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COMMENTO AGLI ATTI DEGLI APOSTOLI

Ultimo Aggiornamento: 28/11/2011 12:05
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28/11/2011 12:00
 
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CAPITOLO 1

Tutto il capitolo primo va visto come introduzione che unisce "il tempo di Gesù" al "tempo della Chiesa". Gesù comunica il suo incarico a coloro che egli aveva scelto mediante lo Spirito Santo (v. 2) e fa loro la promessa che saranno testimoni di lui "fino agli estremi confini della terra" (v.8).

Nel "secondo libro di Luca" gli undici apostoli (1,13) e Mattia, eletto per integrare il numero dodici (1,26), sono ricordati, ognuno per nome, per sottolineare che essi sono stati i testimoni oculari di Cristo (1,21-22) e costituiscono il legame attendibile tra Gesù e la Chiesa.

Questo capitolo presenta una comunità relativa a Gesù, quasi un suo prolungamento: è sempre quel Gesù, che un tempo agiva direttamente, che ora continua a predicare, a sanare, a soffrire mediante la sua comunità.

 

Prologo

1 Nel mio primo libro ho già trattato, o Teòfilo, di tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio 2 fino al giorno in cui, dopo aver dato istruzioni agli apostoli che si era scelti nello Spirito Santo, egli fu assunto in cielo.
3 Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio. 4 Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre «quella, disse, che voi avete udito da me: 5 Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni».

Il libro degli Atti si apre con un prologo. Come in quello del suo vangelo, Luca si rivolge a Teòfilo. Costui rappresenta, per il significato stesso del suo nome, ogni "amico di Dio" a cui lo Spirito santo concede di riconoscere l’amore divino che opera tra gli uomini. Teòfilo è anche ogni lettore, ognuno di noi, al quale il libro è rivolto. Il "mio primo libro" (v. 1) è il vangelo di Luca nel quale egli ha già scritto "tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio, fino al giorno in cui egli fu assunto in cielo" (vv. 1-2).

La novità più importante rispetto ai dati evangelici è il ricordo dei quaranta giorni (v. 3). All’inizio (Lc 3,24; 4,1-2) e alla fine del tempo di Gesù c’è un periodo di giorni contraddistinti dal biblico numero simbolico di 40, in cui Gesù e poi i suoi apostoli furono preparati alla loro missione. "Quaranta giorni" è un modo di dire tipico della Bibbia mediante il quale si definisce il tempo delle manifestazioni importanti e decisive di Dio, come quella a Mosè sul monte Sinai (Es 24,28; 34,28). Come Mosè, secondo una tradizione ebraica , durante la sua permanenza sul Sinai ricevette per quaranta volte – una volta al giorno – i comandamenti di Dio come fondamento della sua testimonianza davanti al popolo d’Israele, così gli apostoli, nel periodo dei quaranta giorni delle apparizioni di Gesù, ricevono il contenuto della loro testimonianza (il regno di Dio) e lo Spirito nel quale devono rendere questa testimonianza. Anche nell’insegnamento dei rabbini il numero quaranta ha un valore simbolico per indicare un tirocinio completo e normativo. In altre parole gli apostoli a contatto con il Signore risorto ricevono quella formazione autorevole e completa che li abilita a continuare la sua opera storica. Il contenuto dell’istruzione è il regno di Dio, cioè l’intervento salvifico e definitivo di Dio nella storia. Questo era già stato il programma della predicazione di Gesù (Lc 4,43; 8,1.10; 9,2; 11,20).

Un altro fatto singolare di questo riassunto delle esperienze pasquali negli Atti è il ricordo della commensalità degli apostoli con Gesù. Qui convergono due tradizioni: quella degli incontri dei discepoli con Gesù risorto dove il pasto ha valore di segno per suggerire che egli è vivo (Lc 24,41-42) e quello della cena eucaristica che esprime e realizza la piena comunione con il Signore (Lc 24,30; At 2,46).

I discepoli devono attendere a Gerusalemme il dono dello Spirito. Gerusalemme, meta del cammino storico di Gesù, centro ideale della storia dell’antico popolo d’Israele, luogo dell’accoglienza dello Spirito e sede della prima comunità cristiana sarà il punto di partenza della loro missione. Il passaggio dall’epoca dell’attesa e della preparazione a quella dell’attuazione e compimento è espressa nella frase di Gesù: "Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati (da Dio) in Spirito santo, tra non molti giorni" (v. 5). In questo versetto c’è un confronto tra i due battezzatori (Giovanni Battista e Dio) e tra i due battesimi (quello di Giovanni con l’acqua, quello di Dio nello Spirito Santo). Si passa dal battesimo come rito di purificazione e di penitenza, al battesimo di immersione nello Spirito, potenza divina che crea e rinnova l’uomo. Questa frase di chiusura del prologo degli Atti evoca il fatto nuovo e qualificante di questo libro: l’azione dello Spirito, dono del Risorto, che riunisce un popolo nuovo. Il movimento cristiano che si sviluppa dopo la Pasqua del Signore non è solo una nuova esperienza e organizzazione religiosa; esso è la testimonianza storica e visibile dell’azione di Dio che è esplosa in modo unico e definitivo nella vita, morte e risurrezione di Gesù.

 

L'Ascensione

6 Così venutisi a trovare insieme gli domandarono: «Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?». 7 Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, 8 ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra».
9 Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo. 10 E poiché essi stavano fissando il cielo mentre egli se n'andava, ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: 11 «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo».

Gli apostoli chiedono a Gesù: "E’ questo il tempo in cui ricostituirai il regno d’Israele?". Essi attendono infatti la "restaurazione di tutte le cose, come ha detto Dio fin dall’antichità, per bocca dei suoi santi profeti" (3,21). Amos aveva profetizzato dicendo: "In quel giorno rialzerò la capanna di Davide, che è caduta; ne riparerò le brecce, ne rialzerò le rovine, la ricostruirò come ai tempi antichi". (Am 9,11). Giacomo di Gerusalemme afferma che è proprio quello che sta avvenendo attraverso la Chiesa nata a Pentecoste (15,16). Ma di quale restaurazione si tratta?

In realtà, l’avvento del regno di Dio è oggetto di preghiera perseverante: "Venga il tuo regno!" (Lc 11,2). Questa preghiera è rivolta al Padre che ha la benevolenza di darci il suo regno (Lc 12,31). E per quanto riguarda i tempi e i momenti di tale restaurazione, Dio ha riservato a Sé la conoscenza e la decisione. I tempi (chronoi) sono quelli che scandiscono lo svolgimento della storia umana sul piano della creazione; i momenti (kairoi) si collocano sul piano della salvezza: sono gli interventi della grazia di Dio nel quadro della sua alleanza con l’umanità (Cf. Dn 2,21; Sap 8,8; 1Ts 5,1).

La risposta di Gesù indica ai suoi la dimensione gravosa del cammino che i servi della Parola di grazia dovranno percorrere per far sì che il regno di Dio "venga" in tutti i luoghi e in tutti i tempi.

"Avrete forza dallo Spirito santo che scenderà su di voi". Questa parola fa eco a quella di Lc 24,49: "Io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto". Nell’episodio dell’Annunciazione, il messaggero di Dio aveva detto a Maria: "Lo Spirito santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo" (Lc 1,35). Si tratta del medesimo mistero di concepimento della Parola, non più nel grembo della vergine Maria – che tuttavia è sempre presente (v. 14) – ma in ogni persona e comunità cristiana.

Notiamo che mentre alla fine del vangelo di Luca Gesù aveva detto: "Di questo voi siete testimoni" (Lc 24,48), ora dice: "Sarete testimoni di me" (v.8). La testimonianza nella potenza dello Spirito Santo non riguarda più soltanto i fatti della salvezza, ma colui che si colloca al culmine di quegli eventi: il Signore risorto. Il riferimento ultimo della Scrittura e della testimonianza deve essere ormai la persona del Risorto.

Gesù indica anche il campo in cui deve realizzarsi la testimonianza: "in Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli ultimi confini della terra" (v. 8). La restaurazione del regno di Dio passa per il tracciato di questa via. La testimonianza degli apostoli, a partire da Gerusalemme, si svilupperà in tutte le direzioni. Ma negli Atti, Luca prenderà in considerazione una linea privilegiata: quella che va da Gerusalemme a Roma, crocevia delle nazioni.

Nel racconto dell’Ascensione il vocabolario è preciso: "fu elevato", "è stato assunto fino al cielo". Dietro la forma passiva dei verbi, dobbiamo leggere l’azione di Dio. La nube inoltre segnala che si tratta di un ingresso nell’intimità del Padre, come nell’episodio della Trasfigurazione di Gesù (Lc 9,34-35). Ma questa nube esprime anche la gloria e il sottrarsi del mistero dal nostro sguardo. Tutto ciò richiama il discorso in cui Gesù parla della sua venuta "nella nube", cioè in maniera nascosta, velata: "Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire nella nube con molta potenza e gloria" (Lc 21,27). Ed è infatti di questa venuta che parleranno i due messaggeri del v.10. Agli apostoli che stanno con gli occhi fissi al cielo, "due uomini in bianche vesti" (cf Lc 24,4) svelano il senso del mistero che stanno vivendo, ricordando che la venuta di colui che fu assunto al cielo deve essere vissuta sulla terra, nelle realtà concrete della storia umana. Gesù verrà allo stesso modo, cioè andando per le strade del mondo con gli uomini, in maniera invisibile. Luca ci mette in guardia da una spiritualizzazione errata che ci porterebbe a sottrarci ai compiti quotidiani.

Il futuro "verrà" del v. 11 traduce un "incompiuto" ebraico: l’azione del venire non si colloca nel futuro, ma "è in via di realizzazione"; la venuta di Gesù continua. Proprio per questo gli apostoli sono rimandati alla loro missione terrena, al loro impegno di testimonianza. E’ inutile guardare il cielo: il Signore viene sulla terra! Ma viene nella nube, in maniera velata, avvolto nel mistero di Dio.

In sintesi possiamo dire che il racconto sottolinea non tanto i particolari dell’esperienza storica che il racconto dell’Ascensione presuppone, quanto il suo significato attuale per i cristiani: prospettiva di una fine dei tempi; certezza della vittoria decisiva di Gesù sulla morte e della sua presenza presso il Padre e con noi; necessità dell’impegno dei cristiani nelle cose di questo mondo in vista della salvezza di tutti.

Il racconto dell’Ascensione non vuole principalmente darci delle informazioni circa il modo o il tempo della "partenza" di Gesù da questo mondo, ma è la risposta al problema riguardante il significato della storia alla luce della fede nella risurrezione di Gesù. Il problema si può formulare in questi termini: se è vero che con la risurrezione e glorificazione di Gesù la storia ha subito la svolta definitiva annunciata dai profeti, perché non si vede questo cambiamento sul piano religioso, sociale e politico? Forse tutto è rimandato a un capovolgimento a breve scadenza con una manifestazione gloriosa e spettacolare del Signore risorto? Questi interrogativi si intravedono anche nel vangelo di Luca: "Quando verrà il regno di Dio?" (cf Lc 17,20; 19,11; 21,7). Nei circoli giudeo-cristiani questa speranza religiosa era frammista alle attese di liberazione messianica nazionale. I due discepoli di Emmaus sono i rappresentanti tipici di questo ambiente che coniuga insieme speranza nell’intervento di Dio e liberazione politica: "Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele (Lc 24,21).

Presentare il cammino della Chiesa, vuol dire per Luca ritrovare il nuovo senso della storia sotto il segno della risurrezione. E questo è racchiuso nella frase programmatica di Gesù: "Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e sarete testimoni di me in Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra" (v. 8). La forza dello Spirito, la testimonianza e l’apertura universale sono le tre componenti essenziali dell’esperienza ideale della Chiesa, che Luca ci presenta negli Atti. La promessa di Gesù ridimensiona l’illusione dei fanatici che scambiano l’effusione dello Spirito con la garanzia per il trionfalismo religioso e politico: il regno per Israele. Ma la parola di Gesù indica anche un compito nuovo: lo Spirito non è una forza per dominare e controllare gli uomini, ma per essere testimoni di Gesù, il Signore risorto. Il concetto di testimonianza è un elemento fondamentale di questo libro e qualifica il ruolo autorevole dei primi inviati di Gesù, dai quali prende avvio l’esperienza della Chiesa. Nella parte centrale dei grandi discorsi degli Atti, Pietro, a nome del gruppo, ripete: "Noi siamo testimoni" (cf 2,32; 3,15; 10,41).

 

I. LA CHIESA DI GERUSALEMME
Il gruppo degli apostoli

12 Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in un sabato. 13 Entrati in città salirono al piano superiore dove abitavano. C'erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo di Alfeo e Simone lo Zelòta e Giuda di Giacomo. 14 Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui.

L’ascensione di Gesù sul monte degli Ulivi richiama la visione di Ezechiele: "Dal centro della città la gloria del Signore si alzò e andò a fermarsi sul monte a oriente della città" (Ez 11,23). Sotto gli occhi del profeta, la gloria di Dio si prepara a lasciare la città santa per andare a raggiungere gli esiliati nel luogo della loro deportazione; così Dio potrà essere per loro " un santuario nelle terre dove hanno emigrato" (Ez 11,16). Segue subito la promessa: "Metterò dentro di voi uno Spirito nuovo" (Ez 11,19), una promessa che verrà precisata più avanti: "Porrò il mio Spirito dentro di voi" (Ez 36,27). La scomparsa di Gesù è dunque l’esatto contrario di una fine. Si tratta invece dell’inizio di un’incredibile opera di grazia e di salvezza.

Il v.13 ci dà la lista degli apostoli di cui Luca sta per evocare le gesta. Tutti perseveravano nella preghiera. In questa preghiera comune esercitano il discernimento per penetrare più profondamente nella comprensione di ciò che avviene. Nella preghiera con Maria – figura centrale nel mistero delle origini – matura un nuovo intervento fondamentale dello Spirito Santo. Nel momento in cui, attraverso lo Spirito Santo, sta per essere generato il corpo vivente di Gesù nell’umanità, Maria è presente come colei che mette al mondo Dio. Le donne presentate con lei mettono in luce il carattere corporativo della maternità spirituale della donna all’interno della comunità. Per quanto riguarda i "fratelli" di Gesù, si tratta probabilmente di quelli che sono citati un Mc 6,3: Giacomo, di cui si parlerà più avanti (15,13; 21,18), Joses, Giuda e Simone.

La piccola comunità che attende nella concordia e in preghiera lo Spirito Santo, rappresenta in miniatura il nuovo popolo di Dio senza discriminazioni e privilegi. Tutti ne fanno parte: i discepoli della prima ora, le donne fedeli, la Madre e i parenti. Un nuovo principio di aggregazione tiene unito questo gruppo di persone: l’adesione a Gesù, il Signore risorto, e al suo progetto di vita. Il dinamismo dello Spirito di Pentecoste farà espandere questa forza di coesione oltre il piccolo ambito di questo luogo di preghiera.

Gli apostoli erano radunati nella concordia e si occupavano costantemente della preghiera, dedicandosi ad essa con insistenza e continuità. Alla loro comunione unanime partecipavano anche delle donne, Maria, madre di Gesù e i suoi fratelli. La preghiera ardente della comunità delle origini può essere vista come preparazione al dono dello Spirito, in analogia con Lc 3,21-22. Come risposta alla loro preghiera per il regno (Lc 11,2), Dio dà ai discepoli di Gesù anzitutto lo Spirito Santo (Lc 11,13).

 

La sostituzione di Giuda

15 In quei giorni Pietro si alzò in mezzo ai fratelli (il numero delle persone radunate era circa centoventi) e disse: 16 «Fratelli, era necessario che si adempisse ciò che nella Scrittura fu predetto dallo Spirito Santo per bocca di Davide riguardo a Giuda, che fece da guida a quelli che arrestarono Gesù. 17 Egli era stato del nostro numero e aveva avuto in sorte lo stesso nostro ministero. 18 Giuda comprò un pezzo di terra con i proventi del suo delitto e poi precipitando in avanti si squarciò in mezzo e si sparsero fuori tutte le sue viscere. 19 La cosa è divenuta così nota a tutti gli abitanti di Gerusalemme, che quel terreno è stato chiamato nella loro lingua Akeldamà, cioè Campo di sangue. 20 Infatti sta scritto nel libro dei Salmi:
La sua dimora diventi deserta,
e nessuno vi abiti,
il suo incarico lo prenda un altro.
21 Bisogna dunque che tra coloro che ci furono compagni per tutto il tempo in cui il Signore Gesù ha vissuto in mezzo a noi, 22 incominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di tra noi assunto in cielo, uno divenga, insieme a noi, testimone della sua risurrezione».
23 Ne furono proposti due, Giuseppe detto Barsabba, che era soprannominato Giusto, e Mattia. 24 Allora essi pregarono dicendo: «Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti, mostraci quale di questi due hai designato 25 a prendere il posto in questo ministero e apostolato che Giuda ha abbandonato per andarsene al posto da lui scelto». 26 Gettarono quindi le sorti su di loro e la sorte cadde su Mattia, che fu associato agli undici apostoli.

La preghiera non tarda a portare i suoi primi frutti. Gli apostoli prendono coscienza del posto rimasto vuoto nel gruppo dei testimoni della risurrezione: dopo la morte di Giuda, sono rimasti solo in undici a "giudicare le dodici tribù d’Israele" (Lc 22,30). Pietro si alza e prende la parola per indicare ciò che Dio si aspetta dalla comunità cristiana. Specificando che i fratelli radunati sono 120, Luca lascia intendere che il servizio di Dio è ciò che struttura il "resto". Il numero 120 equivale infatti a dieci uomini per ciascuna delle dodici tribù scelte per elezione divina. Nella tradizione ebraica è richiesto un numero minimo di dieci israeliti maschi e maggiorenni per rappresentare il popolo nella preghiera comune. Il popolo della nuova alleanza si costituirà dunque da questi 10 x 12, cioè da questi 120 fratelli.

La morte di Giuda viene riferita qui secondo una tradizione diversa da quella di Matteo 27,3-10. La tradizione di Matteo parlava di un suicidio per impiccagione e di una proprietà che i sacerdoti del Tempio avevano acquistato, col denaro restituito dal traditore, per destinarla alla sepoltura degli stranieri. La tradizione raccolta dal libro degli Atti parla di uno sventramento di Giuda e di una proprietà acquistata da Giuda stesso.

La versione di Matteo riprende un modello presente nel racconto della morte di Achitòfel di Ghilo, consigliere di Davide e poi suo traditore (2Sam 17,23). La versione degli Atti descrive la morte dell’empio (cf Sap 4,19) che non ha riconosciuto il Giusto (cf 7,52). Spaccarsi in mezzo, o essere scagliati a testa in giù, sono modalità abitualmente attribuite a questo genere di morte insieme ai vermi, il fuoco, il gonfiore, la putrefazione (cf 12,23).

Ai vv.16 e 21, troviamo l’espressione "bisognava", "bisogna". E’ un espressione che viene utilizzata per indicare il libero consenso di un uomo alla volontà salvifica di Dio. Questa "necessità" che incombe sull’uomo, e che può essere conosciuta attraverso la Scrittura, non si colloca sul piano della logica razionale, ma su quello della salvezza. A coloro che ricevono lo Spirito Santo, essa si rivela come la via misteriosa attraverso la quale la benevolenza del Padre ci raggiunge nel profondo della nostra volontà omicida. Gesù si è assoggettato a questa "necessità" (cf Lc 24,26), e il Padre l’ha fatto risorgere. Attraverso molte tribolazioni i suoi discepoli entreranno dietro di lui nel regno di Dio, come leggiamo in At 14,21-22: "Dopo aver predicato il vangelo in quella città e fatto un numero considerevole di discepoli, (Barnaba e Paolo) ritornarono a Listra, Iconio e Antiochia, rianimando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede poiché, dicevano, è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio". Vissuta nello Spirito Santo, questa necessità perde il suo sapore di morte per essere riconosciuta come una via di grazia che conduce alla Vita.

In questo brano i Salmi permettono a Pietro di decifrare il destino di Giuda; anche nel suo tradimento egli è parte integrante del mistero pasquale. Questo discorso di Pietro ci rivela il modo cristiano primitivo di leggere i fatti. Anche gli avvenimenti più tristi e scandalosi, come il tradimento e il destino tragico di Giuda, acquistano un senso quando vengono letti sullo sfondo del progetto di Dio.

Se l’essenziale della missione degli apostoli consiste nell’essere i testimoni della risurrezione di Gesù, si capisce la condizione che viene indicata nei vv. 21-22: aver frequentato Gesù fin dagli inizi del suo cammino terreno, averlo visto morire e poi averlo riconosciuto vivo al di là della morte ed essere rimasti in reale contatto con lui per il periodo dei quaranta giorni. In tal modo il testimone avrà potuto accertarsi che si tratta veramente della stessa persona e non di una allucinazione o di un frutto della fantasia.

Per essere apostoli era necessaria una seconda condizione: essere stati scelti da Dio. E’ questo il senso della preghiera dei vv. 24-25. Da una prima selezione erano usciti due candidati, Giuseppe e Mattia. Il fatto di estrarre a sorte uno dei candidati invece che procedere a una nomina tramite una votazione da parte dell’assemblea esprime il desiderio di lasciare piena libertà di scelta a Dio (cf Pr 16,33).

Il simbolismo dei Dodici, legato alle dodici tribù d’Israele, mette chiaramente in luce la continuità fra Israele e la nuova comunità che rende testimonianza al Risorto. In questa luce, la defezione di Giuda, in cui si legge in filigrana l’incomprensione di Gerusalemme e dei suoi figli nei confronti di Gesù che le porta la pace (Lc 19,42-44), non significa che le prerogative di Israele sono soppresse, né che l’accenno al traditore che va "al proprio luogo" indica la sua dannazione. Coloro che hanno rifiutato la visita del Re nella pace (Lc 19,42-44), riceveranno quella dei testimoni del Risorto: "sarete testimoni di me in Gerusalemme…" (v. 8).

Mentre la comunità prega, Pietro, nel nome di Gesù, riconosce che la salvezza di Dio si realizza, secondo le Scritture, nell’elezione di Mattia, che in tal modo subentra a Giuda.

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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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