Sembra insistere sulla scelta della verginità, condizione descritta come più favorevole per la comunione col Signore rispetto al matrimonio. Si potrebbe vedere una contraddizione con Genesi ("non è bene che l'uomo sia solo"; "crescete e moltiplicatevi"). Lascia perplessi anche l'ipotesi che chi è nel matrimonio trovi più distrazioni e difficoltà di chi non è sposato.

- Ma bisogna distinguere fra Gen 2 (prima del peccato) e Gen 3 (dopo il peccato). Questo mondo deve cambiare: non corrisponde a quello che aveva (ed ha) in mente il Signore e che è descritto dai "come se non". Oggi il mondo tende a contrapporsi a Dio, vuole prendere, possedere, farsi Dio. Paolo vuole che i fedeli, per far posto a Dio, si ritraggano dalle cose del mondo.

- C'è un qualcosa che sfugge in questi testi: sembra importante comporli con Ef 5 dove tratta del Sacramento del Matrimonio, in riferimento anche a Cristo e alla sua chiesa. Ci si può chiedere se la verginità e il matrimonio sono visti come situazioni di fatto, o come doni. Poi non si può non osservare che nella realtà ci sono vergini che non hanno sollecitudine per il Signore, e spose sante. E c'è il problema di come si ponga un consiglio rispetto a un precetto. Ci si può chiedere anche se solo la vergine si possa santificare nel corpo e nello spirito. Infine, porre l'alternativa fra piacere al marito e piacere al Signore lascia perplessi.

- Paolo sottolinea la necessità si essere uniti al Signore senza distrazioni (vs 35). Richiama Lc 14 quando le persone rifiutano l'invito a cena per occupazioni mondane.

- vs 25: E' bello che la fonte dei suoi consigli sia la misericordia ottenuta dal Signore.

- Il dono della verginità è dato col battesimo a tutti. Non c'è contrapposizione, è un'unica strada che dobbiamo percorrere assieme.

- Paolo vorrebbe che i Corinti fossero senza preoccupazioni, perchè tutte le preoccupazioni sono non buone. Vedi episodio (Lc 10, 38-41) di Marta e Maria. Il fine di tutto non deve essere la preoccupazione della propria santità, ma la comunione col Signore.

- Un'osservazione di carattere generale: ogni parola di Dio vale per tutti e per sempre. Non c'è versetto che sia dedicato ad una speciale categoria. Quindi anche il testo di oggi riguarda tutti. Bisogna anche ricordare che non è questo il testo della teologia delle nozze, ma Ef 5. Con questo testo il Signore vuole farci riflettere sulla nostra vita: essa è una realtà transitoria, per cui dobbiamo comportarci "come se non", per rivolgere il nostro cuore più in alto, al Signore.


- E' importante considerare in modo unitario le raccomandazioni iniziate con la fine del cap 6. Quanto al "non è bene che l'uomo sia solo" della Genesi, bisogna ricordare che la sua prima lettura è in Cristo, nel senso di un preannuncio del mistero della incarnazione. Chiama quindi ad un'unione col Signore, prima che alle nozze umane. Questo "avveramento" dell'unione col Signore si realizza con modalità diverse rispetto a quello che più conta, che siamo tutti redenti in Cristo. C'è, nelle diverse situazioni concrete, un'unica chiamata al Signore. Per il brano di oggi, bisogna ricordare che inizia con "Quanto ai vergini,..."; cioè è un consiglio rivolto ad una categoria di persone, e quindi limitato: rimanere nella condizione in cui si è ricevuta la chiamata, anche per evitare tribolazioni. Consiglio che nasce dalla esperienza concreta di Paolo. Questo non vuol dire che gli sposi non devono esser più sposi; non c'è un primato della verginità sul matrimonio. Ognuno stia nella condizione in cui è stato chiamato. E' l'esperienza di uno molto saggio che vuole dare un consiglio. La cosa importante è la chiamata di tutti al Signore, senza distrazioni. Il tempo si è fatto breve. Tutti, monaci e sposi, siamo invitati a vivere sapendo di questa urgenza, che deve causare in noi una maggiore tensione al Signore.


1-5-97 1 Corinti 7, 36-40; Gv 15, 26-16, 4a (Giovanni)

(a Como)


Il giorno delle nozze è il battesimo


- Invochiamo lo Spirito Santo perchè ci aiuti a ringraziare nostro Padre che ci raccoglie insieme nella memoria di Gesù e dà alla nostra fraternità affettuosa un segno nuovo. Precedentemete abbiamo ospitato questi nostri fratelli, ora siamo ospitati da loro e dalla loro Chiesa. Chiediamo perdono per ciò che per noi non è manifestazione del Signore, e chiediamo di entrare nella quieta fortezza della vita cristiana, da ricevere e comunicare.


- Oggi abbiamo la conclusione dei capitoli 6 e 7 della lettera ai Corinti, che nei giorni scorsi abbiamo meditato nella preghiera durante le giornate del ritiro dei nonni, cosa che ci ha consentito di scandalizzarci di meno. Il cammino con i nonni è stato di grande pace e bellezza, un bel sigillo per queste belle parole. La vita secondo le nozze è regalata e richiesta ad ogni figlio di Dio. La solitudine non è bene, e questo demone viene scacciato dal nostro cuore perchè siamo liberati per la carità, cioè per l'essere l'uno per l'altro. Le nozze hanno il loro esito fondamentale, che è il rapporto con il Signore Il nostro giorno di nozze è fondamentalmente il battesimo, luogo in cui si compie la nostra unione con il Signore. A volte siamo scandalizzati dalla nostra mediocrità; eppure la nostra vita è stata adornata della bellezza e bontà del Signore al di là della nostra risposta. E queste sono le nostre nozze. La punta finale dell'insegnamento di Paolo, è l'intreccio fra la docilità all'unione dello Spirito Santo e l'uso di tutte le nostre facoltà (intelligenza, volontà). Tutti siamo chiamati ad aderire al dono dello Spirito. Nella nostra vita dobbiamo "fare" Gesù, celebrare Gesù, trasformarci in Gesù, diventare il Figlio di Dio impresso in noi fin dal giorno del battesimo. A partire dal dono di Dio (battesimo) si fa appello a tutta la nostra forza. Così la vita diventa una vicenda nuziale vertiginosa. Ci è chiesto di avere uno stupore come quello di un bimbo; c'è molta strada ancora da fare per ciascuno, ognuno lo può vedere nella sua vita. Lo Spirito Santo ci è mandato perché non ci scandalizziamo, perchè non ce ne andiamo e riconosciamo che Lui solo ha parole di vita eterna. Molto il Signore ha fatto, moltissimo vuole ancora fare per noi. C'è una indicazione alla ricerca di linee elementari d'approfondimento nella propria vita che ci impegna sempre più nel dono di sè. Ognuno ricerchi la via più semplice , mite, buona, che ci consegni alla volontà di Dio, in modo da poter anticipare che realmente il Signore abita in mezzo a noi.



2-5-97 1 Corinti 8, 1-3; Gv 16, 4b-15 (Giovanni)



Il sapere non come conquista, ma come dono

 

- Il mese di maggio è un mese importante. Ci dà il senso vivo del desiderio del Signore di visitare le nostre case. Sottolinea la capacità di ogni spirito cristiano di ricevere la Parola. Bisogna che ciascuno assolva la propria responsabilità di favorire la trasmissione nei cuori del vangelo. La lettera ai Corinti a volte crea difficoltà: questo è il segnale della nostra distanza dal Signore. Facciamoci aiutare dalla Madonna. Affidiamoci a Lei per chiedere una vita semplice e mite che ci renda luoghi adatti alla seminagione della parola di Dio. Chiediamo perdono per le nostre resistenze e la nostra aggressività, per tutte le volte che non permettiamo che al centro della nostra persona ci sia sempre Lui, il Signore.


- E' bello che siano questi tre versetti a farci iniziare il mese di maggio, perchè sono versetti molto significativi. In ogni caso la parola di Dio deve essere accolta nella dimensione della fede: deve essere creduta prima che capita e prima di essere con lei d'accordo. Davanti a questa parola non può che esserci la conversione, perchè essa ci sorprende lontani. Solo i miti, solo coloro che sanno di aver bisogno di essere salvati possono accoglierla. Non c'è da aver paura di ferite, sconfitte, guai. Il Signore è venuto proprio per questo. Se abbiamo dei guai, è proprio in essi che dobbiamo pregare.

Come abbiamo visto nel primo capitolo della lettera, i Corinti sono pieni di doni, ma hanno dei problemi. E abbiamo visto che Paolo vuole incoraggiarli. Il primo vs dice che hanno la scienza. E' una cosa bella. Ma (vs 2) la scienza "gonfia". Finora Paolo aveva usato questo verbo per mettere in evidenza errori. Qui il problema è più delicato, perchè non c'è errore: riguardo alle carni offerte agli idoli, i Corinti vedono giusto: sanno che sono carni come le altre. Ma il loro modo di sapere è la conseguenza di una loro conquista, che richiama l'episodio dell'albero della conoscenza del bene e del male. Perchè nel giardino Adamo ed Eva non potevano mangiare quel frutto? Perchè la sapienza deve venire dall'alto, la possiamo solo ricevere in dono da Dio. Quindi il sapere come conquista è una cosa cattiva. (Gesù nel Vangelo non fa parlare i diavoli, che pur dicono la verità, perchè anche la verità, se non è donata da Dio, non è buona). Il vs 2 ci spiega anche come bisogna "sapere": come ha fatto Maria, domandando e accogliendo, anche se non si capisce tutto. Di fronte alle scritture non ci si deve mettere con l'assillo di capire. Bisogna pregare e chiedere l'aiuto dello Spirito Santo per accogliere il Signore senza difese.

Il vs 3 è facile se si guarda a Maria e ai poveri, a chi ha bisogno di ricevere tutto. Per il vangelo non siamo mai abbastanza poveri. Abbiamo sempre in noi una riserva che ci impedisce di accogliere il dono. Seguire il Signore esige una grande leggerezza, una grande capacità di cambiare. "Chi ama Dio è da lui conosciuto". Non siamo noi che dobbiamo cercare di conoscere Dio, ma è lui che ci conosce se noi lo amiamo. Solo in lui riusciamo a capire quello che ci accade.

Questi tre versetti sono l'indicazione della via da percorrere nel mese di maggio. Chiediamo alla Madonna una grande piccolezza interiore, perchè Dio ci possa riempire di sè, senza nostre resistenze. Se vuoi bene, sarai riempito della conoscenza del Signore. Come bisogna conoscere? Da poveri, da piccoli, stupiti anche se affaticati. Se non si capisce, non bisogna avere paura, non bisogna chiudere il libro: semplicemente, bisogna lasciarsi portare.

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09/12/2011 21:38
 
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1 Corinti 8, 4-6; 



Molti idoli e dei, un solo Dio Padre


- La sapienza che emerge dal dono di Dio è sempre una sapienza di pace. Anche se Dio ce la dona, può essere difficile per noi averla, come abbiamo visto ieri. E' di ostacolo l'orgoglio del nostro cuore, che preferisce il merito al dono, la conquista alla gratuità della misericordia. I primi ad essere beneficati dalla sapienza sono i piccoli, per il mistero secondo cui il Padre ha posto la redenzione nel Figlio. E' importante chiedere al Signore la pace nella nostra condizione di figli e di fratelli, nella nostra situazione di ogni giorno, dove pure sembriamo negare la grazia che ci viene concessa. Chiedendo perdono per i nostri peccati, chiediamo anche che il Signore estenda la sua misericordia su tutti i nostri cari, particolarmente su quelli che ne hanno più bisogno perchè sono più soggetti al demone dell'orgoglio.


- Importante il "ma" del vs 6: il mondo è pieno di idoli e di signori, ma per noi c'è Dio Padre.

- Differenza fra idoli e dei: gli idoli (vedi Atti e Apocalisse) sono fatti dall'uomo, e non esistono. Gli dei sono le creature del male di cui si parla in Efesini.

- vs 6: quanto al Padre, direbbe: "dal quale tutto esiste, e siamo verso di lui protesi"; di Gesù invece: "anche noi, attraverso di lui".

- Degli idoli parla anche Sapienza, dove dice che ce ne sono molti anche se non esistono. L'idolo esiste nel cuore di chi l'adora. E' l'uomo che lo crea. Pensando a Gen 3, si può forse dire che ci sono tanti idoli quanti uomini.

- Rispetto alle descrizioni di Dio fatte nell'AT, oggi si aggiungono due parole preziose: Padre e Gesù. In consonanza con quanto si diceva ieri: tutto viene ricondotto al fatto che siamo figli di un unico Padre, e che Dio si è incarnato.

- E' bello che la caratteristica di Dio e la sua unicità siano nella parola Padre. Quando lo riceviamo come Padre noi riceviamo tutto (vedi la domanda di Filippo nel vangelo di oggi). Anche l'unicità di Gesù è data dal fatto che attraverso di lui possiamo ricevere in Padre.


- Il discorso dell'idolatria e dell'unicità di Dio non è un problema di cultura o di coscienza, ma di carità. A Corinto ognuno, afferrando il dono di Dio, si era fatto il proprio idolo. L'idolo è una proiezione di noi stessi (e quindi è più abbietto adorare un idolo che la natura; Sapienza 13); ciascuno di noi ha molti dei e signori. Appena si lascia la carità, si passa subito all'idolo. Nel vangelo, alla domanda di Filippo, Gesù risponde "chi ha visto me ha visto il Padre". Perché? Perchè si vogliono bene. Anche le nozze sono per fare dei due un uno. A volte si obbietta che il cristianesimo è un monoteismo imperfetto. Sarebbe vero se il Padre e il Figlio non si volessero bene. Invece è la meraviglia del monoteismo dell'amore. I primi cristiani si volevano bene ("un cuore solo e un anima sola", Atti). Se non ci si vuol bene, la realtà si frantuma e nascono molti dei. Il dono ricevuto, e la conseguente nostra grande responsabilità, è la perfetta unità nell'amore. Questo si vedrà bene nei cap 11 e 12. Poi Paolo affronterà il tema dell'ultima separazione: la morte, divinità cupa che si erge contro il Signore. Ma Gesù l'ha abbattuta.

Perchè non ci sia idolatria, bisogna che ci sia carità. La carità è descritta nel vs 6. La vera scienza emerge solo dalla carità, cosa che sperimentiamo ogni giorno in casa nostra: se accogliamo la presenza dello Spirito Santo, che è l'amore fra il Padre e il Figlio, va tutto bene, ma appena ce ne allontaniamo, tutto si popola di dei.

La verginità non è in opposizione al matrimonio. Il matrimonio cristiano non è una cosa qualsiasi, ma il mistero dell'unità. Più ci si vuol bene, più si è una persona sola. Si potrebbe anche dire che più ci si vuol bene, più Dio è uno solo. Fuori da questo c'è frantumazione, oppure tentativi di ottenere un'unità falsa attraverso minacce o sanzioni di morte.

5-5-97 1 Corinti 8, 7-13; Gv 16, 16-24 (Giovanni)



Non dobbiamo essere di inciampo alla strada del fratello


- La fede e la carità hanno legato per sempre cielo e terra. L'inizio del cap 8 ci aveva confermato che il muoversi nella nostra vicenda terrena e temporale è tutto legato alla nostra comunione col Padre e col Figlio. Oggi il testo taglia alla radice l'ipotesi di fedi religiose che divengano motivo di insensata divisione. La fede in Gesù ha unito tutti. Per noi è ormai chiaro che ogni aggressività verso il fratello che ci è a fianco è in realtà rivolta contro il Signore. Dobbiamo dolorosamente confrontarci con questa contraddizione: il Signore è l'amore, e noi non ci vogliamo bene. Bisogna invocare il Padre perchè, dalle nostre solitudini cattive, ci porti alla pace della comunione.


- vs 9: libertà. E' una parola altre volte tradotta con potere o arbitrio. Se la scienza diventa potere, è motivo di oppressione. In Ro 14, 10-21 ed in Gal 5, 13-15 viene ripreso il testo di oggi. Bisogna usare carità verso tutti, perchè per la carità Cristo è morto.

- Il testo di oggi critica molte posizioni che sono in noi e nel mondo che ci circonda. Il Vangelo porta ad una consapevolezza dell'importanza dell'incontro con gli altri, con gli elementi anche meno razionali della storia. Qui la consuetudine con gli idoli va tenuta in conto. Non si possono fare semplificazioni, nelle proprie azioni e pensieri bisogna tenere conto degli altri. C'è il primato della carità che solo in Cristo si può affermare.

- vs 8: "Non è questo cibo che fa avvicinare a Dio.."; colpisce che in Gv 4, 34 Gesù dica: "Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera". Questo cibo diventa la volontà di non ostacolare l'altro: è la carità e ci avvicina a Dio.

- vs 7: "Ma non in tutti è la scienza..." si contrappone al vs 1 "..sappiamo di averne tutti scienza." Fa pensare al problema della legge, che non è di tutti in quanto può diventare ostacolo. Come la legge è chiamata a piegarsi, così la scienza. Si è chiamati ad una rinuncia. C'è sempre da confrontarsi con una cosa che è successa (la morte di Cristo per tutti), e prenderne atto.

- vs 13: lo scandalo. Già al cap 1, 23 se ne parlava ("Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei..."). Lo scandalo, visto come caduta del debole. E' scandalo quando, in una storia partita da un gesto di debolezza (cap 1, 25), la debolezza non è tenuta in conto.


- I fratelli di Montesole dicevano che in Medio Oriente i cristiani non avrebbero dovuto bere vino, perchè per i mussulmani è peccato. Sotto l'influenza del cap 7 sul matrimonio e di Gv 15 , dobbiamo tener presente che il massimo bene è il bene delle persone, che poi è la loro strada di comunione con Dio. Questo è il criterio di giudizio per ogni nostro comportamento. L'osservanza dei comandamenti è finalizzata al rimanere nel Signore. Più avanti, nell'esempio di non prendere soldi per predicare, Paolo parlerà di "inciampo" per il vangelo che si verifica ogni volta che si crea un ostacolo per il fratello. C'è il rischio di cadere sotto un regime di precetti; ma la vera norma è la carità, cioè la strada di comunione con Dio in cui ciascuno deve essere aiutato a volere bene. La nostra vita va piegata in questa direzione. Questo testo ci riconsegna l'uno all'altro: quello che conta è non creare inciampo al fratello. Si capisce come Paolo arriverà più avanti a dire che c'è una strada più grande di tutte, la carità, che è al di sopra della legge. E dice anche (in Rm) che chi ama il prossimo ha adempiuto alla legge.

Qualunque norma o precetto che il Signore dà è perchè si possa crescere nel dono di rimanere in Lui. Anche il matrimonio è una cosa insensata se non si capisce che l'obiettivo supremo è il rimanere in Cristo: questa è la verginità. Tutto diventa vero e semplice, tutto è obbedienza lieta se l'amore è il fine. Prima di dire a un fratello "questo è sbagliato", devo pensare al suo bene. Anche una cosa giustissima non serve a niente se non favorisce la strada verso il Signore.



6-5-97 1 Corinti 9, 1-12; Gv 16, 25-33 (Giovanni)



Rinunciare ai diritti per non creare intralcio al Vangelo


- Chiediamo al Signore di poter essere partecipi della potenza dello Spirito che supera ogni legge e vede sempre la possibilità di seguire Gesù, che è l'adempimento di ogni intesa. Domandiamo perdono per ogni strettezza e avarizia della nostra vita, per tutte le volte che abbiamo arrestato l'ispirazione dell'amore e invece abbiamo rivendicato diritti, mormorato, protestato. Solo il perdono del Signore può concederci una vita aperta e feconda in Lui.


- Il superamento che abbiamo visto ieri della legge da parte della carità, torna oggi (vs 1, 6, 12.). Loro hanno il diritto ma non lo esercitano. Al vs 12 c'è la parola sopportare, che ritornerà al cap 13 nell'inno alla carità.

- Undici dei dodici versetti del brano di oggi sono spesi per sottolineare che ci sono realmente dei diritti. Ma poi nell'ultimo versetto dice che ad essi bisogna rinunciare. Il primo a rinuciare ai propri diritti è stato Gesù che "pur essendo di natura divina...".

- I diritti ci sono, ma c'è una considerazione superiore ad essi. Quindi non possono costituire una guida per il nostro comportamento. E' la ricerca di una sapienza superiore.

- Il brano richiama due testi evangelici: Gv 13 ( lavanda dei piedi) e Lc 9 (chi è il più grande). Paolo dice fatevi miei imitatori come io lo sono di Cristo.

- L'ultimo vs ricorda 1, 5. C'è una effusione speciale dei doni dello Spirito, ma anche una rinuncia da parte di Paolo di avvalersi dei diritti/poteri perchè la testimonianza di Cristo sia passata come dono, senza contaminazioni di tipo dare/avere. Questo rende il dono più saldo e più forte.

- vs 12: (...tutto sopportiamo...) si può mettere in relazione col vs 11 (con la tua scienza rovini il debole). Non avvalersi della propria scienza (cap 1) per non rendere vana la croce di Cristo.


- Le nostre difficoltà di fronte alla Parola di Dio nascono dal fatto che noi vorremmo avere delle regole. Ci andrebbe bene la legge. Ma il mistero cristiano non termina nella legge. Si può semmai dire che inizia dalla legge per terminare nel Signore. Cos'è il Signore rispetto alla legge? Non è il giusto, ma la vittima. Cosa succede coi precetti? Niente, finchè non si va oltre l'adempimento e si assume la parte della vittima. Gesù ha fatto così. E' successo qualcosa di veramente nuovo non perchè ha predicato bene, ma perchè è morto come malfattore.

In Gv 8 l'adultera non viene condannata perchè tutti sono peccatori. Ma neppure Gesù la condanna: è qui che comincia il mistero cristiano, quando la legge non viene applicata e l'innocente assume la pena. Se non succede questo, si sta nella legge che, pur avendo lati positivi per la convivenza umana, non salva.

Il massimo obiettivo nelle nostre case è andare secondo le norme. Siccome non ci si riesce, c'è sempre qualcuno che "paga". Anche Paolo qui dice di aver "pagato" (nel senso che non si è avvalso di legittimi diritti). O succede così, o non c'è la novità del Signore. Dare la vita per il fratello è molto diverso dal non uccidere il fratello. Bisogna andare al di là della legge, in un certo senso trasgredirla. Come fa Gesù che, Maestro, per esercitare la sua signoria si fa servo (Gv 13). Noi cerchiamo di raggiungere il regime della legge, ma dobbiamo essere consapevoli che la presenza di Gesù fra noi si manifesta solo se si va al di là. Così Paolo al vs 12 dice un "no" di trasgressione, di scavalcamento dei diritti.

Quindi non c'è una regola generale di comportamento, se non quella di guardare come si è comportato Gesù in tutte le situazioni contemplate dalla legge.

7-5-97 1 Corinti 9, 13-18; Gv 17, 1-5 (Giovanni)



Una "necessità" che ci sovrasta


- L'insegnamento che ci viene dalla lettera ai Corinti, e anche il modo più semplice per accogliere queste parole, è la presenza emergente della persona di Gesù. La strada da seguire non è tanto quella di considerare il rapporto di Paolo con cose e persone, quanto il rapporto di Paolo col Signore crocifisso e risorto. Questa è la vera strada della speranza. Chiediamo che per ciascuno il confronto con ogni precetto sia l'occasione per riproporre la presenza della persona di Gesù nella sua vita. E questo per rimanere in Lui, e portare frutto. Cioè per essere suoi discepoli e diventare luoghi della trasmissione del Vangelo. La nostra vita è piena di distrazioni, superficialità, cedimenti agli idoli dell'orgoglio, dell'angoscia, della vanità. Però sappiamo che chiedendo perdono possiamo confidare nell'incontro con la misericordia del Padre in Gesù.


- vs 16: c'è come un' impennata da parte di Paolo "...guai a me se non predicassi il vangelo!"; e verso la fine del vs 15 dà una spiegazione, quando dice che nessuno lo svuoterà di questo vanto. Già in 1, 17 aveva usato la parola svuotare (rendere vano): "non venga resa vana la croce di Cristo". In Filippesi dice che Gesù pur essendo di natura divina...si svuotò fino alla morte. In Gv 12 Gesù dice che se il chicco non muore.... E' questa spesa, questa consumazione totale e incondizionata della vita quello di cui parla Paolo.

- vs 18: "gratuitamente, senza usare del diritto". Paolo vive veramente, anche in senso materiale, del (dal) vangelo, senza avere diritti.

- vs 18: nel testo originale è più forte; non dice "predicare gratuitamente", ma "porre il vangelo in modo gratuito, non collegato alla spesa". Il protagonista è il vangelo, non l'evangelizzazione. Anche il vs 17 è più forte e problematico; direbbe infatti: "se faccio di mia volontà". Non si tratta solo di iniziativa.

- vs 16: non è un semplice dovere di obbedienza alla norma; si può dire:"E' una necessità che mi sovrasta", nel senso che anche volendo non ci si può sottrarre a questa dimensione dello spirito.

- Questa necessità che incalza è come il riconoscimento del grande dono che Paolo ha avuto da Dio e che non può essere trattenuto nè pagato.

- vs 18: dice una cosa grandissima. Per Paolo la ricompensa non verrà dopo, ma è il vangelo stesso, "senza usare di esso". Il vangelo è tutto: sia la sua vita, che la ricompensa. Mentre l'istinto umano porta ad usare il vangelo per ottenere altre cose, Paolo è libero da qualsiasi ulteriorità.


- Le due immagini di ieri, il pastore e il contadino, parlavano di Gesù. Infatti in Ap 7 il vero pastore è l'agnello immolato; senza di lui non si distingue il pastore buono dal mercenario. E nel testo del seme, la fertilità non è legata al contadino, ma al chicco che muore. Anche i due primi esempi di oggi parlano di Gesù: "trarre vitto dal culto" si riferisce a Gesù pane, ed "avere parte dell'altare" si riferisce a Gesù vittima. C'è sempre questo capovolgimento. Dobbiamo celebrare i misteri, ma essendo vittima. Non si tratta più di una buona amministrazione, ma di una partecipazione radicale: la novità della storia è il modo in cui Gesù vive. Conviene pensare ancora alla connessione verginità-matrimonio, che non sono stati contrapposti, ma l'uno è il vero volto dell'altro. L'importante non è l'osservanza del comandamento, ma che il giusto si la vittima.

Nella seconda parte del testo c'è la descrizione di come vivere dopo che si è incontrato il Signore crocifisso. Allora la vita cristiana non è più una sapienza, ma una realtà che ci sovrasta e toglie anche la possibilità della scelta. E' ineluttabile (parola usata abitualmente per indicare la costrizione del destino). Libertà e ineluttabilità possono stare insieme solo nel mistero cristiano. "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date": chi è entrato in contatto con l'epifania del Signore, che è la sua morte per noi, non può più scegliere. C'è un debito incolmabile che esige tutto. E' bello anche che nel vangelo di oggi Gesù dica al Padre "mi hai dato il vero potere", che è quello di dare la vita per gli uomini. Non è un potere sulla vita degli altri, ma è un potere di dare la vita per gli altri.


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09/12/2011 21:40
 
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1 Corinti 9, 19-23; 



La legge di Cristo è Cristo stesso


- Affidiamo alla intercessione della Madonna la liturgia di oggi, e attraverso la liturgia tutta la nostra vita. In questi giorni il Signore fa emergere sempre più dalle scritture la persona di Gesù, la sua opera in mezzo a noi. E questo attraverso le vicende di Paolo che ci scrive. E' un segno straordinario della umanità nuova, che trova la sua più alta espressione in Maria. Paolo ci dice che la sua vita, essendo amata da Dio, è da Dio anche plasmata. Noi siamo ben consapevoli che l'unica via della salvezza è il viaggio di Dio verso di noi. Chiediamo al Signore di perdonare i nostri peccati con un giudizio di salvezza.


- vs 19: "Infatti, pur essendo libero..."; nel testo greco il "pur" non c'è. E' l'essere libero che permette di farsi servo, è il modo migliore di usare la propria libertà. Al cap 7 diceva che ognuno in realtà è libero, anche lo schiavo.

- Il termine "libertà", che fa si che Paolo si faccia Giudeo coi Giudei, ecc., cosa vuol dire? Nella lettera ai Galati Paolo dice che Tito, greco, non deve farsi circoncidere. In Atti 16, 3 Timoteo, il cui padre era greco, viene fatto circoncidere. Il pensiero di Paolo sembra oscillare, ma forse proprio questo è libertà.

- Paolo si è fatto servo per tutti: servo di Cristo a favore di tutti, poi si è fatto Giudeo per i Giudei ad esprimere che la sua vita è sottomessa a Dio per tutte queste persone.

- Nei brani degli ultimi 3 giorni si nota una progressione nell'importanza del vangelo per Paolo: prima si preoccupa di non creare inciampo, poi rinuncia a tutti i suoi diritti perchè la sua ricompensa è il vangelo, oggi spera di essere in comunione col vangelo ("per diventarne partecipe", vs 23), come se il vangelo fosse una persona di cui si vuole condividere la sorte.

- vs 19: "guadagnarne il maggior numero"; la parola guadagno richiama Mt 18,15: "se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello". Inoltre ricorda la sollecitudine di Maria nel vangelo di oggi. Generando gli altri nel vangelo, anche lui viene generato.

- vs 19: "mi sono fatto servo di tutti"; è per noi un giudizio severo. Paolo si è fatto schiavo. E' un richiamo forte alla nostra vita. La sua assoluta determinazione contrasta il nostro modo di comportarci.

- vs 22: "per salvare ad ogni costo qualcuno"; è uno dei vertici più alti del brano. Paolo si considera assimilato a Gesù; può quindi dire che salva, come fosse Gesù.


- Il brano di oggi ci porta a considerare "la legge di Cristo": c'è una qualità particolare di alcuni interlocutori, sono senza legge e Paolo si fa senza legge per loro. Ma qual'è questa legge? E' Cristo, la sua persona, la sua storia, quello che ha fatto per noi e che fa ogni giorno. Non ci bastano le memorie delle scritture, dobbiamo invocare lo Spirito Santo perchè ci faccia essere più vicino a Gesù. La Pentecoste sarà il sigillo. Libero vuol dire liberato dal Signore. A partire da questa condizione, c'è la possibilità vertiginosa dei figli del Figlio di percorrere la sua stessa strada. La vita cristiana è apparentemente piena di contraddizioni, perchè essere cristiano non vuol dire appartenere ad un club. C'è una straordinaria duttilità della coscienza cristiana. Ci sono infiniti modi di fare i cristiani, così come sono diverse le esperienze storiche e le nostre stesse persone. Più Paolo si fa povero di sè, più diventa ricco di Dio, di Gesù e degli altri. C'è la possibilità per tutti di partire da "mi sono fatto" (richiama "il Verbo si è fatto carne" del prologo di Giovanni). E' la straordinaria simpatia per il peccatore che fa si che Gesù si faccia carne. Il Signore è stato glorificato proprio dalla sua immersione nella storia ferita, che non l'ha contaminato. Così Paolo oggi celebra sia l'incarnazione che la passione di Cristo. Il cristianesimo è come una marcia in più, è un qualcosa in più del "dovuto". Paolo vuol parlarci dell'amore, ma non pronuncia mai la parola amore, lo fa attraverso la vicenda stessa di Gesù. Tutte le domande che ci siamo fatti sulla vicenda di Paolo hanno risposta nel fatto che lui ha voluto bene alla gente sempre: nella problematicità delle situazioni, e nella diversità delle persone. Dobbiamo essere riconoscenti a Paolo e alle persone che, come lui, senza troppo dirlo ci rivelano il Signore col loro comportamento.



9-5-97 1 Corinti 9, 24-27; Gv 17, 6-11 (Giovanni)



Convocazione totale nella "corsa" verso Gesù


- Siamo ormai vicini alla festa dell'Ascensione. La preghiera di Gesù nel brano del vangelo di oggi esprime l'indirizzo della nostra vita, in modo che la festa di domenica non celebri una separazione, ma il fissarsi nei nostri cuori del cammino della speranza. In questo ci soccorrono le ultime parole del cap 9 della lettera, che esprimono in Paolo la convocazione radicale di tutte le forze nel condividere l'infinita bontà e gloria di Gesù. E come se questa grande esortazione avesse come scopo il vivere bene la festa di domenica. L'atto penitenziale è su tutta la dispersione della nostra vita, su quello che in noi non è saldamente tenuto nella direzione della salvezza e della pace.


- Possiamo rivolgere a noi stessi una domanda: dopo tutte le parole ricevute dagli ultimi 3 capitoli, che ne è di noi, cosa ci è chiesto? Il testo finora ci aveva abituato a guardare fuori di noi (caratteristica tipica di ogni persona che vuol bene; chi ama è proiettato fuori, mentre chi non ama si occupa molto di se stesso). Come mai allora questi ultimi versetti ci invitano a guardare come siamo messi? Notare però che il paragone (atleta che mira alla corona) riguarda ancora una volta qualcosa proiettato fuori.

Il problema è che adattandoci ad un atteggiamento di mitezza assoluta e di piena fiducia nel Signore, corriamo il rischio di dimenticare il comandamento dell'amore. Di dimenticare che siamo chiamati ad amare con tutta la nostra mente, con tutto il cuore, e con tutte le nostre forze. Cioè convocando tutto il nostro essere. Altrimenti c'è il rischio di cadere nel fatalismo (non sono capace di fare niente, quello che il Signore mi dà è buono, ...). Dobbiamo meno preoccuparci di "sorvegliare" gli altri, e avere invece più tensione nella nostra vita. Bisogna spendere la propria vita. Il giudizio aggressivo verso le persone più vicine è una grave attenato all'amore. Dobbiamo ricordare che è nostro compito conquistare la corona. Altrimenti facciamo un cattivo servizio per chi è attorno a noi. Questa tensione/determinazione è molto bene espressa dalla Madonna: tutta la sua vita è un'unificazione sempre più forte col suo figlio. Avere quest'anno la Pentecoste in mezzo al mese di maggio, cioè Lei in mezzo a noi ad aspettare il dono dello Spirito, è un gran regalo.

C'è però un punto delicato: tutti corrono, ma uno solo ha la corona...E' la solita gara? No, perchè non c'è attenzione a cosa fa l'altro. L'unicità del premio ci dice che va preso a tutti i costi. Questa vita è preziosa e non può essere perduta. Ricevuto il vangelo, non possiamo permetterci di non arrivare alla nostra pasqua. Il premio, infatti, è Gesù. Tutte le diversità sono buone se esprimono quest'unica direzione della vita di tutti.

vs 25: "temperante in tutto". A noi "temperante" dà l'idea di una rinuncia. Invece il verbo usato significa tenere tutto, tutto dominare. Il Signore "tiene" a tutto, anche al nostro corpo. Nell'esempio del pugilato, i pugni non devono essere dati nè ad altri, nè all'aria, ma a noi stessi. In modo che tutto di noi sia "tenuto", anche il nostro corpo. Temperanza, quindi, in senso cristiano è tenere tutto e tutto raccogliere per poter tutto portare a Dio. San Francesco dimostra che la severità da chiedere alla vita e al proprio corpo non significa però diprezzo. Questa visione della temperanza richiama il comando dell'amore, perchè l'amore ingloba tutto.

Il tempo: parallelo con Filippesi 3, 8: "ormai...tutte queste cose le considero come spazzatura". Si capisce qual'è la meta: è Gesù. Ci sei arrivato? No. Questa gara è per tutta la vita, siamo in corsa fino all'ultimo istante. La descrizione del tempo presente è questa: cosa succede? stiamo andando verso il Signore, siamo orientati verso la pienezza del suo dono.



10-5-97 1 Corinti 10, 1-13; Gv 17, 12-19 (Giovanni)



Solo nella carità si può rispondere al dono



- Nella preghiera che facciamo a messa chiediamo più volte la nostra unità (..un solo corpo e un solo spirito..) perchè la nostra comunione è il segno più concreto della comunione con Dio. Essere partecipi del cammino dei nostri padri, di cui parla il brano odierno della lettera, è l'evidente manifestazione della volontà di Dio che ci vuole tutti riuniti, come dice anche Gesù nella sua preghiera al Padre nel vangelo di oggi. La comunione è il respiro di Dio. Quando ce ne priviamo, rimaniamo nel deserto del nostro orgoglio. La messa è la convocazione attorno alla radicale carità di Dio. Tornando a messa, torniamo a questa carità da tutte le nostre lontananze e da tutte le dispersioni del nostro spirito. Chiediamo perdono al Signore per il nostri peccati e confidiamo nella sua misericordia.



- La storia di Israele è un "tipo" che riguarda tutti, quindi anche noi oggi (vs 6 e 11). Questo ci responsabilizza molto, anche perchè la storia della salvezza si è completata in Gesù. In Ro 15, 4 dice: "tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perchè in virtù della perseveranza e della consolazione che ci vengono dalle Scritture teniamo viva la nostra speranza." Il ricordo di quello che è accaduto ai nostri padri non è per scoraggiarci, ma è una spinta per andare avanti.

- vs 1: Paolo, dicendo "i nostri padri" ai Corinti che non sono Ebrei vuole sottolineare che la storia della salvezza Dio l'ha concepita per tutti.

- vs 5: "non si compiacque" ricorda il Salmo 94 ("non entreranno nel luogo del mio riposo"). E' anche legato al verbo squalificare del brano di ieri. Solo Cristo non è squalificato e può salvare. Che l'uomo non creda di riuscire a fare da solo.

- Si può pensare che parlando di cibo parli di eucarestia. C'è la citazione della manna, di cui gli Israeliti non erano soddisfatti. E' un problema importante, che si pone anche per noi.



- Fra il cap 9 e il cap 10 c'è un forte legame, anche se il discorso cambia completamente. Alla fine del brano di ieri parlava del grande rischio di essere squalificato (non provato; secondo la vulgata, reprobo). Per non correre questo rischio, invitava ad una convocazione completa di corpo (la corporeità è importante perchè individua la persona) e spirito verso la grande meta Nel testo di oggi ci dice che la prova non è andata bene per la maggior parte dei nostri padri. Con la ripetizione continua della parola "tutti", vuole sottolineare che la prova è una esperienza comune del dono di Dio. Però molti non hanno dato risposta. Leggendo le scritture, leggiamo quello che è successo anche a noi. Tutti siamo chiamati a dare una totale risposta al dono d'amore. Il vs 12 sottolinea che bisogna stare attentissimi a non isolarsi. La risposta al dono può solo essere data insieme, cioè nella carità. Il rischio è che ci separiamo, perchè pensiamo di farcela da soli. Ma non c'è possibilità di risposta se non nella carità.

L'elenco dei peccati nel deserto è importante. Vengono sottolineati peccati contro Dio e contro le nozze e la castità. In realtà sono peccati contro la carità. Se mi stacco dai miei fratelli, mi stacco da Dio, e Lui non si compiace di me (mi squalifica). I nostri padri non erano fedeli alle nozze. Se tutti siamo nella nube (la messa: un cuore solo e un'anima sola), ebbene questo sia il principio della nostra carità. Bisogna starci dentro nella severità delle parole di ieri. Se invece credi di stare in piedi da solo (vs 12), sta attento: è come mettere alla prova Dio.



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09/12/2011 21:41
 
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1 Corinti 10, 14-22


La carità è il centro di tutto


- Il Signore ci porta progressivamente nel desiderio di celebrare nella nostra vita il mistero della sua provvidenza. Si deve partire dal dono di Dio: quello che succede a noi e attorno a noi si può solo capire partendo dai misteri del Signore. Nelle scritture di oggi c'è una conferma preziosa di questo. Paolo parla ai suoi figli delle vicende immediate della loro vita a partire da quello che conta: la comunione col corpo di Cristo. Il miracolo dell'amore di Dio si fa pane della nostra vita perchè noi abbiamo la forza di proseguire in Lui. Chiediamo pedono per la distanza che la fragilità del nostro cuore interpone fra noi e i suoi doni. Chiediamo che il suo perdono ci restituisca alla nostra condizione di figli.


- Sembra che siano ribaditi i discorsi dei giorni scorsi: il primato della comunione, dell'amore nuziale per Dio.

- C'è un parallelo fra idolatria e fornicazione (di cui parlava al cap 6). In entrambi i casi c'è il comando di fuggire da queste situazioni. E' lo stesso tipo di ragionamento. Nella fornicazione si diventa una carne sola come nel matrimonio, e ugualmente il rapporto coi culti idolatrici porta ad una reale unione con gli idoli. Fornicazione ed idolatria vanno fuggite non perchè valgono poco, ma perchè sono una alternativa reale alla comunione col Signore.

- Sembra sia possibile essere in comunione col Signore e con i demoni, in una situazione che provoca la gelosia del Signore. Il giustificarla con la propria debolezza diventa peccato. E' una situazione pericolosa perchè l'abitudine diventa "natura". Non si può partecipare da lontano: in ogni caso il rapporto è molto forte.

- Bisogna capire come si combinano i due tipi di discorsi: 1) gli idoli non sono niente; 2) l'atto sacrificale è una realtà seria.

- Il brano inizia con "perciò" ed è quindi legato a quello di ieri, che terminava con la fedeltà di Dio. Questa è la forza per fuggire l'idolatria.

- E' bello il vs 15: ciascuno può riconoscere la verità. Il popolo di Dio viene riconosciuto abile di ricevere con sapienza e di giudicare.


- Il primo versetto ("Perciò, o miei cari, fuggite l'idolatria") è praticamente il titolo del brano di oggi. I Corinti saranno idolatri se mancano di carità.; questo va tenuto ben presente perchè tendiamo a sfuggire a questo concetto. La liturgia non è un insieme di simboli, ma la potenza della storia. E' l'atto creativo di Dio che ci permette di rinnovare la nostra realtà di fratelli. Il solo pane, mangiato assieme, stabilisce la nostra comunione. Il problema è che, usciti da messa, con i nostri giudizi e le nostre azioni rinneghiamo questa storia nuova. Invece non possiamo dividerci, nè dare scandalo, nè confondere il fratello. Mangiare la carne immolata agli idoli per me può essere niente, ma per chi mi sta di fronte nel pranzo può essere un problema. Se si mette in difficoltà il fratello debole, si partecipa al culto idolatra.

vs 15: intelligenti (nella vulgata usualmente tradotto con "prudenti"): vuol dire illuminati dalla fede e dalla carità. Questo termine non è usato a proposito della scienza che gonfia. La misura della nostra sapienza e della nostra fedeltà al dono di Dio è la carità. Se usciamo dalla carità nel nome della verità ("gli idoli sono nulla), usciamo dal dono di Dio. Bisogna sempre rispettare la coscienza del fratello debole, indipendentemente da quello che fa. Paolo ha scelto questo argomento degli idoli (o forse è stato a lui proposto) per spiegare che il centro di tutto è la carità. La verità non può entrare nello spazio cristaiano se distrugge la carità.


13-5-97 1 Corinti 10, 23-30; Gv 17, 24-26 (Giovanni)


Ognuno è quello che l'altro lo fa essere


- Il Signore disegna in questi giorni un cammino nel quale, ricevendo tutto dalla sua grazia, siamo chiamati a rendere grazie per tutto. Questa è una via di pace che tende ad eliminare ogni questione. Tutto è più complesso se non è ricevuto dalla mano di Dio. Nei versetti di oggi l'Apostolo ci ricorda il cuore della preghiera dei padri Ebrei ed il dono inestimabile che abbiamo ricevuto. Dobbiamo un rendimento di grazie non solo per la liturgia che ci riunisce, ma per le indicazioni che dalla liturgia riceviamo per tutta la nostra vita. Diventa da confessare, in questo momento, tutto quello che è stato afferrato, conquistato, e non ricevuto da Dio, segno di latitanza dalla condizione di figli. Chiediamo al Signore di compiere la purificazione dei nostri cuori, e affidiamogli tutto quello che in questo momento desideriamo porre alla sua attenzione.


- vs 23-24: richiamano Rom 15, 2: "Ciascuno di noi cerchi di compiacere il prossimo nel bene, per edificarlo." Quello che edifica è la carita (Co 8, 2) che non cerca il suo interesse (utile), come dice nell'inno alla carità del cap 13.

- vs 29-30: confermano che il testo non ci vuole dire fin dove arriva la nostra libertà, ma il modo per conservarla integra. La stessa creazione spera di entrare nella libertà dei figli di Dio. A questo testo si può avvicinare quello dell'effusione del profumo da parte di Maria Maddalena: il dono può essere conservato solo effondendolo ogni giorno. Tutto fate per la gloria di Dio, questa è la grande potestà che ci è data.

- vs 24: contiene concetti molto lontani da noi: non cercare l'utile proprio, ma quello dell'altro; è contrario al nostro modo istintivo di muoverci.


- L'interpretazione che emerge del vs 24, che è certamente centrale, è un po' deviante: la parola utile andrebbe evitata, perchè fissa una norma importante, ma bisogna andare oltre. Di fatto ognuno é quello che l'altro lo fa essere. Considerare la carità solo come la ricerca dell'utile dell'altro fa perdere tutto quello che tu ricevi dall'altro. Dio è Padre, ma è "Padre di suo Figlio". Bisogna considerare che per Dio l'elemento fondamentale della vita è la "relazione" con l'altro che ti fa diventare quello che sei. Nel cap 6 la relazione era fra l'uomo e Dio (il corpo per il Signore, il Signore per il corpo), oggi la relazione è col fratello: uno non deve cercare se stesso, ma l'altro. La libertà è la pienezza della mia relazione con Dio. Paolo oggi cerca di dirci che puoi tenerti la tua libertà fin che puoi (si può mangiare tutto, ricevere tutto come regalo di Dio, rendere grazie a Dio per tutto), ma se c'è uno che pone la domanda sulle carni, allora Paolo suggerisce di sacrificare il tuo rapporto con Dio a favore del rapporto col fratello. Dio infatti non vuole perdere nessuno e non sopporta le separazioni. Importante la regola del ringraziamento per capire se le cose vengono da Dio. La valorizzazione della relazione col fratello deve portare a relativizzare anche il tuo rapporto di libertà con Dio. Altrimenti sarebbe una cattiva interpretazione della libertà. Quello che conta è la carità: attaccarsi uno alla fede dell'altro nel mistero della carità per non precipitare nella solitudine. Ristabilire sempre la relazione nuziale col Signore è la cosa più importante e quando confessiamo le nostre colpe noi presentiamo al Signore le nostre relazioni spezzate e chiediamo un ripristino dei rapporti con lui e con i fratelli.

14-5-97 1 Corinti 10, 31-11, 1; Gv 15, 9-17 (Giovanni)


Fate tutto per la gloria di Dio


- Oggi nella liturgia si ricorda S. Mattia. La sua intercessione è di grande aiuto per entrare nel brano della lettera e per trasformare queste parole in una preghiera per la pace: pace fra le persone, fra i popoli, fra le culture, fra le fedi religiose. Quello che Dio ci comunica tramite la Parola è la possibilità di coniugare lo splendore della elezione divina con la pace di tutti. Purtroppo anche oggi ci sono molte divisioni, violenze, sangue sparso in nome di Dio. E questo perchè ci si riferisce ad altri dei, o si fanno deduzioni sbagliate rispetto al Dio vero. Così la lettera è ricca di quella "impossibile" ipotesi della pace, che solo in Gesù può attuarsi. Noi siamo i responsabili delle divisioni. Ognuno accusi il suo peccato, senza accusare il fratello, perchè questo è l'inizio della giustificazione del male. Dobbiamo invece affidarci alla preghiera del fratello che ci è accanto.


- vs 23: "piacere". S. Francesco dice che l'ubbidienza vera appaga sia Dio che il prossimo. La presenza della parola "salvezza" indica che questo "piacere a tutti" va fino alla propria croce.

- vs 31: "..fate tutto per la gloria di Dio". Paolo in realtà concentra tutto non tanto nel fare, quanto nell'essere (non siate di scandalo...siate miei imitatori). Questo "essere" Paolo lo può dire perchè lui cerca di imitare Cristo fino alla passione.

- vs 31: il verbo fare richiama il vangelo di oggi " Voi siete miei amici se farete ciò che io vi comando" (Gv 15, 14). Bisogna fare quello che ha fatto Lui: dare la vita.

- C'è un legame fra mangiare/bere e la gloria di Dio; sembra una specie di gelosia di Dio per l'aspetto biologico della vita. C'è un parallelo nel Padre nostro in cui il pane viene chiesto e ricevuto dal Padre e allora si capisce come il mangiare e bere possano essere per la gloria di Dio. Si può inoltre intuire che se il momento eletto è la croce, il mangiar e bere sono connessi alla gloria di Dio perchè il fedele diventa il cibo stesso.

- Il testo di oggi ci dà delle indicazioni concrete per come vivere le piccole cose della vita, inclusi i rapporti con le persone. Se uno dice :"Questo lo faccio per il Signore" tutto assume un volto nuovo. E' l'offerta quotidiana della vita. Spogliare ogni cosa da obiezioni è una spoliazione della propria volontà che dà leggerezza e slancio; certamente percepito anche da chi ci sta intorno. Anche la malattia e il dolore, se offerti al Signore, assumono un altro significato.

- vs 1: "fatevi" in realtà è "divenite". Al cap 12, 6 dice:"uno solo è Dio, che opera tutto in tutti". Quello che bisogna fare è accogliere la piccolezza in noi. Dopo si potrà fare tutto per la gloria di Dio.

- Va ancora sottolineato che tutto, anche le cose più piccole, serve per amare e fare amare il Signore.

- vs 33: Paolo si sforza di piacere a tutti senza cercare il suo utile, perchè gli altri siano salvati. C'è una relazione fra il comportamento proprio e la salvezza dell'altro. Da soli non si può far nulla.


- Da questo brano emerge un problema sempre attuale: il valore delle opere. Paolo non dà importanza all'azione, ma valorizza enormemente la tensione che sottende l'azione stessa. Importante non è quello che si fa, ma l'intenzionalità, la direzione. E' un problema interessante e delicato. Il testo dà garanzie di pace. Al vs 33 non direbbe che "si sforza di piacere", ma che "piace". Perchè piace? Perchè in tutto quello che fa non cerca mai il "suo".

La gloria di Dio è un concetto bello ma anche pericoloso. In nome della gloria di Dio si può fare di tutto, il bene e il male. Ma cos'è realmente la gloria di Dio? E' la vita donata, l'amore. Abbiamo già visto che una persona non vale mai per quello che è, ma per le sue relazioni d'amore verso gli altri. Infatti l'attributo più importante di Dio è che è padre. Anche in una vita dedicata a Dio ci possono essere problemi. La cosa importante è che non si cerchi il proprio bene, ma il bene dell'altro. Questo è il grande discrimine. Così per la gloria di Dio non ci è permesso odiare. Verginità e matrimonio sono compresenti, come volere la gloria di Dio e l'utile del fratello. Nessuno esaurisce in sè un dono: la verità di ogni dono è verificata dalla capacità di "partecipazione". La gloria di Dio e il bene del fratello vanno sempre connessi, se si separano si annullano. L'imitazione non è un vanto, ma un atto povero, perchè è la dichiarazione che il proprio valore è nell'altro. Poichè in qualche misura ognuno è imitatore di Cristo, dobbiamo imitare il fratello. E' l'atto più umile che si può fare nella carità. Se Paolo dicesse: "imitate me", non sarebbe cosa buona; ma imitare lui (il fratello) perchè imita Cristo va bene. Ogni rapporto positivo con l'altro arricchisce il rapporto con Dio. C'è una forza interna nella comunità cristiana: il rapporto con i fratelli è speciale, perchè tra di noi c'è di mezzo Gesù.


15-5-97 1 Corinti 11, 1-16; Gv 18, 1-11 (Giovanni)


Appartenenza e sottomissione


- La condizione del credente è legata alla libertà. Si è di Dio solo se si è liberi. Il Signore opera continuamente questa liberazione da tutti i nostri vincoli, perchè la vita è chiamata ad essere consacrata. Ogni nostro atteggiamento deve essere segno del desiderio di celebrare in noi la persona di Gesù. Chiediamo perdono per ogni mormorazione, per ogni pretesa di riappropriazione della nostra persona. Chiediamo di essere liberati per essere miti e per poter approfittare di ogni dono dello Spirito che ci consenta di esssere imitatori di Gesù.


- Oggi è centrale il discorso della carità come dimenticanza di sè in favore dell'altro. Prima era rivolto al fratello più debole, oggi al rapporto uomo-donna. Viene messa in evidenza l'appartenenza all'altro: a Dio per l'uomo, all'uomo per la donna. Ognuno non basta a se stesso, ha questo desiderio dell'altro e solo appartenendo l'uno all'altro ci si può dare gloria.

- vs 1: Paolo può affrontare il discorso che segue proprio grazie a questo versetto. In Gal 3, 23 aveva detto che prima che venisse la fede, la legge era come un pedagogo, ma appena giunta la fede "non c'è più uomo né donna, perchè siete uno in Gesù". In Gesù viene risolto ogni problema.

- vs 1: è importante metterlo in relazione col vs 3, cioè a come si colloca Cristo nei confronti dell'uomo e di Dio. Cristo è contemporaneamente capo e sottomesso; questo va tenuto presente per ogni altro rapporto. Il termine di paragone è quello del rapporto padre-figlio, anche nel caso di uomo-donna.

- vs 8: è controbilanciato dal vs 12, ed il vs 9 dal vs 11. Sembrano affermazioni che indicano un grande equilibrio fra uomo e donna, pur in una gerarchia: Dio, Gesù, uomo, donna. Il vs 10 è quello centrale per risolvere la questione del velo che è un segno di autorità (potere) sul suo capo. "A motivo degli angeli", come riferimento al mondo divino. Segno che c'è una autorità superiore. La donna ha il compito di mostrare, attraverso il velo, questi rapporti di sottomissione.Nessuno può porsi da sè.

- vs 11-12 riprendono la Genesi dove la stessa creazione dell'uomo è presentata in due modi. Sembra che tutto voglia dire che uomo e donna non sono abbandonati ad un rapporto chiuso. C'è il Signore, la grande novità, e tutto deve essere assunto nel rapporto con Dio.


- Una donna se vuole essere credente deve essere sottomessa all'uomo che è il segno di Cristo. Questo è un segno essenziale dell'umanità redenta. L'uomo non deriva dalla donna, come direbbe lo schema della natura, ma è la donna che deriva dall'uomo perchè l'umanità nuova deriva da Cristo e quindi l'uomo deve essere segno della gloria di Cristo. La donna deve accettare come sua propria funzione privilegiata l'obbedienza; l'uomo il dono di sè. (Vedi anche Ef 5: donna sottomessa, uomo che dà la vita). La non appartenenza è un segno di prostituzione, non certo di libertà. Anche nel rapporto di coppia, se non c'è la sottomissione della donna e la donazione della vita dell'uomo, la condizione è sbagliata. Dobbiamo trarne incitamento: le donne ad obbedire e a stare sottomesse come segno dell'umanità salvata, gli uomini ad imitare Cristo e a celebrare la gloria di Dio. Altrimenti l'uomo è abbandonato da Dio e la donna dall'uomo. Solo se obbediamo in modo rigoroso alla parte che ci è assegnata le cose vanno bene. Dando i segni della nostra dipendenza, si dà la prova che le nozze sono avvenute, se no non ci sono state nozze. Oggi l'uomo non riesce ad essere per la donna il segno di Cristo che dà la vita, che è la grande novità della storia. L'indipendenza delle donne è cosa vecchia, le donne di fede lo sanno bene. Ognuno deve essere fedele al dono e al compito che gli è stato affidato.



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09/12/2011 21:43
 
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1 Corinti 11, 17-26


La messa, prima di tutto



- Oggi riceviamo dalle scritture un grande insegnamento, che corrisponde esattamente alla situazione in cui ci troviamo: la messa, che è la grazia più grande che possiamo ricevere. La messa prima di tutto, principio di ogni cosa perchè nella messa c'è tutta la bontà e misericordia di nostro Padre. Per cogliere bene questo insegnamento ci facciamo proteggere dalla Madonna, che all'annuncio dell'angelo ha "iniziato bene", offrendo tutta la sua persona. Chiediamo perdono per tutti i peccati che derivano dal non mettere la messa prima di tutto, cioè per tutte le nostre proteste, violenze, accuse verso il fratello.


- Il vangelo di oggi ci parla di Pietro, che entra nel luogo del sacrificio d'amore di Gesù ma non ha il coraggio di stare fino in fondo col Signore. Cerchiamo di non correre questo rischio, cerchiamo di celebrare la messa con tutto il cuore, senza resistenze. Il vs 21 della lettera dice: "Ciascuno, infatti, quando partecipa alla cena, prende prima il proprio pasto e così uno ha fame, l'altro è ubriaco". Lo sbaglio è in quel "prima". Un "prima" che anche noi diamo a tante cose che rischiano di diventare più importanti della messa e di dividerci. La messa, oggi e sempre, ci dà la grande opportunità di (ri)cominciare. Nelle cose della vita non si può tornare indietro, ma col Signore si può sempre ripartire: prima di tutto, la messa. Se viviamo tutto quello che impariamo a messa, la vita diventa buona. E' un regalo immenso, dal quale dobbiamo sentirci consolati. La messa è innanzi tutto imparare a smettere di dare la colpa agli altri (al Padreterno, a chi ci sta vicino, a chi ci governa, ecc.); poi, è imparare a chiedere perdono e a dire a tutti "pregate per me".

La parola della scrittura non invecchia mai; è sempre buona e sempre ci sorprende. Mette in evidenza i nostri errori, e anche i regali che Dio ci ha fatto e che noi non abbiamo saputo accogliere. La messa poi ci dà l'opportunità di fare la comunione col Signore, di diventare una cosa sola con Lui. Il brano della lettera stasera riprende le parole del vangelo: "Questo è il mio corpo, che è per voi". E' una frase bellissima, che esprime la misura immensa del voler bene. La nostra vita è stata nutrita e consolata dal bene che il Signore ci ha voluto per mezzo di tante persone. Poi dice anche: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue". Vuol dire che il Signore è disposto a dare tutto purchè ci sia questa alleanza, questo volersi bene. Quando si entra in una casa e si vede gente che si vuol bene, si vede subito che c'è qualcuno che ha speso la sua vita per amore. Il sacrificio d'amore è molto fecondo. Qualsiasi sia il problema che oggi ci turba, abbiamo la possibilità di entrare nella pace perchè qui si celebra il sacrificio d'amore di Gesù.

Sia benedetto il Signore che ha messo vicino a noi delle persone che, imitandolo, hanno fatta diventare bella la nostra vita. Di qui usciamo più protetti, perdonati, incoraggiati a ricominciare.


19-5-97 1 Corinti 11, 27-34; Gv 18, 28-32 (Giovanni)

(Quarant'ore)



Eucarestia: un banchetto che il Signore ha preparato per i peccatori.



- Ringraziamo cordialmente il Signore per questa giornata di luce e di pace che ha concesso ai nostri cuori un momento di tregua. Tutto concorre al bene di coloro che amano il Signore. E' stata bellissima la festa di Pentecoste e intenerisce il cuore la possibilità di prolungare il dono in queste 40 ore. Le Sacre Scritture di oggi tengono ancora il nostro cuore legato al mistero della Santa Eucarestia. La presenza di Padre Alfonso collega l'Eucarestia di questa sera non solo al cielo, cosa che avviene tutti i giorni, ma a tutte le terre violentate e ferite che lui come missionario porta nel cuore. Chiediamo al Signore di vincere tutti gli istinti di orgoglio, vanità e violenza che si annidano in noi. Il Signore si è fatto piccolo piccolo per noi, e quando lo si guarda per ore nel frammento di pane esposto sull'altare non si può che percepire la nostra lontananza e il nostro infinito bisogno della sua misericordia.


- Il testo di questa sera è molto noto e temuto in ordine alla legittimità di cibarsi del corpo del Signore. "Chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna" (vs 29). Quasi tutti i credenti che si accostano alla Comunione di frequente, senza la possibilità di confessarsi spesso, sentono questo problema (sprattutto gli anziani). E' chiaro che in questa severa ammonizione ognuno di noi può mettere ogni suo peccato. Dobbiamo tenere sempre presente che la Santa Eucarestia ha un potere sanante: è un banchetto che il Signore ha preparato per i peccatori. Purtroppo manca una netta distinzione fra peccato veniale e peccato mortale, e allora come fare? Si possono individuare due situazioni particolarmente gravi che farebbero avvicinare in modo indegno all'Eucarestia: 1) l'orgoglio con presunzione di giudizio; 2) le divisioni in ogni ambito.

Ricordando che l'Eucarestia è un banchetto che il Signore ha preparato per noi, e il mistero di Cristo che si è fatto così piccolo per noi, capiamo bene che ognuno è chiamato ad un atto severo di umiltà. Noi siamo qui perchè abbiamo bisogno di essere salvati, perchè siamo impari davanti ai compiti che ci sono stati assegnati. Questa disposizione dell'anima può consentire una certa pace.

Stare qui a considerare la piccolezza di Gesù, fa pensare in modo nuovo alle parole di oggi, che esprimono questo banchetto come un giudizio. La Messa è il giudizio più grande e radicale che Dio abbia donato agli uomini. Se non ci riconosciamo peccatori, il Signore non è venuto per noi. Siamo peccatori ed accettiamo il giudizio del vangelo con pace perchè il Signore ci guarda con compassione. Che grande gioia che il Signore anticipi a questa sera il suo giudizio, ci perdoni e ci salvi. Tanto quanto accettiamo giorno per giorno il giudizio del vangelo, tanto ci avviciniamo a Lui. Il giudizio del vangelo è una grande corsa che il Signore fa verso di noi. La salvezza è la delicatissima opera che il Signore ogni giorno compie sulle nostre anime; egli ricolma la nostra vita d'amore, e con questo ci salva. Venendo a Messa, con Cristo si può morire e con Cristo risorgere: è necessario quindi fare un bel discernimento della nostra vita. Bisogna lasciare scendere nelle nostre coscienze e nella nostra storia la parola buona. Questa è la nota forte che riceviamo. Domani ci sarà il dono del Signore che si divide fra tutti, oggi c'è questo corpo spezzato nel sacrificio della croce per raggiungere tutti. E' un segno supremo dell'amore di Dio che si fa sacrificio per salvarci. Dio è venuto a visitare tutti, e nella pienezza dei tempi, ha mandato suo Figlio che si è spezzato sulla croce per noi.



20-5-97 1 Corinti 12, 1-11; Gv 18, 33-40 (Giovanni)

(Quarant'ore)


Doni diversi, ma un solo Spirito



- Anche oggi, per grazia di Dio, siamo insieme e vogliamo lodarlo e benedirlo per il bene ricevuto. La presenza di due presbiteri figli di questa terra ci ricorda la fecondità della fede dei padri e la continua custodia dei beni di Dio. Le 40 ore di adorazione, dopo la Pentecoste, sono un momento privilegiato in cui possiamo gustare e vedere la relazione fra Spirito ed Eucarestia. Il brano della lettera ai Corinti oggi ci tiene in modo forte dentro la festa della Pentecoste. A noi è chiesto di tornare alla consapevolezza umile e piena del dono di Dio. Dobbiamo chiedere perdono per tutte le volte in cui abbiamo lasciato inaridire qusto dono nel nostro cuore, anzichè farne una sorgente di carità fraterna.


- Chiediamo al Signore che riempia di consolazione cuori e case. Tutti ne abbiamo bisogno. La più semplice solidarietà è consegnarci reciprocamente alla misericordia di nostro Padre. Dalle Scritture si trae la serena certezza che il Signore è con noi. In Paolo il Signore dice che se siamo qui e possiamo dire che Gesù è il Signore, allora abbiamo la fede, siamo cristiani, abbiamo lo Spirito Santo. Questo è molto importante perchè a volte si tende, per angoscia, a mettere in dubbio tutto, facendo della fede un atto troppo nostro. Invece anche la fede è, prima di tutto, cosa di Dio, un regalo che Egli ci ha fatto. Il fatto semplice di essere qui ci conferma che il dono dello Spirito l'abbiamo ricevuto. E' una buona notizia che si può passare ad altri. Può darsi, poi, che questo dono l'abbiamo tradito. Ma si può cantare al cuore di un fratello triste che l'amore di Dio non dipende da noi. A volte siamo tentati di pensare che tutto sia un'illusione, ma noi anziani abbiamo il compito di rassicurare gli altri che non c'è niente da temere perchè siamo tutti figli di Dio. Ci sono doni diversi, ma c'è un solo Spirito: questa è la situazione dei Cristiani. I doni fanno si che ogni persona sia un riflesso del Signore. Tutti insieme, ciascuno con l'ineffabile bellezza del suo mistero. Persino i grandi drammi dell'esistenza danno bellezza alle persone. Tutto è opera di Dio e quindi tutto nella vita è stupendo. Siamo noi che, con i nostri occhi cattivi, non lo vediamo. I doni splendidi che abbiamo ricevuto bisogna "ri-regalarli". Tutto quanto abbiamo deve diventare celebrazione della carità. La vita è il grande gioco di Dio dove ciascuno ha una parte importante. Ci sono molte "energie" date, spese, ma è l'unica energia di Dio che opera tutto in tutti. L'azione di Dio è la carità. La Messa ci consegna alla vita, la sua energia continua anche fuori. La preghiera è la raccolta delle nostre ferite, ma non è possibile distruggere l'opera di Dio: il male non può vincere il bene. Il desiderio di fare emergere i doni deve diventare il desiderio di tutti. Solo Dio può fare nuove tutte le cose. Lui non ha scelto né la via della sgridata, né la via della paura, ma ha scelto la notizia buona. Bisogna essere portatori di buone notizie, rifiutarsi di dire male, sempre. Ci vuole genialità, intelligenza spirituale per scovare la "perla" in ogni persona, in ogni occasione. Dobbiamo diventare appassionati ricercatori della perla preziosa.

21-5-97 1 Corinti 12, 12-26; Gv 19, 1-7 (Giovanni)



Siamo membra di un unico corpo, il Cristo


- Abbiamo un dovere di riconoscenza verso il Signore per tutto, e in particolare per le celebrazioni dei giorni scorsi e per le parole che ogni giorno ci rivolge attraverso la Scrittura. Nella preghiera di Gesù, il dono dello Spirito fa di noi un cosa sola in Dio. Tutto questo è affidato alla operosità, ma anche alla fragilità della vita di tutti i giorni. Chiediamo che il Padre ci protegga con la sua misericordia. Oggi la Scrittura ci mostra i nostri peccati più gravi, quelli che segnano la distanza dalla Pasqua di Gesù. Dobbiamo sempre ricordare che tutto nasce dal grande sacrificio d'amore del Figlio, davanti al quale chiediamo perdono per tutti i nostri peccati, particolarmente per quelli contro la carità e per tutto quello che ha disturbato e compromesso la vita serena dei nostri fratelli.


- Testo molto legato al cap 11 (andare insieme alla mensa). Gli ultimi versetti dicono che il modo con cui Dio compone il corpo è quello di dare maggiore onore a chi ne mancava. C'è un "di più" per il bene di tutto il corpo. Le "membra che ne mancavano" sono "coloro che non hanno" del cap precedente. Quelli che non hanno bisogno sono tenuti ugualmente nel corpo. Si possono trovare esempi nelle Scritture: la storia di Giuseppe e Beniamino: Giuseppe dà a tutti una porzione, ma a Beniamino la dà più abbondante.

- Le parti del corpo sono tutte vive: ricorda il Vangelo quando il padrone forza tutti ad entrare perchè la sala sia piena. La pienezza è il corpo di Cristo. Ricorda anche la vite e i tralci.

- Preziosa la lettura parallela col vangelo della Passione. Nel vs 26 dice:"Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme". L'unione parte da un fatto di passione. La base della "composizione" è il "compatire" insieme. Gesù, con la sua passione, è l'elemento unificante.


- Al vs 7 ("A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune") c'era una moltiplicazione di parole che non aiuta; direbbe:"la manifestazione dello Spirito è data a ciascuno". La traduzione sembra voglia dire che siccome c'è qualcosa da costruire insieme, ciascuno deve collaborare. Ma "utilità comune" non va bene, non è il bene comune quello che si deve realizzare. Oggi l'equivoco si acuisce; dice infatti: "per formare un solo corpo"; sembra cioè che il corpo ci sarà perchè noi lo formeremo. In realtà il testo sottolinea che si parte dal corpo di Cristo, nel quale siamo stati battezzati. Si tratta quindi di fedeltà al proprio essere, perchè la realtà della nostra comunione esiste già, prima di noi. Non dobbiamo formare qualcosa, ma non possiamo spezzare qualcosa che c'è già. Il primo esempio ci dice che attentare alla comunione non serve, non ci si può tirare fuori. L'autoesclusione è un "peccato".che non può portare a niente. Sarai fastidioso, farai stare male tutti, ma non puoi autoescluderti. Questo è il dono di fondo, il punto di partenza che è Cristo. Il giudizio sta nella nostra fedeltà al dono della comunione d'amore. Anche il matrimonio non si costruisce: è obbedienza al dono che è il nostro essere. Poi certo c'è anche un elemento costruttivo, che edifica tante belle cose, però è Dio che opera tutto in tutti. Il rischio è fare dipendere da noi il gioco (bravo/non bravo). Sono poi segnalati nel testo altri due "peccati": il totalitarismo (il corpo è tutto occhio, o tutto orecchio ecc ) ed il divisionismo (divisione interna violenta, io non ho bisogno). La ricostruzione della coscienza cristiana è mettersi nelle mani di Dio, recuperare il nostro vero essere, che è la condizione di figli di Dio. Questa è la meravigliosa realtà nella quale viviamo.


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09/12/2011 21:44
 
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1 Corinti 12, 27-31

Il tutto e le parti


- La celebrazione della divina liturgia è il tempo e il luogo in cui possiamo contemplare con pace e gratitudine la bella costruzione che Dio edifica in noi attraverso l'obbedienza alla parola evangelica. All'opposto delle rivalità ed esclusioni che governano la vita del mondo, la chiesa trova la sua sapienza divina proprio nel fatto che ciascuno riceve il suo dono. Questo attribuisce dignità ad ogni persona. Chiediamo perdono per i nostri recuperi amari di violenza, orgoglio e vanità che disturbano l'armonia divina e che vorrebbero umiliare la potenza dello Spirito che è in ciascuno. Chiediamo perdono per aver voluto giudicare il disegno di Dio nei nostri fratelli, o addirittura imporre un nostro disegno. Chiediamo che la misericordia di Dio ricostituisca l'armonia della carità che Dio ha voluto attraverso il sacrificio del Figlio.


- vs 27: ricorda il cap 6 quando al vs 15 parla del corpo. Si avverte la responsabilità di ognuno di unirsi al Signore: oggi è chiaro che è un dato di fatto essere corpo di Cristo e suoe membra. Al vs 31 c'è il verbo "aspirare": è il verbo dello zelo e della gelosia (gelosia di Gesù quando caccia i venditori dal tempio), è la gelosia di Dio.

- i vs 28-30 commentano l'ultima parte del vs 27. Nell'elenco dei carismi, nessuno può presumere di rivestire tutte le mansioni, ma ciascuno, pur nella sua importanza, è parte di un corpo più grande. La differenziazione dei carismi è disposta in modo che ognuno abbia una parte molto circoscritta (apostoli, profeti, maestri, ecc). Attraverso l'elenco che dà, Paolo vuole sottolineare che le competenze di ciascuno sono solo parziali ed impedire che uno pensi di essere tutto.

- Ma c'è anche il rischio contrario, quello di dire: "questa cosa non mi compete". Non a caso il vs 27 dice: "Voi siete corpo di Cristo e sue membra". Ognuno ha ricevuto in sè la pienezza del dono. Forse non si dovrebbe insistere troppo sull'idea di compartimenti stagni: siamo un po' tutti apostoli, profeti, ecc.; non è detto che un profeta non diventi apostolo.

- "per la sua parte" e "migliore di tutti" sono due termini che indicano una contrazione ed una espansione. Rimanendo nella limitatezza, si può ugualmente conoscere l'amore totale. C'è una bellezza della incompletezza dei carismi, perchè è lì che può svilupparsi la completezza dell'amore.

- vs 27: "forti in sè". C''è un parallelo con Gen 1 "facciamo l'uomo a nostra somiglianza e immagine". In entrambi i brani è sottolineata l'unitarietà del corpo di Cristo con noi. Le varie membra sono tutte collegate dalla carità

- "Ciascuno per la sua parte": nel cap precedente diceva "per l'utilità comune". Siamo stati battezzati per formare un solo corpo. Nel cap 11, 29 dice: "riconoscere il corpo del Signore", che in fondo siamo noi, ciascuno per la sua parte.


- Nel testo di oggi si nota una difficoltà, che nasce da quel "ciascuno per la sua parte" del vs 27. Bisogna rifarsi al Dt, quando gli Israeliti stanno per entrare nella terra promessa e viene assegnata in sorte la terra alle varie tribù. Israele vivrà poi con gratitudine questa assegnazione ("La mia eredità è magnifica"). Nel brano di oggi si parla della "assegnazione" del corpo del Signore. Va inteso come un completamento di origine, nel senso che è tutta azione di Dio. Questo è confermato da "li ha posti". E' Dio che fa, e noi dobbiamo essere contenti dei suoi doni. Questi doni sono "relazioni" con altri. "Parte" non definisce solo una distinzione, ma anche una opportunità che ci è data per entrare in relazione con gli altri. Oltre a far funzionare bene la macchina, le parti servono perchè tutto sia "rapportato".

E' interessante che all'inizio del testo il grande soggetto è Dio, poi all'ultimo versetto dice "aspirate", verbo che porta in sè un desiderio spinto e forte, un verbo delicato, usato qui con significato assolutamente positivo. Paolo vuol mettere in evidenza che, se da una parte c'è l'opera di Dio e noi dobbiamo ubbidire, ci sono però delle dinamiche di risposta, nel senso che non si tratta di subire un inquadramento. Si deve rispondere in modo vivo, per una ulteriorità. C'è strada da fare. A partire dalla situazione in cui si è, si deve cercare di crescere. Vedremo che tutto ciò sarà raccolto dalla carità: che è relazione, crescita nell'opera di Dio. La volontà di Dio non si subisce, ma in essa bisogna entrare con passione.



23-5-97 1 Corinti 12, 31-13, 13; Gv 19, 13-16a (Giovanni)



Il primato della carità


- La strada in questa lettera ai Corinti oggi ci porta nel cuore di questo grande messaggio che Dio ha voluto inviare alle generazioni cristiane. Ma bisogna sempre ricordare che il cuore di tutto è sempre Gesù. E il suo emergere non è legato alle parole, ma all'incontro delle parole col credente pentito. C'è un primato della carità. La carità non è un segno, ma l'avvenimento, l'azione di Dio. Poichè il Signore si è completatmente dato a noi, la carità non finirà. La grande meraviglia è che noi, così fragili, per pura misericordia siamo capaci talvolta dell'opera stessa di Dio, la carità. La fuga dalla carità è il peccato più grande, quello che più ci separa da Dio. Consegnamo al Signore la nostra vita, così poco caritatevole, qui davanti all'altare, nella messa, che è la grande manifestazione della carità di Dio. Chiediamo perdono, con serena fiducia.


- Al vs 6 dice che "la carità si compiace della verità". Ci si può chiedere di quale verità si compiaccia, visto che molte volte la verità non sembra che corrisponda alla carità. Forse una risposta è in Gv 18, 37, quando rispondendo a Pilato Gesù dice: "Per questo io sono nato e sono venuto al mondo: per rendere testimonianza alla verità". La Verità è che gli uomini sono figli di Dio.

- La carità non delude perchè l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori.

- "la via migliore": c'è una strada per tutti, e Paolo vuole incitarci a percorrerla, aiutandoci a vicenda.

- Più che dire che è una via migliore di tutte, il testo vuol dire che questa via è la verità di tutte le altre vie. Anche fede e speranza non sono vie chiuse, ma la carità è una via più completa.

- il vs 3 ("dessi il mio corpo per essere bruciato") è illuminato dal brano del vangelo che parla della crocifissione di Gesù e quindi ci dice che il corpo va dato, ma solo nella carità.


- Anzitutto, segnaliamo tre attenzioni speciali: 1) la presenza di don Marcello (Chiesa di Usokami) ci ricorda che il tema e il dramma della carità emergono di più là dove la vita è ridotta alle sue linee più essenziali; 2) l'arrivo fra noi di Ferdinando Magni dal Brasile, che si inquadra benissimo in questo tema; 3) la preoccupazione per un fratello, che è tentato di allontanarsi dal mistero della carità.

Per le persone adulte, il problema della carità è un grande schiaffo, perchè devono riconoscere di non aver vissuto nella carità.

Quanto al problema verità-carità, non si può dire che la verità sia in contrasto con la carità, anche se si deve riconoscere che le modalità con cui si esprime o si impone la verità, a volte lo stesso Vangelo, possono essere anche in forte contrasto con la carità. In fondo in fondo, la Verità è Gesù. E la verità di Gesù è la stessa carità. La carità non è un mezzo, ma il fine di tutto. Così non si può dire che la carità sia al servizio del matrimonio, ma bisogna dire che il matrimonio è al servizio della carità. La fede e la speranza finiranno quando noi capiremo e vedremo, ma la carità non finirà perchè è il rapporto che Dio ha instaurato con noi.

Ci si può chiedere perchè Paolo, dopo aver parlato così bene dei doni al cap 12, qui sembra metterli in evidenza negativa. Questo problema fa tornare al cap 7 (verginità e matrimonio), a quel "come se non", così importante, che non vuole svalutare il matrimonio, ma solo dirci che nel coniuge c'è il segno della presenza del Signore. Il matrimonio è così il luogo dove il Signore si concede. Oggi dice che ci sono tanti doni, che sono buoni proprio perchè sono luoghi della carità. La carità è l'anima di ogni dono, perchè la carità è il Signore. I doni vanno esercitati nella carità, che è Dio stesso. Quindi in questo brano non vengono negati i carismi, ma ulteriormente rivalutati se esercitati nella carità.

Leggendo il testo si può notare che dice che la carità è tante cose. Ebbene, le cose che la carità è sono tutte le qualità che le Scritture attribuiscono al Signore, tanto è vero che nel testo si può sostituire "carità" con "Signore" e vedere che il testo scorre ugualmente bene, anzi si illumina.


24-5-97 1 Corinti 14, 1-14; Gv 19, 16a-22 (Giovanni)


La profezia come servizio


- Le parole della scrittura ci portano oggi a pregare per noi e per tutti quelli che vogliono fare un cammino nella Parola di Dio. Sappiamo che questo cammino è una cosa decisiva per la nostra vita, ma sappiamo anche che è così fragile e spesso deviato dalle passioni del nostro cuore. Preghiera che va fatta per tutti i cristiani, a partire dai Vescovi che spesso sono portati ad insegnare su cose importanti, ma che non sono la Parola di Dio, per finire con noi, che questa Parola dimentichiamo così spesso nei rapporti con i nostri fratelli. Chiediamo alla intercessione della Madonna la conversione del cuore, perchè la nostra vita sia sempre più immersa nel Vangelo, sorretti dal dono della carità, che è la presenza di Dio in noi. Lo chiediamo, consapevoli che ogni nostro peccato è un peccato contro Dio, è dimenticanza delle "benedizioni" (come dice il Deuteronomio) che Dio ci dà.


- Paolo in un altro punto dice che gli spiriti dei profeti sono sottoposti ai profeti, e non viceversa, come verrebbe spontaneo pensare. Sottolinea l'umiltà dello Spirito. La profezia è un dono che va supplicato e atteso (Lc 24, 40: "restate in città, finchè non siate rivestiti di potenza dall'alto"), è una realtà che non è nelle nostre forze.

- vs 5: la profezia non è un dono astratto, ma profondamente legato alla carità.

- Il dono della parola comprensibile fa pensare ai nostri interventi, legati alla cartità di passarci reciprocamente ed illustrarci la Parola.

- vs 1: può essere letto in parallelo con Sap 1, 1: "amate la giustizia". E' un richiamo ad un rapporto personale ed affettivo col Signore. Si deve amare con tutte le nostre forze, compresa l'intelligenza, e trasmettere agli altri il dono del rapporto col Signore.


- I due paragoni che Paolo fa per farci capire cos'è/cosa non è una profezia sono molto belli. Ci deve essere armonia nella distinzione, come per gli strumenti di una orchestra. E il secondo paragone è per sottolineare che bisogna che l'altro capisca. C'è infatti accostamento fra profezia e edificazione.

Terminato il grande discorso sulla carità e di lì ripartendo, è bello che ci sia questo discorso sulla profezia. Siccome la profezia edifica, è la prima grande manifestazione della carità. Ma non si fa profezia con elucubrazioni complicate (anche se esatte), che gli altri non capiscono. Questo è piuttosto un parlare in lingue. La profezia deve essere un ponte fra Dio e l'uomo. In questo senso il testo è un richiamo molto positivo. Poi verranno particolarità anche delicate (le donne che non possono prendere parola nell'assemblea). Ma per oggi va sottolineato che la profezia è un umile servizio alla Parola, perchè arrivi al cuore dell'uomo. In coerenza con l'augurio di Mosè, anche qui viene auspicato che il dono della profezia si dilati. C'è l'esigenza che ci sia qualcuno che profetizzi, e l'auspicio che questo dono sia esteso a molti.





26-5-97 1 Corinti 14, 15-19; Gv 19, 23-24 (Giovanni)



L'intelligenza


- Tutte le cose sono riscattate dal Signore. Oggi le scritture ci parlano dell'intelligenza, spesso una via di affermazione solitaria e orgogliosa, che nel mistero di Cristo può diventare l'assimilazione al desiderio di Dio che vuole comunicare se stesso. Le parole di oggi sono infatti collegate alla grande festa della Trinità celebrata ieri e sottolineano la fioritura della Pasqua, nella quale ciascuno trova la verità della sua vita in questo misterioso viaggio verso "l'altro". Dio ha fatto della nostra vita una città aperta, e di ogni giornata il momento di ricezione dei suoi doni. Noi, per una specie di inganno, possiamo stravolgere queste armonie. Ma l'inganno viene smascherato dalla intelligenza della fede. Chiediamo perdono al Signore, e domandiamo che tutta la nostra persona possa entrare nel mistero della sua carità.


- Importante che si si preoccupi del "non iniziato" (vs 16), cosa che sottolinea l'adeguamento di Dio alla nostra ignoranza. Nella celebrazione pasquale tutta la liturgia degli Israeliti si piegava a spiegare al figlio piccolo il mistero. Viene sempre fatta la scelta più vantaggiosa per il fratello: "preferisco dire cinque parole con la mia intelligenza, per istruire anche gli altri" (vs19).

- Ricorda Dt 6: il comandamento dell'ascolto e dell'amore di Dio che deve essere celebrato in tutte le dimensioni della persona. Qui Paolo non accetta che nel rapporto uomo-Dio qualcosa resti fuori, Dio deve riempire tutto in tutti.

- vs 15: "pregherò anche con l'intelligenza". Nel Vangelo di Mc Gesù dice che bisogna amare con tutta la mente, cosa che non è detta nel passo corrispondente di Dt 6. Questo puntualizza che la preghiera è benedizione e ringraziamento, e da questo l'altro viene edificato.

- L'intelligenza ha un ruolo di servizio alla edificazione altrui.

- Pregare con intelligenza significa rendersi conto che meno parole si aggiungono alle parole di Dio, meglio è (vedi anche menzione di cinque parole vs 19). La Parola non ha bisogno di tante parole. Va semplicemente "fatta risuonare", bisogna farle da eco, perchè è fatta su misura per l'uomo.

- Altre due espressioni (edificare, vs 17, e catechizzare, vs 19) fanno parte di questa preghiera con intelligenza, che è attenta ai fratelli per la loro crescita.


- Tutto si può raccogliere in tre ambiti di servizio dell'intelligenza: 1) è un servizio a se stessi, perchè si riferisce alla parola stessa di chi prega; 2) il termine della salmodia, richiama l'assemblea cristiana; 3) scende anche al livello del non credente, che pure deve essere reso partecipe. Tutto questo è bello perchè ricorda lo stile di Dio, che vuole concedersi a tutti attraverso Gesù. Quello indicato oggi è il sentiero di Dio che si fa povero. Gesù era molto preoccupato di spiegarsi, di farsi capire. Si può anche ricordare 2 Cor cap 11-12, dove parla del problema del vanto e conclude di vantarsi delle sue debolezze. L'intelligenza, grande via dell'orgoglio umano, deve diventare una grande via dell'umiltà e della comunicazione.

Oggi nell'assemblea cristiana il canto, spesse volte, anzichè spiegare la Parola, la annebbia. Spesso i canti diventano motivo di esaltazione collettiva (vedi visita del Papa a Parigi l'estate scorsa), mentre dovrebbero aiutare a far scendere la parola nel cuore. Bisogna sempre piegare l'intelligenza alla verità. Alla fine deve sempre saltar fuori il ringraziamento per il dono di Dio. E' stato giusto desiderare che le scritture fossero tradotte in tutte le lingue, ma questo non deve diventare un atto di vanità, un allontanarsi dalla fedeltà della Parola.



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09/12/2011 21:45
 
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1 Corinti 14, 20-25;

La profezia


- Desideriamo fare tesoro della celebrazione di oggi per chiedere al Signore la grazia di una sempre maggiore chiarezza di fronte alla sua Parola. In Dio tutto (gioia, dolore, ...) è semplice. La nostra fatica quotidiana è la battaglia della fede che si combatte nel nostro cuore, che non vuole accogliere la luce serena di Gesù. In Gesù, tutta la complessità delle rivelazioni antiche e delle profezie, la stessa complessità della storia dei popoli, delle nazioni, e di ciascuno di noi si semplifica, se guardiamo con cuore limpido. E dobbiamo ricordare che ci sono molti fratelli che cercano proprio questo, e che hanno bisogno di trovarlo, anche per nostro tramite. Chiediamo perdono per come il Vangelo del Signore diventa in noi una cosa sconnessa e complicata, e addirittura luogo di divisione e di giudizio. Chiediamo al Signore la grande grazia di una vita tutta raccolta in Lui.


- vs 22: non è chiaro, e sembra contraddire i vs 23-24. Fra l'altro sembra dica che i non credenti non possono profetizzare, cosa un pò sorprendente.

- vs 20: in latino dice "siate perfetti" un termine che vuol dire senno, ragione. Al vs 24 spiega cosa vuol dire perfetti: quando una chiesa si riunisce e profetizza, è cosi potente che porta alla conversione. Il parlare, l'annunciare la parola, l'essere profeti ed il vivere nella comunione, porta alla conversione del non credente.

- vs 25: "adorerebbe Dio": non dobbiamo preoccuparci del come e del perchè, l'importante è che c'è qualcuno che trova Dio.

- vs 22: in Atti 10, Pietro vede che lo Spirito Santo scende su chi ancora non ha ricevuto il battesimo, e tutti parlano in lingue prima ancora di essere credenti. Per profetizzare, invece, ci vuole anche la fede e quindi profetizzare è uno stato più avanzato, che richiede un rapporto con la parola di Dio. Se è così, i testi ci parlano della nostra preghiera sia individuale che comunitaria, per dire l'importanza che deve avere la parola di Dio, sia ascoltata che data, perchè cresca l'intelligenza della fede.


- Il testo di oggi contiene una consolazione ed una ammonizione per la nostra assemblea quotidiana. Bello il discorso sui bambini del vs 20. Ci sono due modi per essere bambini: uno buono, perchè il bambino non ha esperienza del male, e la sua disponibilità alla conversione è totale; uno cattivo, che è quello di non crescere mai e rimanere sempre nell'incertezza. La carità è la maturità della fede, chi è bambino nella fede è più lontano dalla carità. Quando al vs 21 Paolo cita Is (e ci ricorda indirettamente passi collegati del Dt e del Vangelo di Marco) ci porta in un orizzonte negativo della storia, o perchè i profeti sono falsi, o perchè la gente non si converte. Questo brano di oggi è quello che parla peggio delle "lingue". Paolo vuol farci capire che un'assemblea che parla in lingue impressiona molto il non credente, mentre per il credente il vero miracolo è la grande semplicità e lucidità della parola di Dio. Il grande frutto della profezia è mettere nel cuore della gente la Parola. Quello che "occorre" quindi, anche al non credente, è ricevere la profezia, che lo può portare alla conversione. E' la profezia lo spazio in cui si celebra la fede. Noi avvertiamo che il dono della profezia si distende nel tempo, cresce, ma è sempre un dono. La vera differenza è rendersi conto che la profezia è la celebrazione della parola. La profezia non è l' insegnamento, e non è il ministero apostolico. La profezia è un'assemblea dove, dal cuore di ciascuno, emerge quello che la Parola ha donato. Il puro fatto che l'assemblea esalti la parola, le conferisce grande autorità senza esercizio di potere. Nel NT Gesù stabilisce un rapporto strettissimo fra l'autorevolezza che viene dalla parola del Signore e l'autorità. La forza che viene dal Signore dà la possibilità di esercitare un'autorità fraterna molto grande, senza potere. Tutto va appoggiato al mistero cristiano: o si fa entrare nel quotidiano la parola di Gesù, o tutto diventa difficilissimo. Quindi anche oggi il Signore ci ha fatto un grande regalo: ci ha fatto capire che l'autorevolezza può derivare solo dalla profezia, che tutti possono esercitare; e poi tutto va basato su questo. Se l'assemblea profetizza, il non iniziato capisce tutto e adora Dio.

28-5-97 1 Corinti 14, 26-33a; Gv 19, 28-30 (Giovanni)



La liturgia è per l'edificazione


- Dio Padre si piega con cura affettuosa sulla nostra vita perchè fiorisca, nella grande sinfonia della carità, la ricchezza dei doni che ha voluto riservarci. Purtroppo questi doni, quando sono ereditati nell'asprezza del nostro cuore di pietra, diventano motivi di divisione e di scontentezza. Il Signore, invece, desidera che tutto si svolga nell'ordine vero, che è quello della carità. Anche stamane il Signore ci accoglie, quindi, nel perdono di tutto quello che in noi è stato disordine, parola incontrollata, gesto violento. Ci dà un cuore rinnovato e un labbro purificato per consentirci di cantare la sua lode.


- vs 27 e 29: "parlino in 2 o 3". Ricorda Dt 17 dove dice che ogni parola sta salda su 2 o 3 testimoni. Frase ripresa dal Vangelo per la validità della testimonianza. Ricorda anche il brano evangelico in cui si dice che se 2 o 3 sono riuniti nel nome di Gesù, Lui è in mezzo a loro.

- vs 26: "ognuno può avere un salmo...". Nel greco, non c'è il "può"; dice semplicemente "ciascuno ha." Noi arriviamo qui ciascuno con un dono e tutti insieme compiamo questa edificazione vicendevole.

- vs 33: "Dio non è un Dio di disordine, ma di pace" richiama "Gesù è la nostra pace" La parola disordine si trova una sola volta in Lc (tumulti di guerra): quando Gesù non è in mezzo a noi, tutto è disordine.

- vs 26: "Quando vi radunate ". E' una bella parola che ricorda il vangelo. Sia chi profetizza che chi ascolta e giudica è profeta perchè accoglie Gesù nella sua pasqua.

- vs 32: una delle differenze fra i due doni (lingue e profezia) sta nel fatto che gli spiriti dei profeti devono stare sottomessi ai profeti (chi ha questo dono deve essere capace di gestirlo da solo), mentre per le lingue è indispensabile uno che le interpreti. Forse non è solo una questione di ordine comunitario, ma una questione di spirito, di umiltà. Qualunque cosa uno riceva dal Signore, deve consegnarla al fratello. Si tratta quindi di un ordine interiore che riguarda ogni persona.

- E' bello l'ordine di cui si parla: è un ordine senza gerarchia, tutti possono profetare, lo Spirito soffia dove vuole; non si parla neppure di chi presiede.

- Bella questa assemblea dove non ci sono passività: ciascuno ha una parte, anche chi ascolta è chiamato a giudicare; l'edificazione passa attraverso il giudizio.

- Si nota una grande delicatezza dell'uno verso l'altro: il primo tace quando il secondo ha un'ispirazione.


- L'assemblea di cui parla il testo di oggi è viva non per tutto quello che fa (lingue, profezie, giudizi), ma perché ha dei doni: si tratta di gente che arriva ricca all'assemblea. Paolo usa sempre il verbo "ha" e non "può avere". Il traduttore è stato un po' meno deciso dell'apostolo. C'è una parola importante, edificazione, che indica un movimento, un'attenzione, un fine che regola questa assamblea. Siccome liturgia e storia sono collegate, la potenza di esemplarietà della liturgia trasforma la storia. La liturgia non è un semplice rito che si svolge secondo un insieme di regole. Questa assemblea dà infatti l'impressione che la sua vera regola sia il suo stesso fine, che è l'edificazione secondo carità. C'è un regolamento leggero, e una regola ferrea che è costruire la carità. Ogni giorno bisogna costruire la carità: ci sarà una volta in cui si parla, e una in cui si tace; il tutto per lasciare che nella storia si liberi l'avvenimento del Signore, sempre.

Commuove l'accostamento con i tre versetti del vangelo, dove Cristo crocifisso morendo "trasmette il suo Spirito". Noi anche stamattina siamo qui per celebrare questa grande grazia: che lo Spirito sia dato, che il Cristo sia consegnato. Anche noi dobbiamo dare la vita, e veniamo qui ad apprendere come si fa a trasmettere lo Spirito con la parola, il silenzio, un salmo, un'esortazione. L'ordine del mondo è una limitazione della libertà, ma il cristianio ha una prospettiva nuova: dare la vita. Per quanto riguarda la liturgia, e in particolare la Messa, non deve essere un rito ripetitivo, ma un'impresa ogni volta nuova: un'edificazione stupefacente, un risultato che desta meraviglia.

29-5-97 1 Corinti 14, 33b-40; Gv 19, 31-37 (Giovanni)


La donna e l'assemblea


Siamo su una strada preziosa: lo Spirito del Signore ci ha portato a considerare la nostra vita come celebrazione del mistero di Gesù e della sua passione. Tutto quello che facciamo, pensiamo, viviamo non può che essere il frutto della mitezza allo Spirito, che assegna a ciascuno il compito di tessere la lode di Dio. Chiediamo perdono per ogni prevaricazione, per tutto quello che nella nostra vita, anzichè esprimere la sottomissione allo Spirito, è stato un tentativo di affermazione di noi stessi. E chiediamo perdono in particolare per tutto quello di negativo che le nostre parole e le nostre opere hanno significato per i nostri fratelli. Affidiamoci alla misericordia del Padre.


- vs 35: "se poi vogliono imparare.." Questo comando implica un'unione nuziale col marito nella parola. Col marito dice parlare, non profetizzare.

- vs 35: "imparare". Contiene la parola del discepolato. La donna in questo testo è figura indicativa della condizione del discepolo, legata al silenzio, all'ascolto, all'umiltà, alla non presunzione di insegnare, ad occupare il posto di chi impara. Come anche in altri passi, la donna assume il ruolo di chi indica quello che tutti dovrebbero cercare. Se la donna fa bene questa parte, fa vedere un qualcosa che ha un valore positivo per tutti.

- Si notano alcune differenze rispetto al testo inglese: vs 34 "le vostre donne mantengano il silenzio" (verbo di azione); vs 35 non "se vogliono imparare", ma "se impareranno qualcosa nell'assemblea, interroghino il marito" perchè il marito abbia vita dalla parola custodita nel silenzio.

- Qui non si impedisce alla donna di parlare o profetare (si veda, infatti, il cap 11), ma bisogna fare una distinzione fra preghiera e doni dello Spirito da una parte e insegnamento dottrinale dall'altra.

- Perchè il comando di non parlare in assemblea oggi non viene più osservato?

- vs 36: notare l'invito di Paolo di ritenere la parola superiore, precedente, e più preziosa di tutto. Siamo i destinatari della parola, che però non è nostra, ci sono anche tutti gli altri.

- il vs 34 richiama 1 Pt 3, 1: "mogli state sottomesse ai mariti perchè vengano conquistati dalla vostra condotta, senza bisogno di parole". Questo tacere ha un significato, uno scopo, e anche un modo.

- C'è differenza fra parlare e profetare, la parte precedente indirizza a questa differenza. Le donne esprimono autorevolezza nell'assemblea, anche se non hanno un compito di magistero.

- Il silenzio della donna è un modo di essere, una eloquenza speciale. In particolare nell'assemblea, ma poi anche in tutti gli ambiti.

- La lode del silenzio delle donne è una cosa bella; l'imperativo "tacciano, perchè non è loro permesso parlare" (vs 34) lascia però un po' perplessi.


- Dal testo di oggi emerge il fatto che c'è parlare e parlare. Tutto l'itinerario dell'annuncio del Risorto sarebbe messo in discussione se si spingesse troppo oltre l'argomento che le donne devono tacere. In tutta l'economia cristiana c'è un primato del parlare delle donne: le donne devono annunciare. La profezia è di tutti, l'ha detto e lo ripete anche oggi l'apostolo. Si può puntare molto sul vs 36, dove Paolo rivendica per sè una parola che gli deriva dal fatto di essere apostolo. Le donne non possono essere apostoli. Anche al vs 37 Paolo rivendica per sè l'autorità apostolica per dire che tutto deve poggiare sulla Parola di Dio che viene passata all'assemblea dall'apostolo. La garanzia non è un libro scritto, ma un ministero esercitato e le donne non sono ammesse a questo ministero. Non dice perchè. Le donne hanno un'altra funzione, quella che svolgono il mattino di Pasqua: è un mistero di generazione che muove la corsa degli apostoli. Le donne sono il segno di una chiesa discepola, ricettiva. Le donne della mattina di Pasqua riproducono quello che è successo a Nazaret: l'annunciazione, che è il cuore del mistero cristiano. Per quanto riguarda l'omelia, ci sono modi diversi: se c'è uno solo che parla, è perchè in quel momento si manifesta il ministero apostolico. Noi invece con l'omelia partecipata facciamo una sosta nella Messa, con un'assemblea in cui tutti possono profetizzare. L'ha detto anche Paolo: chi porta un salmo, chi una rivelazione ecc. La nostra assemblea ama avere un certo conforto, una certa indicazione positiva data dalla possibilità di un'ampia partecipazione profetica. Fissato che c'è una posizione centrale, quella dell'apostolo, ognuno può manifestare il suo pensiero. E per gli uomini? Il discorso sul silenzio è molto importante in rapporto alla Passione. Le donne che stanno in silenzio sono celebrazione del silenzio di Cristo sulla croce.

30-5-97 1 Corinti 15, 1-11; Gv 19, 38-42 (Giovanni)


Resurrezione di Cristo è la vera sorgente della carità


- All'inizio del cap 15 della lettera, chiediamo una grazia che già avevamo intravisto nel cammino fatto finora. Questo cap 15 spesso viene considerato come un'aggiunta; invece è l'apice, la parola ultima di tutto quello che il Signore ci ha voluto regalare. E' il riscatto dell'annuncio della Resurrezione. La Resurrezione non è una dottrina, ma la verifica profonda della carità. La grazia da chiedere è accogliere questo insegnamento che ci dà Paolo. La Resurrezione è la parola ultima sull'amore. E siccome l'amore non finisce, la Resurrezione avvolge tutta la storia, compresa la sua fine, che è la morte. La Resurrezione di Cristo è la vera sorgente della carità. Senza Resurrezione la fede è vana e la carità è impossibile. La carità è la visibilità dell'annuncio della Resurrezione. Gesù risorto è là dove la fede si affatica. Gesù non è solo la manifestazione della volontà di Dio, ma è Dio stesso. Chiediamo perdono per tutti i nostri peccati contro la fede nel Risorto. Chiediamo a Dio di spostare la pietra del nostro sepolcro perchè possiamo anche oggi udire la sua voce.


- vs 8: notare come l'effetto di quello che Paolo ha fatto (ha perseguitato la chiesa) lo mette stabilmente nella condizione di non essere degno.(il verbo è al presente, a significare una cosa che rimane). Anche noi quando diciamo "Io non sono degno", lo diciamo non solo per i peccati presenti, ma anche perchè il peccato passato rimane e ci tiene nella continua necessità della grazia di Dio; non per umiliarci, ma per mettere in evidenza quello che Dio ha fatto per noi.

- vs 10: è bellissimo; "non è stata vana" è il verbo che si trova nel prologo per annunciare l'atto generante che porta a Gesù.

- vs 1: "vi rendo noto" parla di qualcosa che loro hanno già ricevuto. E' un'azione presente e continua di cui loro hanno bisogno ogni giorno, che serve a far si che il vangelo possa essere tenuto stretto. Questo vale anche per noi. "Se lo mantenete" verbo forte che indica un'azione che ci viene chiesta: quest'annuncio non si deve allontanare, lo dobbiamo tenere stretto per tutta la giornata.

- vs 2: "Se lo mantenete in quella forma" nel testo greco anzichè "forma" dice "parola", che è più forte perchè forma richiama un ordine esterno, mentre parola è il vangelo stesso; quindi da custodire è più la parola che la forma. Il verbo non è al congiuntivo, ma è detto come una affermazione; c'è una condizione ("se lo mantenete"), ma c'è già tutto, non è un'eventualità, ma è la necessità di rimanere.

- Paolo parla della sua esperienza col Signore (vedi anche cap 11). Mette in evidenza che non trasmette nulla che non abbia ricevuto. Questo diventa parte integrante del suo annuncio. Poi quando dice di essere l'ultimo, proprio a partire dal suo peccato può dire che il dono in lui non è stato vano.


- "Vi rendo noto": non si tratta della preoccupazione di riesprimere una dottrina difficile o dimenticata; il motivo è farci sapere che questa notizia fa risuscitare. Il dono più bello è proprio questo: ogni giorno percepire la voce di Dio che ci porta dalla morte alla vita. Se siamo troppo immersi nei nostri problemi non riusciamo a cogliere questo annuncio. L'umanità ogni giorno viene visitata dal richiamo di Dio che dice a ciascuno: "Alzati amica mia". Chiediamo al Signore di essere pronti ad accogliere questo annuncio. Il peccato della tristezza dello spirito è la cosa più grave, quella da temere di più. Bisogna desiderare l'intervento del Signore, il suo venire ogni giorno nella nostra vita, e allora tutto ci appare nuovo, e noi rimaniamo sorpresi, perchè veramente la sua parola chiama i morti alla vita.

Rapporto fra annuncio del vangelo e apparizione del risorto. Noi non siamo fra i testimoni, ma lo siamo di fatto perchè ci è stato annunziato. L'annuncio ha lo stesso effetto dell'apparizione: anche noi passiamo dalla morte alla vita. Il miracolo della resurrezione è per noi, per la nostra salvezza. Ogni peccato è percezione ed esperienza di morte: ma il Signore ci riporta alla vita. La vicenda personale di Paolo è forse il paradigma della vicenda di tutti: quello che ci compete è la morte e invece siamo vivi; ci compete essere aborto e invece siamo apostoli. L'obiezione di Dio alla morte è presente in noi: è la buona notizia della vita contro tutte le nostre lontananze. C'è il grande contrasto fra "come sono" e "come sono per grazia di Dio". Scrivendo ai Tessalonicesi, Paolo sottolinea la fatica della carità, come qui sottolinea la fatica della grazia di Dio in noi. Quindi ciascuno di noi è il luogo dove Gesù continua a celebrare la sua Pasqua. Chiediamo al Signore che ci consenta di leggere tutto questo testo della resurrezione dentro il mistero dell'amore. Il Signore ci vuole così bene che non può permettere che il suo santo veda la corruzione. Risorto dai morti viene a comunicarci il dono della Resurrezione.


2-6-97 1 Corinti 15, 12-19; Gv 20, 1-10 (Giovanni)


Resurrezione


Non potremmo tenere per noi niente di tutto quello che abbiamo ascoltato nelle scorse settimane se non ci fosse la resurrezione dei morti. Perchè la carità è collocata al di là della morte. Se fossimo stretti nella prigionia della morte, tutto quello che abbiamo ascoltato sarebbe vano. Ma Cristo è risorto dai morti. La nostra fede è preziosa, ma tanto fragile. Potremmo chiederci se dubitiamo della resurrezione o della carità. Il dubbio sulla resurrezione insidia sempre il profondo del nostro spirito, mentre la negazione della carità è lo schiaffo che la nostra povera vita riceve quotidianamente. Anche stamane siamo qui per celebrare una speranza oltre ogni speranza. Sia Dio a soccorrere ogni nostra incredulità, a restiturci alla grazia della Pasqua, che è la vittoria della vita sulla morte. Per noi e per tutti quelli che vogliamo affidare alla sua misericordia, la Pasqua è il grande evento, la grande alternativa.


- vs 12: la contestazione riportata in questo versetto non è chiaro se riguardi anche la resurrezione di Gesù. Colpisce che Paolo leghi in modo insistente la resurrezione di Gesù e la resurrezione di tutti gli altri. Questo stretto nesso è l'elemento più importante del testo.

- Pare che si tratti di un discorso interno alla chiesa. E' importante che nel vs 13 dica "Se non vi è" (e non, "se non vi sarà"). Il problema paradossalmente riguarda il presente. Solo la fede cristiana possiede questa presenzialità della resurrezione dai morti; in altre fedi la resurrezione riguarda il futuro.

- Notare che è importante nel testo anche la predicazione della resurrezione, oltre alla resurrezione in sè. Paolo dà molta importanza a quest'aspetto (predicazione, testimonianza) come se facesse parte diretta della resurrezione.

- vs 19: contiene un insegnamento importante. Il Salmo 15, 9-10 dice: "Di questo gioisce il mio cuore, esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro, perchè non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascierai che il tuo santo veda la corruzione". E' una speranza che non muore col corpo.

- C'è una stretta relazione fra i due testi (lettera e vangelo di oggi), che si spiegano a vicenda. Se si comprende la resurrezione dai morti, si è capita tutta la scrittura.

- L'obiezione della seconda parte del vs 12 riguarda il fatto che non esiste la resurrezione dei morti, e non dai morti. Nel vs 17 si parla di peccati; la parola peccato è solo qui e nel vs 3. Morire per i nostri peccati da parte di Cristo, vuol dire che Cristo ha sconfitto i nostri peccati.


- Bisogna dirci con franchezza che il ragionamento non è facile, e ci sfugge. Noi diciamo: "E' successo al Signore, succederà anche a noi". Qui invece sembra che sia il Signore condizionato da noi (se i morti non risorgono, neanche Cristo...).

Questa è la debolezza della fede. Anche per Maddalena la resurrezione di Cristo è una pietra ribaltata, e un non sapere. Quindi una cosa molto debole. Abbiamo un'esperienza drammatica della verità della resurrezione quando nel nostro cuore manca il perdono o la speranza. Commuove la volontà di Dio di condizionarsi a noi. O c'è la resurrezione dai morti, o neppure lui è risorto. Quando non ci vogliamo bene, o ci lasciamo terrorizzare da una malattia, non testimoniamo la resurrezione dei morti

Bisogna occuparsi delle vittorie della carità, del fatto che qualche volta ci vogliamo bene, di tutti i segni della resurrezione. Noi pensiamo che la creazione sia una resurrezione dai morti, anche questa stessa giornata la pensiamo strappata via dalla sua non esistenza. Lo stesso la nostra vita, il volerci bene, sono tutti miracoli di resurrezione. Per quanto semplice, la nostra vita deve essere sempre impegnata nella predicazione della resurrezione dei morti, e quindi anche della resurrezione di Cristo. Tutto va vissuto e presentato come speranza di resurrezione, altrimenti non diciamo che la pietra si può tirare via. Nel vangelo si parla di pietra ribaltata: anche nella nostra vita si vedono pietre ribaltate. Gesù si affida alle nostre resurrezioni e noi dobbiamo sempre farle emergere. La morte è per la resurrezione (vedi episodio di Lazzaro). Questo contraddice molto i nostri cattivi stati d'animo. Il Signore si affida alla nostra speranza.



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09/12/2011 21:47
 
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1 Corinti 15, 20-28;


Ora, invece, ...


- La Chiesa ricorda oggi i martiri africani. Affidiamo nella preghiera al Signore tutte le Chiese e le persone dell'Africa, e in particolare le nostre sorelle e i nostri fratelli che sono là, e il bambino Kisito (che porta il nome di uno dei martiri). Ci protegge, oggi, anche Papa Giovanni, di cui ricorre l'anniversario della morte. La morte: è la grande paura, inconscia o esplicita. Ma le letture di oggi ci dicono che la morte è vita in Gesù. Ogni giorno celebriamo Gesù, vincitore sulla morte. La resurrezione dei morti, prima di essere una speranza o un avvenimento, è la persona di Gesù. La resurrezione dei morti ci consente di entrare nella liturgia in comunione con quanti la celebrano in cielo. A Cristo, che ha vinto la morte, chiediamo di intercedere per noi presso il Padre perchè nella nostra vita ogni opera di morte sia consumata.


- vs 20: "Ora invece"; è molto importante questo inizio, perchè si collega ai vs precedenti, dove la situazione appariva disperata. "Ora, invece", Cristo è risorto, e tutto quanto detto prima si capovolge. Il vs 21 è più stringato che in italiano: "a causa di un uomo la morte, a causa di un uomo la resurrezione". Si capisce di più l'importanza del fatto che Dio si è fatto uomo.

- La menzione di Adamo è importante perchè conferisce universalità anche alla resurrezione in Cristo: tutti risorgeranno, c'è un unico destino. Adamo e Cristo sono in parallelo anche in Rm 5, relativamente al peccato; qui relativamente a morte-resurrezione. Cristo, primizia dei dormienti, è la grande speranza di tutti quelli che si addormentano nel sonno della morte.

- vs 20: "primizia": la radice della parola è "principio", per cui non indica un fatto temporale, ma un principio, una finalizzazione per la resurrezione.

- vs 20: è centrale in Paolo, è l'unica notizia veramente buona. E non dice che Cristo vive, ma che è resuscitato. La morte, quindi, è parte integrante di questo annuncio di salvezza. La salvezza è essere resuscitati, in Gesù, dal sonno della morte.


- Sempre più la rilettura di questo brano fa avvertire un punto fondamentale. "Ora invece": è uno strappo. Qui si colloca l'atto di fede. La nostra predicazione e testimonianza è troppo complicata; invece il cuore di tutto è semplice: Cristo è resuscitato dai morti.

E' ovvio che, quando il NT dice resurrezione, principalmente parla del corpo. Questo è decisivo anche rispetto ad altre fedi. Se non fosse una questione di corpo, non parlerebbe di resurrezione, ma di anima immortale o qualcos'altro di simile. A ribadire che il corpo c'entra, nel vangelo Gesù dice: "non toccarmi". E' decisivo che si parli del corpo. La "pietas" cristiana mette la carità al primo posto proprio a motivo del corpo. Lo spirito ateo dispregia il corpo. Ma qui il sepolcro è vuoto. La nostra fede è questo vuoto, perchè Gesù è risorto.

Altro punto importante: non dice che la resurrezione è avvenuta a causa di Dio o del figlio di Dio, ma a causa di un uomo. Il vangelo è possibile perchè Gesù è un uomo nuovo, ma reale. La resurrezione dai morti non riguarda l'al di là, ma quest'uomo che è in mezzo a noi.

L'ultimo punto importante è che si sa come va a finire. E' importante sapere che c'è oggi un regno di Cristo, che serve a svuotare ogni cosa; e che poi, alla fine, Cristo deve consegnare tutto al Padre. E' un avvertimento-notizia importante, che cambia tutto il modo di essere fin da questo momento. Qualunque potestà ci domini, sappiamo che va con pazienza svuotata. Va enfatizzata solo la signoria di Gesù. Tutte le altre signorie (malattia, fatti di ogni natura, ecc) vanno svuotati, e noi dobbiamo aiutarci a fare questo. Il "leghismo" è pagano perchè contraddice la prospettiva unitaria finale. Se le persone potessero essere messe più spesso davanti alla semplice domanda: "Gesù è risorto?", sarebbe meglio che metterle davanti a tanti annunci anche cristiani (es: il congresso eucaristico). Il punto fondamentale è che Cristo è risorto, e che Dio vuole essere tutto in tutti.

Infine il testo parla di resurrezione attraverso sottomissione: libertà, signoria per la sottomissione. La libertà dalla morte ci porta ad essere uniti e quindi sottomessi al Padre.


4-6-97 1 Corinti 15, 29-34; Gv 20, 19-23 (Giovanni)



La resurrezione è per l'oggi


- Chiediamo oggi che la Parola del Signore ci prenda per mano e ci faccia fare qualche passo nella sapienza della Pasqua. Quando ci si addentra in insegnamenti come questo che riceviamo oggi, si capisce come siamo sempre al principio del nostro cammino. Fa sorridere ogni pretesa di maturità, di pensare di capire, di avere atteggiamente adeguati. Questo perchè la parola di Gesù cambia tutto. Si può rifiutare, ma se appena la si accetta un poco, non è possibile non prendere atto che tutto cambia, che tutto è spazio di una creazione nuova. Chiediamo perdono per tutti i nomi nuovi che non abbiamo saputo dare a cose, persone, avvenimenti, e per le opere che in noi ancora celebrano la prigionia della morte. Chiediamo al Signore di condurci per mano, e di farci percorrere la via dell'umiltà, nella ricerca della sua Parola di luce e di bontà.


- Bella la prima delle condizioni che salta se non c'è resurrezione: il battesimo per i morti. E' una partecipazione al mistero della Pasqua, in quanto Gesù è stato "battezzato per i morti", per noi che eravamo irraggiungibili. Viene in mente la regola: "la solitudine dello spitito per la fecondità di molte anime" può essere raggiunta solo da questo battesimo per i morti. Una cosa altrimenti irraggiungibile con le nostre azioni e le nostre capacità.

- Abbiamo visto nei giorni scorsi il legame fra resurrezione e carità. Oggi nel vs 33 viene esplicitato:"Ogni giorno muoio": la consumazione, la spesa per il Signore è di ogni giorno. Vedi anche il riferimento a Rm, e il Sm 43, dove si vede che il popolo anche senza colpa viene "consumato".

- vs 32: è un invito pressante a ripensare a tutta la nostra vita. Se non è fondata sulla resurrezione, la fede non ha senso, ha senso quello che dice il mondo: mangiamo, beviamo ...

- Senza resurrezione Dio rimarrebbe solo, nessuno gli darebbe gloria.

- vs 32: in questo ragionamento umano c'è la paura della morte. Se c'è la resurrezione dei morti, la morte non ha più potere. Gesù è risorto e ha vinto una volta per tutte la morte.


- Diversamente da quelli che dicono:"domani moriremo", non è che noi diciamo "domani risorgeremo", altrimenti è un puro dibattito dottrinale. Il testo però si riferisce ad un altro punto decisivo: non moriremo perchè siamo già morti, e lo siamo tanto più perchè stamattina siamo già risorti. L'importanza della resurrezione è per l'oggi. Noi abbiamo la conoscenza forte che il Signore oggi ci tira fuori dalla morte. Se ci rendiamo conto di cosa vuol dire per noi il vangelo di Gesù, il "prima" e il "dopo" non sono più tanto distinguibili, si inseguono. A motivo della resurrezione tutto è diverso, la resurrezione cambia la nostra vita di adesso. Noi tutti i giorni ripartiamo dal sepolcro vuoto, diciamo "è risorto" e poi cominciamo la giornata. Anche oggi siamo qui a ripresentare la paura della morte; poi Gesù viene, ci dice "pace", e dà inizio per noi ad una giornata di resurrezione. La morte è il "prima del vangelo", è una realtà negativa che Gesù supera. Siamo venuti con tutti i nostri peccati e Gesù ci libera, come il paralitico o il cieco nato. Quindi la resurrezione è un dono per l'oggi, è il tirarci via la pietra che ci tiene prigionieri. Se la pietra è tolta, la giornata è tutta diversa. In noi nasce il desiderio che chi è vicino a noi ed è nella morte, esca dalla morte (battezzare, dare la vita per gli altri, farli partecipi del dono di resurrezione). E' una possibilità per tutti, vivi e morti, entrare nella resurrezione. Il Risorto è capace di irrompere in tutte le porte chiuse e dare la sua pace. La cosa più bella è rendere l'altro partecipe del dono ricevuto. Noi siamo sempre esposti ad interpretare tutto nella paura della morte. Vivere nel vangelo è inebriante, perchè c'è un nome nuovo ed una luce nuova in tutto. Tutto quello che ci capita può diventare memoria del vangelo. Il cristiano non ha motivo di giustificazione per la sua tristezza (salvo che i suoi peccati): se si è tristi, la resurrezione non è ancora arrivata. Per questo la vita cristiana, più che essere eroica, è bella. Poi in realtà, basta un niente per farci rientrare nel dolore e nella tristezza. Se si ha la morte "di dietro", si può combattere contro ogni tipo di belva tranquillamente. La resurrezione finale ci permetterà di vedere meglio tutto questo, perchè sarà la definitiva evidenza del Risorto. Dobbiamo prendere ad esempio Papa Giovanni, che non faceva niente di straordinario, ma illuminava dal di dentro le cose ordinarie.


5-6-97 1 Corinti 15, 35-44a; Gv 20, 24-31 (Giovanni)


Il corpo, nudo seme della resurrezione

- La nostra regola oggi parla di "potatura", ed esprime in altre parole quello che il Signore oggi ci dice attraverso la lettera ai Corinti: la destinazione meravigliosa di tutto, la possibilità di tutto, in particolare della creatura sua immagine, di consumarsi in direzione della gloria. E' il segreto pasquale che è posto in noi. Tutto quello cha appare come l'inevitabile avvilimento per le nostre miserie, a motivo del mistero dell'amore è principio della vera bellezza. La nostra vita non vale per le sue possibilità di autoaffermazione, ma per il desiderio di essere consumati per amore del Signore. Qui a Messa ritroviamo il dono della Pasqua, la nostra più intima verità. Ma sappiamo che veniamo da lontano, e quindi non dobbiamo stupirci delle nostre resistenze al Signore che vuole afferrarci. Ringraziamo il Signore che sempre cerca la sua creatura amata, e chiediamogli perdono.


- Il chicco deve morire, ma il nuovo corpo lo dà Dio. Sono due operazioni importanti. La prima è uguale per tutti, mentre la seconda è come una realizzazione della resurrezione: è la fioritura delle diverse vite che i credenti hanno in questo mondo. - Tutte queste stelle, che brillano di una luce diversa, sono bellissime. Anche nella resurrezione la scrittura ci dice che ci sarà un mondo variegato dovuto allo splendore della fantasia di Dio. Il brano di oggi fa capire meglio i "come se non" del cap 7. Viene ribadito con più chiarezza che non è che dobbiamo vivere in questo corpo come se non ci fosse, ma che questo corpo è importantissimo perchè da lui fiorirà quello della resurrezione. - Il brano va letto in continuazione con l'ultimo vs di ieri. Ci aiutano le letture di domenica prossima: in 2 Co 5,1 ("Quando sarà disfatto questo corpo...") il corpo è un seme; e diverrà glorioso per la passione di Gesù (le stigmate mostrate nel brano evangelico di oggi). - La prima parola del brano di oggi lo collega al testo precedente dove confutava la tesi di chi non crede alla resurrezione. Come si resuscita? I Signore compie su di noi una nuova creazione: ci dà un corpo come ha stabilito, cioè secondo un suo progetto di conformità a Gesù. Uno non può passare così com'è alla casa del Padre; prima deve morire, poi Dio gli darà una luce sua. Ognuno è amato nella sua singolarità.- Il brano richiama la conclusione di Ap ("Lo spirito e la sposa dicono vieni!") perchè la nostra esperienza si ferma davanti ai corpi morti. Domani parlerà dell'angelo con la tromba. Finchè questa resurrezione non avviene la salvezza non giunge a pienezza. Quindi c'è un grido molto forte di "attesa della tua venuta" che si leva dalla nostra povertà finchè il Signore non ritorna.- Il titoletto della Bibbia di Gerusalemme ("Il modo della resurrezione") è un po' deviante perchè più che parlare di modalità, il brano sottolinea la condizione essenziale della resurrezione che è la morte (vedi anche Gv 12). Il vs 42 ("si semina corruttibile, e risorge incorruttibile") è da riferirsi alla morte di Gesù (morte del Figlio che è nel disegno del Padre), che è la condizione essenziale per la nostra resurrezione.- Fino al vs 41 si tratta di esempi "naturali", in cui una parte spetta all'uomo, e una parte spetta a Dio; poi quando si passa al vs 42 i soggetti non sono più chiari. Nel caso della resurrezione il soggetto è sempre Dio, che porta alla morte, poi dà un corpo spirituale. Noi non possiamo far altro se non lasciarci seminare.


- Dobbiamo prendere atto che la domanda "Come risorgono i morti?" secondo Paolo è stupida. Il titoletto della nostra bibbia è ironico, infatti il testo finisce senza alcuna idea su come si risorge.Il pensiero cristiano è molto imbarazzato; non si sa cosa dire, tutto è molto vago. Altre fedi hanno descrizioni molto particolareggiate. Il pensiero sul paradiso del tardo medioevo non dice altro che il paradiso è un'enfasi di quello che è stato fatto sulla terra (Divina commedia). Oggi Paolo rimanda alla storia, con questi risultati:

1) Sottolineare il valore dell'identificazione corporea, perchè l'elemento destinato alla resurrezione è questo corpo che deve morire, quindi attenti al dispregio della materia. Non bisogna mai disprezzare il corpo e più in generale la realtà, anche se ferita. Quello che conta è "il nudo seme", ma non in se stesso (non autoglorificazione), ma nel suo viaggio di passione, nella sua consumazione. 2) Ci sono corpi diversi e carni diverse. Quindi diversi "valori". Quello che vale veramente è l'uomo, che invece viene continuamente svalutato ed è sempre in grande pericolo. Non c'è nulla che valga di più, nulla per cui valga la pena di morire, l'unica creatura fatta ad immagine di Dio. 3) Pochi muoiono con la consapevolezza di essere "nudo seme", molti moriranno senza saperlo, ma se avranno dato un bicchiere d'acqua ad un piccolo del Signore...Questo per dire che Paolo sta parlando di tutto il genere umano. Il valore di ciascuno è quello di essere un "nudo chicco" che Dio semina. E' una dimensione universale. Noi abbiamo la fortuna di esserne, almeno un po', consapevoli. Tutto questo ci riconsegna alla realtà che abbiamo intorno, che vale molto per il viaggio della carità.


6-6-97 1 Corinti 15, 44b-50; Gv 19, 31-37 (Giovanni)

(Sacro Cuore)


Siamo partecipi di un corpo spirituale, che si manifesta nella carità


- E' un regalo prezioso trovare oggi, verso la conclusione del cap 15, la festa del Sacro Cuore, le cui letture proprie sembrano convergere verso ciò che vuol dirci il brano della lettera. E anche la festa del Sacro Cuore è arricchita dalla lettera di Paolo, perchè alla fecondità del Cuore del Figlio di Dio si aggiunge una nota potente di creazione: che è la croce. Nella nostra esperienza spirituale vedremo sempre più la presenza del Signore come l'inizio di tutto. Tutto ha preso forma e recupera volto e vita solo se è immerso nell'atto creativo di Dio, che è la passione di Gesù. Chiediamo perdono per tutte le parole e i gesti che non hanno celebrato in noi questa passione feconda.


- Il brano della lettera ricorda il vangelo delle nozze di Cana. Sia perchè c'è un riferimento letterale ("prima": è la stessa parola usata nel vangelo per dire "prima il vino.."), ma ancor più perchè l'ultimo versetto del brano della lettera afferma che deve esserci una transformazione, come nell'occasione delle nozze di Cana dove non viene creato un vino nuovo, ma viene trasformata in vino l'acqua.

- Col corpo corruttibile e con l'uomo tratto dalla terra il brano ci ricorda che siamo in una condizione di peccato. Nella liturgia siamo fatti temporaneamente nuovi, come poi saremo per sempre.

- E' bello il vs 45: il primo Adamo è essere vivente, poi viene l'ultimo Adamo che dà lo spirito. Siamo tutti fatti di terra e viventi, ma poi è venuto il grande dono dell'ultimo Adamo che a noi viventi ha dato la vita (lo spirito).


- Il testo pone una domanda delicata: finchè sono in questo mondo, il corpo "psichico" diventa spirito, o no? Non è chiaro. Si può cercare di seguire una strada. Ricordiamo l'episodio di Nicodemo (Gv 3), a cui ci può rimandare l'ultimo vs del brano. Nicodemo pensa di aver capito tutto, e Gesù gli dice che non si può entrare nel Regno se non si rinasce dall'alto. E' un discorso che si riferisce all'oggi. Noi già oggi siamo partecipi della vita di Gesù in Gesù; infatti, Dio lo chiamiamo Padre. Allora si può pensare che il discorso di oggi si riferisca al battesimo. Bisogna ricordare che nella Genesi il vivente è molto valutato: è diverso da tutte le altre creature perchè Dio a lui dà il suo soffio, è già immagine e somiglianza di Dio. Questo nuovo Adamo è Gesù, e di lui noi siamo partecipi. Allora "spirito datore di vita" può essere considerata la definizione del soggetto che vive nella carità. Tutta la lettera è sulla carità. Senza la carità, anche i dono più belli del Signore non servono. Nel cap 15 ha voluto chiarire che neanche la morte può fermare la carità, in quanto con la resurrezione noi possiamo continuare ad amare all'infinito. La carità sarà la nostra stabile situazione finale. Anche noi, quindi, siamo "spirito datore di vita" in Gesù, fin da ora. Nella Vulgata "datore di vita" è tradotto con "vivificante". Vuol dire che Gesù dà la vita, ma è anche creatore di vita. Dalla sua morte comincia la nostra vita. Gli uomini e le donne di Dio generano continuamente la vita.

E' ancor più bello il fatto che parli di un corpo spirituale. Per capire, si può andare al brano dove Paolo elenca in modo dettagliato le caratteristiche della vita secondo lo spirito: in una parola, dice che vivere secondo lo spirito è essere buoni. Cosa che Gesù, donando il suo spirito, ci insegna.

In conclusione, siamo partecipi di un corpo spirituale, che si manifesta nella carità. L'esercizio supremo della carità è la preghiera. La preghiera è il modo più forte per dire che ci vogliamo bene. Quando preghiamo Dio, liberiamo la sua potenza di carità, una potenza di vita. Ci è dato il supremo privilegio di volerci bene, nonostante tanti inciampi e incidenti. La carità ci è sempre possibile.


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09/12/2011 21:48
 
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Nell'attesa, vigilare nella carità


Nella recita del rosario affidiamo molte volte alla Madonna le nostre vicende nel tempo e, in modo privilegiato, l'ora della nostra morte. Chiediamo l'aiuto della Vergine perchè la morte sia vinta, perchè possa essere pienezza di tutto quello che siamo andati cercando nel cammino della nostra vita: la fedeltà al dono del battesimo, che ci permette di chiamare Dio "Padre". Questo aiuto lo chiediamo anche oggi. Chiediamo al Signore che ci conceda una giornata lieta, liberata dal peccato, feconda di frutti non nostri, ma di Gesù in noi. Chiediamo che il pedono del peccato ci faccia uscire dalla notte della incredulità e ci faccia rimanere nell'opera buona in assoluto, che è l'amore verso Dio e tra noi.


- Qual'è la nostra opera? La conversione dei costumi. Non è opera vana perchè Gesù ha vinto il peccato. Perchè Dio sia tutto in tutti, deve avvenire la nostra trasformazione, che solo Lui può fare.

- Il vs 51 è molto diverso nella vulgata (vedi nota). Nel vs 52 ritorna lo stesso verbo (trasformare), riferito non più a "tutti", ma a "noi". Chi sono "tutti? Chi siamo "noi"? Forse è un mistero, come Paolo stesso dice.

- I vs 54 e 55 convogliano tutte le scritture verso l'affermazione della sconfitta della morte. Dall'attesa di Isaia 25 (Dio divorerà la morte per sempre) fino ad Ap 6, 8 e 20, 14 dove c'è la distruzione totale e definitiva della morte e degli inferi (gettati nello stagno di fuoco). Gesù nel giorno dell'Ascensione porta con sè in cielo prigionieri e prigionia. Questo cambia tutto, come sottolineato dalla liturgia pasquale orientale, che è piena di esultanza e tripudio.

- vs 54: inghiottire. Questo verbo nella scrittura è usato generalmente per indicare cha la morte inghiotte la vita (le vacche magre inghiottono le vacche grasse; l'empio inghiotte il giusto). Qui è usato in modo rovesciato, come ripreso anche dai canti pasquali.

- vs 56: la legge. Forse vuol dire che la legge, che sanzionava l'impossibilità dell'uomo, è ora superata dal nuovo regime dell'amore.

- vs 57-58: il peccato viene vinto da Gesù; noi dobbiamo stare irremovibili, fermi in questa opera del Signore, che è la carità. Questa fatica non è vana, dà frutto.


- Per quanto riguarda i vs 51-52, vanno letti pensando che quando suonerà la tromba non saremo tutti morti. I morti risorgeranno, e quelli vivi dovranno essere trasformati prima di andare dal Signore. Su questo i due testi convergono. Questo problema della trasformazione al suono della tromba sembra lontano nel futuro, ma ci serve anche per oggi. Per capire bene, bisogna pensare a Pietro che, nel vangelo di oggi, mentre pesca è nudo e si mette la veste per correre verso Gesù. In Gal 3, 27 Paolo dice "quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo". Anche per noi oggi c'è necessità assoluta di ravvedimento. Nel brano parla di "corruzione" che deve vestirsi di "non corruzione". Questo richiama anche la parabola di Mt dove l'uomo senza abito nuziale viene cacciato dal banchetto. Così come si è, nella nudità creaturale di Adamo, non si può ereditare il Regno di Dio. A questo proposito S. Agostino dice che la legge è un abito di pelle provvisorio dato da Dio all'uomo. Il vero grande abito, quello delle nozze, è Cristo. Per ereditare il Regno bisogna essere rivestiti di Lui. Siccome non sappiamo l'ora della fine, dobbiamo essere sempre vigilanti tenendo nelle lampade l'olio dello spirito e del ravvedimento. Bisogna "rimanere" (Col 1, 23), perseverando nella grande fatica della carità. La Messa è una anticipazione della tromba che segna la fine di tutti i tempi. Nella Messa, infatti, ci mettiamo in comunione con Gesù che viene a noi. E' l'anticipazione del grande banchetto finale, dove dobbiamo portare anche noi un po' del pesce che abbiamo pescato (che cioè Lui ci ha fatto pescare). Nella Messa si augurano i tempi ultimi dove tutto riposa nella gloria. Qui la morte è vinta, e tutto si compie e tutto è offerto e riscattato. Questa possibilità dell'anticipo dei tempi è la grande grazia che ci fa Dio anche oggi.


9-6-97 1 Corinti 16, 1-12; Gv 21, 15-19 (Giovanni)



La colletta, segno di carità


- E' bello che quest'ultimo capitolo della lettera faccia ritornare sulla nostra vita quotidiana tutto l'insegnamento del Signore, che non resta quindi una teoria. Questo insegnamento non è neppure limitato ad una ipotesi di indicazioni personali o collettive, ma piuttosto stabilisce la fisionomia nuova della esistenza di tutti. E' il Signore che trasforma, crea relazioni, gioie, dolori; è il Signore che fa andare avanti le cose. Questo lo scopriamo anche nella nostra vita quotidiana. Noi siamo preoccupati quando ci accorgiamo di sentimenti o di situazioni che non prevedono il Signore. Per questo anche oggi confessiamo la nostra condizione di peccatori che hanno bisogno di essere salvati, di persone che hanno bisogno di protezione. Chiedere perdono vuol dire trovare la condizione di umiltà e la consapevolezza di essere lontani dai suoi pensieri e dalle sue parole.


- E' interessante vedere come Paolo manifesti in modo chiaro le sue intenzioni e progetti, e poi però lasci sempre aperta la possibilità che il Signore decida in modo diverso (vs 4, 6, 12). Attraverso queste espressioni autobiografiche, si vede come l'Apostolo sia sempre pronto ad accettare la volontà del Signore.

- vs 3: "...portare le vostre grazie a Gerusalemme"; usa un termine che altre volte è espresso con "benedizione" nel senso che quanto i fratelli donano ai bisognosi, è qualcosa che essi prima hanno ricevuto. Questa "grazia", donata in Cristo, è il termine che avava aperto la lettera (cap 1, vs 4), ed è bello che adesso giunga a Gerusalemme.

- Sullo stesso argomento: in 2 Cor 8, 9 dice: "Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perchè voi diventaste ricchi per la sua povertà". La grazia è il dono gratuito di Dio. Paolo in questo momento sente che, accanto a questo dono, c'è un ordine (fare la colletta) che non è un imperativo, ma è un punto a cui si giunge dopo un cammino insieme: è la concretezza della carità.

- vs 2-3: "Ogni primo giorno della settimana, ciascuno metta da parte..": è la domenica, il giorno del Signore, ed è bello che usi il verbo "porre", come Gesù, che ha posto la vita per noi. In 2 Cor 8, 9 dice che è tutta opera del Signore. La Parola è cresciuta fra loro.

- vs 10: viene ripreso il termine "l'opera del Signore", cui tutti sono chiamati. Quello che Paolo chiede rispetto a Timoteo, è nel respiro della eucarestia. "Accomiatatelo in pace" ricorda la fine della Messa ("Andate in pace"), un saluto attraverso il quale uno va via arricchito di tutti i doni della comunione.


- Si può assolvere Apollo che sembra disobbediente e caparbio? Forse ci si può orientare verso altri brani in cui è chiaro che è il Signore che agisce attraverso lo Spirito. E' Dio che ha il suo carattere, che vuole e non vuole. Qui il traduttore ha parlato di non volere in modo assoluto, ma forse si tratta dei tempi di Dio, che non sono i nostri.

Ci sono molte parole importanti, capisaldi della dottrina, trasferiti nella vita quotidiana. Però non bisogna pensare che solo in questo cap 16 ci sia la concretezza, mentre tutto il resto è astratto. La colletta non è l'unica carità concreta. Il Signore, nell'economia sacramentale, ci dà l'opportunità preziosa di trattarci come se ci volessimo bene. Quindi non si tratta di concreto/astratto, ma di un segno che il Signore ci consente di scambiarci, appunto come segno di un qualcosa di più grande che è la carità. La colletta di Corinto è molto importante, anche perchè le cose a Gerusalemme non vanno bene, e loro hanno l'opportunità di compiere un gesto buono. Così nella liturgia dobbiamo fare gesti che vanno al di là del nostro sentire: dobbiamo mangiare lo stesso pane anche se non ci vogliamo bene. Questo succede anche nella vita. Le parole importanti usate da Paolo in ambiti modesti sono ragioni di speranza. C'è l'assoluta liberalità di Dio che ci fa il dono indipendentemente da quello che facciamo noi. "Mi si è aperta una porta grande e propizia, anche se gli avversari sono molti" (vs 9). La nostra vita viene condizionata in gioie e dolori perchè la nostra vecchia condizione inadatta è stata visitata. La grazia, al di là di noi, ha creato relazioni nuove e su tutto c'è un'attenzione nuova dovuta al fatto che il vangelo ci è stato annunciato. Noi avvertiamo che la nostra vita è chiamata ad una celebrazione sempre più grande e ci dispiace quando vediamo che siamo usciti dalla preziosità di questa strada nuova.

10-6-97 1 Corinti 16, 13-18; Gv 21, 20-25 (Francesco)


Fate tutto nella carità


- Stiamo avvicinandoci alla fine della lettera, e oggi riceviamo una indicazione conclusiva che riprende alcuni grandi temi trattati in precedenza. Questo brano non va letto come appendice, ma come una ricapitolazione del messaggio che porta l'intera lettera. Le parole di oggi ci richiamano infatti alla necessità di operare sempre nella carità. Facciamo dunque un esame di coscienza in questa direzione, e chiediamo perdono al Signore per tutte le nostre opere, azioni e pensieri che si sono allontanati dall'amore verso Dio e verso i nostri fratelli.


- Molto preziose le presenze della diaconessa Stefana e della sua famiglia; sono di grande esempio ed aiuto. La raccomandazione di Paolo è di stare sottomessi a lei e a loro (nella vulgata si usa il termine sudditi, che deriva dal verbo"dedicare la vita"). Più uno dedica la sua vita alla carità, tanto più viene costituito in autorità. Paolo sembra dire che bisogna tener conto di questo.

- vs 13: "..comportatevi da uomini, siate forti", richiama "la donna forte" di Pr 31, che è l'anima cristiana. L'accostamento dei due testi aiuta a fare una lettura più chiara.

- Anche nei salmi si ritrova la stessa parola: "Spera nel Signore e sii forte" (Sm 26,14), "Siate forti, riprendete coraggio, o voi tutti che sperate nel Signore" (Sm 30,25). Non una forza nostra, ma un'energia che viene dal timore di Dio e dallo sperare in lui.

- vs 14: "Tutto si faccia..". E' un imperativo che racchiude anche i verbi precedenti. E' il celebrare la venuta di Gesù tra noi e la sua Pasqua.

- vs 15: "Una raccomandazione: vi scongiuro" E' molto forte, Paolo richiede una conoscenza profonda di quelle persone in ordine alla spesa della vita per il vangelo.

- Opportuno il taglio del testo che, dopo i primi due versetti che sembrano spingere ad operatività, ora spinge a riconoscere la presenza di Dio nelle persone e il suo amore riversato sulla chiesa. Quindi la carità, più che fare, è occuparsi delle persone che Dio ci ha messo accanto.

- vs 17: "assenza". Potrebbe voler dire "mancanza", un desiderio di presenza che non può avvenire. "Allietare" è un dono di pace, possibilità di trovare una pausa nelle tribolazioni di Paolo e anche degli inviati (messaggeri). E' un testo con molte sfumature delicate sulle modalità della carità. Si avverte come un invito ad ordinare la propria vita dando una preminenza al servizio.


- Il primo verbo, "vigilate", dà tutto un tono speciale alla lettera, indirizzandola nel clima di una attesa, e quindi mettendo in un rilievo particolare i punti che parlano della fine. In particolare il Cap 7, che parla del tempo che si è fatto breve, e delle conseguenze che questo ha sulla nostra vita, i beni della terra, le persone, il matrimonio, la verginità, ecc. C'è un impellente avvicinarsi del Signore, ricordato anche al Cap 11 sulla cena eucaristica: "finchè Egli venga", che è un invito alla vigilanza. Il testo del vangelo ci spinge ulteriormente in questa direzione, perchè il discepolo prediletto deve rimanere finchè Gesù venga. Anche le indicazioni successive sono tutte in relazione alla stabilità nella vigilanza. Fare tutto nell'amore assume gli stessi accenti del cap 13, dove il primato della carità era determinato dal suo confronto col tempo: tutto finisce, ma la carità non avrà mai fine. La carità è una virtù dell'uomo maturo, e in questo senso parla di uomini forti. Quindi è un invito alla vigilanza rispetto alla carità.

La seconda parte del testo, che riguarda le persone, è molto bella; ci fa vedere che la lettera non è solo teorica, ma come era iniziata coi nomi di alcune famiglie, per lamentarne la divisione, così si conclude coi nomi di famiglie e di intere case. Non si parla solo di individui, ma qui la carità è vissuta a livello comunitario, è tutta una casa che svolge una diaconia verso i santi. Bisogna riconoscere questo, come al cap 11 diceva che bisogna riconoscere il corpo del Signore dagli altri cibi: sapere riconoscere per onorare. E' anche importante il fatto che queste famiglie non solo vanno riconosciute, ma ad esse ci si deve sottomettere. La piccola chiesa domestica ha una sua autorità all'interno della più vasta assemblea ecclesiale. Quanto alla fatica di chi collabora, va vista come una partecipazione alla passione del Signore. Il "riempire la carenza" da parte di alcuni è bello: è un gesto di carità che solleva Paolo da ulteriori preoccupazioni.

In conclusione, si può pensare che questo brano sia un prolungamento su cose concrete dell'inno alla carità. Questo accade anche nella nostra vita: attorno a noi ci sono famiglie che con il loro esempio ci danno forza per proseguire, nella vigilanza, il nostro cammino nella fede.

11-6-97 1 Corinti 16, 19-23; Mt 10, 7-13 (Francesco)


L'importanza del saluto


La regola dice che i voti sono un'umile risposta al dono che solo Dio può dare. Così il saluto col quale apriamo la liturgia è un umile risposta al saluto che Dio ci ha rivolto con la grazia del battesimo. Tutta la vita è un riflettersi del dono di Dio, un trasmettersi l'uno all'altro la notizia di questo dono. Il saluto è importante, perchè è appunto il trasmettersi qualcosa che ciascuno ha già ricevuto, la grazia di Dio. Chiediamo perdono per ogni ostacolo che abbiamo frapposto fra la grazia di Dio e la vita nostra e dei nostri fratelli, per ogni volta che la nostra poca carità è stata di impedimento al fluire della grazia verso tutti i cuori.


- Bacio santo, rimandi biblici: 1) Il Cantico dei cantici che si apre con questo bacio nuziale, chiesto al Signore. I baci della sua bocca sono le parole del Signore divenute gesto. 2) Il figliol prodigo: il padre va incontro al figlio e lo bacia: ognuno è fatto strumento di Dio per accogliere il fratello perduto e ritrovato.

- Bella la vicinanza delle due letture (oggi, S. Barnaba, si legge Mt 10, 7-13). Nella lettera il termine della casa è riferito alla comunità che è la chiesa. La dimensione vasta come l'Asia diventa dimensione domestica di una chiesa che si raduna in una casa, un focolare. Nel vangelo (vs 13): "Entrando nella casa, rivolgetele il saluto". Si avverte l'importanza di entrare nella casa in cui si raccoglie questa umanità.

- Colpisce la dimensione del saluto, che va da tutte le chiese dell'Asia fino alla singola casa dei fratelli, all'uno o all'altro di loro e copre tutti i rapporti. Richiama il saluto di Maria ad Elisabetta. Il saluto è cosa molto importante: porta tutto il dono ricevuto.

- Stupisce la maledizione del vs 22, subito seguita dall'invocazione "vieni Signore". Richiama 1 Cor 5: "Quest'individuo sia dato in balia di Satana per la rovina della sua carne, affinchè il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore".

- vs 23: "Il mio amore con tutti voi in Cristo Gesù" Espressione unica, parla del suo amore personale. Usualmente l'amore è riferito a Dio Padre. Può voler dire che abbiamo un amore che va incanalato nella giusta direzione. E' una dimensione d'affetto personale, caratteristica di ciascuno, che è veicolo della manifestazione dell'amore di Dio. Amore ricevuto, ma personale.

- La chiusura della lettera sembra in tono minore rispetto ai grandi temi trattati, ma ad un esame più attento appare un invito a ricordare tutto quanto è stato detto nei 16 capitoli perchè non siano passati invano. Il saluto è importante, anche il modo in cui si fa è prezioso, bisognerebbe sempre ricordare i saluti africani così personalizzati.


- Dobbiamo dare molto rilievo a questi saluti, che non sono semplicemente la chiusura di una lettera, ma riconoscimento e comunicazione del dono di Dio. C'è la parola "chiesa" che è stata il tema della lettera. Dal problema del rapporto con i ministri, il cibo, ebrei e gentili, verginità e matrimonio, carismi: tutti segni che portano a riconoscere la comunione di Dio con ciascuno di noi. Questa è la chiesa. Ci sono realtà comunitarie tenute insieme dall'amore del Signore. Dopo il riconoscimento del dono, il saluto è anche trasmissione del dono perchè sia estesa la comunione. Il saluto è importante: l'Annunciazione è sostanzialmente un saluto, così pure la Visitazione. Quindi il dono ricevuto e conosciuto viene trasmesso da chiesa a chiesa. Dalla realtà del saluto, Paolo passa all'invito al saluto, fino a farne quasi un comandamento, perchè il dono di Dio deve raggiungere tutti.

E' bello che questo saluto sia rivolto a tutte le realtà toccate dalla lettera, incluse le chiese delle case, le chiese domestiche (vulgata). Viene dato il titolo di chiesa a tutti gli effetti, con pari dignità, anche alla dimensione domestica. L'espressione "domestica" è stata ripresa dal Concilio per definire il dono che viene dal sacramento del matrimonio. Intorno a questo saluto, c'è l'espressione dell'amore: il bacio contiene in sè l'espressione nuziale. La maledizione "se qualcuno non ama .." contiene lo stesso verbo usato da Gesù quando chiede a Pietro se lo ama. Tutta la lettera ci ha parlato di questo amore per Gesù, ed è importante che venga ripreso con queste espressioni severe e forti; a sottolineare quello che solo conta nella nostra vita. Così in "Maranà tha" c'è il grande desiderio di Paolo che il Signore venga a completamento del grande dono già ricevuto. C'è attesa nella vigilanza, come già visto ieri. La lettera si chiude con la denuncia di un'assenza, e con l'epressione di un desiderio di Gesù. "Mio amore" è l'ultimo tocco personale di Paolo che vuole trasmettere a tutti l'amore ricevuto.

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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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