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MEDITIAMO LE SCRITTURE (Vol 4) Anno B

Ultimo Aggiornamento: 04/12/2012 08:06
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30/07/2012 08:21
 
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padre Lino Pedron
Commento su Matteo 13, 31-35

La parabola del granello di senape presenta il contrasto tra la piccolezza del seme e la grandezza della pianta che produce: un albero che offre ospitalità agli uccelli. La piccolezza del granellino sottolinea l'aspetto insignificante e addirittura deludente degli inizi dell'avvento del regno di Dio: la venuta di Gesù corrisponde ben poco alle attese che gli ebrei avevano nei confronti del messia(cfr Mt 3,13-14; 11,2-3).

La parabola del lievito ci insegna che il regno di Dio è presente nel mondo come un fermento che lo trasforma totalmente.

Il regno dei cieli non ha gli inizi sognati dagli apocalittici e sperati dal popolo. Esso si inserirà nella storia quasi inavvertitamente(cfr 11,2-3; 12,20), ma si affermerà ugualmente. Il regno dei cieli è ai suoi inizi storici un seme di senape, ma non sarà tale al suo stadio finale. La parabola è perciò un annuncio di consolazione e di conforto per quanti non riescono a vedere nell'opera del Cristo la realizzazione delle attese messianiche. Essa fa eco alle parole rivolte da Gesù ai discepoli:" Non temete, piccolo gregge, perché piacque al Padre vostro dare a voi il Regno"(Lc 12,32).

La parabola illustra un fatto (l'azione messianica di Gesù), ma soprattutto enuncia una legge (la paradossalità dell'agire di Dio). Essa sottolinea non solo che l'affermazione del Regno avviene nonostante i suoi umili inizi, ma proprio per essi.

Ciò che era uno scandalo è invece il segreto del piano di Dio: la piccolezza e la debolezza non pregiudicano la riuscita futura ma, anzi, ne sono le condizioni necessarie. La debolezza degli uomini del Regno è la loro forza, perché solo allora trovano in Dio tutta la loro confidenza e tutto il necessario appoggio. Il Regno sarà grande nella debolezza (cfr 2Cor 12,9).

Bisogna che i credenti abbandonino i loro appoggi terreni, diventino poveri, umili, deboli per far sì che la Chiesa acquisti i caratteri voluti dal suo fondatore. Chi riceve il Regno come un granello di senape deve uniformare il proprio animo alla lezione che viene dal piccolo seme. Ritorna ancora una volta il messaggio della povertà con cui si apre il discorso della montagna (Mt 5,3).

Il discorso in parabole viene nuovamente e con forza definito come discorso destinato al popolo. Per capirlo non è necessaria una conoscenza speciale. Il salmo 78,2 viene citato proprio perché identifica nelle "parole" uno strumento adeguato per rivelare "cose nascoste fin dalla fondazione del mondo".

Il salmo 78 presenta un abbozzo della storia della salvezza di Israele dall'esodo alla conquista della terra promessa e all'elezione di Davide. Designando l'esposizione della storia, la parabola ci vuol dire che occorre comprenderne, con la riflessione e la meditazione, il senso: l'essenza e la fedeltà di Dio, il peccato dell'uomo e la conseguente esortazione alla fedeltà e all'obbedienza.

Ciò che Cristo proclama risale al tempo che precede la creazione. Per Matteo il regno di Dio è una realtà preesistente. Nel tempo essa fu affidata a Israele ed è divenuta realtà definitiva in Gesù.

La preesistenza del regno di Dio è confermata da Mt 25,34.
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31/07/2012 07:32
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Spiegaci la parabola della zizzania nel campo

Gesù aveva raccontato la Parabola del buon seme e della zizzania, ma i suoi discepoli avevano compreso bene poco. La Parola di Dio stordisce la nostra mente per la sua semplicità ed anche la sbalordisce. A volte si ha proprio paura di coglierla in questa stupenda linearità. La mente contorta dell'uomo non ama la semplicità dell'esposizione, delle parole, della frasi, delle argomentazioni. Vuole e brama la complessità, perché in essa potrà sempre inserire il suo pensiero, i suoi progetti, le sue idealità di peccato.
Nel torbido si può inserire il torbido e non si vede, non si avverte, neanche lo si nota. In un bicchiere limpido di acqua, una sola goccia di inchiostro la rende tutta nera e di conseguenza l'inserimento si vede. L'acqua cristallina non c'è più e così è della Parola di Dio. Neanche essa esiste più non appena l'uomo vi introduce in essa il più piccolo dei suoi pensieri di peccato e di morte. Nella semplicità ogni inserimento è visto, notato, osservato. Nel torbido della complessità esso non si vede, non si nota, non si osserva. L'atro beve l'acqua avvelenata e neanche sa che in essa vi è un veleno di morte. Non sa che ciò che mette nel cuore non è più Parola di Dio.
Quando noi non comprendiamo qualcosa della Parola del Signore è giusto che chiediamo, come hanno fatto i discepoli. Ma a chi possiamo chiedere noi, dal momento che Gesù non è più presente visibilmente e non ci può più rispondere in modo udibile? Gesù ci ha lasciato il suo Santo Spirito. Se umilmente ci mettiamo in preghiera, se chiediamo perché vogliamo appurare la verità, se ci rivolgiamo a Lui perché desideriamo obbedire al Signore Dio nostro, Lui da Cielo ci risponde, ci dona l'esatta comprensione della Parola, ci rivela il suo vero contenuto, ci dice la vera volontà di Dio.
Qual è la vera volontà di Dio contenuta nella Parabola della zizzania? Essa è questa: bene e male, figli delle tenebre e figli della luce, regno di Dio e regno del principe di questo mondo, seminatori del buon seme e seminatori della zizzania sono nello stesso campo, sulla stessa terra, nello stesso mondo, nella stessa Chiesa, nella stessa comunità, nella stessa famiglia, nella stessa società, nella stessa umanità. Ogni uomo si troverà sempre dinanzi ad una persona che gli annunzia la vera Parola di Dio e dinanzi ad un'altra persona che gli dice cosa Satana vuole da lui. Glielo dice però con garbo, con inganno, con menzogna, con falsità, con grande illusione.
Ognuno è posto dinanzi alla scelta della sua vita e della sua morte, della salvezza e della perdizione, del peccato e della grazia, della verità e della menzogna. Il discepolo di Gesù sa che solo la Parola del suo Maestro è Parola di vita eterna. Nessun altro ha parola di salvezza e di redenzione. Avendo questa scienza, si può sempre salvare.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, ottienici tanta sapienza dallo Spirito Santo in modo che possiamo sempre conoscere la falsità e la verità che è contenuta in ogni Parola che ascoltiamo. Angeli Santi di Dio guidate sempre il nostro discernimento
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01/08/2012 07:41
 
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padre Lino Pedron
Commento su Matteo 13, 44-46

Le parabole del tesoro e della perla di grande valore ci ricordano che Gesù è il nostro tesoro: per possedere lui bisogna essere disposti a lasciare tutto e tutti. Possiamo rappresentarci questo tesoro come un cassone o un vaso di terracotta pieno di monete d'oro o di argento. Sotterrare tesori nel campo era considerato un deposito sicuro in tempi di guerra o di incertezza. Tesori nascosti potevano essere dimenticati per la morte dei legittimi proprietari che portavano con sé il segreto nella tomba.

L'unico modo possibile per il lavoratore del campo per giungere a un possesso giuridicamente non impugnabile è l'acquisto del campo. Così egli vende tutto ciò che possiede per acquistare il campo e quindi il tesoro.

Il regno di Dio è un tesoro già presente, sperimentabile, trasmissibile nella parola e nell'opera di Gesù. Esso viene incontro all'uomo per suscitare la sua gioia. L'uomo vende tutto ciò che ha perché orienta in modo nuovo la sua vita. Ai tesori della terra sostituisce il tesoro del regno dei cieli.

Il vertice della parabola sta nella decisione dell'uomo davanti alla scoperta del tesoro: egli vende tutto ciò che ha allo scopo di ottenere il campo e di impossessarsi del tesoro.

Esemplari in questa decisione immediata e senza ripensamenti sono i discepoli che, incontrando Gesù, sono disposti a lasciare tutto per seguirlo (Mt 4,18-22; 8,21-22; 9,9; 19,16-29).

Si può immaginare con quale affanno si sia messo all'opera e di quanto ridicolo si sia coperto agli occhi dei benpensanti quest'uomo che vende tutto, casa e averi, per acquistare un pezzo di terra di poco o nessun valore, com'è ordinariamente in Palestina, brulla e infruttuosa.

Alla stessa derisione sono condannati i figli del Regno. Essi hanno sì acquistato un bene di inestimabile valore, ma esteriormente, agli occhi degli altri, appaiono dei falliti, degli illusi. La loro ricchezza è sconfinata ma nascosta, traspare solo dalla grande gioia che trabocca dai loro cuori.

La gioia, segno di ottimismo e di speranza, è il punto culminante del racconto L'espropriazione dei beni non è stata un sacrificio, ma un guadagno.

Anche nella parabola della perla preziosa viene evidenziato il valore straordinario del regno dei cieli in rapporto ad ogni altro bene (cfr Mt 6,33). Anche qui il culmine del racconto sta nella decisione presa dal mercante di vendere tutto quello che possiede per comperarla.

E' da notare che nella parabola del tesoro nascosto l'uomo lo trova casualmente, mentre nella parabola della perla preziosa è l'uomo che va in cerca. Nella vita alcuni hanno incontrato Cristo senza averlo cercato (cfr Mt 4,18-22; At, 9,1-9), altri lo hanno cercato, come Nicodemo (Gv 3,1-15). In ogni caso il cuore dell'uomo è inquieto finché non trova il suo tesoro e la sua perla preziosa che è Cristo.

Essere cristiano è la grazia più grande. Di conseguenza la gioia dovrebbe essere il dato esistenziale cristiano, affinché non risulti vero l'amaro sarcasmo di Nietzsche: "Dovrebbero rivolgermi uno sguardo più redento, se vogliono che io creda al loro redentore".
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02/08/2012 08:48
 
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padre Lino Pedron
Commento su Matteo 13, 47-53

Il compito della chiesa è la missione, raffigurata mediante la pesca, affidata alla responsabilità dei discepoli (cfr Mt 4,19), ma l'incarico della cernita, immagine della separazione dei malvagi dai buoni, è affidata agli angeli (cfr Mt 13,41). Contro ogni tendenza integrista, che sogna una comunità credente di separati e di puri, Gesù annuncia che il tempo presente è l'ambito della tolleranza e della pazienza senza tendenze discriminatorie. Dunque compito della chiesa è la missione, non il giudizio.

Gesù termina il suo discorso con una domanda: "Avete capito tutte queste cose?". La risposta è "sì". E siamo noi oggi che dobbiamo rispondere positivamente.

Gesù illustra il senso dell'impegno che la comprensione delle parabole richiede, attraverso un'ultima parabola: quella di ogni scriba fattosi discepolo del regno dei cieli. Diventare discepolo implica la missione di insegnare agli altri. Lo scriba è lo specialista della Scrittura; se scopre in Gesù il tesoro nascosto (Mt 13,44), rinnova tutte le sue concezioni religiose e sa utilizzare egregiamente tutta la ricchezza dell'Antico Testamento accresciuta e perfezionata dal Nuovo.

I discepoli sono coloro che hanno compreso il messaggio racchiuso nei discorsi di Gesù. Comprendere non significa solo capire ma accettare, attuare nella propria vita. Se ciò è vero, i discepoli sono diventati i veri "figli del regno"(v.38) ormai in possesso del tesoro e della perla preziosa. Per tutti questi motivi sono i nuovi scribi, i maestri nel regno dei cieli.

La risposta dei discepoli è importante non solo per la loro salvezza personale, ma anche per la loro futura missione nella Chiesa. Essi dovranno insegnare ciò che hanno udito. E potranno farlo con la stessa autorità di Gesù, solo se lo avranno capito e lo avranno veramente creduto e praticato.

Il cristiano resta per tutta la vita un discepolo, uno scolaro. L'esame deve ancora venire. Nell'immagine del padrone di casa ci si rivolge particolarmente a quelli che sono attivi nella predicazione e nella catechesi. Essi devono distribuire il nuovo e l'antico. L'incarico costa fatica e non può essere preso alla leggera.

Matteo incoraggia a riprendere anche gli scritti dell'Antico Testamento, in gran parte dimenticati nella predicazione. In essi si trovano tante cose importanti da ricordare, che ci aiutano e ci scuotono. Ma il solo ricordo non basta: ad esso va aggiunta una esegesi guidata dallo Spirito, come fa Matteo nel suo vangelo.

In conclusione, tutte le parabole ci parlano del regno dei cieli; tutte ne rivelano un aspetto ed esprimono in primo luogo la realtà di Gesù, evento centrale della storia, che segna il definitivo punto di incontro tra il cielo e la terra.

La parola di Dio, che è Gesù, viene seminata nella terra del mondo per farne germinare e crescere il popolo di Dio. Il discernimento ultimo tra i buoni e i cattivi è già operato in questo mondo dall'adesione o dal rifiuto nei confronti di Cristo.
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03/08/2012 06:34
 
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padre Lino Pedron
Commento su Matteo 13, 54-58

Il racconto dell'arrivo e dell'insegnamento di Gesù a Nazaret è seguito da cinque domande incredule dei nazaretani. Essi chiedono da dove ha origine Gesù.

La gente resta strabiliata dall'insegnamento di Gesù. Questa reazione non è ancora ostile, ma indica già incomprensione nei suoi riguardi. Forse gli abitanti di Nazaret sono venuti nella sinagoga più per studiare il loro concittadino che per ascoltare con fede la sua parola.

Siccome la sapienza si apprende a scuola o dagli scribi, ma ad essi non risulta che Gesù abbia frequentato né questa né quelli, la conseguenza è presto tratta: non può avere alcun diritto di arrogarsi quell'autorità che gli viene riconosciuta per la sua parola e per i suoi gesti potenti.

I nomi dei quattro fratelli di Gesù sono conservati dalla tradizione perché hanno avuto un ruolo nella prima Chiesa di Gerusalemme, soprattutto Giacomo, noto come il "fratello del Signore".

La tradizione evangelica, riferita anche da Matteo, conosce il nome della madre di Giacomo e di suo fratello Giuseppe: Maria (Mt 27,56). Se questa Maria, moglie di Cleofa', è sorella di Maria, madre di Gesù, allora i due primi "fratelli" sono in realtà suoi cugini (cfr Gv 19,25). Lo stesso si può ragionevolmente pensare anche degli altri due "fratelli" e delle "sorelle".

Lo scandalo o crisi di rigetto dei giudei nei confronti di Gesù deriva dalla loro immagine trionfalistica dell'inviato di Dio. Gesù si appella a un'altra immagine, quella del profeta contestato, rifiutato e perseguitato da quelli ai quali è inviato. Il proverbio popolare del v.57, citato da Gesù, diventa un annuncio del suo destino che si colloca nella storia degli inviati di Dio rifiutati e osteggiati dal popolo (cfr Mt 5,11-12; 21,34-35; 23,29-32).

La conclusione dice espressamente che Gesù non fece molti miracoli nella sua patria a causa dell'incredulità dei suoi abitanti. Il miracolo infatti è legato all'apertura e alla fiducia dell'uomo. Solo a chi ha adempiuto la condizione fondamentale di un udire volonteroso e aperto, viene aggiunto tutto il resto.

Gesù non compie miracoli per farsi pubblicità e accaparrarsi una folla di seguaci, ma per confermare l'esperienza della fede. Solo all'interno di questa logica è comprensibile la sua attività terapeutica.

La ragione dello scandalo, di questo impedimento a credere "ragionevolmente" in Gesù è data dalla condizione stessa di Gesù: dal fatto di essersi fatto uomo e dell'aver scelto un'esistenza umile e povera.
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03/08/2012 13:26
 
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SIGNORE, DACCI SEMPRE IL TUO PANE

 

Possiamo facilmente immaginare la scena che il Vangelo descrive oggi.

La folla era stata saziata dal grande ed inaspettato miracolo della moltiplicazione dei pani. Aveva quindi intravisto la possibilità di trovare in Gesù una certezza materiale, per il proprio futuro: Gesù, in un modo o in un altro avrebbe risolto i problemi quotidiani, quelli che ancora oggi affliggono tragicamente singole persone, famiglie intere o Nazioni.

Basta pensare alla fame che in tante Nazioni, in Africa, genera morti ogni giorno. Oggi, sono ancora tanti, nell'intera comunità umana, coloro che sono condannati a vedere il proprio diritto alla vita, alla salute, alla stessa libertà, come un sogno irraggiungibile, riservato solo ad alcuni fortunati, come noi dei Paesi sviluppati. Quello che fa più male è che spesso, proprio noi, non sentiamo più la loro voce, perché è coperta dal frastuono di un benessere che non dà spazio ai lamenti altrui, o meglio, al grido di giustizia, che chiede ciò che loro spetta, a cominciare da un pezzo di pane ... Leggendo circa i rifiuti che buttiamo via, rilevati dagli esperti, - e sono migliaia di tonnellate al giorno - ci torna alla mente il grido di Gesù: 'Avevo fame e non mi avete dato da mangiare. Ero nudo e non mi avete vestito. Ero ammalato e non mi avete visitato ... Andate, maledetti nel fuoco eterno ... '

Ho l'occasione, come vescovo, di incontrare spesso missionari che scelgono di vivere in zone dove la fame è regina. Chiedono giustizia più che aiuto: quella giustizia che non trova abbastanza posto nel mondo consumistico ... eppure a volerlo, un pezzo di pane la terra lo potrebbe dare a tutti!

Questo è davvero quello che fa male a chi ha a cuore la carità. Molte volte a noi costa poco mettere in disparte qualcosa per chi ha nulla ... ma poi, magari anche in nome della crisi economica, ci chiudiamo nel nostro egoismo. È vero che tante comunità parrocchiali oggi si prendono cura dei poveri ed hanno punti di accoglienza, dove è possibile avere almeno un pasto al giorno. E noi benediciamo questi fratelli che si adoperano per coloro che sono in difficoltà, ma possiamo fare di più. Basterebbe riservare una piccola parte del nostro vitto per chi non ha nulla. Ho sempre ammirato la testimonianza di un mio confratello che, ogni giorno, a tavola toglieva qualcosa del suo, che poi donava ai suoi poveri. Era una meravigliosa condivisione.

Scriveva il grande Paolo VI: "Il possesso e la ricerca della ricchezza come fine a se stessa, come unica garanzia di benessere presente e di pienezza è la paralisi dell'amore. I drammi della sociologia contemporanea lo mostrano: e quali prove tragiche, che oscurano generazioni! L'educazione cristiana alla povertà - intesa come distacco assoluto dall'idolatria del benessere - sa distinguere innanzitutto l'uso dal possesso delle cose materiali e sa distinguere poi la libera e meritoria rinuncia ai beni temporali, in quanto impedimento allo spirito umano nella ricerca e nel conseguimento del suo ottimo fine che è Dio e il prossimo che è il fratello da amare e da servire e liberare dalla carenza di quei beni che sono indispensabili alla vita presente, come dalla miseria, dalla fame, a cui è dovere e carità provvedere".

In altre parole dovremmo saper vedere nell'uomo, ovunque abiti, il fratello che oggi è Cristo tra di noi e attende una risposta o una testimonianza della carità. Non è questione di fare un'elemosina, ma di andare oltre, abbracciando l'intera umanità e farsi prossimo a chi sta male.

A volte, invece, si ha come l'impressione che i poveri diano fastidio, ieri come oggi.

Ricordo, dopo qualche giorno dal terremoto nel Belice, in aereo stavo recandomi a visitare mamma, molto preoccupata. Avevo perso tutto, quindi ero vestito in qualche modo ... la cosa, probabilmente, diede fastidio al mio vicino, che fece presente, non certo con garbo, il suo pensiero, dichiarando che 'in aereo non avrebbero dovuto salire gli straccioni'. Un altro passeggero, che mi aveva conosciuto, intervenne con veemenza: 'Lei non sa chi è questa persona: è don Riboldi, un sacerdote che sta dando tutto per i suoi terremotati'. Per quanto mi riguarda, per un attimo ero stato felice di sentirmi quello che allora davvero ero: povero!

Ma bisogna avere occhi e cuore di Cristo, per saper leggere e non solo vedere i poveri, come è nel Vangelo di oggi:

"Quando la folla vide che Gesù non era più là e neppure i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafarnao, alla ricerca di Gesù.

Trovatolo al di là del mare, gli dissero: 'Rabbì, quando sei venuto qui?'.

Gesù rispose: 'In verità, in verità vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato quei pani e vi siete saziati. Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo'. Gli dissero allora: 'Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?'. Gesù rispose: 'Questa è l'opera di Dio, credere in Colui che Egli ha mandato.'

Allora gli dissero: 'Quale segno dunque tu fai perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come è scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo.'

Rispose Gesù: 'In verità, in verità vi dico: non Mosé vi ha dato il pane del cielo, quello vero.

Il pane di Dio è Colui che discende dal Cielo e dà la vita al mondo.'

Allora gli dissero: 'Signore, dacci sempre di questo pane.'

Gesù rispose: Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più famee chi crede in me non avrà più sete." (Gv. 6,24-35)

Per la folla e per noi, Gesù alza il tiro, parlando del pane, fonte della vita. Non dimentica l'urgenza del pane, per coloro che hanno fame, ma neppure vuole che ci si fermi alla dimensione materiale, pur necessaria ... Il suo discorso va oltre la vita terrena e mira direttamente al pane che dona la vita eterna: una necessità nutrirsi del pane materiale, altro è nutrirsi del Pane del cielo.

Lo conosciamo tutti quel pane, che è l'Eucarestia: Gesù stesso che si fa Pane della Vita. Una vita che va oltre quella provvisoria dell'esistenza terrena, oltre la morte: la vita eterna con Lui.

Eppure, se ci guardiamo attorno, tanti di noi, che pure si dicono credenti, fanno fatica anche solo a pensare che la Comunione possa essere il grande nutrimento dell' anima. È difficile anche solo entrare nella profondità di questo Dono del Cielo. Genera come uno stordimento, anche solo pensare che quella piccola Ostia, che a volte, o ogni giorno riceviamo, sia davvero Gesù in persona. Per grazia di Dio ci sono però tanti per i quali il Pane del Cielo è davvero il nutrimento della vita interiore e non riescono a vivere senza nutrirsene.

Mamma, nonostante la famiglia numerosa, i tanti sacrifici, iniziava la sua giornata con il ricevere la S. Comunione, dicendoci spesso: 'Senza di Lui non saprei come educarvi ed amarvi. È la mia forza'.

E ricorderò sempre quello che mi insegnò dopo la mia prima Comunione. Prima di andare a scuola voleva che andassi a ricevere l'Eucarestia. Allora la si poteva ricevere solo se si era digiuni. Quando tornavo era già ora della scuola e trovavo mamma che mi attendeva con un pezzo di pane e se mi lamentavo diceva: 'Meglio una buona comunione che una colazione'.

È vero: difficile esprimere la gioia e la forza interiore che si prova, iniziando la giornata con il Pane che dà la vita, Gesù stesso!

Poteva Gesù farci un dono più grande? Sicuramente no. Ma allora perché un tale dono è così poco apprezzato?

Credo davvero che dobbiamo chiedercelo e cercare di darci una risposta, se così fosse .... chiedendo la grazia di comprendere che fare dell'Eucarestia il nostro cibo è dare pienezza di senso, di forza e di serenità alla nostra esperienza umana quaggiù, per prepararci, fin da ora, a 'vivere di Dio' ... cosa potremmo desiderare di più?

 Antonio Riboldi – Vescovo -

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04/08/2012 08:05
 
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a cura dei Carmelitani


1) Preghiera

O Dio, nostra forza e nostra speranza,
senza di te nulla esiste di valido e di santo;
effondi su di noi la tua misericordia
perché, da te sorretti e guidati,
usiamo saggiamente dei beni terreni
nella continua ricerca dei beni eterni.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Matteo 14,1-12
In quel tempo, il tetrarca Erode ebbe notizia della fama di Gesù. Egli disse ai suoi cortigiani: "Costui è Giovanni il Battista risuscitato dai morti; per ciò la potenza dei miracoli opera in lui".
Erode aveva arrestato Giovanni e lo aveva fatto incatenare e gettare in prigione per causa di Erodiade, moglie di Filippo suo fratello. Giovanni infatti gli diceva: "Non ti è lecito tenerla!". Benché Erode volesse farlo morire, temeva il popolo perché lo considerava un profeta.
Venuto il compleanno di Erode, la figlia di Erodiade danzò in pubblico e piacque tanto a Erode che egli le promise con giuramento di darle tutto quello che avesse domandato. Ed essa, istigata dalla madre, disse: "Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista".
Il re ne fu contristato, ma a causa del giuramento e dei commensali ordinò che le fosse data e mandò a decapitare Giovanni nel carcere. La sua testa venne portata su un vassoio e fu data alla fanciulla, ed ella la portò a sua madre.
I suoi discepoli andarono a prendere il cadavere, lo seppellirono e andarono a informarne Gesù.


3) Riflessione

? Il vangelo di oggi descrive il modo in cui Giovanni Battista fu vittima della corruzione e della prepotenza del governo di Erode. Fu ucciso senza processo, durante un banchetto del re con i grandi del regno. Il testo ci riporta molte informazioni sul tempo in cui Gesù viveva e sulla maniera in cui era usato il potere dai potenti dell'epoca.
? Matteo 14,1-2. Chi è Gesù per Erode. Il testo inizia informando sull'opinione che Erode ha di Gesù: "Costui è Giovanni il Battista risuscitato dai morti; per ciò la potenza dei miracoli opera in lui". Erode cercava di capire Gesù partendo dalle paure che lo assalivano dopo l'assassinio di Giovanni. Erode era assai superstizioso ed occultava la paura dietro l'ostentazione della sua ricchezza e del suo potere.
? Matteo 14,3-5: La causa nascosta dell'assassinio di Giovanni. Galilea, terra di Gesù, fu governata da Erode Antipa, figlio del re Erode, il Grande, dall'anno 4 prima di Cristo fino al 39 dopo Cristo. In tutto 43 anni! Durante il tempo della vita di Gesù, non ci furono cambi di governo in Galilea! Erode era signore assoluto di tutto, non rendeva conto a nessuno, faceva ciò che gli passava per la testa. Prepotenza, mancanza di etica, potere assoluto, senza controllo da parte della gente! Ma chi comandava in Palestina, dal 63 prima di Cristo, era l'Impero Romano. Erode, in Galilea, per non essere deposto, cercava di far piacere a Roma in tutto. Insisteva soprattutto in un'amministrazione efficiente che desse ricchezza all'Impero. La sua preoccupazione era la sua promozione e la sua sicurezza. Per questo, reprimeva qualsiasi tipo di sovvertimento. Matteo dice che il motivo dell'assassinio di Giovanni fu che costui aveva denunciato Erode, perché si era sposato con Erodiade, moglie di suo fratello Filippo. Flavio Giuseppe, scrittore, giudeo di quell'epoca, informa che il vero motivo della prigione di Giovanni Battista era il timore da parte di Erode di una sommossa popolare. Ad Erode piaceva essere chiamato benefattore del popolo, ma in realtà era un tiranno (Lc 22,25). La denuncia di Giovanni contro Erode fu la goccia che fece traboccare il vaso: "Non ti è permesso di sposarla". E Giovanni fu messo in carcere.
? Matteo 14,6-12: La trama dell'assassinio. Anniversario e banchetto festivo, con danze ed orge! Marco informa che la festa contava sulla presenza "dei grandi della sua corte, gli ufficiali e i notabili della Galilea" (Mc 6,21). E' questo l'ambiente in cui si trama l'assassinio di Giovanni Battista. Giovanni, il profeta, era una viva denuncia di questo sistema corrotto. Per questo fu eliminato con il pretesto di un problema di vendetta personale. Tutto questo rivela la debolezza morale di Erode. Tanto potere accumulato nelle mani di un uomo incapace di controllarsi! Nell'entusiasmo della festa e del vino, Erode fa un giuramento leggero a Salomè, la giovane ballerina, figlia di Erodiade. Superstizioso come era, pensava che doveva mantenere questo giuramento, e rispondere al capriccio della fanciulla; per questo ordina al soldato di portare la testa di Giovanni su un vassoio e di porgerla alla ballerina, che poi la porge a sua madre. Per Erode, la vita dei sudditi non valeva nulla. Dispone di loro come dispone della posizione delle scale a casa sua.
Le tre caratteristiche del governo di Erode: la nuova Capitale, il latifondo e la classe dei funzionari:
a) La Nuova Capitale. Tiberiade fu inaugurata quando Gesù aveva solo 20 anni. Era chiamata così per far piacere a Tiberio, l'imperatore di Roma. L'abitavano i signori della terra, i soldati, la polizia, i giudici spesso insensibili (Lc 18,1-4). In quella direzione erano canalizzate le imposte ed il prodotto della gente. Era lì che Erode faceva le sue orge di morte (Mc 6,21-29). Tiberiade era la città dei palazzi del Re, dove vivevano coloro che portavano morbide vesti (cf Mt 11,8). Non consta dai vangeli che Gesù fosse entrato in questa città.
b) Il latifondo. Gli studiosi informano che durante il lungo governo di Erode, crebbe il latifondo in pregiudizio delle proprietà comunitarie. Il Libro di Henoch denuncia i padroni delle terre ed esprime la speranza dei piccoli: "E allora i potenti ed i grandi non saranno più i padroni della terra!" (Hen 38,4). L'ideale dei tempi antichi era questo: "Siederanno ognuno tranquillo sotto la vite e più nessuno li spaventerà" (1 Mac 14,12; Mic 4,4; Zac 3,10). Però la politica del governo di Erode rendeva impossibile questo ideale.
c) La Classe dei funzionari. Erode creò tutta una classe di funzionari fedeli al progetto del re: scribi, commercianti, padroni della terra, fiscali del mercato, esattori, militari, polizia, giudici, capi locali. In ogni villaggio c'era un gruppo di persone che appoggiava il governo. Nei vangeli, alcuni farisei appaiono insieme agli erodiani (Mc 3,6; 8,15; 12,13), e ciò rispecchia l'alleanza tra il potere religioso ed il potere civile. La vita della gente nei villaggi era molto controllata, sia dal governo che dalla religione. Ci voleva molto coraggio per cominciare qualcosa di nuovo, come fecero Giovanni e Gesù! Era la stessa cosa che attrarre su di sé la rabbia dei privilegiati, sia del potere religioso come civile.


4) Per un confronto personale

? Conosci casi di persone che sono morte vittime della corruzione e della dominazione dei potenti? E qui tra noi, nella nostra comunità e nella chiesa, ci sono vittime dell'autoritarismo e dello strapotere?
? Erode, il potente, che pensava di essere il padrone della vita e della morte della gente, era un vile davanti ai grandi e un adulatore corrotto dinanzi alla fanciulla. Viltà e corruzione marcavano l'esercizio del potere di Erode. Paragona tutto ciò con l'esercizio del potere religioso e civile oggi, nei diversi livelli della società e della Chiesa.


5) Preghiera finale

Vedano gli umili e si rallegrino;
si ravvivi il cuore di chi cerca Dio,
poiché il Signore ascolta i poveri
e non disprezza i suoi che sono prigionieri. (Sal 68)
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05/08/2012 09:23
 
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padre Antonio Rungi
Voi mi cercate solo per il pane materiale

All'inizio del Vangelo di questa XVIII domenica del tempo ordinario troviamo questa amara costatazione di Gesù che parlando alle folle che lo continuavano a seguire dopo la moltiplicazione dei pani, di cui abbiamo ascoltato il testo domenica scorsa, si rivolge ad esse e dice senza mezzi termini:: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati" Che il pane materiale, quello che ci sostiene nelle energie fisiche ne abbiamo bisogno tutti, perché senza cibo e alimentazione non si vive a lungo, ma è pur vero che per un credente c'è anche un bisogno di altro cibo quello spirituale del quale non può fare a meno se vuole alimentare la sua fede, ed è il cibo della parola di Dio, ma soprattutto l'eucaristia che è sacramento del sostegno spirituale del cristiano che cammina nel tempo in vista dell'eternità. Che di questo pane spirituale ne abbiamo tutti, ma tutti, senza nessuno escluso, dai piccoli a i grandi, lo comprendiamo alla luce di quanto dice Gesù nel prosieguo del vangelo di oggi: "Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Cercare il pane del cielo è cercare Dio nella sua essenza e natura, che è amore, verità, pace. Questo pane l'uomo di oggi, in grave deficit di fede, speranza e carità ne ha bisogno per continuare a sperare in un Dio che è amore e provvidenza per tutti. Abbiamo una vita eterna davanti a noi e non solo una vita terrena. Questa deve indirizzarsi per preparare quella futura e non ci sono scusanti ed attenuanti di alcun genere se non rispondiamo in prima persona a questa amore di Dio a farci alimentare costantemente da Lui con la sapienza e la bontà del suo amore, del suo cuore e della sua tenerezza. L'eucaristia deve essere il centro della vita di ogni cristiano almeno nella domenica, che è la Pasqua settimanale. Come per gli Ebrei che facevano memoria del loro esodo verso la terra promessa e la libertà, il nuovo popolo di Dio, la Chiesa, nel mistero della Redenzione, che il sacrificio eucaristico ripresenta ed attualizza in modo incruento, deve sentire la necessità di celebrare questo passaggio settimanale dalla morte alla vita, dalla schiavitù alla libertà, dalla tristezza alla gioia, dalla fame alla soddisfazione di tutto ciò che il cuore dell'uomo ha bisogno.
Ecco il senso di questo invito che ci rivolge Gesù nel testo del Vangelo di oggi, cuore della liturgia della parola di Dio che già da domenica scorsa ci accompagna sul tema del pane della vita, di cui ci parla il capitolo sesto del quarto vangelo e che in queste domeniche ci aiuterà a capire, se siamo predisposti a farlo, quanto sia importante l'eucaristia nella vita del cristiano, quanto sia essenziale alimentarsi quotidianamente della parola di Dio per arricchire la nostra mente ed il nostro cuore di ciò che davvero ha significato per ogni vero credente.
Lasciamoci prendere da questo pane, soddisfarci da questo alimento essenziale, non causerà nessun problema di salute fisica, non ci farà aumentare di peso in kg, ma di speso e spesso spirituale, di amore e tenerezza verso Dio e i fratelli, questo sì. Per l'eucaristia è il sacramento dell'amore e della condivisione, il sacramento del superamento delle barriere di ogni genere e di ogni divisione, perché nella sua sostanza è comunione.
Non facciamo come il popolo ebraico nel suo cammino verso la terra promessa, nei 40 anni di trasferimento dalla schiavitù dell'Egitto alla Palestina che nonostante l'aiuto di Dio, che si rendeva evidente in ogni situazione di emergenza della loro vita, si lamentavano continuamente. E' un la situazione di tante popolazioni, di tante famiglie, di tante persone che pur avendo tanto si lamentano continuamente, mentre altri hanno poco o niente e sono felici del poco che possiedono: "Fossimo morti per mano del Signore nella terra d'Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine». Allora il Signore disse a Mosè: «Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina o no secondo la mia legge. Ho inteso la mormorazione degli Israeliti. Parla loro così: "Al tramonto mangerete carne e alla mattina vi sazierete di pane; saprete che io sono il Signore, vostro Dio"». L'uomo ha bisogno di verificare la sua fiducia in Dio, soprattutto nel momento della prova. Dio è sempre fedele all'uomo, è l'uomo che è continuamente instabile nei confronti di Dio. Soffre di un'anemia spirituale che lo logora fino a fargli perdere completa fede e fiducia in Dio. La ricarica spirituale per il credente parte dal quel pane del cielo, la vera manna, che è l'eucaristia, nella quale è presente il Cristo in corpo, sangue, anima e divinità. La presenza reale di Gesù nel sacramento dell'altare, la certezza che ogni volta che ci accostiamo a questo segno ci accostiamo a Lui nella sua pienezza umana e divina ci aiuta a capire la necessità di non farci mancare questo pane, né ora e né mai.
Prendendo a prestito l'esortazione di san Paolo apostolo nella seconda lettura di oggi, tratta dalla lettera agli Efesini, vi dico e scrivo: Fratelli, vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani con i loro vani pensieri. Voi non così avete imparato a conoscere il Cristo, se davvero gli avete dato ascolto e se in lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù, ad abbandonare, con la sua condotta di prima, l'uomo vecchio che si corrompe seguendo le passioni ingannevoli, a rinnovarvi nello spirito della vostra mente e a rivestire l'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità". Se vogliamo fare un cammino di purificazione, di rinnovamento al sacramento della penitenza e della confessione dobbiamo associare inscindibilmente il sacramento dell'eucaristia che ci sostiene nei veri e convincenti cambiamenti della nostra vita, se ci accostiamo ad essa con fede sincera, zelo, devozione e profonda convinzione che andiamo a ricevere Gesù stesso, via, verità, vita, gioia, felicità, oltre al quale e senza il quale non le possiamo trovare né adesso e né mai. Amen
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06/08/2012 04:15
 
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don Romeo Maggioni
Maestro, è bello per noi stare qui

Gesù ci ha parlato spesso della preghiera; ma di sue ne abbiamo poche; quella di oggi ha effetti prodigiosi: la sua Trasfigurazione.
Nell'incontro con Dio l'uomo si trasfigura. Come Mosè dopo il colloquio con Dio aveva un volto raggiante, così per Gesù nell'incontro col Padre "il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante".
Vediamo di che si tratta e che senso ha per noi.

1) IL FATTO

Gesù nella sua preghiera sta "parlando con Mosè ed Elia della sua dipartita (del suo ESODO) che avrebbe portato a termine a Gerusalemme". L'esodo cioè della sua morte-risurrezione, il passaggio difficile dalla obbedienza della croce alla glorificazione in cielo. In questo "conversare" di Gesù con le Sacre Scritture (La Legge e i Profeti rappresentati da Mosè ed Elia), egli scopre il suo destino ultimo: quel che sta oltre il guado duro della morte e la sua esaltazione alla destra di Dio. La conferma della strada giusta intrapresa nell'abbandono al disegno del Padre sta in quell'intervento della Voce: "E dalla nube - segno della presenza di Dio - uscì una voce: Questi è il Figlio mio, l'eletto: ascoltatelo!".
In Gesù avviene uno squarcio di cielo e qualcosa della sua futura condizione di risorto glorioso appare a se stesso e agli apostoli, che ne rimangono rapiti: "É bello per noi stare qui, facciamo tre tende". Pietro, Giacomo e Giovanni saranno quei medesimi apostoli che dovranno incontrare Gesù al Getsemani, stravolto dal dolore dell'agonia. Avevano bisogno di scoprire in anteprima qualcosa della "gloria" nascosta entro quell'umanità fragile e perseguitata di Gesù per poter sopportare poi lo scandalo della croce.
Pietro capirà più avanti il significato di quell'esperienza sul monte che tanto l'aveva affascinato, e così scrive in una sua lettera: "Non per essere andati dietro a favole artificiosamente inventate vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza. Egli ricevette infatti onore e gloria da Dio Padre quando dalla maestosa gloria gli fu rivolta questa voce: questo è il mio figlio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Questa voce noi l'abbiamo udita scendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte" (2Pt 1,16-18). Testimone appunto della "gloria dell'Unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità" (Gv 1,14).

2) IL MISTERO

Il prefazio della messa di oggi chiarisce perché la Chiesa vuol riproporci questo mistero: "Cristo rivelò la sua gloria e nella povertà della comune natura fece risplendere una luce incomparabile. Preparò così i suoi discepoli a sostenere lo scandalo della croce, e anticipò nella trasfigurazione il destino mirabile di tutta la Chiesa, sua sposa e suo corpo, chiamata a condividere la sorte del suo Capo e Signore". Si parla del destino della Chiesa, cioè di noi, di una nostra esperienza della Trasfigurazione, anzi di una Trasfigurazione anche per il nostro corpo.
Quando l'uomo cerca di pensare i rapporti tra Dio e il mondo, spesso oscilla tra due scelte contrastanti. Una concezione pessimista, dove dice: è necessario che l'uomo muoia, il mondo finisca per vedere Dio; una ottimista che dice: è questo mondo il Regno di Dio, non c'è da aspettarsene un altro. Si valorizza l'uomo e il mondo a scapito di Dio. Invece vi è una terza concezione, quella appunto trasfigurativa, che si può formulare così: sì, la carne è buona, sì, il corpo è voluto da Dio, sì, il mondo è divino, ma esso ora non è semplicemente che una "immagine"; per essere veramente buono, per raggiungere la sua riuscita, non dovrà essere distrutto, ma trasfigurato, trasformato profondamente cioè con una luce che viene dal suo interno.

Tra i monaci d'Oriente si usa dipingere le iconi. Quando un nuovo discepolo ha terminato la scuola d'iniziazione all'icona, passa un esame: deve dipingere una Trasfigurazione per saper mostrare un uomo che riverberi lo splendore divino. Questa è esattamente l'immagine sintetica della esperienza cristiana: trasfigurare, trasformare gradualmente la nostra umanità in divinità. Si tratta di una progressiva divinizzazione, una conformazione sempre più profonda a Cristo per divenire con Lui partecipi alla gloria. Scrive san Paolo: "Noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima sua immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore" (2 Cor 3, 18).

Oggi - come qui è avvenuto per Gesù - abbiamo bisogno di un anticipo di conoscenza di quella trasfigurazione e di quel destino che toccherà anche a noi, una intuizione sicura, dataci nella fede: al di là della sofferenza e della morte ci aspetta un destino di cielo. Anche "questo nostro corpo corruttibile si vestirà di incorruttibilità e questo corpo mortale si vestirà di immortalità" (1Cor 15,54); perché " se lo Spirito di Colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in noi, Colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà vita anche ai nostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in noi" (Rm 8,11). E' l'esodo definitivo dalla condizione mortale a quella celeste.

Quando il nostro pellegrinare di uomini diventa faticoso, quando la morsa di qualche dolore o delusione ci sconforta..., come sentiamo forte il bisogno di questa intuizione di fede, di questo sguardo sul nostro futuro di gloria, simile a quello di Gesù, primizia e promessa d'un nostro medesimo destino!
E' quanto ci è dato nella preghiera, è quanto chiediamo nella celebrazione di questo mistero, è quanto veniamo ad alimentare in noi ogni domenica aprendoci alla Parola di Dio, che è "come lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei nostri cuori"; e a nutrirci di questo cibo di immortalità che è l'Eucaristia, pegno e anticipo di resurrezione e di vita eterna, già posseduta da Gesù, a cui sia onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.
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07/08/2012 06:30
 
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a cura dei Carmelitani
Martedì della XVIII settimana del Tempo Ordinario (Anno II) (05/08/2008)
Vangelo: Mt 14,22-36 (o Mt 15,1-2.10-14)
1) Preghiera

Mostraci la tua continua benevolenza, o Padre,
e assisti il tuo popolo,
che ti riconosce suo pastore e guida;
rinnova l'opera della tua creazione
e custodisci ciò che hai rinnovato.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Matteo 15,1-2.10-14
In quel tempo, vennero a Gesù da Gerusalemme alcuni farisei e alcuni scribi e gli dissero: "Perché i tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli antichi? Poiché non si lavano le mani quando prendono cibo!".
Poi, riunita la folla, Gesù disse: "Ascoltate e intendete! Non quello che entra nella bocca rende impuro l'uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l'uomo!"
Allora i discepoli gli si accostarono per dirgli: "Sai che i farisei si sono scandalizzati nel sentire queste parole?"
Ed egli rispose: "Ogni pianta che non è stata piantata dal mio Padre celeste sarà sradicata. Lasciateli! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!"


3) Riflessione

• Il vangelo di oggi ci riporta la discussione di Gesù con i farisei su ciò che è puro e impuro. Il testo parla degli usi e costumi religiosi di quel tempo, parla dei farisei che insegnavano questi usi e costumi alla gente e parla delle istruzioni che Gesù impartisce riguardo a questi usi e costumi, molti dei quali avevano già perso il loro significato. Qui nel 15º capitolo, Gesù aiuta la gente ed i discepoli a capire meglio questo tema così importante sulla purezza e le leggi sulla stessa.
• Matteo 15,1-2: I farisei criticano il comportamento dei discepoli di Gesù. Alcuni farisei e diversi dottori della legge si avvicinano a Gesù e chiedono: "Perché i tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli antichi? Poiché non si lavano le mani quando prendono cibo!". Loro fingono di essere interessati a conoscere il perché del comportamento dei discepoli. In realtà criticano Gesù perché permette ai discepoli di trasgredire le norme della purezza.
Ci sono tre punti che meritano di essere segnalati:
(a) Gli scribi sono di Gerusalemme, della capitale. Vengono ad osservare i passi di Gesù.
(b) I discepoli non si lavano le mani prima di mangiare! La convivenza con Gesù dà loro coraggio per trasgredir le norme che la tradizione imponeva alla gente, ma che non avevano più senso per la vita.
(c) L'usanza di lavarsi le mani, che fino ad oggi continua ad essere una norma importante di igiene, aveva assunto per loro un significato religioso che serviva a controllare e discriminare le persone.
• La Tradizione degli Antichi (Mt 15,3-9). "La Tradizione degli Antichi" trasmette le norme che dovevano essere osservate dalla gente per ottenere la purezza che la legge esigeva. L'osservanza della legge era qualcosa di molto serio. Una persona impura non poteva ricevere la benedizione promessa da Dio ad Abramo. Le norme della legge della purezza insegnavano come recuperare la purezza per poter comparire di nuovo dinanzi a Dio e sentirsi bene in sua presenza. Non si poteva comparire dinanzi a Dio in qualsiasi modo. Poiché Dio è il Santo e la Legge diceva: "Siate santi, perché io sono santo!" (Lv 19,2). Le norme della purezza erano, in realtà, una prigione, una schiavitù (cf Mt 23,4). Per i poveri, era praticamente impossibile osservarle: toccare un lebbroso, mangiare con un pubblicano, mangiare senza lavarsi le mani, e tante altre attività. Tutto questo rendeva impura la persona, e qualsiasi contatto con una persona contaminava gli altri. Per questo, la gente viveva con paura, sempre preoccupata dalle molte cose impure che minacciavano la loro vita. Erano obbligati a vivere, temendo tutto e tutti. Nell'insistere sulle norme della purezza, i farisei giungevano a svuotare il senso dei comandamenti della legge di Dio. Gesù cita un esempio assai concreto. Loro dicevano: una persona che consacra al Tempio i suoi beni, non può più utilizzare questi beni per aiutare i bisognosi. Così, in nome della tradizione, loro eliminavano il significato del quarto comandamento che ordina di amare il padre e la madre (Mt 15,3-6). Queste persone sembravano molto osservanti, ma loro lo erano solo esternamente. Nel loro intimo, il cuore era lontano da Dio! Gesù diceva, citando Isaia: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me (Mt 15,7-9). La gente, nella sua saggezza, non concordava più con tutto ciò che si insegnava, e sperava che il messia venisse ad indicare un altro cammino per raggiungere la purezza. In Gesù si realizza questa speranza. Mediante la parola purificava i lebbrosi (Mc 1,40-44), scacciava i demoni impuri (Mc 1,26.39; 3,15.22 ecc.), e vinceva la morte che era la fonte di tutta l'impurità. Gesù tocca la donna esclusa, e costei guarisce (Mc 5,25-34). Senza paura di essere contaminato, Gesù mangia con persone considerate impure (Mc 2,15-17).
• Matteo 15,10-11: Gesù apre un cammino nuovo per avvicinare la gente a Dio. Lui dice alla moltitudine: "Ascoltate e intendete! Non quello che entra nella bocca rende impuro l'uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l'uomo!". Gesù inverte le cose: L'impuro non viene da fuori verso dentro, come insegnavano i dottori della legge, ma da dentro verso fuori. In questo modo, nessuno ha bisogno di chiedersi se questo o quel cibo o bevanda è puro o impuro. Gesù mette ciò che è puro ed impuro su un altro livello, il livello del comportamento etico. Apre un nuovo cammino per giungere fino a Dio e così realizza il desiderio più profondo della gente: stare in pace con Dio. Ora, all'improvviso, tutto cambia! Attraverso la fede in Gesù, era possibile raggiungere la purezza e sentirsi bene dinanzi a Dio, senza la necessità di osservare tutte quelle norme della "Tradizione degli Antichi". Fu una liberazione! La Buona Novella annunciata da Gesù libera la gente dalla difensiva, dalla paura, e gli restituisce la volontà di vivere, la gioia di essere figlio e figlia di Dio.
• Matteo 15,12-14: Gesù afferma di nuovo ciò che aveva detto prima. I discepoli comunicano a Gesù che le sue parole hanno causato scandalo tra i farisei, perché loro dicevano esattamente il contrario di ciò che i farisei insegnavano alla gente. Poiché, se la gente avesse vissuto seriamente il nuovo insegnamento di Gesù, tutta la tradizione degli antichi doveva essere abolita e i farisei e i dottori avrebbero perso la loro leadership e la loro fonte di reddito. La risposta di Gesù è chiara e non lascia dubbi: "Ogni pianta che non è stata piantata dal mio Padre celeste sarà sradicata. Lasciateli! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!" Gesù non diminuisce l'impatto delle sue parole e riafferma ciò che aveva detto prima.


4) Per un confronto personale

• Conosci qualche usanza religiosa di oggi che non ha più senso, ma che continua ad essere insegnata? Nella tua vita ci sono usi e costumi che consideri sacri, ed altri che non lo sono?
• I farisei erano giudei praticanti, ma la loro fede era separata dalla vita della gente. Per questo Gesù li critica. E oggi, Gesù ci criticherebbe? In che cosa?


5) Preghiera finale

L'angelo del Signore si accampa
Attorno a quelli che lo temono e li salva.
Gustate e vedete quanto è buono il Signore;
beato l'uomo che in Lui si rifugia (Sal 33)
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08/08/2012 09:14
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini

Gesù è l'Uomo per gli uomini, con gli uomini, per risollevarli, innalzarli, ricostituirli, rigenerarli, elevarli, per dare loro una nuova dignità, più grande di quella che essi avevano avuto da Dio al momento della loro creazione che è stata ad immagine e somiglianza del loro Creatore e Signore.
Gesù è la carità del Padre, la sua vita eterna, la sua Onnipotenza, tutto Gesù è del Padre, ogni grazia e verità, ogni sapienza ed intelligenza, ogni miracolo e segno. Nulla è gli impossibile perché il Padre tutto ha messo nelle sue mani. Lui può guarire da ogni infermità, ogni malattia, può risuscitare i morti, può liberare dagli spiriti immondi, può scacciare i demoni. Nessuna cosa della terra e del cielo può opporsi al suo volere.
Gesù è il Maestro. Egli si lascia sempre interrogare dagli uomini, ma anche li interroga. Mostra loro come si cresce nella fede. Aiuta a crescere di fede in fede. Conduce i suoi discepoli al possesso di una fede robusta, sana, intelligente, sapiente. Una fede non sapiente e non intelligente non ci aiuta. È una fede povera, debole, quasi inesistente quella fede che non poggia, che non possiede il solido fondamento della sapienza.
Gesù è l'Educatore che conduce i suoi ascoltatori a crescere di fede in fede, di sapienza in sapienza, di verità in verità, di dottrina in dottrina. Gesù non vuole che ci fermiamo agli inizi di ogni cosa. C'è l'inizio, ma anche il perfezionamento, il completamento, la pienezza sia della fede che di ogni altra virtù. Con divina diligenze Lui ci prende e ci conduce per una crescita armoniosa, integrale, piena, di tutto l'uomo.
Gesù è il Formatore che attinge dalla sua sapienza divina tutte quelle forme e quelle modalità che sono necessarie per ogni singola persona, perché questa possa fare il salto nella sua più pura verità. La particolarità delle persone esige la particolarità dei metodi e delle forme. Richiede la diversità e la singolarità dell'approccio.
Per questa donna straniera Gesù è veramente Maestro, Educatore, Formatore. Attraverso questa Cananea Gesù insegna ad ogni uomo che non ci si può arrendere nella richiesta, non ci si può fermare alla prima preghiera, al primo grido, al primo urlo. Bisogna perseverare sino a che il miracolo non sia stato strappato.
Oggi Gesù si arrende dinanzi all'intelligenza e alla sapienza di questa donna. Gesù mai potrà agire contro la sapienza e la saggezza. Sono la sua stessa essenza. Mai Lui potrà operare contro la sua stessa natura. Questa saggezza, questa sapienza, questa insistenza, questa tenacia Gesù vuole da ognuno di quelli che lo invocano. Se questo avviene, la preghiera sarà sempre esaudita, sempre ascoltata. Il miracolo sarà fatto.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, aiutaci a far sì che la nostra fede sia sempre fondata su una solida base di sapienza, di saggezza, di intelligenza. Angeli e Santi di Dio, sostenete il progresso della nostra fede per tutti i giorni della nostra vita.
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09/08/2012 09:17
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Cinque di esse erano stolte e cinque sagge

Gesù e noi, suoi discepoli, oggi viviamo in due mondi separati, senza alcuna comunicazione o contatto possibili. Leggiamo il Vangelo, studiamo la sua Parola, meditiamo la sua vita, ma come puro esercizio accademico. Chiuso il Vangelo, terminato lo studio della sua Parola, compiuta la meditazione sulla sua vita, parliamo dal nostro cuore, diciamo dalla nostra mente, meditiamo dai noi sentimenti, agiamo dalla nostra volontà. Cristo e la sua verità rimangono nel Cielo. Noi e la nostra falsità continuiamo sulla nostra terra.
Altra cosa disdicevole che noi facciamo è questa: oltre alla separazione dei due mondi, aggiungiamo lo stravolgimento del mondo del Vangelo e della Parola. Il Vangelo annunzia una verità e noi diciamo l'esatto contrario. Neghiamo ogni valore eterno a ciò che Gesù ci annunzia e ci rivela. Così operando priviamo di contenuti divini la nostra fede e la facciamo divenire una chiacchiera, una favola, una cosa d'altri tempi. Infine ci sono anche coloro che neanche più questo fanno. Costoro, pur essendo discepoli di Gesù, nati dalla Parola di vita, asseriscono che il Vangelo non ha più valore legale. Deve essere sostituito con un pensiero aggiornato, consono alla nostra mentalità di peccato e di trasgressione.
È il vero disastro spirituale che si trasforma in sfacelo umano, perché sfacelo morale, spirituale, culturale, sociale. La verità non governa più l'agire dell'uomo e senza verità trascendente, evangelica non esiste alcuna degna moralità per l'uomo. Da questo disastro spirituale nasce l'uomo amorale, privo cioè di ogni vero riferimento etico, di sano comportamento. Gesù però così non pensa così non vuole. Ecco la sua verità.
La fede senza le opere è morta. Gesù sempre lo ha detto: credere senza trasformare in vita la verità della fede non salva. Si costruisce la casa sulla sabbia. È questa la grande stoltezza dell'uomo: pensare di salvarsi senza l'olio della carità nella lampada della sua fede. La carità è tutto per la fede, perché la fede è obbedienza, è trasformazione del comando ascoltato in opera. La fede trasforma tutta la nostra vita in obbedienza. L'obbedienza è opera di amore per il Signore nel servizio dei fratelli. È questa la saggezza che ci salva: vivere ogni Parola che esce dalla bocca di Dio. È questo il nostro olio che sempre deve alimentare la lampada della nostra fede. Con esso dobbiamo illuminare la nostra eternità. Se invece siamo spenti, non ci sarà spazio per noi nel regno della luce terna. Il nostro luogo è nelle tenebre dell'inferno. Tenebra siamo stati in vita e tenebra saremo nell'eternità. La Parola di Gesù è immutabile per i secoli eterni. Come essa dice, così sarà, crediamo o non crediamo.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli e Santi, fate che noi crediamo.
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10/08/2012 09:18
 
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padre Lino Pedron


Gesù spiega come si realizzerà il disegno paradossale della vita tramite la morte e come egli porterà a compimento la sua missione.
La piccola parabola del seme che cade nel terreno e muore è assai espressiva e semplice: il seme è Gesù che, come il chicco di grano, deve morire per diventare sorgente di vita per tutti.
Senza la morte non c'è fecondità, vita nuova e abbondanza di frutti.
La vita nuova che Gesù dona è la conseguenza della sua disponibilità e della sua morte.
La strada percorsa dal Maestro diviene la stessa che deve percorrere il discepolo, perché è partecipando alla sua morte che si raggiunge la gloria della vita. Solo chi si perde, si realizza.
Il più grande ostacolo alla piena donazione, e conseguentemente alla realizzazione di sé, è il timore di perdersi e di sacrificarsi in questo mondo. Gesù avverte chiaramente ogni discepolo: l'attaccamento a se stesso conduce al compromesso, mentre la completa maturità consiste nell'attività dell'amore, nella donazione che è servizio ad ogni fratello. Solo chi dona totalmente se stesso per amore, porta frutto e si apre ad un destino pieno di vita eterna.
Il detto sul servizio del v. 26 richiede al discepolo identità di vedute e di ideali con Gesù, collaborazione alla sua stessa missione, imitazione fino alla sofferenza e alla morte.
Questo orientamento di vita al seguito di Gesù è legato ad una ricompensa assicurata: la certezza di stare uniti con lui, di dimorare nell'amore del Padre (cfr Gv 14,3; 17,24) e di ricevere una "gloria" simile a quella del Figlio. Se il mondo disprezzerà i discepoli di Gesù, il Padre stesso li onorerà e li tratterà da figli (cfr Gv 5,44) rivelando loro il suo amore (Gv 17,24-26).
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11/08/2012 08:09
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Signore, abbi pietà di mio figlio!

Gesù aveva conferito ai suoi discepoli il potere di scacciare i demoni, di guarire dalle infermità, di sanare le malattie, di portare ogni altro conforto e sollievo a quanti erano oppressi, affaticati, stanchi sia nel corpo che nello spirito.
Questo potere loro conferito, non faceva di essi degli stregoni, delle persone dalla bacchetta "magica", dal cilindro "incantato". Essi non devono pensare che sia sufficiente una loro parola, un loro comando per risolvere ogni cosa in bene. Né il diavolo, né le malattie, né le infermità se ne vanno perché comandati di andarsene.
Il potere lo si deve rinnovare quotidianamente, anzi attimo per attimo, caso per caso, miracolo per miracolo, richiesta di grazia per richiesta di grazia sempre in Dio, nella sua onnipotenza, nel suo amore, nella sua carità, nella sua eterna misericordia. Questo può avvenire solo con una preghiera ricca di fede, di certezza di esaudimento da parte del Signore. Non è l'uomo che fa il miracolo. Il miracolo è sempre opera di Dio. A Dio lo si deve sempre chiedere. Dio lo compie su richiesta di una preghiera condita con una intensa, forte, robusta, sana fede. Altrimenti nessun miracolo sarà mai possibile.
I discepoli non pregano, non mettono la loro fede e il miracolo non si compie. Si ricorre a Gesù. Gesù non vuole essere visto come l'uomo che sa fare solo miracoli. La sua missione è ben più alta. Lui è venuto per fare l'altro miracolo, quello della creazione della nuova umanità. Lui deve ricreare l'uomo, rigenerandolo, rendendolo partecipe della divina natura. Deve fare un uomo che non ha più bisogno di alcun miracolo, perché è Dio il suo eterno miracolo. È Dio la sua eterna grazia. È Dio la sua perenne vita. È Dio il suo tutto. Chi ritrova Dio veramente non ha più bisogno di nulla.
Dinanzi ad un padre angosciato, in preda alla disperazione, Gesù si piega e per la sua carità senza limite compie il miracolo. Scaccia il demonio. I discepoli di meravigliano che Lui abbia potuto, mentre loro non hanno potuto e glielo chiedono. La risposta di Gesù ricorda loro la verità delle cose. Loro non sono né dei maghi, né degli stregoni. Loro, se vogliono qualcosa, la devono sempre chiedere al loro Padre celeste. Loro chiedono tutto e tutto il Padre concede. Devono però chiederlo con grande fede.
La fede deve poggiare sempre sulla virtù dell'umiltà. Nessun uomo è qualcosa. Ogni uomo è povero, manca di tutto. Dio invece è L'Onnipotente e tutto è nelle sue mani. Nella fede chi è umile diviene onnipotente come Dio, perché Dio tutto mette nelle mani dell'umile e del puro di cuore. La fede, che si intesse di umiltà, è la sola chiave che apre il cuore del Padre nel quale vi è ogni tesoro di grazia e di verità, di vita e di santità. Tutto è nel cuore del Padre e tutto si attinge con la fede.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Donna umile e ricca di fede, insegnaci l'umiltà del cuore e della mente. Angeli e Santi di Dio otteneteci una grande fede. Vogliamo servire i nostri fratelli liberandoli dal potere del diavolo e da ogni altra miseria e povertà.
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12/08/2012 06:26
 
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don Marco Pozza
Pensare quant'è bello! Maledetta geloisa

D'un fascino travolgente. Di primo acchito li/le tramortiva con quella bellezza inimitabile: la conquista, però, era frutto di parole che nel mentre venivano partorite già ricreavano la storia: "guarda!" e il cieco ci vedeva. "Cammina!" e lo storpio si raddrizzava. "Guarisci!" e la donna dal ciclo irregolare (record: dodici anni di irregolarità mestruali) tornava donna. "Alzati e cammina!" e il paralitico se ne partì con la barella sulla schiena. Un giorno lo vollero fare re: fraintendimenti di una folla che erroneamente pensò "questo ci risolve tutti i problemi". Ogni epoca tiene la sua immagine sbagliata di Dio; in ogni epoca Dio fugge per salvare il suo vero volto, quello che neppure a Mosè - al quale Dio pur sempre parlò come ad un amico - fu concesso di contemplare faccia a faccia. La folla lo acclama, Lui sgattaiola via; la pancia piena lo addita come mago, Lui fugge leggero sulle incomprensioni e si rintana a pregare tutto solo. La gente non lo capisce affatto; Lui riparte ogni volta da zero. Lasciando come traccia un frammento di quella Bellezza unica tra le vie della Palestina.
Non lo compresero appieno neppure coloro che Gli passarono accanto, neppure coricandosi sul petto; nemmeno coloro che assieme condivisero pani, pesci e speranza. Pochi seppero - o forse solo quell'unica Donna pure Lei preservata dal peccato - che quella bellezza insopportabile e ambiziosa nasceva da un cuore orfano della gelosia. Straziante bellezza priva dei tafferugli della gelosia: "pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce". L'elisir di quella bellezza giace stampato in quell'apparente ignominia: Bellezza che sgorgò dalla Bruttezza di un legno da malfattore: "per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome; perché nel suo nome ogni ginocchio si pieghi (?) e ogni lingua proclami" (Fil 2,5-11). Non lo capiscono i paesani, l'hanno frainteso pure i suoi, l'hanno minacciato di gettarlo dal precipizio. Perché va bene tutto - che eviti la corona, che se la prenda per i fraintendimenti, che accusi la folla di pensare alla pancia - ma questo proprio no: "il pane disceso dal cielo" non può essere quel figlio del carpentiere Giuseppe, della lavandaia Maria: non c'è carisma, manca di charme, poca appetibilità sul mercato. Non può essere che Dio si sia nascosto tra le viuzze nazarene, all'imbrunire del sole o al calare delle pioggia e loro non lo sapessero. Dio, qualora fosse tale, dev'essere il loro Dio: quell'immagine paffutella e puerile, arzigogolata di baffi e con la pancia rotondetta. Mani giunte, testina inclinata a sinistra e occhiaie sbadatamente puerili. Un altro Dio sarebbe difficile da digerire: significherebbe mettere in discussione l'immagine di Dio che ci si è creati, dover rileggere passi e passaggi precedentemente dati per assodati, avvertire che la fede è un eterno cammino da battere e ribattere. Che la fede è cercare per trovare e cercare ancora dopo aver trovato. Cercatori di Bellezza in perpetuo movimento per registrarne il fruscìo.

«Essi [i mistici] articolano così un'estraneità del nostro proprio luogo e, dunque, un desiderio di tornare a casa. Quanto a me, simile all'"uomo di campagna" in Kafka, ho chiesto loro di entrare. Da principio il guardiano rispose: "Si può, ma non adesso". Segnare il passo per vent'anni davanti "alla porta", "a furia di esaminarlo", mi ha insegnato a conoscere nei minimi dettagli il custode della soglia, "fino alle pulci della pelliccia". Così dunque il mio guardiano Jean Joseph Surin e molti altri, di fronte ai quali esorbitante si logorava una pazienza erudita, e i cui testi tuttavia non cessavano di sorvegliare il mio scrutarli [?] L'attesa laboriosa davanti ai vigili custodi permette infine di intravedere "una luce gloriosa che sgorga eternamente dalla porta della legge?" Il chiarore - allusione kafkiana alla Shekinà di Dio nella tradizione ebraica - potrebbe anche essere lo splendore di un desiderio venuto da altrove [?] Infatti, perché si scriverebbe, vicino alla soglia, sullo sgabello indicato dal racconto di Kafka, se non per lottare contro l'inevitabile?»
(M. De Certeau, Fabula mistica. La spiritualità religiosa tra il XVI e il XVII secolo, Il Mulino, Bologna 1987, p. 38).

Cercare Colui che ci sta cercando: è rimasto un che di quell'insopportabile bellezza in ogni narrazione della fede. Perché di Dio c'è rimasto forte quel sospetto della gelosia, senza la quale probabilmente il mondo lo si vedrebbe dalla Sua parte: intrigante e ordinato come quel giardino che campeggia all'inizio e alla fine della Scrittura, amabile come le mani che l'hanno ricamato nei giorni della creazione, travolgente come le Parole di Chi, dal nulla, seppe dargli forma, energia e vita. Venne Lucifero, esperto conoscitore della gelosia, e ne offuscò la primordiale Bellezza. Il mondo gli dette credito: uccisero l'autore della Vita perché la Bellezza faceva paura. Lui tornò, lo anticipò Lei, lo avvertirono in tanti in quei lunghi mille giorni di peripezie: è la gelosia che impedisce di scrutare il mondo dalla postazione di Dio.
Nacque lì, all'incrocio tra gelosia e menzogna, quella spavalda immagine moralistica di Dio e della sua proposta d'amore. Il suo era (e rimane) semplicemente un invito ad una vita luminosa. Tutt'altra cosa capirono gli uomini e lo uccisero. Lo uccisero per gelosia: era troppo quel Pane che prometteva sazietà: al mondo bastava molto meno. Ieri, hodie et semper.
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13/08/2012 06:33
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Matteo 17,22-27

1) Preghiera

Dio onnipotente ed eterno,
che ci dai il privilegio di chiamarti Padre,
fa' crescere in noi lo spirito di figli adottivi,
perché possiamo entrare
nell'eredità che ci hai promesso.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Matteo 17,22-27
In quel tempo, mentre si trovavano insieme in Galilea, Gesù disse ai suoi discepoli: "Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà". Ed essi furono molto rattristati.
Venuti a Cafarnao, si avvicinarono a Pietro gli esattori della tassa per il tempio e gli dissero: "Il vostro maestro non paga la tassa per il tempio?" Rispose: "Sì".
Mentre entrava in casa, Gesù lo prevenne dicendo: "Che cosa ti pare, Simone? I re di questa terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli altri?" Rispose: "Dagli estranei".
E Gesù: "Quindi i figli sono esenti. Ma perché non si scandalizzino, va' al mare, getta l'amo e il primo pesce che viene prendilo, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d'argento. Prendila e consegnala a loro per me e per te".


3) Riflessione

? I cinque versi del vangelo di oggi parlano di due temi assai diversi tra loro: (a) Il secondo annuncio della passione, morte e risurrezione di Gesù (Mt 17,22-23); (b) Informano sulla conversazione di Gesù con Pietro sul pagamento delle tasse e delle imposte al tempio (Mt 17,24-27).
? Matteo 17,22-23: L'annuncio della morte e risurrezione di Gesù. Il primo annuncio (Mt 16,21) aveva prodotto una forte reazione da parte di Pietro che non voleva saperne della sofferenza né della croce. Gesù aveva risposto con la stessa forza: "Lungi da me, satana!" (Mt 16,23) Qui, nel secondo annuncio, la reazione dei discepoli è più blanda, meno aggressiva. L'annuncio produce tristezza. Sembra che loro cominciano a comprendere che la croce fa parte del cammino. La prossimità della morte e della sofferenza pesa su di loro, generando un forte scoraggiamento. Anche se Gesù cerca di aiutarli, la resistenza di secoli contro l'idea di un messia crocifisso, era più grande.
? Matteo 17,24-25a: La domanda a Pietro degli esattori della tassa. Quando giungono a Cafarnao, gli esattori della tassa del Tempio hiedono a Pietro: "Il vostro maestro non paga la tassa per il Tempio?" Pietro risponde: "Sì!" Fin dai tempi di Neemia (V secolo aC), i giudei che erano ritornati dall'esilio in Babilonia, si impegnarono solennemente nell'assemblea a pagare le diverse tasse ed imposte per fare in modo che il Tempio continuasse a funzionare e per curare la manutenzione sia del servizio sacerdotale che dell'edificio del Tempio (Ne 10,33-40). Da ciò che emerge nella risposta di Pietro, Gesù pagava questa imposta come facevano tutti i giudei.
? Matteo 17,25b-26: La domanda di Gesù a Pietro sull'imposta. E' strana la conversazione tra Gesù e Pietro. Quando loro giungono a casa, Gesù chiede: "Che cosa ti pare, Simone? I re di questa terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli altri?" Pietro risponde: "Dagli estranei". E Gesù dice: ""Quindi i figli sono esenti!". Probabilmente, qui si rispecchia una discussione tra i giudei cristiani prima della distruzione del Tempio, nell'anno 70. Loro si chiedevano se dovevano o meno continuare a pagare l'imposta del Tempio, come facevano prima. Per la risposta di Gesù, scoprono che non hanno l'obbligo di pagare questa tassa: "I figli sono esenti". I figli sono i cristiani, ma pur non avendo l'obbligo di pagare, la raccomandazione di Gesù e di farlo per non provocare scandalo.
? Matteo 17,27: La conclusione della conversazione sul pagamento della tassa. Più strana ancora della conversazione è la soluzione che Gesù dà alla questione. Dice a Pietro: "Ma perché non si scandalizzino, va' al mare, getta l'amo e il primo pesce che viene prendilo, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d'argento. Prendila e consegnala a loro per me e per te". Strano miracolo, strano come quei 2000 porci che si precipitarono nel mare (Mc 5,13). Qualunque sia l'interpretazione di questo fatto miracoloso, questo modo di risolvere il problema suggerisce che si tratta di un tema che non ha molta importanza per Gesù.


4) Per un confronto personale

? La sofferenza della croce scoraggia e intristisce i discepoli. E' successo già nella tua vita?
? Come interpreti l'episodio della moneta trovata nella bocca del pesce?


5) Preghiera finale

Lodate il Signore dai cieli, lodatelo nell'alto dei cieli.
Lodatelo, voi tutti, suoi angeli,
lodatelo, voi tutte, sue schiere. (Sal 148)
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14/08/2012 06:45
 
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padre Lino Pedron
Commento su Matteo 18, 1-5.10.12-14

Alla domanda dei discepoli: "Chi è il più grande nel regno dei cieli" (v.1), Gesù non risponde direttamente, ma compie anzitutto un gesto simbolico, che è già di per sé una risposta sconvolgente alle loro prospettive arriviste. Ci troviamo catapultati in una comunità in cui l'ordine delle grandezze è invertito, perché il bambino accolto si rivela essere Gesù in persona: "Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me" (v.5).

I rapporti tra di noi si impostano correttamente solo mediante la conversione e un atteggiamento umile verso Dio (v.3). Quando ci scopriamo poveri e piccoli davanti a Dio, allora capiamo che la domanda posta all'inizio dai discepoli non ha più senso. "Chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli" (v.4).

Il punto di arrivo di ogni vera conversione è il diventare come i bambini. Ciò non significa ritornare nell'infanzia o, peggio, nell'infantilismo, ma mettersi davanti a Dio come bambini di fronte al padre. Questa situazione è considerata dal vangelo un'esigenza indispensabile di umiltà che permette tutte le crescite.

Diventare come un bambino e percepire che il Padre ci chiama sempre a crescere, è diventare ciò che dobbiamo essere: dei piccoli, dei poveri, dei beati (v.3) che aspettano tutto dalla sua grazia. Questa "umiltà attiva", che ha in Dio la sua origine e deve stare alla base della comunità cristiana, è un cammino coraggioso verso la croce come quello di Gesù. Consiste nel prendere il posto che è realmente il nostro.

Umiliarsi, diventare piccoli non è un ideale ascetico di timido nascondimento o di rassegnata sottomissione, ma un concreto servizio di Dio e del prossimo. Se Gesù si identifica con il piccolo, chi vorrà ancora essere grande? Piccolo è colui che non conta, colui che serve. Il primo posto nella comunità cristiana è riservato a lui. L'autorità deve mettere i piccoli al primo posto nella sua considerazione e nei suoi programmi. E tutti, se vogliono stare nella comunità cristiana, che è il regno di Dio, devono diventare piccoli, mettendosi in atteggiamento di servizio.

Dunque, per entrare nella comunità cristiana, per rimanervi e ancor più per affermarsi, non bisogna salire, ma tornare indietro (convertirsi) o discendere, non sentirsi grandi, ma farsi piccoli. Più la creatura si svuota di sé, più si rende idonea ad essere riempita da Dio.

La base di misura dei cristiani non è la grandezza o la potenza, ma l'umiltà (v.4). Essa è un atteggiamento interiore che si manifesta all'esterno ed è il segreto per la buona riuscita dei rapporti comunitari. Colui che è piccolo è un vero discepolo di Cristo ed è un vero membro della comunità, perché non pone ostacoli all'accoglienza e alla costruzione del regno di Dio.

Nel discorso della montagna (5,3) Matteo aveva presentato la Chiesa dei poveri, qui presenta la Chiesa dei piccoli, che è una continuazione e un ampliamento della medesima. Purtroppo, anche nella Chiesa di Dio non sempre si vive fedelmente e integralmente il vangelo. San Giacomo scriveva: "Fratelli miei, non mescolate a favoritismi personali la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria. Supponiamo che entri in una vostra adunanza qualcuno con un anello d'oro al dito, vestito splendidamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se voi guardate a colui che è vestito splendidamente e gli dite: "Tu siediti qui comodamente", e al povero dite: "Tu mettiti in piedi lì", oppure: "Siediti qui ai piedi del mio sgabello", non fate in voi stessi preferenze e non siete giudici dai giudizi perversi? Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano? Voi invece avete disprezzato il povero!" (2,1-5).

Un simile atteggiamento provoca il forte richiamo di Gesù: "Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli!" (v.10) e l'intervento immediato del Padre in loro difesa: egli ha disposto uno schieramento di angeli a servizio e a difesa dei suoi bambini, dei suoi "piccoli". Tramite i propri angeli che vedono la faccia di Dio, essi possono far giungere fino a lui i torti e le ingiustizie che ricevono. Chi tocca i suoi "piccoli", tocca Dio.

Il valore dei "piccoli" davanti a Dio è sottolineato dal riferimento ai loro angeli che vedono sempre la faccia del Padre che è nei cieli. Nella tradizione giudaica gli angeli "che stanno davanti a Dio", chiamati "angeli del volto", sono quelli di primo grado, incaricati di compiti speciali in ordine alla protezione degli eletti (cfr 1Enoch 40,1-10).

La parabola della pecora smarrita ci insegna ad essere solleciti verso la sorte dei "piccoli", di considerarli importanti e di andare alla loro ricerca quando si perdono. Questa cura pastorale viene fondata teologicamente sullo stile di Dio Padre.

Piccolo è colui che non conta, colui che serve. Il primo posto nella comunità è per costoro. L'autorità deve mettere i piccoli al primo posto nella sua considerazione e nei suoi programmi. E tutti, se vogliono stare nella comunità cristiana, devono mettersi in atteggiamento di servizio. Scandalizzare i piccoli è impedire loro di credere in Gesù. Il Padre vuole che nessun peccatore si perda.

Lo scopo di questa parabola è di spingere la comunità cristiana, che trascura i peccatori ed è tentata di ripiegarsi pigramente su se stessa, a mettersi senza esitazione alla ricerca degli smarriti, dei cristiani che hanno dimenticato il primitivo fervore e la coerenza con gli ideali del vangelo. Chiunque è in pericolo ha la precedenza assoluta su tutto e su tutti a essere soccorso.

Le parole di Gesù sottolineano ripetutamente "anche uno solo di questi piccoli" (vv.6.10.14) per insegnarci non solo a capovolgere i criteri mondani riguardo alla grandezza, ma anche nei confronti della quantità: anche uno solo conta!

La parabola della pecora smarrita ci riguarda personalmente perché è la nostra storia. Qualche volta siamo la pecora smarrita, altre volte siamo mandati a cercare la pecora smarrita che è il prossimo. Possiamo sperare di raggiungere la nostra salvezza soltanto se ci preoccupiamo anche della salvezza degli altri.
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15/08/2012 08:15
 
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don Luciano Cantini
Il sussulto dell'esultanza

La fretta della Fede ha fatto alzare Maria e raggiungere la casa di Elisabetta. Quella stessa Fede che, all'angelo, ha fatto dire "eccomi" in un dono generoso della sua vita, l'ha messa in cammino. Perché la Fede non è una mera accettazione passiva di qualcosa che non si comprende nell'attesa della rivelazione definitiva alla fine dei tempi. La Fede è energia dinamica che ci mette in azione, ci sprona a cercare, approfondire, capire. La Fede non si accontenta di quanto ha percepito: è attiva disponibilità ad accogliere quello che Dio vorrà ancora farci comprendere.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo

Dio non delude le attese dell'uomo che lo cerca con tanta forza ed impegno. Come Maria raggiunge Elisabetta lo Spirito Santo colma le due donne oltre la misura umana e dalle loro bocche è proclamata una parola umana di lode ed una Parola di rivelazione.

Queste due donne raccontano, nella loro maternità incipiente, la forza dello Spirito che sta modellando la Creazione secondo un Disegno che supera il tempo e lo spazio ed in qualche modo ci raggiunge.

L'intima umanità di queste donne ci racconta l'opera di Dio che le precede, l'accompagna e va oltre la misura del tempo per raggiungere ciascuno di noi.
«Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!»

Elisabetta porta in sé la storia delle attese di tutto il popolo d'Israele, il mutismo di Zaccaria ne è il segno, il sussulto di Giovanni nel grembo della madre diventa grido di benezione.

Maria è "benedetta", oggetto dell'azione di Dio, e diventa "benedizione". L'elezione di Maria "tra tutte le donne" è benedizione per gli esseri nuovi, gli umili, dimenticati e marginali in Israele.
«L'anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l'umiltà della sua serva».

Dal profondo del cuore di Maria nasce la lode per la grandezza di Dio. Quella Fede che aveva fatto alzare Maria esplode in un grido di esultanza, è un grido universale che va oltre il tempo «D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata».

Maria si scopre oggetto dell'Amore scofinato di Dio «Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente e Santo è il suo nome». Quella piccola donna si scopre al centro della storia del suo popolo e di tutta l'umanità.

Cio che Dio ha fatto per Lei è quanto ha fatto per il suo popolo. Le Grandi cose che Dio compie sono le liberazioni e le vittorie, è la fedeltà alla sua Misericordia.

Maria passa dall'io individuale al plurale, la sua esperienza di Dio è esperienza del suo popolo e della umanità. Il piccolo seme che Maria custodisce in grembo assume la dimenzione universale della salvezza. Maria ci fa dono di questa esperienza esaltante ed illuminante.
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16/08/2012 06:41
 
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padre Lino Pedron
Commento su Matteo 18, 21-35

Pietro ritiene di entrare ampiamente nello spirito di Gesù perdonando sette volte. Anche i rabbini discutevano questa questione; partendo da Amos (2, 4), da Giobbe (33, 29) e dalla triplice preghiera di Giuseppe (Gen 50,17) pensavano che si potesse arrivare a perdonare fino a tre volte.

La risposta di Gesù è chiara. Rovesciando il canto di Lamech: "Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settanta volte sette" (Gen 4,24), Gesù svela le risorse insospettate di misericordia generate dall'avvento del regno dei cieli.

Davanti a Dio tutti siamo debitori insolvibili. La parabola di oggi ci insegna che il perdono di Dio è il motivo e la misura del perdono fraterno. Dobbiamo perdonare senza misura perché Dio ci ha perdonato senza misura. Il perdono ai fratelli è segno dell'efficacia del perdono di Dio in noi: se non perdoniamo, non abbiamo accolto realmente il perdono di Dio. Il servo è condannato perché tiene il perdono per sé e non permette che il suo perdono diventi gioia per gli altri. Bisogna imitare il comportamento di Dio (Mt 5,43-48).

Il fondamento del mio rapporto con l'altro è l'imitazione del rapporto che Dio ha con me. Gesù ha detto di amarci a vicenda come lui ha amato noi (Gv 13,34); e Paolo dice di graziarci l'un l'altro come il Padre ha graziato noi in Cristo (Ef 4,32).

La giustizia di Dio non è quella che ristabilisce la parità, secondo la regola: chi sbaglia, paga. E' una giustizia superiore, propria di chi ama, che è sempre in debito verso tutti: all'avversario deve la riconciliazione, al piccolo l'accoglienza, allo smarrito la ricerca, al colpevole la correzione, al debitore il condono.

Diecimila era la cifra più grossa in lingua greca e il talento la misura più grande. Diecimila talenti è una cifra enorme. Il talento corrisponde a 36 kg di metallo prezioso. Diecimila talenti corrispondono a 360 tonnellate di oro o di argento. Un talento è pari a 6.000 giornate lavorative; 10.000 talenti è pari a 60.000.000 di stipendi quotidiani. Per pagare questo debito il servo dovrebbe lavorare circa 200.000 anni. La cifra esagerata è in realtà una pallida idea di ciò che Dio ci ha dato.

Cento danari corrispondono allo stipendio di cento giornate lavorative. Una cifra discreta, ma del tutto trascurabile rispetto al debito appena condonato di diecimila talenti.

Pensare al proprio debito condonato ci rende tolleranti verso gli altri e magnanimi. Perdonare è una questione di cuore: è ricordare l'amore che il Padre ha per me e per il fratello.
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17/08/2012 06:51
 
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Movimento Apostolico - rito romano
È lecito a un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?

La Legge di Dio è perfetta per il tempo in cui essa è donata. Essa è in tutto come il cibo. Il latte materno è perfetto per un bimbo appena nato e finché rimane piccolissimo. Poi ha bisogno di un nutrimento solido, che lo aiuti a crescere e a svilupparsi. Così dicasi anche della Legge di Mosè. Essa era del buon latte per i primi tempi della vita del popolo. Poi man mano che i figli di Israele crescevano, Dio mandava i profeti per dare loro un cibo solido, un nutrimento appropriato, una legge spirituale più intensa, elevata, solida, capace di dare una nuova vita.
Viene Gesù e dona il Vangelo, che è Legge perfettissima, ottima, santa, insuperabile. Ma il Vangelo non può essere vissuto allo stesso modo di ieri. Oggi lo Spirito Santo viene e ci dona quel cibo solido, che è la comprensione attuale della Parola di Dio, perché noi oggi, in questo mondo di caligine e di oscurità morale, possiamo essere vera luce del mondo e sale della terra. Oggi lo Spirito del Signore deve condurci a tutta la verità, cioè alla perfezione della comprensione di quanto Cristo Gesù ha detto ed insegnato. È questo il nostro cammino quotidiano: di verità in verità fino a tutta la verità. Se questo cammino si interrompe, muoiono in noi sia la fede che la verità.
I farisei avevano uno strano modo di leggere e di interpretare la Scrittura: unico loro punto di riferimento era Mosè. Mosè però non è la Parola di Dio, non è neanche tutta la Legge. È la prima versione della Legge. Nemmeno egli è tutti i Profeti. Dopo di Lui ci sono ancora mille e duecento anni di Parola che il Signore ha mandato sulla nostra terra per mezzo dei suoi profeti, saggi e giusti, persone ispirate che ci hanno manifestato la volontà del nostro Dio in cammino verso una verità sempre più nitida.
L'avversione di Dio verso il ripudio è vera sua manifestazione: "Il Signore è testimone fra te e la donna della tua giovinezza, che hai tradito, mentre era la tua compagna, la donna legata a te da un patto. Non fece egli un essere solo dotato di carne e soffio vitale? Che cosa cerca quest'unico essere, se non prole da parte di Dio? Custodite dunque il vostro soffio vitale e nessuno tradisca la donna della sua giovinezza. Perché io detesto il ripudio, dice il Signore, Dio d'Israele, e chi copre d'iniquità la propria veste, dice il Signore degli eserciti. Custodite dunque il vostro soffio vitale e non siate infedeli" (Cfr Mal 2,13-16). Il divorzio è negazione della nostra natura, del nostro alito di vita, della nostra essenza e sostanza fisica e spirituale. Esso è vero cancro della società, peste di ogni civiltà, tumore maligno per la distruzione della famiglia.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli e Santi, fateci camminare nella verità.
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18/08/2012 07:12
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Matteo 19,13-15

1) Preghiera

Dio onnipotente ed eterno,
che ci dai il privilegio di chiamarti Padre,
fa' crescere in noi lo spirito di figli adottivi,
perché possiamo entrare
nell'eredità che ci hai promesso.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Matteo 19,13-15
In quel tempo, furono portati a Gesù dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse; ma i discepoli li sgridavano.
Gesù però disse loro: "Lasciate che i bambini vengano a me, perché di questi è il regno dei cieli". E dopo avere imposto loro le mani, se ne partì.


3) Riflessione

? Il vangelo è molto breve. Appena tre versetti. Descrive come Gesù accoglie i bambini.
? Matteo 19,13: L'atteggiamento dei discepoli dinanzi ai bambini. Portarono da Gesù alcuni bambini, affinché lui imponesse loro le mani e pregasse per loro. I discepoli ripresero le madri. Perché? Probabilmente d'accordo con le norme severe delle leggi dell'impurità, i bambini piccoli nelle condizioni in cui vivevano erano considerati impuri. Se loro toccavano Gesù, Gesù sarebbe divenuto impuro. Per questo, era importante evitare che giungessero vicino a lui e lo toccassero. Perché già era avvenuto una volta, quando un lebbroso toccò Gesù. Gesù rimase impuro e non poté più entrare nella città. Doveva rimanere in luoghi deserti (Mc 1,4-45).
? Matteo 19,14-15: L'atteggiamento di Gesù: accoglie e difende la vita dei bambini. Gesù riprende i discepoli e dice: "Lasciate che i bambini vengano a me, perché di essi è il Regno dei Cieli." A Gesù non importa trasgredire le norme che impediscono la fraternità e l'accoglienza da dare ai piccoli. La nuova esperienza di Dio Padre ha marcato la vita di Gesù e gli dà occhi nuovi per percepire e valutare la relazione tra le persone. Gesù si mette al lato dei piccoli, degli esclusi e assume la sua difesa. Impressiona quando si mette insieme tutto ciò che la Bibbia dice su gli atteggiamenti di Gesù in difesa della vita dei bambini, dei piccoli:
a) Ringraziare per il Regno presente nei piccoli. La gioia di Gesù è grande, quando vede che i bambini, i piccoli, capiscono le cose del Regno che lui annunciava alla gente. "Padre, io ti ringrazio!" (Mt 11,25-26) Gesù riconosce che i piccoli capiscono più dei dottori le cose del Regno!
b) Difendere il diritto di gridare. Quando Gesù, entrando nel Tempio, rovescia i tavoli dei cambiavalute, furono i bambini a gridare: "Osanna al Figlio di Davide!" (Mt 21,15). Criticati dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, Gesù li difende e nella sua difesa invoca le Scritture (Mt 21,16).
c) Identificarsi con i piccoli. Gesù abbraccia i piccoli e si identifica con loro. Chi accoglie un piccolo, accoglie Gesù (Mc 9, 37). "E ogni volta che avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me (Mt 25,40).
d) Accogliere e non scandalizzarsi. Una delle parole più dure di Gesù è contro coloro che sono causa di scandalo per i piccoli, cioè, che sono il motivo per cui i piccoli non credono più in Dio. Per questo, meglio sarebbe per loro legarsi al collo una pietra da molino ed essere gettati nell'abisso del mare (Lc 17,1-2; Mt 18,5-7). Gesù condanna il sistema, sia politico che religioso, che è motivo per cui i piccoli, la gente umile, perde la sua fede in Dio.
e) Diventare come bambini. Gesù chiede ai suoi discepoli di diventare come bambini e di accettare il Regno come i bambini. Senza questo non è possibile entrare nel Regno (Lc 9,46-48). Indica che i bambini sono professori degli adulti. Ciò non era normale. Siamo abituati al contrario.
f) Accogliere e toccare (il vangelo di oggi). Madri con figli che giungono vicino a Gesù per chiedere la benedizione. Gli apostoli reagiscono e le allontanano. Gesù corregge gli adulti ed accoglie le madri con i bambini. Tocca i bambini e li abbraccia. "Lasciate che i piccoli vengano a me, non glielo impedite!" (Mc 10,13-16; Mt 19,13-15). Nelle norme dell'epoca, sia le mamme che i figli piccoli, vivevano, praticamente, in uno stato di impurità legale. Gesù non si lascia trascinare da questo.
g) Accogliere e curare. Sono molti i bambini ed i giovani che lui accoglie, cura e risuscita: la figlia di Giairo, di 12 anni (Mc 5,41-42), la figlia della donna Cananea (Mc 7,29-30), il figlio della vedova di Naim (Lc 7,14-15), il bambino epilettico (Mc 9,25-26), il figlio del Centurione (Lc 7,9-10), il figlio del funzionario pubblico (Gv. 4,50), il fanciullo con i cinque pani ed i due pesci (Gv. 6,9).


4) Per un confronto personale

? Bambini: cosa hai imparato dai bambini lungo gli anni della tua vita? E cosa imparano i bambini da te su Dio, su Gesù e sulla vita?
? Qual è l'immagine di Dio che irradio ai bambini? Dio severo, buono, distante o assente?


5) Preghiera finale

Signore, rendimi la gioia di essere salvato,
sostieni in me un animo generoso.
Insegnerò agli erranti le tue vie
e i peccatori a te ritorneranno. (Sal 50)
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19/08/2012 08:10
 
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Wilma Chasseur
Il Dio delle sorprese

La prima lettura ci parla della sapienza che si è costruita la casa su sette colonne. E la seconda lettura ci mette in guardia contro la stoltezza che può farci precipitare sotto settanta colonne?
Questa sapienza è quella che ci fa aprire la porta giusta. E ci insegna il modo per aprirla. "Ecco sto alla porta e busso" dice il Signore. Ma quale porta?



Da quale porta entra il Signore?


Mi ha colpito una riflessione di Paul Claudel diplomatico francese convertitosi la notte di Natale a Notre Dame ascoltando il canto del Magnificat. In una sua pagina molto suggestiva raccontando una sua esperienza interiore scrive :
"Ascoltando la spaventosa tempesta che sta scuotendo tutta la mia casa, non posso impedirmi di pensare al versetto dell'Apocalisse "Ecco sto alla porta e busso". Di che porta si tratta se non di quella perduta in fondo alla nostra anima? Alla fine noi siamo soli in una notte di tempesta nella nostra casa solitaria e desolata e all'improvviso bussano! Ma non alla porta d'entrata, ma a quella vecchia porta che credevamo condannata per sempre! Ma non c'è da sbagliarsi: bussano, hanno bussato in noi e la cosa ci ha fatto sussultare. Chi ha bussato? Non c'è da sbagliarsi: è Colui che viene come un ladro nella notte. E noi ascoltiamo palpitanti? Ma è una tale seccatura alzarsi e dischiudere quella vecchia porta. È fissata da due chiavistelli: uno si chiama cattiva abitudine, l'altro, cattiva volontà. Quanto alla serratura, abbiamo perso la chiave. Ci vorrebbe anche un po' d'olio per farla funzionare. E poi, che cosa succederebbe se si aprisse quella porta?. La notte, il grande vento primordiale che soffia sulle acque, Qualcuno che non si vede, ma che non ci permetterebbe più di starcene comodamente in casa nostra Spirito di Dio non entrare, ho paura delle correnti d'aria! Eppure continuano a bussare? Ah Signore cercheremo di aprirti; sappiamo che il rifiuto ti fa male ". (Paul Claudel in Positions et propositions, tome II).


l
Come fare perché la porta si apra?


Anche nel Vangelo vediamo questo rifiuto dei Giudei "Come può costui darci la sua carne da mangiare?" E addirittura molti discepoli di Gesù si tirarono indietro al punto da suscitare quella domanda :" Volete andarvene anche voi?" Domanda che ripete ad ognuno di noi e che sottolinea l'assoluta libertà con la quale il Signore vuole essere seguito. La libertà è un'arma a doppio taglio, ma il Signore non ce la toglierà mai: o con Lui o, -non sia mai!- contro di lui, ma sempre sovranamente liberi. Se stiamo con Lui, la libertà è una grazia, se ci allontaniamo diventa una disgrazia, se non addirittura una fregatura, ma finché siamo vivi, possiamo sempre fare dietrofront. Come fece quell'industriale, grande uomo di preghiera, che raccontava così la sua esperienza: "Pregavo il Signore e mi vedevo come dietro a una porta: per ottenere la grazia che cercavo, spingevo quella porta, ma non succedeva niente. Continuavo a spingere, all'inizio sempre più forte, poi sempre più debolmente, finché mollai la presa. In quel momento, con mia grande sorpresa, la porta si aprì e il Signore entrò. Allora capii che la porta si apriva in senso contrario; io dovevo solo scansarmi per permettere al Signore di poter aprire Lui la porta ed entrare nella mia vita".
Quante volte anche noi, con le nostre insistenze, impediamo alla porta di aprirsi. Perché il Signore arriva sempre da un'altra parte: da quella che non ci aspettiamo. Il nostro Dio è il Dio delle sorprese.
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20/08/2012 08:06
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Il giovane se ne andò, triste; possedeva infatti molte ricchezze

Pensarsi o lasciarsi pensare da Dio, farsi o lasciarsi fare da Dio, realizzarsi o lasciarsi realizzare da Dio, progettarsi o lasciarsi progettare da Dio è in questa scelta che si rivela se una persona è semplicemente religiosa oppure altamente di fede, di obbedienza, di ascolto, di compimento della volontà di Dio.
La persona semplicemente religiosa si pensa, si fa', si realizza, si progetta da se stessa. Dio le serve per aiutarla a portare a termine il progetto di vita da essa prefissato, ideato, pensato, voluto, desiderato. Nella religiosità Dio non è il Signore dell'uomo. È invece l'uomo il signore del suo Dio, perché è l'uomo che comanda ed è Dio che obbedisce, o meglio: lo si vorrebbe costringere ad obbedire ad ogni richiesta che sale dalla terra. Nella religiosità la preghiera a questo serve: a piegare Dio perché esaudisca tutte le richieste che salgono dal suo cuore, dalla sua mente, dai suoi desideri, dalla sua volontà. Spesso anche dai suoi vizi e moltitudine di peccati.
La persona di fede invece si lascia pensare, fare, realizzare, progettare dal suo Dio è Signore. Nella fede la vita diviene perfetta obbedienza, purissimo ascolto, compimento di ogni desiderio di Dio, esecuzione di ogni sua volontà manifestata, cammino perenne nella sua Parola. Nella fede si è sempre dalla volontà del Padre celeste. La perfezione della fede si raggiunge quando neanche il più piccolo pensiero nasce da noi sul futuro della nostra vita, perché tutto è volontà del Padre in noi.
Gesù oggi progetta, pensa la vita per un uomo. Gli propone una via di perfezione. Lo vuole far passare dalla religiosità alla fede, dal prendersi la vita al donarla. Quest'uomo si tira indietro a causa dei suoi molti beni. I suoi grandi possedimenti gli impediscono di consegnarsi a Dio, di vivere in perfetta libertà, di raggiungere tutta la pienezza del suo essere, di spingere la sua umanità fino al sommo del dono e quindi della perfezione.
Quest'uomo non ha fede perché non si fida di Gesù. Non gli consegna la sua vita. Non gliela dona. Se la tiene tutta per sé perché la deve consegnare ai beni di questo mondo. È questo il frutto della religiosità: una sempre più grande schiavitù per le cose di questa terra. La religiosità non ci eleva spiritualmente, non ci avvicina alla volontà di Dio. L'uomo rimane perennemente nella sua volontà, nel suo corpo, nella terra.
Il frutto della fede invece è la totale consegna a Dio della nostra vita, in una libertà dai beni di questo mondo sempre più grande. Un uomo di fede è libero anche spiritualmente. È libero da aspirazioni, ministerialità, incarichi, nomine, elezioni e cose del genere. Il suo desiderio è uno solo: rimanere sempre e comunque al posto che Dio gli ha assegnato, che quotidianamente gli assegna nell'oggi della storia. L'uomo di fede ha una sola aspirazione: che solo la volontà di Dio si compia oggi e sempre.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Tu sei la Donna ricca di fede, di obbedienza, di ascolto. Tu sei la Donna del sì. Facci come te: persone dalla pura fede sempre. Angeli e Santi del Cielo aiutateci a passare dalla religiosità alla fede.
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21/08/2012 08:14
 
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padre Lino Pedron
Commento su Matteo 19, 23-30

Il tale di cui parla questo brano del vangelo aveva chiesto a Gesù che cosa doveva "fare" per "avere" la vita eterna (v.16); nella sua risposta ai discepoli, Gesù rovescia la prospettiva: bisogna "lasciare" per "avere" (v.29).

Questa impossibilità di farsi piccoli per entrare nel Regno è sottolineata da Gesù (vv.23-24) e ripresa dai discepoli costernati: "Chi si potrà dunque salvare?" (v.25).

Gesù insiste: "Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile" (v.26; cfr Gen 18,14; Gb 42,2; Zc 8,6). Il Regno non è un bene che si guadagna o si possiede; bisogna riceverlo come dono da Dio.

Siamo nel cuore della Rivelazione del Regno e della scelta che richiede (cfr Mt 16,23): o si muore a se stessi per ricevere tutto da Dio o si rende impossibile in noi la venuta del regno dei cieli. L'uomo, ricco o povero, non può salvare se stesso, ma deve accogliere la salvezza come dono di Dio.

Pietro pone la domanda circa la ricompensa riservata a coloro che seguono Cristo. Egli non chiede solo per sé, ma per tutti. La domanda è umanamente comprensibile, ma insensata, perché non tiene conto che la ricompensa divina è sempre grazia. Il seguire Gesù conduce alla partecipazione della sua gloria in paradiso.

Con la domanda di Pietro, Matteo prepara la parabola che segue (Mt 20,1-16).

Lutero, commentando questo brano in una predica del 1517, diceva: "Senza la rinuncia alle cose, non si ottiene nulla".
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22/08/2012 07:48
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Non posso fare delle mie cose quello che voglio?

La vocazione è grazia. Grazia è anche l'ora in cui Dio passa e ci chiama. Ogni dono di grazia è un mistero imperscrutabile. Nessun uomo potrà mai penetrare in esso, né in qualche modo potrà pensare di poterlo solamente sfiorare con la sua mente, o intelligenza finita. Il mistero è infinitamente oltre l'uomo. Oltre ogni mente. Occhi, mente e cuore dell'uomo possono vivere solo ai margini del mistero della grazia, mai potranno immergersi in esso. È il limite strutturale della nostra umanità.
L'intelligenza dei pensieri di Dio è lo Spirito Santo. Se un uomo si lascia avvolgere dalla santità di Dio, dimorando e vivendo nella sua Parola, realizzandola e compiendola in ogni sua parte, lo Spirito del Signore si fa intelligenza della nostra intelligenza, pensiero dei nostri pensieri, occhio dei nostri occhi e a poco a poco il mistero - sempre però in una forma assai limitata e a suo tempo. comincerà a dispiegarsi dinanzi a noi. Noi vediamo la grande misericordia di Dio con la quale ci ha amati e iniziamo a confessare la sua eterna bontà, la sua divina carità, il suo infinito amore, la sua interminabile e instancabile pietà e compassione.
Avviene con noi come è avvenuto con la Vergine Maria, piena di Spirito Santo, ma prima ancora piena di grazia, che canta il suo Magnificat al Signore e profetizza la sua opera sia sulla sua persona che sull'intera storia umana. Più grande è la nostra pienezza di grazia e più splendente sarà per noi la luce. La scarsa santità o l'assenza di essa nel cuore, ci rende bui e tenebrosi, incapaci di una qualsiasi lettura della misericordia del Signore nella nostra vita.
Se tutto nella nostra vita è grazia del Signore, nessuno mai potrà avanzare pretese o accampare dei diritti presso il Signore. La grazia scende su di noi dal cuore misericordioso del nostro Dio. È per compassione gratuita e libera del nostro Creatore. Di ciò che è suo, Lui potrà fare sempre ciò che vuole. Può arricchire chi vuole. Può lasciare nella povertà chi vuole. Se arricchisce o se lascia nella povertà è sempre per immensa ed eterna misericordia. È per un mistero indicibile che mai riusciremo a comprendere, perché è la via della nostra salvezza eterna.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Umile Serva del Signore, Angeli e Santi di Dio, aiutateci a rimanere e a crescere nella grazia. Lo Spirito Santo ci avvolgerà.
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23/08/2012 08:28
 
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padre Lino Pedron
Commento su Matteo 22, 1-14

Il banchetto è organizzato da un re per le nozze del figlio. I primi invitati, il popolo d'Israele, manifestano indifferenza colpevole (v.5). I vv.6-7 sono ispirati alla parabola dei vignaioli. Probabilmente Matteo ha presente le persecuzioni contro i predicatori cristiani e la distruzione di Gerusalemme nell'anno 70.

Dopo il rifiuto dei primi chiamati, l'invito è rivolto a tutti, "buoni e cattivi" (v.10).La sala piena di commensali è immagine della Chiesa.

La parabola è un appello a tutti perché sappiano che il momento è decisivo e non si può differire: "Tutto è pronto" (v.4). Di fronte alla chiamata del vangelo non c'è niente di più importante da fare.

Per stare nella sala del banchetto (la Chiesa) bisogna accettare di ricevere il vestito di nozze: la conversione, la fede. la grazia. La comparsa del re nella sala significa il giudizio dei convitati. Il giudizio non riguarda solo i primi invitati che hanno rifiutato l'invito alle nozze. I secondi non si illudano che basti essere nella Chiesa per essere salvati.

L'avvertimento finale della parabola ricorda ai convitati della comunità cristiana l'esigenza della loro vita secondo il battesimo e la serietà del loro impegno.

La chiamata di Dio non pone condizioni preliminari: la Chiesa è il luogo del grande raduno e gli invitati sono tutti peccatori. Ma peccatori che si convertono.

Il detto riguardante i chiamati e gli eletti non invita a fare i conti sui salvati e i dannati: sarebbe in contraddizione con l'uno senza abito di nozze tra i tanti invitati che riempivano la sala. Questa frase è una interpellanza personale all'ascoltatore perché cerchi di non essere nella condizione di colui che viene gettato nelle tenebre.
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24/08/2012 09:05
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità

Quando l'annunzio di Cristo giunge all'orecchio di un uomo, se questi ha il cuore puro, può anche dubitare della verità che gli viene annunziata, però si fiderà sempre di colui che porta il lieto annunzio e diviene disponibile a seguirlo.
Filippo incontra Natanaele e gli annunzia che loro hanno trovato "colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret". Ecco quanto Mosè aveva scritto: "Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto. Avrai così quanto hai chiesto al Signore, tuo Dio, sull'Oreb, il giorno dell'assemblea, dicendo: "Che io non oda più la voce del Signore, mio Dio, e non veda più questo grande fuoco, perché non muoia". Il Signore mi rispose: "Quello che hanno detto, va bene. Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò. Se qualcuno non ascolterà le parole che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto. Ma il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dèi, quel profeta dovrà morire". Forse potresti dire nel tuo cuore: "Come riconosceremo la parola che il Signore non ha detto?". Quando il profeta parlerà in nome del Signore e la cosa non accadrà e non si realizzerà, quella parola non l'ha detta il Signore. Il profeta l'ha detta per presunzione. Non devi aver paura di lui" (Dt 18,15-22). I profeti tutto annunziano del Messia del Signore. Dai Salmi e dai lori scritti si potrebbe ricavare un Vangelo.
Anche se il dubbio è nel suo cuore, Natanaele si incammina con Filippo per andare incontro a Gesù. Gesù appena lo vede, dice di lui: "Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità". Lo stupore prende Natanaele, il quale dal dubbio, passa ad una professione di fede in Cristo Gesù perfetta, aggiungendovi quanto i primi discepoli ancora non avevano detto: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!». Gesù non è solo il Messia, è il Messia Figlio di Dio. Non è un suo servo, come le antiche profezie lo avevano proclamato. Ma è il Figlio del Padre. Il Figlio del Padre è il re di Israele.
Gesù aggiunge ciò che ancora manca alla perfetta professione di fede: Lui è il Mediatore universale tra Dio e l'umanità. «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell'uomo». Lui è la sola scala che dal cielo discende sulla terra e dalla terra sale al cielo. Dio discende per questa scala e va incontro all'uomo. L'uomo sale per questa scala e va incontro al suo Signore. Fuori di questa scala non vi è alcuna relazione di verità, giustizia, santità perfetta tra l'uomo e il suo Dio. La mediazione unica di Cristo è nella creazione, redenzione, giustificazione, santificazione, vita eterna, gloriosa risurrezione. Tutto avviene per Cristo, in Cristo, con Cristo. Tutto si compie nel suo corpo, per il suo corpo, con il suo corpo. Dove il corpo di Cristo assente, lì non vi è vera mediazione.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli e Santi, dateci la vera fede in Cristo.
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25/08/2012 09:50
 
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padre Lino Pedron
Commento su Matteo 23, 1-12

Ogni pagina del vangelo è scritta per la Chiesa. Gli scribi e farisei siamo noi, invitati a riconoscerci in loro. Il problema presentato da questo brano è sempre lo stesso: al centro di tutto poniamo Dio o il nostro io?

Gesù critica gli scribi e i farisei, e noi con loro, perché fanno tutto per essere visti e lodati: "Fanno tutte le loro opere per essere visti dagli uomini" (v.5). Si preoccupano di recitare la parte dell'uomo pio e devoto più che di vivere un sincero rapporto con Dio.

La falsità è abbinata ovviamente a una buona dose di vanità e di orgoglio. In un mondo in cui la religione è tenuta in considerazione, le persone religiose acquistano automaticamente la massima reputazione. Esse occupano, quasi per convenzione comune, il posto di onore dovuto a Dio. Difatti gli scribi e i farisei con la loro pietà simulata hanno posti di riguardo nelle sinagoghe e nei conviti, e quando appaiono in pubblico ricevono da ogni parte inchini, ossequi e saluti nei quali vengono scanditi con esattezza i loro titoli onorifici.

Anche i discepoli di Gesù sono esortati a rifuggire da questi comportamenti segnalati nei farisei e negli scribi. I titoli onorifici e le rivendicazioni di potere sono fuori luogo perché essi sono tutti fratelli, figli dello stesso Padre (v.8) e sono guidati dallo stesso Cristo presente in loro (v.10).

Nella comunità cristiana i più grandi sono gli ultimi e l'unico primato che conta è quello dell'abbassamento e del servizio (v.11). In essa non devono nemmeno circolare gli appellativi che indicano distinzione e discriminazione che mettono in evidenza un preteso diritto di controllo e di dominio di alcuni sugli altri. Spesso succede che il nostro Signore, al quale diamo del tu, è predicato da signori ai quali diamo del lei.

Alla fine Gesù deve ricorrere ai comandi (sia vostro servo: v.11) e alle minacce per abbassare chi si era elevato al di sopra degli altri (v.12).

Matteo sta mettendo a confronto due immagini di Chiesa. L'una farisaica, pomposa, appariscente e vuota, dominata da capi avidi di onore e di potere; l'altra cristiana, costituita da amici e da fratelli. Quest'ultima non è anarchica, perché è guidata direttamente da Cristo e dal Padre, di cui tutti sono ugualmente figli. Coloro che vi esercitano funzioni o incarichi sono chiamati a testimoniare con le opere più che con le parole (cfr v.3) la presenza invisibile del Padre, non a sostituirla. Perché egli non è mai assente.

La Chiesa di Cristo è una comunità di uguali, una fraternità che ha come criterio di discernimento il servizio. In essa esiste una diversità di ruoli e di responsabilità, che però devono essere svolti come servizio. Questo stile ha come modello Gesù stesso, il quale è venuto per servire (cfr Mt 20,26).

La logica dei rapporti che deve regolare la comunità cristiana è quella dell'umiltà. La condizione dettata da Gesù: "se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli" (Mt 18,3) è l'atteggiamento esattamente opposto a quello dell'autoesaltazione degli scribi e dei farisei.
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26/08/2012 07:35
 
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Wilma Chasseur
Da chi andremo?

In questo Vangelo vediamo come sia difficile capire il linguaggio di Gesù. "Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?" Ma non sono quello! Lo stesso atteggiamento del Signore spesso si rivelava incomprensibile ai suoi stessi discepoli e famigliari. A Nazareth per esempio, non lo accolsero e non cedettero in Lui. Quel bravo ragazzo "tutto casa e sinagoga", come diceva Mons. Segalini, ad un certo punto lascia la casa, parte, va in giro a predicare; chissà che cosa s'è messo in testa? pensano i suoi. E infatti ad un certo momento vanno a prenderlo per riportarlo a casa, pensando che avesse perso la testa.
L'irruzione di Dio nel quotidiano crea sempre dei problemi. Dover scalfire questa quotidianità annunciando che Egli era nientemeno che il Figlio di Dio, mandato a salvare il mondo, è qualcosa che il mondo non può capire né accettare. Ed è un punto di capitale importanza su cui l'uomo deve esercitare la sua libertà.
Il tema della libertà lo troviamo anche nella prima lettura. "Giosuè disse a tutto il popolo: "Se vi dispiace di servire il Signore, scegliete oggi chi volete servire". Scegliete oggi, cioè decidetevi! Invito ineludibile a prendere posizione: o il Signore o gli dei degli Amorrei. "Quanto a me e alla mia casa - dice Giosuè- vogliamo servire il Signore". Vogliamo! Dobbiamo esercitare questa facoltà volitiva che abbiamo: dobbiamo dire spesso "voglio" e non "non ho voglia" come si sente spesso dire dai nostri ragazzi? Questo "vogliamo" di Giosuè ha scatenato anche la buona volontà del suo popolo che disse: "Lungi da noi l'abbandonare il Signore per servire altri dei". Ma perché prendono questa decisione? Perché "il Signore nostro Dio ha fatto uscire noi e i padri nostri dal paese d'Egitto, dalla condizione servile, ha compiuto quei grandi miracoli e ci ha protetti per tutto il viaggio". Ecco il motivo! Il ricordo dei benefici ricevuti dal Signore. E' molto importante anche per noi "fare memoria": ricordarci i benefici ricevuti dal Signore.. Sono tanti: occorre riportarli alla memoria, quando magari ci sentiamo abbandonati da Lui. Questo stimola anche la gratitudine e ci fa scoprire sempre nuovi benefici ricevuti ogni giorno.
Nel Vangelo questo concetto di libertà torna fuori alla grande e mette i discepoli davanti a un'alternativa: andarsene o restare."Forse volete andarvene anche voi?" Gli rispose Simon Pietro: "Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna". Anche Pietro fa memoria delle parole di vita eterna udite da Gesù. E da Lui solo! Nessuno dice parole di vita eterna che colmano la nostra sete d'infinito se non Gesù!
Questo dilemma dobbiamo risolverlo anche noi: da chi vogliamo andare? Scegliamo il Signore o altri signori che diventeranno i nostri tiranni? A volte l'ostacolo è dentro di noi: dobbiamo scegliere la sua volontà, ma siamo attirati da tutt'altro. La vera libertà è quella dello spirito, non quella della carne. La libertà di spirito è fare la volontà di Dio, mentre quella della carne è fare la propria: è seguire l'istintività o l'istintualità; è fare ciò che pare e piace e così uno si illude di essere libero. L'istinto deve obbedire alla ragione non il contrario. E la ragione dev'essere sottomessa alla volontà di Dio, non il contrario!
Il Signore poi dice anche a noi: "Volete andarvene anche voi?" Ecco il momento in cui ricordare tutte le parole di vita eterna udite da Lui e solo da Lui, per poter rispondere come Pietro: "Da chi andremo Signore, tu solo hai parole di vita eterna".
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27/08/2012 08:17
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti

Fine della fede è quello di aprire il regno dei cieli alla verità, alla volontà di Dio, alla conoscenza della sua rivelazione. Fine della fede è di illuminare il mondo secondo la luce contenuta nella Parola del Signore, senza nulla aggiungere e nulla togliere. Ciò che la Parola dice, la fede dice. Ciò che la Parola non dice, la fede non dice.
La Parola però non si dice da sola. Da sola non si comunica. Da sola non si spiega, non si comprende, non si dona nella sua sapienza ed intelligenza eterna. La Parola è detta, annunziata, insegnata, spiegata dalla persona cui il Signore ha affidato questo compito, questo ministero, questo mandato.
Questo ufficio divino è differente da tutti gli altri uffici umani che si compiono sulla terra. Questo ministero di luce si può assolvere in un solo modo: divenendo la Parola da comunicare la stessa vita di colui che è incaricato perché la comunichi ai suoi fratelli. Costui deve essere in tutto come il sole: illumina il mondo consumando la sua luce. E così il datore della Parola: illumina consumandosi nella Parola e divenendo luce di Parola, luce di verità, luce di sapienza eterna, luce di intelligenza soprannaturale.
Chi assolve questo ufficio divino dell'annunzio della Parola, mai potrà essere come la luna. Questa riceve la luce del sole e la riversa sulla terra, anche se in modo assai modesto. Il datore della Parola neanche potrà pensarsi un catarifrangente, che riceve la luce dai fari delle macchine e traccia il cammino sicuro da seguire. Egli dovrà essere vero sole, vera stella, vera sorgente di verità e di sapienza soprannaturale ed eterna. Sarà tutto questo in un solo modo: se si immergerà nella santità del suo Dio.
I farisei e gli scribi del tempo di Gesù non erano neanche luna dell'ultimo quarto e neanche catarifrangenti coperti del nero fumo dello smog dei nostri tunnel. Erano luce semplicemente spenta. Sole e stelle collassati. Corpi oscuri e tenebrosi. Operavano in senso opposto al loro ministero di luce e di verità. Anziché aprire il regno dei cieli, lo chiudevano. Anziché esercitare il loro ufficio di luce per la salvezza della gente, lo vivevano per ingrossare la fila dei dannati, dei disperati, degli empi e degli idolatri.
Un ufficio di cecità, di stoltezza, di ipocrisia, di grande insipienza altro non fa se non togliere anche quel poco di luce che ancora sgorga dalla coscienza di coloro che temono il Signore. Spenta la luce della coscienza, a causa del ministero di tenebre da loro esercitato, le porte della perdizione si aprono e l'uomo vi precipita dentro. Quando il ministero di luce diviene e si trasforma in ufficio di morte, non c'è più vera salvezza.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Tu che sei la Vergine della vera luce, aiutaci a vivere sempre come figli della luce. Angeli e Santi di Dio, voi che siete già nella luce eterna del cielo, rendeteci veri ministri della luce di Dio. Nascerà la salvezza di molti.
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