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COMMENTO DELLA LETTERA AI ROMANI

Ultimo Aggiornamento: 22/11/2011 11:41
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22/11/2011 11:31
 
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 f) Il primato dei giudei non esclude che tutto il mondo sia peccatore (3,1-20).

1Qual è dunque la superiorità del Giudeo? O quale l’utilità della circoncisione?
2Grande, sotto ogni aspetto. Anzitutto perché a loro sono state affidate le rivelazioni di Dio.
3Che dunque? Se alcuni non hanno creduto, la loro incredulità può forse annullare la fedeltà di Dio?
4Impossibile! Resti invece fermo che Dio è verace e ogni uomo mentitore, come sta scritto:
Perché tu sia riconosciuto giusto nelle tue parole
e trionfi quando sei giudicato.
5Se però la nostra ingiustizia mette in risalto la giustizia di Dio, che diremo? Forse è ingiusto Dio quando riversa su di noi la sua ira? Parlo alla maniera umana.
6Impossibile! Altrimenti, come potrà Dio giudicare il mondo?
7Ma se per la mia menzogna la verità di Dio risplende per sua gloria, perché dunque sono ancora giudicato come peccatore? 8Perché non dovremmo fare il male affinché venga il bene, come alcuni - la cui condanna è ben giusta - ci calunniano, dicendo che noi lo affermiamo?
9Che dunque? Dobbiamo noi ritenerci superiori? Niente affatto! Abbiamo infatti dimostrato precedentemente che Giudei e Greci, tutti, sono sotto il dominio del peccato, 10come sta scritto:
Non c’è nessun giusto, nemmeno uno,
11non c’è sapiente, non c’è chi cerchi Dio!
12Tutti hanno traviato e si son pervertiti;
non c’è chi compia il bene, non ce n’è neppure uno.
13La loro gola è un sepolcro spalancato,
tramano inganni con la loro lingua,
veleno di serpenti è sotto le loro labbra,
14la loro bocca è piena di maledizione e di
amarezza.
15I loro piedi corrono a versare il sangue;
16strage e rovina è sul loro cammino
17e la via della pace non conoscono.
18Non c’è timore di Dio davanti ai loro occhi.
19Ora, noi sappiamo che tutto ciò che dice la legge lo dice per quelli che sono sotto la legge, perché sia chiusa ogni bocca e tutto il mondo sia riconosciuto colpevole di fronte a Dio. 20Infatti in virtù delle opere della legge nessun uomo sarà giustificato davanti a lui, perché per mezzo della legge si ha solo la conoscenza del peccato.

V. 1 - Paolo pone due domande sul privilegio del giudeo e sul vantaggio della circoncisione. Se la trasgressione della legge vanifica la circoncisione e se il pagano che adempie la legge giudicherà il giudeo che non la osserva, e, se più in generale, è giudeo colui che ha il cuore circonciso nello spirito indipendentemente dall’essere o no circonciso nella carne, quale importanza conserva allora la circoncisione fisica, il segno e il pegno dell’appartenenza al popolo di Dio? Che ne è dunque delle prerogative del giudeo?

V. 2 - Il privilegio del giudeo è grande perché a lui sono state affidate le rivelazioni di Dio. Quindi il privilegio del giudeo non è la circoncisione della carne e neppure la pratica della legge, ma il dono delle parole di Dio. È un privilegio enorme e singolare. Ma non è di per sé una garanzia. Le parole di Dio devono essere ascoltate, conservate, e messe in pratica.

V. 3 - Paolo pone il problema se la rinuncia di alcuni alla fedeltà non sopprime, per caso, la fedeltà di Dio all’alleanza. La risposta all’obiezione è anzitutto: certamente no, non sia mai! La fedeltà di Dio all’alleanza non viene dunque annullata dall’infedeltà dei giudei. La fedeltà di Dio non dipende dalla fedeltà del suo popolo.

V. 4 - Il non sia mai! non è l’unica risposta che Paolo dà alla domanda che egli stesso si è posto. Non soltanto la fedeltà di Dio all’alleanza non viene annullata dall’infedeltà umana e il privilegio d’Israele - le rivelazioni di Dio a lui affidate - non viene abrogato, ma accade che l’infedeltà d’Israele ha anche un significato positivo: mette in evidenza la permanente fedeltà di Dio all’alleanza e mentre fa risaltare la verità di Dio rivela anche l’infedeltà e la menzogna dell’uomo, ossia del suo essere fondamentalmente malfido.

Dio e l’uomo devono dimostrarsi, e si dimostrano, per quello che sono: deve risultare che Dio è verace e che tutti gli uomini sono mentitori. Ciò risulta dalla Scrittura (Sal 50,6). Nelle sue enunciazioni Paolo vuol dire che Dio emerge nella sua giustizia e risulta vincitore nel processo che gli uomini intentano continuamente contro di lui. E proprio risaltando in tal modo la sua giustizia, Dio si manifesta verace e fidato e afferma la propria fedeltà al patto dell’alleanza. Il giudeo ha ricevuto in affidamento le parole di Dio che costituiscono il fondamento e l’attestazione del patto. Che se poi il giudeo si è mostrato infedele, ciò non ha infirmato per nulla la fedeltà di Dio al patto. Al contrario, l’infedeltà dell’uomo fa risaltare la fedeltà di Dio, proprio come dice la Scrittura: egli uscirà vincitore dal processo e risulterà giusto nelle sue parole. Degno di nota è il modo in cui viene concepita la storia umana: è come un processo che ha il solo scopo di far sempre meglio risplendere la giustizia di Dio.

Vv. 5 - 6 - Paolo insiste sul concetto già toccato al v.3, ossia che l’infedeltà di alcuni non solo non ha vanificato la fedeltà di Dio al patto, ma al contrario l’ha posta in piena luce. Qui egli dà soltanto una diversa formulazione al pensiero. La nostra ingiustizia serve a rivelare la giustizia di Dio. Ma se la nostra ingiustizia mette in risalto la giustizia di Dio, non è forse ingiusto Dio se dà corso alla sua ira verso di noi, quando ci punisce per la nostra ingiustizia? Questa conclusione,dedotta secondo la logica umana, è assurda. Paolo non risponde alla domanda, ma la respinge semplicemente, appellandosi alle conseguenze che deriverebbero da questo ragionamento. La giustizia di Dio è anche giustizia giudicatrice. Essa si manifesta come ira per coloro che compiono l’ingiustizia. L’ira di Dio rappresenta la permanente fedeltà di Dio all’alleanza nei confronti di coloro che sono infedeli all’alleanza. Non dobbiamo perdere di vista tutta la concatenazione e lo svolgimento delle idee. Paolo argomenta in questo modo: Il giudeo ha un privilegio, ossia le parole di Dio affidate a lui. In ciò si manifesta quella fedeltà di Dio che non è venuta meno per causa dell’infedeltà giudaica. E non si oppone a questo il fatto che Dio giudica l’empio. Dio non diventa ingiusto perché giudica l’ingiusto. Altrimenti come potrebbe essere il giudice del mondo?

V. 7 - 8 - Anche in questi versetti si stabilisce un nesso causale tra il peccato dell’uomo e la manifestazione della fedeltà di Dio, della sua giustizia, della sua verità, della sua gloria, e si fa questo per trarne un motivo di critica verso il comportamento di Dio in quanto giudice. Certi avversari malevoli di Paolo presentano come suo questo pensiero: Facciamo il male perché ne venga il bene. Si tratta ovviamente di una caricatura del vangelo della grazia predicato da Paolo. Egli, per ora, taglia corto con un’imprecazione: La condanna di costoro è veramente giusta! La stessa caricatura emergerà in seguito (6,1ss; 14ss; 7,8ss), e solo lì, dopo aver trattato della giustizia di Dio manifestatasi come potenza in Gesù Cristo, Paolo procederà con argomenti contro quella caricatura. Questi alcuni che calunniano l’apostolo sono i giudei o forse anche i giudeo-cristiani.

V. 9 - Alla domanda: abbiamo noi giudei un privilegio? Paolo risponde: Non in modo assoluto! I giudei hanno sì un privilegio che è oggettivamente grande: Dio ha affidato a loro la sua rivelazione. Ma questa preminenza, straordinaria in sé, ha un valore solo relativo per effetto del loro comportamento, della loro infedeltà. Quindi vale quanto segue nel testo: Tutti, giudei e greci, siamo peccatori come attesta la Scrittura.

V. 10 - 18 - Tutto il contesto è compendiato nell’espressione: Nessuno è giusto. Lo dimostra il fatto che dalla bocca degli uomini fuoriescono soltanto cose abominevoli, inganni, velenosità, maledizione e amarezza. Ma lo dimostra anche tutto il loro cammino su una via di guerra e di devastazione. Non hanno il timor di Dio.

V. 19 - Quello che è stato detto vale anche per i pagani e per i giudei. La Scrittura citata parla proprio di coloro che la leggono e l’ascoltano, e quindi dei giudei che le devono essere sottomessi.

Dunque la parola di Dio chiude la bocca a tutti, compresi i giudei.

Nessuno può obiettare nulla nei confronti di Dio perché tutto il mondo è responsabile, colpevole e passibile di punizione davanti a Dio.

V. 20 - Paolo avrebbe potuto concludere così la prima sezione della sua lettera. Invece egli aggiunge una singolare motivazione del v.19b (perché ogni bocca venga ridotta al silenzio e tutto il mondo risulti colpevole di fronte a Dio) e con ciò anche di tutta la parte che va da 1,18 a 3,19. È una motivazione che qui viene appena accennata, anticipando cose che verranno dette più avanti; perciò si fa difficoltà a comprenderla in questo punto.

Il v.20 motiva dunque l’asserzione che tutto il mondo, giudei e pagani, sono colpevoli davanti a Dio! La motivazione è: Poiché nessuno sarà giustificato per le opere della carne. Questa frase riprende una verità già espressa nel Sal 143,2: Non chiamare in giudizio il tuo servo: nessun vivente davanti a te è giusto. Ma a questa frase aggiunge per le opere della legge che è l’elemento fondamentale dell’enunciato. Questa espressione va intesa nel significato caratteristico di Paolo, del quale però fino a questo punto non s’è fatto cenno. Le opere della legge sono le opere che la torà richiede, ossia l’osservanza dei comandamenti di Dio. Ebbene, Paolo, in contrasto con la concezione giudaica, afferma che l’uomo non è giusto neppure mediante il compimento delle opere richieste dalla torà. È questo un enunciato capitale del vangelo di Paolo (Rm 3,28; Gal 2,16; 3,2.10). Per ora a Paolo basta affermare che tutto il mondo, compresi i giudei, è colpevole davanti a Dio, perché nessuno viene giustificato dalle opere della legge. La frase finale: poiché attraverso la legge si ha soltanto la conoscenza del peccato motiva l’enunciazione: giacché per le opere della legge nessun uomo sarà giustificato davanti a Dio, con un richiamo di carattere generale al vero rapporto che intercorre tra la legge e la salvezza. Attraverso la legge noi facciamo l’esperienza del peccato. Il senso di questa espressione non è che noi attraverso la legge impariamo a conoscere il peccato, nel senso che ce ne rendiamo conto. Paolo afferma invece che la legge produce in noi il peccato, ossia il contrario della salvezza e della giustificazione. Essa provoca l’esperienza del peccato, suscita il peccato. Che cosa voglia dire precisamente ciò, emergerà nel seguito della lettera. Con questo enunciato sorprendente e ancora oscuro si conclude la sezione della lettera che va da 1,18 a 3,19. Questa prende luce per un verso da 1,16-17 e per l’altro da 3,20. Giudei e pagani sono soggetti al peccato, come i fatti dimostrano. Ma dietro a ciò sta un dato più importante e radicale: pagani e giudei non possono essere giusti. La legge infatti, qualunque legge, provoca il peccato e non la giustizia. Nessuno ottiene la giustificazione eseguendo opere comandate dalla legge.

In tal modo 3,20 segna anche la transizione a 3,21 ss. ed apre, per così dire, la porta al vangelo vero e proprio di Paolo. Lo stato dell’umanità ha subìto un cambiamento effettivo. Non vi sono più soltanto la legge e il peccato, ma c’è anche la giustizia di Dio, la quale si manifesta mediante Gesù Cristo e in Gesù Cristo ed è accessibile a chi ha fede (3,21-31). Che la grazia e la fede procurino la giustificazione è dimostrato dal grande esempio di Abramo, padre di tutti noi (4,1-25).

2) La rivelazione della giustizia di Dio (3,21-31).

21Ora invece, indipendentemente dalla legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla legge e dai profeti; 22giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. E non c’è distinzione: 23tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, 24ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù. 25Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue, al fine di manifestare la sua giustizia, dopo la tolleranza usata verso i peccati passati, 26nel tempo della divina pazienza. Egli manifesta la sua giustizia nel tempo presente, per essere giusto e giustificare chi ha fede in Gesù.
27Dove sta dunque il vanto? Esso è stato escluso! Da quale legge? Da quella delle opere? No, ma dalla legge della fede. 28Noi riteniamo infatti che l’uomo è giustificato per la fede indipendentemente dalle opere della legge. 29Forse Dio è Dio soltanto dei Giudei? Non lo è anche dei pagani? Certo, anche dei pagani! 30Poiché non c’è che un solo Dio, il quale giustificherà per la fede i circoncisi, e per mezzo della fede anche i non circoncisi. 31Togliamo dunque ogni valore alla legge mediante la fede? Nient’affatto, anzi confermiamo la legge.

In questo brano vengono affermate fondamentalmente due cose:

1) che la giustizia di Dio è ora apparsa ed è divenuta accessibile a chi ha fede (3,21-26);

2) che la giustificazione, la quale esclude ogni vanto dell’uomo, può essere conseguita da chiunque, non con le opere, ma con la fede, e che proprio in tal modo viene ristabilita la legge nel suo vero senso, ossia come volontà originaria di Dio.

V. 21 - Che cosa è accaduto ora? Qual è il fatto per cui il tempo antico è giunto alla fine e tutto è stato rinnovato? Che cosa è avvenuto ora in contrasto col tempo descritto in 1,18-3,19, quando l’ira di Dio si manifestava contro i pagani e segretamente si accumulava contro i giudei? Ora è apparsa la dikaiosùne Theoù, la giustizia di Dio. Come intende Paolo la giustizia di Dio in questo contesto? Già nell’AT giustizia di Dio indica l’agire di Dio che salva il suo popolo (Dt 33,21). In Paolo la giustizia di Dio è l’operato escatologico di Dio che salva e giudica. Il verbo pefanèrotai vuol dire che la giustizia di Dio è venuta alla luce e si è esplicata efficacemente; è notevole in proposito anche l’uso del perfetto, il quale indica trattarsi di un evento unico e irripetibile, che come tale perdura coi suoi effetti nel presente.

Questa manifestazione della giustizia di Dio rivolta a noi, operata ora da Dio, si è attuata senza il concorso della legge. La legge è naturalmente quella stessa che produce, come si è appena detto (v.20), l’esperienza del peccato. E in riferimento a questo effetto della legge, Paolo afferma che la giustizia di Dio è intervenuta senza cooperazione alcuna della legge. Senza il concorso della legge corrisponde a senza le opere della legge di Rm 3,28; 4,6; Gal 2,16; 3,5. Ma la giustizia di Dio che ora si è manifestata è già attestata dalla legge e dai profeti ossia dalla Scrittura. Essa quindi si ricollega alla storia d’Israele e perciò la sua irruzione come fatto salvifico sulla scena del mondo non è nulla di nuovo e di inatteso. L’AT aveva già preannunziato e promesso quella giustizia di Dio che ora si è manifestata con Gesù Cristo e viene annunziata col vangelo.

V. 22 - Ma di che natura è questa giustizia? La giustizia di Dio di cui si parla è particolare: è quella di cui si diviene partecipi mediante la fede in Gesù Cristo. La giustizia di Dio diviene quindi presente e accessibile mediante la fede in Cristo (3,26; Gal 3,14.20; 3,22; Fil 3,9; Ef 3,17). Siamo di fronte a un evento salvifico che è accessibile solo attraverso l’atto di fede, o per la via della fede. La giustizia di Dio della quale ora si tratta, è una giustizia a cui si accede soltanto per la fede in Cristo. Tutti coloro che hanno la fede in Cristo possono accedere alla giustizia di Dio senza eccezioni di sorta e senza il concorso della legge.

Vv. 23 - 24 - Tutti hanno peccato e sono privi della gloria che gli uomini possedevano una volta in quanto creature di Dio. Questa gloria era la giustizia di Dio di cui l’uomo era rivestito e che perdette a causa del peccato. Nella vita di Adamo 20,21, Eva dice: contemporaneamente mi si aprirono gli occhi e conobbi che ero spoglia di quella giustizia che era stata il mio vestito. Allora piansi e dissi: "Perché hai fatto in modo che venissi privata della mia gloria di cui ero vestita?" (dice Eva al serpente). E Adamo dice a Eva: "O empia donna, che hai fatto? Tu mi hai privato della gloria di Dio!".

Nel v.24 si dice che questa gloria che l’uomo aveva perduta è ora riacquistata: il peccatore, per mezzo della fede, riceve la giustizia di Dio. L’essere dichiarato giusto è divenire partecipe, nella fede, della giustizia di Dio. La maniera in cui si attua questa giustificazione viene indicata meglio nel seguito della lettera. Anzitutto è gratuita, senza merito, senza pagamento: è un dono. Il credente ottiene la giustizia di Dio senza averla meritata con nessuna opera. Ma questo dono gratuito, questa grazia, come si sono concretamente attuati? In virtù della redenzione che si attua in Gesù Cristo. Il che significa: tutti coloro che hanno peccato e sono privi della gloria di Dio vengono giustificati in quanto la giustizia di Dio si dischiude a coloro che hanno fede, attuandosi come grazia in Cristo e con Cristo senza il concorso preventivo di prestazioni umane.

Vv. 25 - 26 - Questi due versetti costituiscono un unico enunciato dottrinale. In primo luogo si afferma che Dio ha fatto di Gesù Cristo un ilastèrion, il quale viene riconosciuto e affermato mediante la fede.

Dio ha pubblicamente esposto Cristo Gesù come ilastèrion. Ilastèrion nell’AT era il coperchio dell’arca dell’alleanza che veniva spruzzato con il sangue espiatorio delle vittime, che in questo modo si avvicinavano il più possibile alla divinità (Lv 16,14). Questo coperchio dell’arca, in ebraico era chiamato la kapporet ed era il luogo sul quale appariva Dio in una nube. Ma non è questo l’unico significato di ilastèrion. Nei LXX ilastèrion è anche traduzione di ‘azàra, una delle parti dell’altare degli olocausti di cui parla Ezechiele, la quale nel rito della purificazione e dell’espiazione viene bagnata con un po’ di sangue della vittima (Ez 43,14.17.20). Il termine non è dunque legato a un particolare oggetto materiale, ma significa luogo di espiazione. La giustificazione è avvenuta tramite Gesù Cristo che Dio ha pubblicamente stabilito e presentato come strumento di espiazione nel versamento del suo sangue, nella sua morte cruenta sulla croce. In quanto luogo di espiazione Cristo può essere riconosciuto e afferrato soltanto tramite la fede. Ma perché Dio ha esposto come luogo di espiazione Gesù Cristo? Per manifestare la propria giustizia nel tempo presente. La giustizia di Dio si è rivelata perché Dio l’ha mostrata in Gesù Cristo. La dimostrazione è avvenuta con la morte cruenta di Gesù Cristo in croce e quindi senza il concorso della legge, e per chi ha fede.

Proviamo a trascrivere con nostre parole i Vv.21-26: Dio senza alcun concorso della legge, ma in un modo predetto dalla Scrittura, ha manifestato nel cosmo la sua giustizia (= la sua fedeltà, la sua verità, la sua gloria). Il cosmo non reca più l’originario splendore della creazione, ma è soggetto al peccato. Ma la giustizia di Dio si manifesta come grazia che giustifica il credente. E il modo della manifestazione è questo: Dio presenta e offre Gesù Cristo come strumento di espiazione, che in quanto tale viene conosciuto e riconosciuto solo per mezzo della fede. E così la temporanea tolleranza dei peccati è giunta alla fine. Ora non è più il tempo in cui Dio si trattiene, ma il tempo in cui pronunzia la sua decisione!

La manifestazione della giustizia di Dio comprende due aspetti: che Dio è giusto e rende giusti. La rivelazione escatologica della giustizia di Dio, che è la sua grazia in Gesù Cristo, è una sola, ma essa ci presenta Dio come il Giusto e il Giustificante insieme.

V. 27 - Il vanto di cui si parla è quello del giudeo, dell’uomo sottomesso alla legge. Quest’uomo trae la sua forza e il suo pregio dal proprio operare e dalla circoncisione, intesa come garanzia divina della sua appartenenza al popolo di Dio. Egli si vanta di queste cose, confida in esse, vive di esse e costruisce la sua salvezza con esse. Ma questo vanto e questa fiducia vengono ora esclusi. Dio stesso li ha banditi. In che modo Dio ha escluso il vanto? Forse mediante una nuova legge più esigente della torà? La risposta è: No, ma mediante la legge della fede. La legge della fede è il nuovo regime, il nuovo ordinamento di salvezza (cf Gal 3,23.25) che è giunto a noi con Cristo. La fede è la richiesta perentoria che si pone ora al mondo. Questa richiesta esclude l’antica legge, la quale esige le opere e attraverso le opere provoca un vanto. Ora Dio ha stabilito la fede come via di salvezza ed è la legge della fede che regola il mondo.

V. 28 - Questo versetto è il convincimento sia di Paolo che dei cristiani: L’uomo viene giustificato dalla fede senza le opere della legge. Le opere della legge, le prestazioni legalistiche fornite dall’uomo con le sue forze e in spirito di autonomia non hanno parte alcuna nella giustificazione; rimangono al di fuori di essa. Il pensiero di Paolo va a tutte le opere non ispirate dalla fede in Cristo il quale si è fatto giustizia per noi (1Cor 1,30), alle opere legalistiche dell’uomo in genere, il quale, per essere discendente di Adamo, è asservito dal peccato all’egoismo peggiore e più sottile e non pecca solo quando trasgredisce la legge, ma anche quando la osserva con spirito di autosufficienza. La giustificazione avviene dunque soltanto per la fede e non per le opere fatte dall’uomo prigioniero di se stesso, dall’uomo che si vanta. Di contro a queste opere peccaminose prodotte dall’egoismo e dall’autosufficienza dell’uomo vi sono però le opere della fede (Gal 5,6; 1Ts 1,3) ossia dell’uomo che liberato per mezzo della fede dalla propria autosufficienza, compie queste opere in quanto le riceve per grazia. Non è vero perciò che l’uomo viene giustificato solo per la fede senza riguardo alcuno alle opere. Non è l’operare in se stesso che è inutile ai fini della salvezza, ma un determinato modo di operare, che ogni uomo porta con sé dalla nascita, ossia l’operare autosufficiente e sicuro di sé in cui è palese il vanto di chi si edifica da se stesso.

L’assioma sulla fede e sulle opere della legge contenuto in questo versetto va inteso alla luce di un’interpretazione complessiva alla quale la lettera condurrà gradualmente.

Vv. 29 - 30 - La giustificazione per mezzo della fede vale tanto per i giudei che per i pagani. Siccome c’è un solo Dio, egli è il Dio di tutti, dei giudei e dei pagani.

V. 31 - Paolo riporta una obiezione che potrebbe essergli mossa dai giudei e dai giudeo-cristiani: Con la fede annullate la legge? E risponde: Non sia mai! Anzi, noi confermiamo la legge. La nuova strada che porta alla salvezza, la strada della fede apertasi con Gesù non ha abrogato la legge; al contrario noi confermiamo la legge. I cristiani confermano la legge in quanto, liberi dalla schiavitù di se stessi, mossi dalla fede in Gesù Cristo, e quindi affrancati da ogni spirito di autosufficienza, adempiono la legge non come un’ opera ma secondo l’intenzione originaria di essa, ossia come un dono della volontà e della pedagogia di Dio.

Ripassiamo ora brevemente ciò che è stato detto fino a questo punto nella prima parte della lettera ai Romani. In 1,16-17 Paolo afferma di essere pronto ad annunciare anche a Roma il vangelo, che è potenza di Dio perché in esso si manifesta la giustizia di Dio. Il mondo, cioè tanto i pagani quanto i giudei, è soggetto al dominio del peccato. Esso infatti è regolato e informato da un principio, quello della legge, che non può non indurre al peccato gli uomini così come concretamente sono.

Ora però la giustizia di Dio (= la sua fedeltà, verità, grazia e gloria) si è rivelata in Cristo Gesù e investe con la sua efficacia giustificante chiunque abbia fede in Cristo. L’uomo dunque viene giustificato per questa fede e non per i suoi adempimenti della legge. Ma con ciò la legge, ben lungi dall’essere abrogata e soppressa, risulta invece confermata e corroborata. Proprio nella fede l’uomo diviene libero di comprendere la legge in modo retto e di osservarla. Per l’uomo credente, la legge riprende il suo primitivo significato di dono della volontà salvifica di Dio.

Ma Paolo non si ferma al pensiero espresso in 3,31, ma, riallacciandosi al vocabolo tematico vanto passa a confermare l’enunciato di 3,28 (Noi pensiamo che l’uomo è giustificato per la fede indipendentemente dalle opere della legge) con l’esempio di Abramo, il quale, come padre di tutti è tipo dell’uomo giustificato mediante la fede.

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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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