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COMMENTO DELLA LETTERA AI COLOSSESI

Ultimo Aggiornamento: 20/10/2018 12:00
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28/11/2011 12:10
 
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PRIMA PARTE DIDATTICA

IL DOMINIO DI CRISTO SUL MONDO

Osanna e inno
(1,12-20)

12ringraziando con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce.
13È lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, 14per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati. 15Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; 16poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. 17Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui.
18Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose. 19Perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza 20e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli.

Senza soluzione di continuità, la preghiera d’intercessione passa in un invito di lode. La comunità dei credenti viene invitata a glorificare Dio con la lode, mentre le si ricorda l’azione salvifica di Dio. I vv. 12-14 sono premessi all’inno a Cristo come una specie di introito, con cui si introduce il solenne inno cantato dalla comunità.

L’autore della lettera ha preso questo inno, evidentemente noto alla comunità dell’Asia minore, come punto di partenza della sua argomentazione, per convincere la comunità che Cristo ha il dominio su tutto l’universo, che egli è il capo del suo corpo, cioè della Chiesa.

Chi appartiene a questo Signore, ha ricevuto il perdono dei peccati, e in questo modo è sottratto alla dominazione opprimente delle potenze cosmiche ed è con lui risorto a vita nuova.

v. 12. Il canto va intonato con gioia. Quale frutto dello Spirito (Gal 5,22) la gioia riempie la vita della comunità e si esprime nella esultanza, in cui Dio è ringraziato perché ha realizzato le sue promesse e ha portato a compimento la salvezza (At 2,46). Il Padre è lodato perché ha operato la salvezza e la liberazione in Cristo.

I santi, alla cui sorte partecipa la comunità cristiana, sono gli angeli. La luce indica l’ambito in cui l’azione di Dio ha collocato i suoi. Già da ora Dio, nella sua imperscrutabile misericordia, ha reso i suoi capaci di condividere coi santi l’eredità celeste e di camminare nella luce.

V. 13. Ma la partecipazione all’eredità dei santi nella luce significa che Dio ci ha liberati dal dominio della tenebra e ci ha collocati nel regno del suo diletto Figlio. Contrapponendo luce e tenebra, la professione di fede della comunità cristiana proclama che è avvenuto quello scambio di potere che ha determinato profondamente la vita dei credenti. Come un re potente può strappare popolazioni dai loro luoghi di origine e trapiantarle in altri ambienti, così Dio ha sottratto la comunità al potere delle tenebre e l’ha collocata nel regno del suo Figlio diletto. Il regno di Dio, in cui i credenti sono collocati, procura ad essi la salvezza qui e adesso. Infatti essi sono già risorti con Cristo (2,12), risuscitati con lui a nuova vita (3,1-2). L’evento in cui si è effettuato lo scambio della potestà è il battesimo.

v. 14. La redenzione è la remissione dei peccati. Paolo intende il peccato come una potenza che fa il suo ingresso nel mondo con la colpa di Adamo (Rm 5,12) e da allora esercita il suo prepotente dominio sugli uomini. Ma nella croce di Cristo il suo dominio è infranto (Rm 8,3); infatti egli è diventato peccato per noi, affinché divenissimo in lui giustizia di Dio (2Cor 5,21). La remissione dei peccati è accordata nel battesimo (At 2,38). Di conseguenza l’invito alla lode contiene un chiaro riferimento al battesimo. In tal modo si indica anche in quale senso deve essere inteso l’inno che segue. A tutte le speculazioni sulla conoscenza di mondi superiori si oppone che non c’è nulla che possa superare o completare la remissione dei peccati. Infatti il regno di Dio è la dove c’è la remissione dei peccati; e con questa tutto è realmente dato, vita e beatitudine.

v. 15. Dio è invisibile (Rm 1,20; 1Tm 1,17; At 14,17; ecc.). Ma si è manifestato nella sua immagine che è il Cristo. Quale immagine del Dio invisibile, Cristo non è nel numero delle cose create, ma fa tutt’uno con il Creatore, il quale in Cristo agisce nel mondo e col mondo.

Chiamando "primogenito di ogni creatura" il Cristo preesistente, non si afferma che egli sia stato creato per primo e che così abbia dato inizio alla serie delle cose create, ma che egli ha la preminenza su tutte le creature. Egli è il Signore del creato.

v. 16. Tutto il creato deve la sua esistenza al Cristo preesistente. Tutto è stato creato per mezzo di lui. La pienezza di ciò che si intende con "tutte le cose" è precisata con l’aggiunta: tutto ciò che è nei cieli e sulla terra. Nulla è escluso, tutto è compreso, le cose visibili e quelle invisibili. Anche le forze e le potenze cosmiche sono state create in lui. Tutto ciò che si trova nel cosmo è creato in Cristo. Perciò egli è il Signore delle forze e delle potenze. Tutto è creato per lui. In questa espressione sono compendiati gli enunciati sull’origine della creazione, ma ne è anche indicato lo scopo, che non è nient’altro che Cristo. Tutto è finalizzato a Cristo.

v. 17. Egli è pro pànton, il che significa che egli, quale Preesistente, è il Signore di tutto l’universo. Il cosmo non solo è creato in lui e per mezzo di lui, ma ha anche la sua sussistenza in lui solo. Tutto ciò che esiste ha in lui solo la sua consistenza, perché lui è il Signore, il Capo del corpo, ossia di tutto il cosmo.

v. 18. Se le parole "cioè della chiesa" si considerano una glossa, allora, in connessione con la prima strofa, il concetto di "corpo" va inteso nel senso cosmologico, come abbiamo detto nel v. precedente. La concezione del cosmo equiparabile a un corpo vivente è molto diffusa nel pensiero della filosofia greca. Con la concezione del cosmo come corpo e del capo sovrapposto ad esso si dà risposta alla ricerca degli uomini che, preoccupati e impauriti di fronte alle forze del mondo, si chiedono come il mondo possa essere ricondotto al suo retto ordine: Cristo è la testa sotto cui sta il corpo del cosmo, dalla quale è guidato e tenuto unito. Solo in lui il cosmo trova base e consistenza; in altre parole, solo in lui c’è salvezza. "Cristo è quindi la risposta alla ricerca del principio che regge il mondo e lo conduce a unità, cioè, per gli ellenisti, la risposta alla ricerca della salvezza" (Schweizer). Ma ora questa enunciazione del corpo cosmico viene sottoposta dall’autore della lettera a un’interpretazione mediante la quale il concetto di "corpo" viene determinato e storicamente inteso come "la chiesa". Il Signore glorificato esercita, qui e adesso, un potere su tutto il mondo, come capo del suo corpo, che è la chiesa. La lettera dà al pensiero cosmologico ellenistico un orientamento nuovo, presentando la chiesa come il luogo in cui Cristo esercita presentemente il suo dominio sul cosmo. Cristo è il Signore dell’universo (2,10.19), ma il suo corpo è la chiesa. Cristo è il principio in quanto è il "primo nato dai morti", il primo risuscitato, e mediante lui si è prodotto l’evento escatologico, l’inizio del mondo nuovo e definitivo: quello della risurrezione. In quanto primo risorto dai morti, egli è il primogenito che garantisce la futura risurrezione dei morti (1Cor 15,20.23). Proprio perché Cristo è l’inizio e il primogenito, egli è il primo in tutto. A lui compete il primo posto nell’universo.

vv. 19-20. In Cristo abita la pienezza divina nella sua totalità (2,9). La comunità cristiana ha assunto il vocabolo plèroma dall’ambiente ellenistico, per parlare della pienezza di Dio, che decise di abitare nell’uno, che è Gesù Cristo. "In lui dimora corporalmente tutta la pienezza della divinità" (2,9). In lui e per mezzo di lui Dio opera la riconciliazione. Con ciò si presuppone che l’unità e l’armonia del cosmo abbiano sofferto un sensibile turbamento, anzi una rottura. Fu quindi necessaria la riconciliazione che fu compiuta dall’evento di Cristo, per ristabilire l’ordine cosmico. Dio stesso per mezzo di Cristo ha compiuto quest’opera di riconciliazione. L’universo è stato rappacificato in quanto, mediante la risurrezione e l’elevazione di Cristo, cielo e terra sono stati riportati nel loro ordine stabilito dalla creazione di Dio. Ora l’universo sta nuovamente sotto il suo capo, e si è ristabilita così la pace cosmica. Questa pace, fondata da Dio mediante Cristo, ricompone in unità l’universo e mantiene salda la reintegrata creazione nella riconciliazione con Dio. Non solamente alla fine dei tempi, come è nell’aspettativa apocalittica, ma già fin d’ora la pace è entrata nell’universo e si è compiuta l’opera cosmica della redenzione (Fil 2,10-11). Quale rappacificatore del cosmo, Cristo ha assunto la sua signoria.

Poiché è il mediatore della riconciliazione, è, per ciò stesso, celebrato come mediatore della creazione, come il Signore al di sopra dell’universo, al di sopra delle forze e delle potenze. Il ragionamento di Paolo è questo: Chi appartiene a questo Signore è liberato dalla schiavitù delle potenze e dalla forza coercitiva del destino. Per Paolo Cristo è il fine di tutte le vie e di tutti i piani di Dio. Così il punto di aggancio per il rapporto della creazione con Cristo è posto nella concezione del Redentore, il quale è lo scopo di tutta la storia. La pace cosmica è stata fondata nella morte di Gesù Cristo. Il luogo in cui è avvenuta la riconciliazione è la croce di Cristo. Poiché l’evento di Cristo riguarda il mondo intero, il Crocifisso e Risorto deve essere ugualmente proclamato ad ogni popolo come il Signore (1,24-29). Chi appartiene a questo Signore è "una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove" (2Cor 5,17). Se nell’inno si pone in risalto il significato universale dell’evento di Cristo, mostrandone la dimensione cosmica e parlando della salvezza universale che abbraccia l’intero creato, con ciò non si attribuisce, in alcun modo, particolare dignità e preminenza alle potenze e dominazioni. Quando si accenna a queste potenze, ciò si fa solo per proclamare il messaggio di Cristo, che è costituito capo e signore sopra ogni cosa. Agli uomini è aggiudicata la pace conseguita per mezzo di Cristo. Questa pace però agisce nell’ambito in cui Cristo domina sovrano qui e adesso: nella chiesa, suo corpo, di cui egli è il capo.

 

L’aggiudicazione e le esigenze della riconciliazione
(1,21-23)

21E anche voi, che un tempo eravate stranieri e nemici con la mente intenta alle opere cattive che facevate, 22ora egli vi ha riconciliati per mezzo della morte del suo corpo di carne, per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili al suo cospetto: 23purché restiate fondati e fermi nella fede e non vi lasciate allontanare dalla speranza promessa nel vangelo che avete ascoltato, il quale è stato annunziato ad ogni creatura sotto il cielo e di cui io, Paolo, sono diventato ministro.

Con le parole "anche voi" si riprende il discorso per dire alla comunità che il messaggio della riconciliazione, riguardante il mondo intero, vale anche per essa. La riconciliazione si compie mediante la morte di Cristo, "nel suo corpo di carne, mediante la morte" (v.22). Ma il dono della riconciliazione include l’esigenza di rimanere saldi nella fede e di non lasciarsi distogliere dalla "speranza del Vangelo" (v.23).

v. 21. La comunità cristiana è presentata come la mèta a cui è diretto l’evento che abbraccia cielo e terra: condurre alla riconciliazione quelli che erano lontani e nemici di Dio, attrarli e collocarli sul saldo fondamento della fede e della speranza. Il tempo della perdizione è terminato con la mirabile azione di Dio e quindi ne consegue che il passato non ha più valore.

Essere estranei a Dio significa: non servirlo, adorare divinità e idoli stranieri. La lontananza da Dio comporta necessariamente che tutto l’operare degli uomini sia malvagio.

Perciò il giudaismo considera tutti i pagani immersi nella corruzione morale. Infatti l’avversione a Dio si esprime necessariamente in opere malvage (Rm 1,18-32).

v. 22. Sul buio del passato risalta tanto più luminoso il presente: "ora egli vi ha riconciliati". L’azione di Dio ha fatto spuntare la nuova èra, ha riconciliato la comunità. Perciò il passato è stato cancellato e vige soltanto il presente, segnato dalla riconciliazione (Rm 3,21). Essa è avvenuta mediante la morte di Cristo, che egli ha subìto "nel suo corpo di carne". Con l’aggiunta "di carne" il corpo è descritto come l’organismo fisico soggetto al dolore (cfr. 2,11). In tal modo il corpo di Cristo offerto alla morte è chiaramente distinto dalla chiesa, che è il corpo del Signore glorificato.

Poiché è stato uomo come noi, ha sperimentato nel suo corpo l’amarezza della morte. Ma con questa morte Dio ha operato la riconciliazione (Rm 8,3) e in questo modo è stato tolto di mezzo ciò che esisteva prima ed è subentrato l’"adesso".

L’aggiudicazione della riconciliazione divina include l’esigenza del mutamento di vita dei riconciliati. Dio ha compiuto la riconciliazione allo scopo di "farvi apparire santi e senza macchia e irreprensibili davanti a lui". Àghios e Àmomos (= santo e senza macchia) si adoperano nella lingua della liturgia per designare un animale senza macchia, messo a parte per Dio, per essergli sacrificato (Eb 9,14; 1Pt 1,19). Parastesai (= farvi comparire) è usato nel linguaggio giuridico nel senso di "presentare uno in tribunale". Noi tutti dovremo comparire davanti al tribunale di Dio (Rm 14,10), perché egli pronunci su di noi la sua sentenza (Rm 8,33-34). L’opera di riconciliazione di Dio fa in modo che i riconciliati mediante la morte di Cristo stiano davanti a lui irreprensibili.

Con l’espressione "al suo cospetto" non si pensa soltanto o soprattutto al giorno del giudizio finale, quanto piuttosto alla vita attuale del cristiano che si realizza al cospetto di Dio e viene vissuta in maniera santa, immacolata e irreprensibile. L’azione riconciliatrice di Dio ha già tutto operato; perciò la perfezione non deve essere conseguita con le proprie forze, ma deve essere accolta come grazia di Dio.

v. 23. La sola condizione che deve essere osservata, perché determinante di tutto, è questa: perseverare nella fede. Con la fede è posto il fondamento della condizione del cristiano (1,4), al quale occorre attenersi saldamente. Allora la vita della comunità sorgerà su solide fondamenta.

Come una casa è salda solo se è costruita sulla roccia (Mt 7,24-27), così la comunità, come edificio di Dio, è sorretta dal fondamento che le conferisce una saldezza incrollabile (1Cor 3,10-11; Ef 2,20; 2Tm 2,19). Come nell’inno introduttivo di ringraziamento, anche qui, accanto alla fede viene collocata la speranza come genuino contenuto del Vangelo (1,5). Anche qui la speranza è concepita come il bene sperato di cui si parla nel Vangelo. Il Cristo predicato in ogni luogo è la "speranza della gloria" (1,27), e la speranza, quale salvezza predicata, permea già il presente.

La salvezza di cui la comunità ha avuto notizia nella parola del Vangelo è predicata ad ogni creatura che è sotto il cielo. La vastità cosmica dell’evento di Cristo, sviluppata nell’inno, viene così riferita al Vangelo destinato a tutto il mondo. Poiché Cristo è il Signore al di sopra di tutto, l’annuncio gioioso deve risuonare nel mondo intero. Quando si dice che il Vangelo deve essere predicato ad ogni creatura (Mc 16,15-16) si intende a tutta l’umanità.

Questo lieto annuncio è il Vangelo insegnato da Paolo, di cui egli è servitore. La definizione di Paolo come "diacono del Vangelo" mette in risalto che compete al ministero apostolico una funzione fondamentale per la chiesa. In tal modo si stabilisce un aggancio con il brano che segue. La chiesa vive della predicazione apostolica ed è, così, vincolata all’ufficio apostolico.

 

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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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