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La Bibbia è credibile?

Ultimo Aggiornamento: 30/06/2018 00:33
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24/04/2014 09:21
 
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Le testimonianze sulla risurrezione
sono storicamente attendibili?

Quali ragioni ci inducono a credere alla risurrezione di Cristo narrata dai primi apostoli come a un fatto storico concreto?

Mirko Testa
 
 

La scoperta della tomba vuota e le apparizioni di Gesù vennero annunciate in pubblico a meno di due mesi dalla sua morte, quando molti a Gerusalemme avrebbero sicuramente potuto smentire tutti i fatti. Come primi testimoni vennero indicate proprio delle donne, che per il diritto ebraico di allora non erano attendibili. E infine, solo un evento storico sconvolgente può motivare il “Big Bang” che spinse gli apostoli, dubbiosi, a volte increduli, ma comunque smarriti per la morte ignobile del loro maestro, a rischiare la vita pur di annunciarlo.


1) A giocare a favore dell'attendibilità storica dei racconti del sepolcro vuoto è sicuramente il ruolo centrale delle donne – in particolare di Maria Maddalena –, che per il diritto ebraico dell'epoca non avevano alcun valore come testimoni.

Il giudaismo dell'epoca di Gesù era imbevuto di “maschilismo”. E, infatti, il ritratto della donna che emerge dalla Bibbia non è molto confortante. Nel libro dei Proverbi, ad esempio, viene messa in risalto la sua natura folle, rissosa, lunatica e malinconica. Ma soprattutto, nelle Antichità giudaiche lo storico ebreo del I sec., Giuseppe Flavio, scrive che “le testimonianze di donne non valgono e non sono ascoltate tra noi, a motivo della leggerezza e della sfacciataggine di quel sesso”. Quindi, non è storicamente plausibile che gli evangelisti, nel tentativo di inventare di sana pianta una leggenda, abbiano indicato proprio le donne come testimoni privilegiate del sepolcro vuoto di Gesù e delle sue prime apparizioni quando, nella società ebraica del primo secolo, non potevano testimoniare. E' vero che nell'elenco dei testimoni della risurrezione riportata nella prima lettera di Paolo ai Corinzi, si pone al primo posto l'apparizione di Cristo a Pietro: “Apparve a Cefa e quindi ai Dodici” (1 Cor 15,5). Questa priorità è confermata da Luca anche se in una diversa formulazione: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone” (Lc 24,34). Eppure, nel racconto più dettagliato che abbiamo sul rinvenimento della tomba vuota che si trova in Giovanni – il cui Vangelo è stato redatto posteriormente (verso la fine del primo secolo d.C.), pur presentando nei suoi strati profondi dei ricordi più arcaici di quelli stessi dei Vangeli sinottici - si legge che Maria Maddalena è stata la prima a cui è apparso il Signore risorto. Lei, che Gesù aveva liberato da sette demòni e che era divenuta sua discepola, seguendolo fino al monte Calvario, è la prima testimone nell'alba primaverile di quella Pasqua d'aprile dei primi anni 30. Secondo un altro Vangelo, quello di Matteo, Maria Maddalena e l'“altra Maria” incontrarono Gesù mentre tornavano dall'aver scoperto il sepolcro vuoto (Mt 28,9-10). In questi due Vangeli lo stesso Signore risorto (Gv 20,17; Mt 28,10) e un angelo (Mt 28,7) dissero alle due donne (Matteo) o soltanto a Maria Maddalena (Giovanni) di portare la notizia della risurrezione ai discepoli.  

2) Gli apostoli annunciarono pubblicamente la scoperta della tomba vuota e gli incontri con il Risorto a poca distanza dalla morte di Gesù, quando i testimoni ancora in vita a Gerusalemme avrebbero potuto smentirli.

Una ulteriore riprova della attendibilità delle fonti scritte a noi pervenute è che nessun evangelista, né altra tradizione neotestamentaria, racconta il modo in cui avvenne la risurrezione. A farlo è solo il Vangelo di Pietro, lo scritto apocrifo – quindi non inserito dalla Chiesa tra i suoi testi ufficiali – nel quale si trova il racconto più antico, a noi noto, su questo argomento che fu redatto presumibilmente in Siria, verso la metà del II sec. I primi seguaci di Gesù erano per lo più pescatori, incarnavano bene la mentalità semitica di allora, non erano visionari, avevano bisogno di prove tangibili non di vane e fumose promesse. E le manifestazioni di Gesù risorto ricalcano il carattere di esperienze concrete, di incontri reali. Due sono i verbi greci usati dal Nuovo Testamento per definire l'evento pasquale: il primo è eghéirein, letteralmente “risvegliare” dal sonno della morte a opera di Dio Padre; mentre l'altro verbo è anìstemi che indica il “levarsi in piedi”, quasi un innalzarsi dal sepolcro e dalla terra verso il cielo. In questi due verbi vi è una duplice descrizione della Pasqua che non è meramente riducibile alla rianimazione di un cadavere, come quello di Lazzaro o del figlio della vedova di Nain o della figlia del capo della sinagoga di Cafarnao, destinati tutti a morire di nuovo. Con la risurrezione si vuole sottolineare che Cristo sfugge al regno della morte e torna alla vita: non per nulla nelle apparizioni si insiste sulla verificabilità della realtà personale del Risorto che si fa toccare, parla, incontra i discepoli e mangia.


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