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COMMENTO DELLA LETTERA AI COLOSSESI

Ultimo Aggiornamento: 20/10/2018 12:00
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28/11/2011 12:11
 
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Ufficio e compito dell’apostolo
(1,24-2,5)

24Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa. 25Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio presso di voi di realizzare la sua parola, 26cioè il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi, 27ai quali Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo ai pagani, cioè Cristo in voi, speranza della gloria. 28È lui infatti che noi annunziamo, ammonendo e istruendo ogni uomo con ogni sapienza, per rendere ciascuno perfetto in Cristo. 29Per questo mi affatico e lotto, con la forza che viene da lui e che agisce in me con potenza.

1Voglio infatti che sappiate quale dura lotta io devo sostenere per voi, per quelli di Laodicèa e per tutti coloro che non mi hanno mai visto di persona, 2perché i loro cuori vengano consolati e così, strettamente congiunti nell’amore, essi acquistino in tutta la sua ricchezza la piena intelligenza, e giungano a penetrare nella perfetta conoscenza del mistero di Dio, cioè Cristo, 3nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza. 4Dico questo perché nessuno vi inganni con argomenti seducenti, 5perché, anche se sono lontano con il corpo, sono tra voi con lo spirito e gioisco al vedere la vostra condotta ordinata e la saldezza della vostra fede in Cristo.

Affermando che l’apostolo è il servitore del Vangelo (1,23), Paolo ha posto la premessa per il passaggio alla sezione seguente. In questa pericope si delinea l’importanza dell’apostolo per tutta la chiesa. La sua sofferenza torna a profitto del corpo di Cristo, cioè della chiesa, in favore della quale egli esercita l’ufficio affidatogli da Dio (1,24-25). Il mistero affidato al ministero è la proclamazione pubblica del mistero ormai svelato, del Cristo predicato ai popoli (1,26-27). Perciò Paolo mette ogni impegno nell’ammaestrare ogni uomo (1,28-29); il suo mandato universale vale perciò anche per la comunità di Colossi e di Laodicea (2,1-5).

v. 24. La sofferenza di Paolo non si contrappone al messaggio gioioso annunciato ad ogni creatura sotto il cielo (1,23). Al contrario, il dolore ricolma l’apostolo di gioia, perché lo sopporta per i cristiani. La frase: "supplisco nella mia carne a ciò che manca delle tribolazioni del Cristo" non può in alcun modo essere intesa come se nel dolore vicario di Cristo mancasse qualcosa a cui Paolo dovrebbe sopperire. Paolo e tutti gli altri testimoni del NT sostengono unanimemente che nella morte di Cristo la riconciliazione è avvenuta veramente e definitivamente e non occorre alcun completamento. La lettera ai colossesi insegna che Cristo ha cancellato i peccati con la sua morte e risurrezione (2,13-14). Gesù ha sofferto per stabilire il regno di Dio e tutti coloro che condividono la sua opera devono condividere le sue sofferenze. Paolo non pretende certamente di aggiungere qualcosa al valore propriamente redentivo della croce, a cui non manca nulla; ma si associa alle prove di Gesù, cioè alle sue tribolazioni apostoliche (2Cor 1,5; Fil 1,20). Queste prove dell’era messianica (Mt 24,8; At 14,22; 1Tm 4,1) comportano una misura prevista dal piano divino e che Paolo si sente chiamato a colmare per la sua parte.

v. 25. La grazia di Dio ha chiamato Paolo e si mostra operante nel suo servizio. Il compito del suo ufficio è di "adempiere la parola di Dio", cioè eseguire la volontà e l’ordine di Dio. La parola di Dio sarà adempiuta quando verrà proclamata in tutti i luoghi e annunciata a tutte le creature che stanno sotto il cielo (1,23).

v. 26. Il messaggio affidato a Paolo è ora meglio precisato col termine mystèrion. Ciò che esisteva dall’eternità nel disegno di Dio, ma la cui conoscenza non era accessibile agli angeli e agli uomini, ora è manifestato e annunciato (1Cor 2,7-8). E poiché la rivelazione del mistero riguarda il mondo intero, essa avviene nella proclamazione del Vangelo a tutti i popoli (1Tm 3,16).

Mystèrion corrisponde al vocabolo ebraico raz che designa la volontà escatologica di Dio, la rivelazione della conoscenza del suo piano. Il mistero di cui dà testimonianza l’annuncio cristiano non riguarda l’evento futuro, che è segretamente nascosto nel piano di Dio, ma l’opera che Dio ha già attuata. Ciò che era rimasto nascosto dall’eternità, ora è svelato e proclamato, nella parola predicata, a tutte le genti (Rm 16,25-26). Ciò che da tempi e da generazioni innumerevoli era tenuto chiuso, viene ora aperto (Ef 3,4-5). I santi a cui viene rivelato il mistero non sono gli angeli, né una stretta cerchia di carismatici, ma i credenti, "ai santi, fedeli fratelli in Cristo" (v. 2). La magnifica ricchezza del mistero che Dio volle rivelarci e che viene annunciato tra i popoli è indicato con le semplici parole "Cristo in voi (tra di voi), speranza della gloria". Non si tratta di una pluralità di misteri, come nell’apocalittica giudaica, ma di un solo mistero: Cristo, speranza della gloria. La speranza riguarda la gloria, che diviene visibile nel tempo del compimento (3,4); Cristo solo è il suo fondamento e il suo contenuto.

v. 28. L’annuncio, proclamato in tutti i luoghi, che Cristo è il Signore, è chiarito e sviluppato nell’insegnamento esortativo. "Ammonendo e istruendo" connotano l’insegnamento intensivo nella cura dei fedeli e l’istruzione. Secondo 3,16 è compito di tutta la comunità istruirsi ed esortarsi a vicenda. L’apostolo ha intrapreso ovunque questo insegnamento, sforzandosi di istruire tutti in questa dottrina. Tre volte è indicato come destinatario dell’esortazione apostolica "ogni uomo", per mettere in evidenza il carattere universale del messaggio apostolico che viene diffuso in tutto il mondo. Il fine dell’istruzione è "presentare ogni uomo perfetto in Cristo". La sapienza e la perfezione consistono nel compimento obbediente della volontà di Dio: "affinché siate perfetti e totalmente ripieni di ogni volere di Dio" (4,12). L’esigenza del "siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt 5,48) è adempiuta quando viene fatta la volontà di Dio. Chi appartiene al Cristo risorto e segue il suo comando arriverà ad essere perfetto in Cristo.

v. 29. Paolo si affatica nel trasmettere questo messaggio. La forza di Dio si manifesta efficace nell’opera del suo inviato. Solo così l’apostolo si sente capace di sopportare gli sforzi che tale missione richiede.

2,1. Le comunità cristiane di Colossi e di Laodicea stanno in contatto stretto tra di loro e sono esortate a scambiarsi le lettere apostoliche ad esse inviate (4,16).

Il grave pericolo da cui la lettera ai colossesi vorrebbe mettere in guardia (2,6-23) minaccia anche le altre comunità cristiane della regione. Benché Paolo non conosca personalmente i cristiani di Colossi e di Laodicea, tuttavia si sente responsabile anche di loro e in comunione con essi.

v. 2. La dedizione dell’apostolo a sostegno della comunità riempie il cuore dei cristiani di conforto. Con la parola agàpe viene indicato ciò che conferisce stabilità a questa coesione. L’intima coesione di tutta la comunità è fondata, mantenuta e rafforzata dall’amore, che è il vincolo della perfezione. In questa unità la comunità deve giungere "ad ogni ricchezza della pienezza della comprensione, alla conoscenza del mistero di Dio: Cristo". Cristo annunciato alle genti è il contenuto del mistero di Dio.

v. 3. La retta conoscenza della comunità dipende solo del suo legame con Cristo. Solo in lui sono fondate la sapienza e la conoscenza. Perciò sarebbe erroneo cercare fuori di Cristo o accanto a Cristo altre fonti di conoscenza: "Tutti i tesori della sapienza e della conoscenza si trovano nascosti in Cristo". Come l’indizio di un tesoro nascosto spinge a fare di tutto per trovarlo, così anche qui risuona l’invito a cercare l’unico luogo nel quale si possono trovare tutti i tesori della sapienza e della conoscenza.

Il mistero nascosto dall’eternità è ora rivelato ai santi di Dio (1,26) e viene fatto conoscere nella misura in cui Cristo è annunciato alle genti (1,27).

v. 4. Ciò che è stato detto mira soprattutto ad evitare che la comunità presti ascolto alle parole dei seduttori.

V. 5. Il pericolo non va sottovalutato. Paolo è lontano e non può essere accanto alla comunità per parlarle direttamente. Ma, benché assente con il corpo, è presente con lo spirito. Questo spirito, è l’io individuale di Paolo al quale è unito lo Spirito di Dio che gli dona la forza di unirsi alla comunità per un’azione comune. In questa unione egli si rallegra di vedere che nella comunità tutto è rivolto al bene. Tàxis è la situazione ben ordinata che la comunità presenta. Sterèoma è la saldezza, la robustezza che sorregge la fede della comunità. La fede della comunità è saldamente fondata perché è orientata unicamente a Cristo. Se la comunità si tiene stretta a lui, nessuna tentazione può realmente minacciarla: essa persevera forte e salda nella fede. Per poter smascherare e rigettare la nuova dottrina proposta dagli eretici, è necessaria la conoscenza del Vangelo proclamato da Paolo. Su questo Vangelo è posta la base sulla quale è possibile condurre la disputa contro la falsa predicazione. Il Vangelo predicato dall’apostolo costituisce la norma su cui va misurato ogni altro discorso.

 

Cristo Gesù Signore
(2,6-15)

6Camminate dunque nel Signore Gesù Cristo, come l’avete ricevuto, 7ben radicati e fondati in lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato, abbondando nell’azione di grazie. 8Badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo.

Una comunità che è consapevole di essere legata al Vangelo apostolico è in grado di distinguere la retta tradizione dalla dottrina falsa. Perciò, prima di mettere in guardia contro la falsa filosofia, Paolo esorta nuovamente i colossesi alla perseveranza nella dottrina ricevuta e nella fede incrollabile (2,6-7). Ma poi viene esposta alla comunità l’alternativa che esige da essa una chiara e univoca decisione: o l’inganno della filosofia secondo gli elementi cosmici che sono le forze demoniache che vogliono esercitare il loro potere coercitivo sugli uomini (2,10.15) o Cristo. Con un richiamo all’inno (1,15-20) Cristo è annunciato come Signore al di sopra di tutte le dominazioni e le potestà (2,9-10). La comunità di Colossi è da lungo tempo congiunta a Cristo e perciò la decisione è già avvenuta: la loro appartenenza a Cristo è fondata nel battesimo (2,11-12). Col v.13 si cambia soggetto. Ora si parla dell’azione di Dio che fa partecipi i battezzati alla vittoria di Cristo (2,13-15).

v. 6. La comunità deve attenersi fermamente al Vangelo, così come l’ha ricevuto. Il contenuto di ciò che è stato comunicato alla comunità nella tradizione apostolica è qui espresso con le parole "Gesù Cristo il Signore". Gesù Cristo è il Signore significa che egli non è un signore tra altri signori, ma il Signore (1Cor 8,5-6).

v. 7. La condotta della comunità viene precisata in quattro participi: radicati in lui, costruiti su di lui, rafforzati nella fede, abbondanti in rendimento di grazie. Solido fondamento è solo Gesù Cristo, il Signore. Chi è radicato in lui non crollerà. La comunità troverà saldezza nella retta fede in cui è stata istruita. Con ciò è fortemente sottolineata l’importanza dell’istruzione religiosa. Solo la fede che corrisponde all’insegnamento apostolico dona quella saldezza che può sfidare tutti gli attacchi (1,28).

v. 8. È necessario che la comunità stia attenta a non lasciarsi accalappiare da coloro che vogliono sostituire il Vangelo di Cristo con la filosofia umana. Con il termine "filosofia", in questa lettera, si intende la conoscenza del fondamento dell’essenza divina del mondo, ottenuta per mezzo di una rivelazione arcana. Ad essi Paolo obietta che la loro cosiddetta filosofia è vuota e senza contenuto, in realtà non è altro che "vuoto inganno". La comunità è chiamata a scegliere tra la tradizione apostolica e la tradizione filosofica. Il contenuto delle due tradizioni è sintetizzato nell’espressione: "secondo gli elementi del mondo" e "secondo Cristo".

Stoichèia tou kosmou (= elementi del cosmo), nella lettera ai colossesi, sono entità personali, forze demoniache che vogliono esercitare il loro potere coercitivo sugli uomini (2,10.15). A questa dottrina, secondo cui gli "elementi del cosmo" determinano la vita degli uomini, e quindi bisogna riconoscere la loro pretesa potenza (2,16-23), viene contrapposta la chiara antitesi: solo Cristo è il Signore su tutto e quindi l’unico Signore sulla vita e sul comportamento della comunità. La comunità perciò non deve lasciarsi indurre a riconoscere altre autorità accanto a lui.

v. 9. L’invito a seguire Cristo senza tentennamenti è ora motivato con la ripresa dell’espressione "in lui" che nei versetti seguenti viene ripetuta come motivo dominante: in lui dimora corporalmente la pienezza della divinità (v.9); in lui siete ricolmi (v.10); in lui siete stati circoncisi (v.11); con lui siete stati sepolti, in lui siete anche tutti risuscitati (v. 12); Dio vi ha reso viventi con lui (v.13); egli ha condotto schiavi in lui, in corteo trionfale, i principati e le potestà (v.15).

All’inizio di questo ragionamento viene stabilito: "Poiché in lui dimora corporalmente tutta la pienezza della divinità". Alle domande che ogni uomo si pone: Dove trovo la pienezza e come poter essere pervaso di forza divina, la lettera risponde con un’affermazione polemica: tutta la pienezza della divinità dimora in Cristo. Perciò può divenirne pieno solo colui che appartiene a questo Signore, che è in lui, con il quale è morto e risuscitato a nuova vita. Somatikòs (= corporalmente) precisa la realtà dell’inabitazione divina. "Somatikòs designa dunque qui la corporeità, in cui Dio incontra l’uomo nel mondo in cui vive. Designa quindi propriamente la piena umanità di Gesù, non invece una umanità che sia semplice involucro della divinità" (E. Schweizer). Poiché in Cristo tutta la pienezza della divinità dimora corporalmente, egli è "il capo di ogni principato e potestà" (v. 10), il capo del corpo che è la chiesa" (1,18). Dunque chi è trasferito nel suo regno, è liberato dalle potenze che dominano il mondo e vogliono piegare l’uomo al loro giogo di schiavitù.

v. 10. Segue perciò un’immediata conclusione: "È solo in lui che voi avrete parte della pienezza". I cristiani sono ricolmi dei doni divini solo vivendo in Cristo.

v. 11. Si prosegue dicendo: "Voi siete uniti con Cristo, da tempo, mediante il battesimo". Il battesimo è qui chiamato "circoncisione non fatta da mano d’uomo", la circoncisione di Cristo. L’attributo "non fatta da mano di uomo", col quale si qualifica la circoncisione compiuta sui battezzati, avverte che quel che avviene nel battesimo è opera di Dio. "Deporre l’uomo carnale" non significa in alcun modo disprezzare la vita terrena, ma vivere nell’obbedienza al Signore: "Spogliatevi dell’uomo vecchio con le sue opere, e rivestitevi dell’uomo nuovo, che viene rinnovato per la conoscenza, ad immagine di colui che l’ha creato, dove non c’è più né greco né giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o scita, schiavo o libero; ma tutto e in tutti è Cristo" (3,9-10). Questa retta circoncisione, che si distingue radicalmente sia dalle pratiche dei "filosofi" sia dal rito giudaico, è la "circoncisione di Cristo". Per l’uso traslato del termine "circoncisione" bisogna confrontare le espressioni profetiche sulla circoncisione del cuore (Ger 4,4; 6,10; 9,25).

v. 12. La circoncisione in Cristo che ogni cristiano ha sperimentato su se stesso, non è altro che l’essere battezzato nella morte e nella risurrezione di Cristo. Nel battesimo siamo morti e sepolti con Cristo, per cui la vecchia vita è cessata. In Rm 6 Paolo dimostra che, conseguentemente, per noi è diventato impossibile vivere ancora in potere del peccato. Il vecchio uomo è stato ormai crocifisso con Cristo (Rm 6,6). Come nel Kerigma l’accenno al sepolcro sottolinea la realtà della morte di Gesù Cristo (1Cor 15,4), così qui è ribadito che nel battesimo è avvenuta una morte reale: "Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme con lui nella morte" (Rm 6,4). Come in Rm 6, così anche nella lettera ai colossesi, si dice che siamo morti con Cristo nel battesimo. Ma a differenza di Rm 6, e in apparente contrasto con Rm 6,4-5, si dice che la risurrezione è effettivamente già avvenuta nel battesimo: "Voi siete risorti con lui". Ciò che avverrà in futuro, in questa lettera, non è quindi chiamato la risurrezione dei morti, ma la manifestazione della vita, partecipata nel battesimo e ancora avvolta nel mistero: "La vostra vita è nascosta con Cristo in Dio" (3,3). L’intima appartenenza a Cristo è già realtà; essa ha già avuto il suo fondamento nel battesimo, nel quale il cristiano è stato inserito nella morte e risurrezione di Cristo.

Tuttavia la lettera ai colossesi è ben lontana nel cadere in un entusiasmo fanatico per lo slogan: "La risurrezione è già avvenuta" (2Tm 2,18). Perché risorgere con Cristo non significa altro che ricevere il perdono dei peccati (1,13-14; 2,13).

La nuova vita con Cristo è in realtà soltanto "mediante la fede nella potenza di Dio che ha risuscitato Cristo dai morti". Se la morte-risurrezione con Cristo del battezzato sono già realizzate - "sepolti con lui" (v.12) "vi ha fatto rivivere con lui" (v.13), "se siete risorti con Cristo" (3,3) -, la pienezza della vita in Cristo è futura: "Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria" (3,4).

In sintesi: La nostra partecipazione alla risurrezione di Cristo passa attraverso tre tappe: inizia nel battesimo, compie un grande passo al momento della morte, si manifesterà pienamente solo alla fine dei tempi: "Verrà l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna" (Gv 5,28-29).

v. 13. Il cambiamento del soggetto ci fa capire che c’è una ripresa del discorso: Dio ha reso viventi con lui voi che eravate morti. La ribellione compiuta nella permanente disubbidienza connota la vita di coloro che sono senza Cristo. Essi vivono nella incirconcisione della loro carne, cioè sono pagani e atei.

Dove la "carne" dirige la vita, non ci può essere altro che peccati e morte. Ma ciò che era una volta, ora non ha più valore. L’incirconcisione, di cui Paolo fa ricordo agli etnico-cristiani, è stata eliminata dalla "circoncisione non fatta da mano d’uomo" (2,11). Nel battesimo è stato effettuato il passaggio dalla morte alla vita: Dio vi ha reso viventi con lui (2,12). I peccati, che, prima di Cristo e senza Cristo, facevano della vita una morte, sono perdonati senza eccezione. Dio ha annullato il debito e distrutto il documento su cui era registrato.

v. 14. Il chirografo, il documento scritto a mano che attesta i nostri debiti nei confronti di Dio, è la condizione di debitore in cui l’uomo si trova di fronte a Dio. Paolo afferma che Dio ha perdonato tutti i peccati e ha annullato il documento di obbligazione che era a nostro sfavore, così che non può più essere addotto a nostro carico. Dio non solo ha cancellato il debito, ma ha anche annullato il documento di obbligazione. La piena estinzione di questo documento debitorio è avvenuta quando Dio lo ha appeso alla croce. Poiché Cristo, che ha preso su di sé il peccato del mondo (Gv 1,29), fu appeso alla croce al nostro posto, il debito è definitivamente condonato. E in questo modo si chiarisce il precedente enunciato: grazie a Cristo, Dio ci ha perdonato tutti i peccati (v.13).

v. 15. Nella croce di Cristo, Dio non soltanto ha distrutto l’attestazione scritta della nostra colpa, ma ha anche trionfato sui principati e potestà. Dio ha mandato in rovina, nella croce di Cristo, le potestà e le dominazioni. Queste potenze sono vinte e quindi non possono nuocere a coloro che appartengono al vincitore. Nel corteo trionfale Dio conduce prigioniere queste potenze sconfitte, per rendere manifesta la grandezza della sua vittoria. Sono ormai potestà fiaccate, che non possono né aiutare l’uomo né esigere da lui culto e venerazione. Nel battesimo i cristiani sono trasferiti nel dominio del diletto Figlio di Dio. Perciò a loro non interessano più le potestà e le dominazioni; per essi vale soltanto Cristo, e nessuno e niente accanto a lui e fuori di lui.

 

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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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