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RICERCA SU GESU' NELLA STORIA e STORICITA' DEI VANGELI

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    AmarDio
    00 23/02/2010 18:08
    GESU' PUO' ESSERE CONSIDERATO UN PERSONAGGIO STORICAMENTE VISSUTO 2000 ANNI FA ?
    Ecco cosa possiamo dedurre dagli elementi di cui disponiamo:


    Andrea Nicolotti

    IL GESÙ DELLA STORIA

    È possibile conoscerlo?

    Dall’epoca illuministica, ci si chiese se fosse possibile o meno ricostruire con le fonti a nostra disposizione un storia attendibile di Gesù. Nacque così la cosiddetta “Ricerca sul Gesù storico”, che con metodi e presupposti sempre nuovi si è proposta di rispondere a questa domanda.

     

    Leggi documento
    di Massimo Zambelli
     

    Caravaggio - Deposizione e sepoltura di Gesù Cristo

    Deposizione del Caravaggio, 1602-1604.
    Chi vuole può
    scaricare il dipinto in formato grande

    Importanza della storicità di Gesù

    E' veramente esistito Gesù Cristo? Ma soprattutto, è proprio necessario che sia storicamente esistito? Non basterebbe, per trarne un vantaggio esistenziale, farne un simbolo di luce e salvezza, ossia una della tante rappresentazioni simboliche della vera, profonda ed eterna legge - umana e cosmica - di “morte e rinascita”?

    Scollegare Cristo dalla carnalità di Gesù di Nazareth sembrerebbe rendere disponibile la messianicità salvifica che egli impersona per manifestazioni simili e prossime al tempo e alla sensibilità del credente, che in questo modo lo potrebbe incontrare ovunque e come preferisce. Ma tutto ciò, seppure attraente, avviene a spese della realisticità di un tale salvatore adattato alle esigenze personali. Il dubbio che tutto quello splendore mitologico sia una proiezione dell'io insoddisfatto non lascerà tranquillo lo spirito di chi, oltre a credere, ama pensare.

    L'apostolo Giovanni, nella sua prima lettera, annuncia la lieta notizia che "Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio". Oggi questo invito sembra in parte realizzato, grazie però a un malinteso. Nella mentalità “New Age” infatti, che impregna la coscienza credente delle società occidentali, il Cristo è accettato ma solo dopo aver metaforizzato il Gesù che lo ha incarnato. Risultato reso possibile dal fatto che nell’ambiente spiritualista contemporaneo si privilegia la convinzione che le cose di Dio, e in particolare del Dio cristiano, sono vere perché credute e non credute perché vere.

    In termini filosofici si chiama soggettivismo. Una malattia moderna per la quale il soggetto umano è la fucina della realtà: di valori, verità, canoni estetici, “cose e persone”. Non si distingue più tra realtà e illusione; il mentale prevale sul reale; il virtuale e l’artificiale misurano il naturale; i valori e il senso più che scoperti sono inventati; la felicità deriva dalla volontà: basta esserne convinti e basta autoconvincersi. Forse ripetendo all'infinito una frase in un training autoipnotico: "penso positivo", "Gesù è risorto", "sono felice", "questo è bene", "io sono immortale"...

    L'accettazione di un Cristo snaturato, cosmico, astrale, disincarnato e mitico, mistico e metafisico, è tipica di un sentire religioso fideistico, perenne tentazione post-cristiana. Ma anche in casa "razionalista" si può incontrare un analogo pregiudizio sulla consistenza storica della vita di Cristo. La motivazione è ovviamente diversa. Si vuole trasformare la storia di Cristo in favola per poter considerare i cristiani come infantili creduloni. In entrambe le concezioni sarà comunque facile rilevare che il pregiudizio sulla storicità di Gesù si trasforma contestualmente in un pregiudizio anticattolico o in genere antiecclesiale.

    La Chiesa infatti, che si autocomprende come il “Corpo di Cristo”, presente in lei nella Parola e nei Sacramenti, può legittimare una tale pretesa di presenza salvifica solo se la “puntualità” dell’incontrabilità di Cristo in lei è il proseguimento della “puntualità” della manifestazione messianica in Gesù, solo cioè se il Salvatore si è reso presente in un “punto” preciso ed esclusivo della storia. Come recita l’incipit della prima enciclica di Giovanni Paolo II, la “Redemptor hominis”, “il Redentore dell’uomo, Gesù Cristo, è il centro del cosmo e della storia”. Il punto di un centro.

    La materialità della salvezza

    C’è un filo logico diretto tra Gesù Cristo e la Chiesa. E’ la materialità della salvezza. E’ possibile incontrare il Salvatore nella materialità del suono della Parola e dei Sacramenti (acqua, olio, mani, voce, unione degli sposi) amministrati dalla Chiesa, proprio perché il Dio cristiano ha voluto salvare l’umanità intrecciandosi nella unicità dell'uomo Gesù con la materia finita. Si capisce allora che la volontà di scollegare Cristo da Gesù mira ad avere la disponibilità di Cristo senza dover dipendere dalla Chiesa. Con il rischio, rifiutando di cercarlo dove lui ha deciso di farsi incontrare, di non trovare che un Cristo fatto a propria immagine.

    Inoltre, fare di Gesù Cristo una legge cosmica, un principio sovratemporale e un archetipo perpetuamente modulabile, ha come conseguenza inesorabile e pericolosa la continua sacralizzazione di realtà profane. Di volta in volta qualcuno riuscirà ad accreditarsi presso le folle come l'epifania del Messia salvatore. Una persona o una realtà assorbiranno le fiducie e le speranze degli uomini. E la storia insegna che saranno sempre malriposte. Anche la Chiesa, quando ha dimenticato e dimentica che “Lumen gentium” è Lui e non lei, può cadere in questa trappola di sacrale autoreferenzialità e non proporsi più come il dito che indica e la mano che ama, ma come realtà indicata e mano da baciare perché regale anziché ministeriale. Tra i volti recenti di queste sacrali metamorfosi vi sono la Razza e il Partito, i Furher (che significa Signore) e le Classi (operaia o tecnocratica), la Natura e la Tecnica, il Mercato, e la Scienza. In particolare quest'ultima, con le sue scoperte e applicazioni, si propone massicciamente come l'autorità salvifica capace di promettere perfino e "davvero" l'immortalità (vedi la clonazione dei Raeliani che non a caso si definiscono "religione atea").

    E’ pertanto nostra convinzione che sia assolutamente centrale e vitale che al Cristo della fede corrisponda un Gesù della storia.

    • Perché ci sia salvezza dall'esilio della morte ci deve essere un corpo che attraversa da dentro a fuori il varco altrimenti a senso unico dell'ultimo nemico. La fantasia “cristopoietica”, creatrice di "cristi", non può nulla contro la durezza della pietra tombale.
    • Inoltre identificare il Messia con Gesù serve come antidoto anti-idolatrico, sempre necessario per contrastare la febbre sacralizzatrice. "Se qualcuno vi dirà: Ecco, il Cristo è qui, o: E' là, non ci credete". (Mt 24, 23)
    • Infine, a questi motivi centrali aggiungiamo, in sintonia con le pennellate antropologiche del Papa in "Fides et ratio", che l'uomo è creato da Dio come esploratore del reale e cercatore della verità oggettiva e che quindi l'intelletto, strumento per questa indagine, non è un optional secondario, ma ciò che nobilita questa creatura che sta all'incrocio di molti regni. Credere a ciò che non è vero, o, peggio ancora, del quale non interessa sapere se lo sia, oltre che essere un atteggiamento bassamente utilitarista, è semplicemente non umano. Un uomo che non lancia l'intelletto alla ricerca del vero è come una Ferrari che va ai cinquanta. Bella e sprecata.

    La Deposizione del Caravaggio

    Cercando un'immagine che aiutasse ad esprimere il contenuto delle pagine di Andrea Nicolotti, dopo avere ammirato i dipinti di Raffaello che ritraggono il bambino Gesù nudo e concreto che si intrattiene con Giovanni Battista, ho incontrato la Deposizione nel sepolcro di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, che per un suo particolare mi ha sedotto e pienamente convinto. E' una tela commissionata per la cappella Vittrici in Santa Maria in Vallicella a Roma, realizzata dal Caravaggio dal 1602 al 1604 e oggi collocata nella Pinacoteca Vaticana. Proverò a leggere il dipinto evidenziando alcuni particolari che potrebbero sfuggire a uno sguardo affrettato.

    Un gruppo di cinque persone sovrasta il corpo nudo e orizzontale dello Sconfitto. Ogni deposizione dalla Croce, mostrando il dinoccolato corpo di un defunto che obbedisce alle leggi della gravità e va dove altri lo mettono, esprime sempre la fine di una grande speranza. Gesù è veramente morto. Le donne sullo sfondo sono le tre Marie di cui ci parla l'evangelista Giovanni. A destra della scena secondo gli interpreti è raffigurata con volto giovane Maria di Cleofa, sorella o cugina di Maria madre di Gesù, la quale esprime il suo dolore con le braccia alzate e aperte a ventaglio verso un cielo nero e indecifrabile.

    Davanti a lei Maria di Magdala, dai lunghi capelli raccolti in leggere trecce e con il volto chinato, sta piangendo e asciuga le lacrime in un fazzoletto stretto nel pugno. Il suo pianto ricorda l'episodio raccontato da Luca della peccatrice perdonata. Una donna anonima che bagna di lacrime i piedi di Gesù, li asciuga con i capelli e li cosparge di olio profumato. Mentre Gesù, davanti agli scandalizzati ospiti, elogia il suo amore e la perdona: "La tua fede ti ha salvata; và in pace!" Nella tradizione l'anonima peccatrice e la Maddalena sono state spesso associate, mentre invece oggi l'esegesi è propensa a non identificarle.

    A sinistra c'è l'ultima Maria, la madre. Le sue braccia sono aperte e stese sul corpo del figlio. La mano destra è sul capo e la sinistra, appena intravista sotto il braccio di Maria di Cleofa, è sopra i piedi. In questo modo le due Marie, con le braccia in verticale la prima e in orizzontale la seconda, creano una barriera, quasi per contrastare con il loro corpo l'avanzare dell'oscurità che incombe alle spalle del gruppo. Una barriera creata più dal desiderio di amorosa protezione che dall'effettiva efficacia. perché di lì a poco l'ombra del sepolcro che si intravede sotto la grande pietra, avvolgerà il corpo ancora luminoso di Gesù.

    Chi sono gli uomini in primo piano? A sinistra è riconoscibile un uomo vestito elegantemente che potrebbe corrispondere al ricco Giuseppe di Arimatea, discepolo "nascosto" di Gesù a cui offre il sepolcro ancora nuovo. Altri invece vi vedono l'apostolo Giovanni, presente alla crocifissione. Se seguiamo il resoconto del vangelo di Giovanni (Gv 19,38-42), il personaggio di destra potrebbe essere Nicodemo: "Essi [Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo] presero il corpo di Gesù e lo avvolsero in bende...". Nicodemo è chinato e ha il volto girato verso lo spettatore. Ma sembra guardare in basso, verso il luogo in cui sta per posare il corpo dell'amato Signore. Ha gambe potenti e vigorose e i suoi piedi sono ben visibili e ben piantati per terra. Lui che ha gambe così solide e ancora governate dalla propria volontà, stringe a sé le gambe ora ferme del "messaggero di liete notizie". Furono quelle gambe potenti a portarlo di notte, lui che ora sta accompagnando il suo Signore nella notte della tomba, ad incontrare Gesù che gli parlò della necessità, per entrare nel regno di Dio, di nascere dall'acqua e dallo Spirito (Gv 3,1-21). Sta aiutando il "Disceso" (3,13) a scendere nell'ultimo ripostiglio di mondo lontano da Dio, nell'estrema distanza dello Sheol, perché possa essere innalzato come Figlio dell'Uomo e dare la vita eterna a chi crede in lui.

    Giuseppe di Arimatea, il discepolo "nascosto per timore dei Giudei", è sopra il petto di Gesù e con la mano destra tocca la ferita del costato. Viene in mente l'apostolo Giovanni, altro candidato a rappresentare quella figura, quando durante l'Ultima cena posa il capo sul petto di Gesù. E sarà lui a raccontare, come incipit della sua prima lettera, quel magnifico inno alla insostituibile materialità di Gesù: "Ciò che era fin da principio... ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita, noi lo annunziamo a voi".

    Una parola sulla roccia e sul telo. La solida roccia è la lapide del sepolcro. Per un perfetto gioco di luce l'angolo sembra sporgere dal quadro. Oltre alla "pungente" inesorabilità della morte, qui considerata, gli interpreti della storia dell'arte vi hanno letto il riferimento alla "Roccia che, scartata dai costruttori, è divenuta testata d'angolo". E anche alla Kefa', Pietra, su cui è fondata solidamente la Chiesa, voluta da Gesù come suo corpo per essere presente in tutti i secoli e luoghi del mondo (non assomiglia questo Nicodemo del Caravaggio a Simon Pietro, la Kefa' su cui Gesù ha fondato la Chiesa?).

    Il candido telo è la Sindone. La veste nuziale del morto. Egli scende negli inferi, lo Sheol, come lo sconfitto e l'abbandonato, ma indossa l'abito della festa. E' cioè un morto particolare. E' senza peccato e la Morte, che lo sa, trova strano che egli stia fra le sue prede. Lo guarda con sospetto. Dopo l'orgiastico entusiasmo con cui lo ha ingoiato, togliendolo dal mondo, che riesce a dominare con la paura, si dev'essere subito accorta che qualcosa non tornava. Penso si possa immaginare che nei giorni del silenzio, dal Venerdì al Sabato, in cui la Speranza di Dio è stata rigettata dal potere del Mondo, la Morte avesse come un gran mal di pancia. Giorni di solitudine per il mondo ingrato e di preoccupazione per il Principe di questo mondo. La mattina di Pasqua fu svelato al Mondo e alla Morte il disegno di Dio: "Non lascerai che il tuo Santo veda la corruzione". Tornarono alla mente il già detto nelle parole profetiche della Scrittura, ma troppo tardi. Il danno era fatto e lo "scherzo" riuscito. Il mondo è liberato. Pace per tutti.

    Il dito di Dio

    Ma il particolare che più mi ha colpito del dipinto del Caravaggio è la mano di Gesù. Il dito di Dio che tocca il mondo. In un punto preciso. Ognuno di noi, rispetto a quel punto, ha una coppia tutta sua di coordinate spazio-temporali che lo individuano, nel duplice senso che individuano lui, Gesù, e noi, in un rapporto unico e irripetibile. Il braccio di Gesù pende verticalmente e le sue dita toccano la grande pietra che sorregge il gruppo di persone. Come dicevo è una pietra spigolosa, tagliente, inesorabile. Una solidità messa in rilievo dai piedi ben piantati di Nicodemo.

     
    Gesù e Marat
    Muovere il Mouse sulla foto

    I critici dell'arte sono unanimi nel rilevare che la composizione del Cristo morto è il vero pregio del dipinto di Caravaggio. Il braccio di Cristo pende verso il basso, attirato dalla forza di gravità. La natura lo domina. Ma ecco che le dita della sua mano si "impigliano" nel bordo della pietra. L'indice e il medio fanno da perno, fermando momentaneamente la mano e arcuando leggermente il braccio che viene spostano in avanti dalla pietas dei discepoli. Con questo effetto grafico, che permette di intuire il movimento, Caravaggio riesce a partecipare all'osservatore l'incedere verso il sepolcro del corpo di Gesù. Il senso di abbandono è talmente riuscito da essere stato fonte di ispirazione per altri artisti, come per esempio per il celebre dipinto di David "La morte di Marat" (vedi il rollover dell'immagine qui a lato eseguito spostandovi sopra il mouse).

    Gesù è il punto di incontro tra Dio e l'uomo. Il toccare la pietra tombale da parte di Gesù può certamente significare un'attribuzione di identità, quasi volesse dire "Io sono la Roccia sulla quale poggia la mia Chiesa di discepoli". Ma in questo contesto trovo più interessante pensare quel gesto come l'eloquente espressione di quel che significa il viaggio dell'Incarnazione. Entrare nel mondo, diventare materia, partecipare alla morte. Dio in Gesù ha toccato la caducità del cosmo e della condizione umana. Senza questo contatto la vanità della nostra apparizione resta intatta. Nonostante i trucchi cosmetici. Per questo è essenziale che un certo uomo di Galilea, chiamato Gesù, sia veramente esistito. E per questo sono importanti le ricerche storiche, come la presente del Dott. Nicolotti, che aiutano a diradare i fumi della miticità spiritualista e della scetticità razionalista. Un dito ci ha toccato. Quella carne ci ha salvato.

    Massimo Z
    [Modificato da Coordin. 13/05/2021 09:19]
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    AmarDio
    00 23/02/2010 18:09
    LA VECCHIA RICERCA SU GESÙ (1778-1906)

    Quello del Gesù storico è un problema di data recente, figlio dell'Illuminismo. Per l'epoca più antica era ritenuta cosa certa che i Vangeli ci forniscano notizie assolutamente attendibili su Gesù; non si scorgeva in ciò nessun problema. L'indagine storica neotestamentaria di quell’epoca, a parte alcune eccezioni, si limitava essenzialmente a parafrasare e ad armonizzare i quattro Vangeli; soltanto alla fine del XVIII secolo ci si chiese se il Gesù realmente esistito e il Cristo predicato dalla Chiesa ed annunciato nei Vangeli fossero la stessa persona.

    Il primo che si occupò della questione fu Samuel Reimarus. Nato nel 1694 ad Amburgo, professore di lingue orientali, aveva scritto una Apologia degli adoratori razionali di Dio; tenuta volontariamente segreta, fu pubblicata postuma da Gotthold Ephraim Lessing in sette frammenti, uno dei quali era intitolato Dello scopo di Gesù e dei suoi discepoli. Un altro frammento dell’anonimo di Wolfenbüttel (1778)1.

    Si deve distinguere, diceva il Reimarus, tra lo scopo di Gesù, cioè tra l'intento che Gesù perseguiva, e lo scopo dei suoi discepoli. Gesù sarebbe stato un Messia politico ebraico, un liberatore degli Ebrei dal dominio straniero; messo a morte, non avrebbe raggiunto il suo scopo. I suoi discepoli, allora, che cosa avrebbero potuto fare? Essi, non volendo tornare alla propria condizione precedente, avrebbero rubato il cadavere di Gesù, inventato l'annuncio della sua risurrezione e del suo ritorno, creando in tal modo una nuova religione. I discepoli sarebbero stati dunque gli inventori della figura del Cristo.

    L'impressione suscitata fu grande, ed il rigetto del libello unanime. Tuttavia il Reimarus aveva per la prima volta posto un problema: il Gesù della storia ed il Cristo della rivelazione, sono la stessa cosa, dal momento che storia e dogma sono due cose diverse?

    Con il Reimarus inizia il problema del Gesù storico: giustamente Albert Schweitzer ha intitolato la prima edizione della sua Storia della ricerca sulla vita di Gesù (1906) Da Reimarus a Wrede2. La rappresentazione fatta dal Reimarus del Gesù storico era fallace: Gesù non era un rivoluzionario politico. Ma il Reimarus non aveva per caso ragione, almeno in linea di massima, col sostenere che il vero Gesù era diverso dal Cristo rappresentatoci dai Vangeli, soprattutto da quello di Giovanni? Chi era egli nella realtà?

    A questa domanda cercò di rispondere l'indagine sulla vita di Gesù (Leben Jesu Forschung) iniziata in epoca illuministica, ed in seguito all’interrogativo nacquero infiniti ritratti del Messia. Il difetto di questi ritratti stava nel pregiudizio illuminista e nell’intento antidogmatico che li animava. I razionalisti descrissero Gesù come un moralista, gli idealisti come quintessenza dell'umanità, gli esteti lo lodarono come l'artista geniale della parola, i socialisti come l'amico dei poveri e riformatore sociale. Gesù venne modernizzato: il risultato fu che ogni epoca, ogni teologia, ogni autore ritrovava nella personalità di Gesù il proprio ideale. Tra le opere più note, ricordo la Vita di Gesù di Georg W. F. Hegel (1795)3, di David F. Strauss (1835) 4 e di Ernest Renan (1863) 5.

    Tutte queste diverse vite di Gesù ebbero in comune il fatto che spesso la personalità di Gesù venne tracciata sulla base delle convinzioni dei diversi commentatori. Essa non venne dedotta solo dalle fonti, ma fu prevalentemente frutto di costruzione psicologica liberamente creata; Albert Schweitzer, nell'opera citata, denunciò con acutezza inesorabile molte di queste immagini di fantasia:

    L’indagine storica sulla vita di Gesù non è partita dal puro interesse storico, ma ha cercato il Gesù della storia come colui che poteva liberarlo dal dogma […] Ogni epoca ha trovato i suoi pensieri in Gesù […] e ogni singolo lo creò secondo la propria personalità6.

    All'origine di tali questioni, si trova una certa concezione del metodo storico e della conoscenza religiosa. Nel corso del XIX secolo la scienza storica si era proposta un ideale di assoluta obiettività che tendeva ad assimilarla alle scienze naturali, così com’erano intese allora. Appariva necessario liberare i dati non soltanto dagli elementi manifestamente leggendari, ma da qualsiasi apporto soggettivo dello storico. Applicando rigorosamente i principi del metodo storico, si sarebbe isolato l’evento così come avvenne un tempo; poi, combinando questi risultati obiettivi, si sarebbe ricostruita una storia ordinata. Solo così, si pensava, sarebbe stato possibile risuscitare obiettivamente una biografia od un ritratto di Gesù. Ma ogni tentativo di ricostruire una vita di Gesù in tal guisa “scientifica”, che non teneva conto delle numerose altre variabili e utilizzava la critica letteraria delle fonti in maniera troppo personale, dette risultati differenti e spesso inconciliabili.

    Alcune intuizioni della vecchia Leben Jesu Forschung rimasero attuali anche nella successiva ricerca: la metodologia storico critica, l’ambientazione giudaica della figura di Gesù e lo sforzo di una sospensione dalla dogmatica nell’approccio ai testi.

    NOTE AL TESTO

    1 I frammenti dell'Anonimo di Wolfenbuttel pubblicati da G. E. Lessing, Napoli, Bibliopolis, 1977.

    2 Von Reimarus zu Wrede. Eine Geschichte der Leben-Jesu-Forschung, Tübingen, Mohr, 1906.

    3 Das Leben Jesu. Aus Hegels teologischen Jugendschriften nach den handschriften der Kgl. Bibliothek in Berlin, Tübingen, Mohr, 1907; trad. ital. Vita di Gesù, Roma, Newton Compton, 1995; Brescia, Queriniana, 2001.

    4 Das Leben Jesu. Kritisch bearbeitet von David Friedrich Strauss, Tubingen, Osiander, 1835-1836; rist. anast. Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1969; trad. ital. La vita di Gesù o Esame critico della sua storia, Milano, Sanvito, 1863-1865.

    5 Vie de Jésus, Leipzig, société Bibliophile, 1863; trad. ital. Roma, Newton Compton, 1990.

    6 Traggo dalla seconda edizione, tradotta in italiano: Storia della ricerca sulla vita di Gesù, Brescia, Paideia, 1986 (ediz. origin. Tübingen, Mohr, 1913), pp. 74-75.
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    AmarDio
    00 23/02/2010 18:10
    IL GESÙ DELLA STORIA E IL CRISTO DELLA FEDE

    I teologi si limitarono in un primo tempo a difendersi da questi tentativi di ricostruzione storica; solo nel 1892 essi presero parte al dibattito tramite uno scritto di Martin Kähler: Il cosiddetto Gesù storico [historisch] e l’autentico [geschichtlich] Cristo biblico1. Si deve considerare molto attentamente in sé stesso il titolo di questo scritto, se si vuole capire il proposito del Kähler. Questi distingue da un lato tra Gesù e Cristo, e dall'altro tra storico historisch e storico geschichtlich.

    Con Gesù egli intende l'uomo di Nazareth, come l'indagine sulla vita di Gesù lo aveva descritto; e designa, invece, con Cristo il salvatore predicato dalla Chiesa. Col termine historisch egli indica i puri e semplici fatti del passato, con geschichtlich ciò che racchiude un significato duraturo. Dunque egli contrappone il cosiddetto Gesù historisch, cioè storico-reale, al Cristo geschichtlich, il Cristo storico-biblico, come gli Apostoli lo hanno predicato.

    Questa la sua tesi: solo il Cristo biblico è comprensibile per noi, ed egli solo ha significato durevole per la fede.

    In un primo tempo il richiamo del Kähler non ebbe alcuna eco; soltanto anni dopo fu ripreso da Rudolf Bultmann. Questi nel 1929 scriveva:

    Io sono indubbiamente del parere che noi non possiamo sapere più nulla della vita e della personalità di Gesù, poiché le fonti cristiane non si sono interessate al riguardo se non in modo molto frammentario e con taglio leggendario, e perché non esistono altre fonti su Gesù2.

    Lo scopo primario ed esclusivo dei Vangeli, secondo l’autore, era la catechesi: agli evangelisti non interessava affatto ricostruire la figura storica di Gesù, ma annunciarlo come Cristo Figlio di Dio. Nei Vangeli, dunque, non troviamo il Gesù della storia, ma il Cristo della fede; il personaggio di Gesù è sicuramente esistito, ma la fede di cui è stato fatto oggetto lo ha completamente sottratto alla storia. Pretendere di ricostruire la vita di Gesù a partire dai Vangeli significherebbe quindi cercare in essi proprio quello che non c'è; e quand'anche le ricostruzioni storiche fossero attendibili, esse non avrebbero nulla da dire al credente, perché egli, con la sua fede, salta la storia a piè pari, se ne disinteressa.

    A Bultmann, il cui pensiero esercitò un’influenza fortissima sulla ricerca del XX secolo, furono mosse varie obiezioni: in primo luogo non convinse il suo atteggiamento di rinuncia totale a qualunque collocazione storico-cronologica degli avvenimenti relativi all'uomo Gesù: non c'è dubbio che la sua figura sia stata in una certa misura idealizzata dagli evangelisti, ma poneva e pone tuttora obiettive difficoltà pensare che questa idealizzazione sia stata talmente radicale da far scomparire totalmente un personaggio dalla storia a non molto tempo di distanza dalle sue vicende.

    Occorre ricordare qui quella che diverrà una delle più diffuse Vite di Gesù in assoluto, opera dell’abate Giuseppe Ricciotti; uscita nel gennaio del 19413 ebbe prima della fine dell’anno ben quattro edizioni, e giunse nel 1948 ad essere tradotta in 15 lingue. A quasi quarant’anni dalla morte dell’autore, è tutt’oggi ristampata4.

    In essa l’autore si scaglia contro i maggiori esponenti della Old Quest e contro le reazioni di stampo bultmanniano:

    Ho mirato, dunque a far opera di critica. So benissimo che quest’ultima parola, comparsa già nel titolo, sarà giudicata usurpata da coloro per i quali la scienza critica è soltanto demolitrice e la sua ultima conclusione deve essere un «No» […] Cotesti demolitori sono oramai quasi «superati» […] Oggi, in forza sia delle recentissime scoperte documentarie sia di tante altre ragioni, la saggia critica mira ad essere costruttrice e la sua ultima conclusione vuole essere un «Sì».

    Pur nel suo carattere divulgativo, l’opera è molto attenta al dato storico e all’analisi documentaria: si può certamente considerarla un importante preludio agli orientamenti successivi. Opera innovativa, se si tiene conto della riluttanza fino ad allora mostrata da gran parte degli studiosi cattolici ad entrare in discussione con le istanze della critica mitteleuropea.

    NOTE AL TESTO

    1 Der sogenannte historische Jesus und der geschichtliche, biblische Christus, Munchen, Kaiser, 1956; trad. ital. Napoli, D’Auria, 1993.

    2 Jesus, Berlin, Deutsche Bibliothek, 1929; trad. ital. Gesù, Brescia, Queriniana, 1972, p. 103.

    3 Vita di Gesù con una introduzione critica, Milano, Rizzoli, 1941, e successive ristampe e riedizioni a cura di diverse case editrici.

    4 In Italia, con prefazione di Vittorio Messori, Milano, Mondadori, 1996.
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    AmarDio
    00 23/02/2010 18:11
    Andrea Nicolotti
    LA NUOVA RICERCA SUL GESÙ STORICO (1953-1975)

    La reazione al pessimismo di Bultmann avvenne per bocca dei suoi discepoli, in occasione di una riunione di suoi ex-allievi di Marburgo. In particolare, Ernst Käsemann si espresse contro Bultmann nel 1953 con un noto articolo dal titolo Il problema del Gesù storico1. Qui l’autore avanza tre tesi importanti: 1) Venendo meno ogni connessione tra il Cristo della fede e il Gesù della storia il cristianesimo diviene un mito astorico, e l’annuncio cristiano un annuncio docetista. 2) Se la Chiesa antica aveva così poco interesse per la storia di Gesù, perché produsse i Vangeli, con quel forte richiamo alla storia ad ogni passo? 3) Anche se i Vangeli sono un prodotto della fede postpasquale, essi richiedono una fiducia nell’identità tra Gesù terreno e Signore risorto. L’intervento di Käsemann può essere considerato la data d’inizio della cosiddetta Nuova ricerca sul Gesù storico.

    La novità di questa «nuova ricerca» non stava tanto nella ricerca stessa, quanto nell’orizzonte teologico in cui essa si inseriva: la «vecchia» ricerca liberale aveva puntato ad un Gesù storico, contrapponendolo alla predicazione dei suoi discepoli; Bultmann aveva capovolto questa impostazione puntando sulla predicazione, resa indipendente dal Gesù storico; la «nuova ricerca» voleva ricomporre la frattura tra i due elementi.

    A Käsemann dobbiamo l'elaborazione di una serie di criteri grazie a cui sarebbe possibile, dai Vangeli, risalire al Gesù storico e pronunciarsi, con un buon grado di probabilità, sulla storicità effettiva di questo o quel detto o fatto di Gesù. Il metodo di Käsemann fu riassunto nei suoi Saggi esegetici2.

    Il maggior teorico della New Quest fu James Robinson con il suo La nuova ricerca del Gesù storico3; il primo post-bultmanniano a pubblicare un completo studio storico su Gesù (tuttora valido) secondo la nuova corrente fu nel 1956 Günther Bornkamm, con il suo Gesù di Nazaret4. Nel frattempo, le posizioni scettiche di Bultmann trovarono sempre meno approvazione, come traspare dal volume intitolato Il Gesù della storia ed il Cristo del Kerygma, pubblicato nel 1960 e contenente saggi di J. Jeremias, J. L. Hromàdka, N. A. Dahl, B. Reicke, P. Althaus, O. Cullmann, W. Grundmann, O. Michel, W. Michaelis, H. Riesenfeld, L. Goppelt, G. Delling5. Due noti trattati nati sulla scia di questo orientamento sono le opere dei cattolici René Latourelle A Gesù attraverso I Vangeli (1978)6 e Francesco Lambiasi L’autenticità storica dei Vangeli (1976)7.

    Nella sua Teologia del Nuovo Testamento Leonhard Goppelt si allontanava in questo modo dalla teologia di Bultmann:

    Per la tradizione dei Vangeli è di primaria importanza l'integrazione tra il ministero terreno di Gesù e il kérygma [= messaggio della Chiesa primitiva], in modo che il primo diventi la base che sostiene il secondo. Questa «reminiscenza» di Gesù rimane, in modo particolare nei grandi Vangeli, l'intenzione primaria [...] Se vogliamo esporre la teologia neotestamentaria mantenendone la struttura intrinseca, dobbiamo porre anzitutto il problema del Gesù terreno8.

    Trent’anni dopo l’opera di Käsemann, Ed Parish Sanders scriveva, in aperta opposizione al vecchio giudizio di Bultmann:

    L’orientamento prevalente oggi sembra il seguente: noi possiamo conoscere molto bene ciò che Gesù stava per compiere, possiamo conoscere una buona parte di quel che disse e questi due aspetti diventano significativi all'interno del giudaismo del primo secolo9.

    NOTE AL TESTO

    1 Das Problem des historischen Jesu, in «Zeitschrift für Theologie und Kirche» LI (1954), pp. 125-153; trad. ingl. The Problem of Historical Jesus, in Essays on New Testament Themes, SBT 41, London, 1964, pp. 15-47.

    2 Trad. ital. Casale Monferrato, 1985.

    3 A New Quest of the Historical Jesus, London, SCM, 1959; trad. ital. della II edizione tedesca (1967) Kerygma e Gesù storico, Brescia, Paideia, 1977.

    4 Jesus von Nazareth, Stüttgart, Kohlhammer, 1956; trad. ital. Gesù di Nazaret, Torino, Claudiana, 19772.

    5 H. RISTOW – K. MATTHIAE (a cura di), Das historische Jesus und der kerygmatische Christus, Berlin, Evangelische Verlagsanstalt, 1960.

    6 L’accès à Jésus par les Evangiles, histoire et herméneutique, Tournai, Desclée, 1978; trad. ital. Assisi, Cittadella, 19883.

    7 II edizione Bologna, EDB, 1986. Anche Gesù di Nazaret. Una verifica storica, Casale, Marietti, 1983.

    8 Theologie des Neuen Testaments, Gottingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1976; trad. ital. Teologia del Nuovo Testamento, Brescia, Morcelliana, 1982-1983, vol. I, p. 65.

    9 Jesus and Judaism, London, SCM, 1985, p. 2; trad. ital. Gesù e il giudaismo, Genova, Marietti, 1992.
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    AmarDio
    00 23/02/2010 18:11
    Andrea Nicolotti
    LA TERZA RICERCA SUL GESÙ STORICO

    Da qualche tempo si parla di una «terza ricerca» del Gesù storico; il nome pare sia stato coniato da Tom Wright per indicare un nuovo indirizzo ed impulso alla ricerca del Gesù storico, dopo un periodo di stagnazione della precedente indagine:

    Mentre la cosiddetta New Quest stava ancora cautamente discutendo su presupposti e metodi, producendo lunghissime storie della redazione da cui si poteva spremere una o due gocce in più di autentico materiale gesuano, un movimento totalmente diverso iniziava in luoghi diversi e senza alcuna premessa o programma unificato. Fortificati dai materiali giudaici, ora più disponibili, questi studiosi lavorarono come storici, convinti che è possibile conoscere moltissimo di Gesù di Nazaret e che vale la pena di farlo1.

    Questa nuova scuola rivolge tre critiche alla precedente: l’eccessiva analiticità e importanza della storia delle forme, che rischia di isolare le forme letterarie dal contesto; i rischi dell’utilizzo dei criteri di dissomiglianza di Gesù dall’ambiente giudaico e dalla Chiesa, che rischiano di creare una sorta di Gesù estrapolato dal suo ambiente (criteri che discuteremo più avanti); l’enfasi posta sulla teologia dell’annuncio evangelico come criterio per il recupero di Gesù. Per quanto riguarda il rapporto tra storia e teologia, si va dall’opposizione astiosa di un E. P. Sanders alla auspicata sospensione metodologica di J. P. Meier. I detti ed i fatti di Gesù vengono collocati in un quadro storico più ampio, e si incoraggia un confronto con altre scienze, tra cui quelle sociali.

    La terza ricerca ha sfatato alcuni luoghi comuni della ricerca precedente, ad esempio nella tendenza a negare (nella Old Quest) o demitizzare (New Quest) i racconti miracolosi, dei quali cerca di ritrovare non la spiegazione scientifica o metafisica, bensì la loro percezione popolare. Si afferma generalmente in modo più fiducioso il valore storico delle fonti primarie, i Vangeli canonici; lo studioso ebreo David Flusser all’inizio della sua monografia su Gesù scriveva:

    Questo libro è stato anzitutto scritto per dimostrare che è possibile scrivere una vita di Gesù. Certo, possediamo più notizie sugli imperatori a lui contemporanei e su alcuni poeti romani, ma accanto allo storico Giuseppe Flavio e forse Paolo, Gesù è l’ebreo post-testamentario sulla cui vita e dottrina siamo meglio informati2.

    Al di là di questi lati comuni, i tentativi indicati sotto questa etichetta non sono tali da identificare una prospettiva completamente unitaria. L’istanza di valorizzare maggiormente l’ebraicità di Gesù, presentata come paradigma comune di questa ricerca, va in direzione diametralmente opposta alla sopravvalutazione del Vangelo di Tommaso operata da alcuni, che sfocia in una sorta di Gesù quasi «gnostico», puramente sapienziale, la cui ebraicità è pesantemente cancellata. La mentalità refrattaria alla dimensione escatologica, storico-salvifica e cristologica ci riporta alle consuete alternative tradizionali, più che ad un approccio nuovo. Certe esasperate rappresentazioni di Gesù (rivoluzionario o pacifista, restauratore di Israele, stoico-cinico o mago) paiono ricordare la varietà delle figure tratteggiate dalla Leben Jesu Forschung tardo ottocentesca.

    Nonostante le solenni dichiarazioni di neutralità storica, dietro agli sforzi di ricostruire il Gesù storico talora affiorano le motivazioni ideologiche: neo-positivismo (E. P. Sanders), teologia della liberazione (Marcus J. Borg3, Douglas E. Oakman4, Richard A. Horsley5), rapporto con l’ebraismo in senso troppo giudaizzante (E. P. Sanders) o troppo poco (J. D. Crossan).

    Il differente peso dato alle varie componenti della tradizione di Gesù ed al suo sfondo sociopolitico, culturale e religioso, può creare figure unilaterali di Gesù. Privilegiando la tradizione dei miracoli da un lato e i papiri magici dell’altro, si ha un Gesù mago (Morton Smith6) o un pio taumaturgo ed esorcista (G. Vermes); privilegiando la tradizione dei detti sapienziali a discapito di quelli escatologici emerge un Gesù sapiente (F. Gerald Downing7, J. D. Crossan), oppure, seguendo il procedimento opposto, un profeta escatologico (Ben F. Meyer8, E. P. Sanders, J. Charlesworth). L’accento sulla tradizione della morte di Gesù ne può fare un rivoluzionario prozelota (Samuel G. F. Brandon9) o un pacifista vittima dell’oppressione; l’attenzione al contesto giudaico ne fa un Rabbi (David Flusser10, Bruce D. Chilton11) o un fariseo illuminato (Harvey Falk12), mentre l’attenzione a quello ellenistico lo dipinge come un filosofo cinico (F. G. Downing, Burton L. Mack13, J. D. Crossan). L’enorme varietà dei risultati non pone in questione il valore storico dei Vangeli, ma piuttosto la varietà dei metodi e delle opzioni degli studiosi.

    A titolo esemplificativo, si potranno esaminare un po’ più da vicino le letture di quattro autori della Third Quest, scegliendo tra coloro le cui opere hanno avuto maggior risonanza tra il pubblico non specializzato:

    Lo studioso ebreo Geza Vermes nel suo Gesù l’ebreo (1973)14 e nelle opere successive si propone di porre il ministero di Gesù nell’ambiente giudaico del I secolo; egli è convinto di poter dimostrare la fondatezza dei racconti evangelici, se proiettati sullo sfondo del materiale giudaico parallelo. In breve, la tesi dell’autore è che la figura di Gesù corrisponde a quella dei rabbi carismatici, in particolare Honi e Hanina ben Dosa. La sua analisi dei vari titoli attribuiti a Gesù cerca di dimostrare come possano tutti essere inquadrati nella descrizione dell’uomo carismatico. Nello stesso tempo, in conclusione del lavoro, afferma la «incomparabile superiorità» di Gesù sugli altri venerandi «santi» galilei, lasciando aperto l’interrogativo: se Gesù rimane diverso e superiore, come spiegarlo, e chi è?

    Ed Parish Sanders15 descrive Gesù come un uomo che condivise la speranza escatologica ebraica come l’attesa di un grande intervento di Dio per la restaurazione di Israele, radicalizzandola e proclamandola imminente; la sua condanna a morte sarebbe stata suscitata dal timore provato dagli Ebrei nel veder crescere il suo movimento. Sanders, come altri studiosi ebrei (M. Buber) o «laici» (tra i quali, nella prima metà del XX secolo, gli italiani postmodernisti Omodeo, Salvatorelli, Martinetti, Parente) ritiene storica la predicazione escatologica e la rivendicazione messianica di Gesù (in opposizione a Vermes). Sanders rigetta la visione di Gesù come santo o maestro, che non spiega le conseguenze della sua attività pubblica - specie la morte - per quella di un Gesù restauratore di Israele; la sua lettura di Gesù come profeta escatologico è molto vicina a quella di A. Schweitzer16. Sanders è stato criticato per il suo metodo, e per aver minimizzato od accantonato alcuni dati assodati della ricerca; inoltre egli ha programmaticamente escluso dalla sua analisi pagine e pagine di racconti evangelici, non sottoponendo alla medesima critica le fonti ebraiche più tardive17.

    John Dominic Crossan ha fondato nel 1985 con Robert W. Funk il Jesus Seminar, che ha raccolto un gruppo di studiosi della Bibbia (quasi tutti americani) che si sono riuniti per diversi anni votando con palline colorate il grado di fedeltà al vero insegnamento di Gesù di quanto è riportato nei Vangeli. Una pallina rossa significa “Gesù lo ha detto sicuramente”; quella rosa “Pare che possa averlo detto”; quella grigia “Probabilmente non l’ha detto”, e quella nera “Gesù non lo avrebbe mai detto”. Ne è risultata la monografia The Five Gospels: What Jesus Really Said (I cinque Vangeli: che cosa Gesù ha detto veramente)18, un’edizione dei Vangeli "a colori", in cui ogni frase riportata è colorata secondo quel criterio. Essi conclusero che l’82% dei detti attribuiti a Gesù non fu realmente pronunciato da lui; della preghiera del Padre nostro, ad esempio, furono considerate autentiche due parole solamente: “Padre nostro”, appunto19. Il titolo I cinque Vangeli allude al Vangelo di Tommaso, che conterrebbe gli insegnamenti più autentici di Gesù; questo va di pari passo alla descrizione dell’attività di Gesù come risposta alla situazione sociale contemporanea del mondo ebraico (stranamente, dato il carattere metastorico del medesimo). La conclusione è quella di un Gesù predicatore di un Regno che non va compreso in senso apocalittico, bensì etico-sapienziale. Crossan ha pubblicato anche un Gesù. Una biografia rivoluzionaria (1993)20. Gesù è dipinto come un rivoluzionario sociale e femminista, con la volontà di sovvertire le strutture gerarchiche del tempo, praticante la magia in opposizione al culto del Tempio; i tratti della sua predicazione escatologica sono negati, sostituiti da una predicazione volta a scoprire il regno di Dio presente nell’esperienza umana di ciascuno. Il lavoro del Seminar si è attirato molte severe critiche, oltre che per i metodi seguiti, a causa della improbabile colorazione gnostica e cinica di Gesù, e della negazione dell’escatologia futura, così radicata in testi evangelici e forme letterarie diverse. Si tratta forse del peggior esempio degli aspetti fuorvianti della Third Quest, i cui risultati, malamente volgarizzati, hanno alimentato una vasta produzione di materiale giornalistico e cinematografico (si ricordi, ad esempio, il film Stigmate, che si rifà all’idea del Quinto vangelo presentata dallo Jesus Seminar).

    John P. Meier ha iniziato nel 1991 un’opera in quattro volumi (tre usciti) dal titolo Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico21, nella quale si può trovare una equilibrata discussione sui principi metodologici e critici della ricerca, con una lunga discussione preliminare sulle fonti giudaiche, pagane ed apocrife (quest’ultime eccessivamente sopravvalutate in ambiente americano, ma qui, forse proprio allo scopo di opporsi a questa sopravvalutazione, talora troppo dequalificate).

    NOTE AL TESTO

    1 S. NEILL – T. WRIGHT, The Interpretation of the New Testament, Oxford, Oxford University Press, 19882, p. 379.

    2 Jesus, Reinbek, Rowohlt, 1968; trad. ital. sull’ultima edizione tedesca Jesus, Brescia, Morcelliana, 1997 (da evitare la precedente traduzione dell’editrice Lanterna, 1976).

    3 Conflict, Holiness and Politics in the Teachings of Jesus, New York, Edwin Mellen Press, 1984; Jesus, a new Vision. Spirit, Culture, and the Life of Discipleship, San Francisco, Harper, 1987.

    4 Jesus and the Economic Questions of his Day, Lewiston, Edward Mellen Press, 1986.

    5 Sociology and the Jesus Movement, New York, Crossroad, 1989; Jesus and the Spiral of Violence. Popular Jewish Resistance in Roman Palestine, Minneapolis, Fortress, 1993.

    6 Jesus the Magician, San Francisco, Harper, 1978; trad. ital. Gesù mago, Roma, Gremese, 1990.

    7 Jesus and the Threat of Freedom, London, SCM, 1987.

    8 The Aims of Jesus, London, SCM, 1979.

    9 Jesus and the Zealots. A Study of the Political Factor in Primitive Christianity, Manchester, Manchester University Press, 1967; trad. ital. Gesù e gli Zeloti, Milano, Rizzoli, 1983.

    10 Jesus, Reinbek, Rowohlt, 1968; trad. ital. sull’ultima edizione tedesca Jesus, Brescia, Morcelliana, 1997 (da evitare la precedente traduzione dell’editrice Lanterna, 1976).

    11 A Galilean Rabbi and his Bible. Jesus' Use of the Interpreted Scripture of his Time, Wilmington, Glazier, 1984; Jesus in Context. Temple, Purity and Restoration, Leiden, Brill, 1997.

    12 Jesus the Pharisee. A new Look at the Jewishness of Jesus, New York, Paulist Press, 1985.

    13 A Myth of Innocence. Mark and Christian Origins, Philadelphia, Fortress, 1991.

    14 Jesus the Jew, London, Collins, 1973; trad. ital. Milano, Borla, 1983. Anche Jesus and the World of Judaism, London, SCM, 1983; The Religion of Jesus the Jew, London, SCM, 1993; I volti di Gesù, Milano, Bompiani, 2000.

    15 Jesus and Judaism, London, SMC, 1985 (trad. ital. Gesù e il giudaismo, Genova, Marietti, 1992); Gesù, la verità storica, Milano, Mondadori, 1995 (dal titolo inglese assai meno accattivante The Historical Figure of Jesus, London, Allen Lane, 1993).

    16 Storia della ricerca sulla vita di Gesù, Brescia, Paideia, 1986 (ediz. origin. Tübingen, Mohr, 1913).

    17 Cfr. ad esempio la critica di G. SEGALLA, Gesù, profeta escatologico della restaurazione di Israele?, in «Studia Patavina» XL (1993), pp. 83-102.

    18 New York, MacMillan, 1993.

    19 In Marco solo il “Date a Cesare” (17,22). In Matteo: 5,38-39 "Porgi l’altra guancia"; 13,33 parabola del lievito; 20,1-15 parabola dei vignaiuoli; 22 il “Date a Cesare”. Delle beatitudini, fu accettato solo il “Beati gli affamati, i poveri ed i tristi”. In Luca 2,20 le medesime beatitudini; 6,27 “Amate i vostri nemici”; 6,29 il discorso del “Porgi l’altra guancia”; 10,30 il buon Samaritano; 13,20 parabola del lievito; 16,1 parabola dell’amministratore astuto. Giovanni è del tutto ignorato.

    20 Jesus. A Revolutionary Biography, San Francisco, Harper, 1994; trad. ital. Firenze, Ponte alle Grazie, 1994.

    21 A Marginal Jew. Rethinking the Historical Jesus, New York, Doubleday, 1991; trad. ital. in corso, Brescia, Queriniana, 2001-
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    AmarDio
    00 23/02/2010 18:12
    Andrea Nicolotti
    FONTI E CRITERI DI STORICITÀ

    La ricerca dell’ultimo cinquantennio è stata propiziata da uno studio nuovo delle fonti già note e dalla scoperta di fonti nuove, soprattutto quelle di Qumràn e di Nag Hammadi, e dal materiale proveniente dagli scavi archeologici 1.

    Occorre distinguere tra le fonti dirette su Gesù e quelle indirette, che contribuiscono a ricostruire l’ambiente sociale, politico, religioso ed economico in cui Gesù visse. Tra le fonti dirette, anzitutto i Vangeli e gli scritti non cristiani che menzionano Gesù (Flavio Giuseppe, Tacito, Svetonio, le fonti giudaiche,, etc.). La novità maggiore sta nello studio delle fonti indirette, giudaiche (apocrifi dell’Antico Testamento, rotoli del Mar Morto, scritti di Flavio Giuseppe, Targum, scritti rabbinici) e greche (papiri magici greci e fonti della scuola stoico-cinica, da utilizzare con attenzione), e nell’utilizzo delle recenti scoperte archeologiche.

    Nello studio delle fonti vengono applicati metodi diversi: quello storico-critico, che è il medesimo applicato per qualsiasi altro testo dell’antichità, quello storico-letterario (li esaminiamo nella sezione dedicata al Nuovo Testamento) e quello sociologico. Per quanto riguarda l’approccio ai Vangeli, gli studiosi hanno cercato di individuare dei criteri per valutare ciò che in essi proviene da Gesù stesso, per distinguerlo dalla tradizione della Chiesa primitiva; tra i tanti proposti ricordo:

    Criterio dell’imbarazzo: È molto improbabile che la Chiesa abbia creato qualcosa che le causasse imbarazzo. La tendenza negli stadi successivi della tradizione è piuttosto quella di attenuarlo (ad esempio, il battesimo di Gesù da parte di Giovanni, che poteva offuscare la superiorità di Gesù di fronte al Battista).

    Criterio della discontinuità o della dissomiglianza: Sono da ritenersi storicamente autentici i dati evangelici non riconducibili né alle concezioni del giudaismo, né al linguaggio, alla prassi e al pensiero della Chiesa delle origini. Questo criterio è stato recentemente un po’ ridimensionato, in quanto la sua applicazione radicale fa di Gesù un isolato dall’ambiente di origine e separato dalla Chiesa che lo considera suo fondatore, insistendo troppo sulla unicità e sulla superiorità di Gesù su di essi. Si tende allora a ritenerlo comunque valido in senso positivo e non in negativo: con questo criterio si può stabilire un nucleo sicuro di detti o fatti a Gesù certamente attribuibili, ma non si possono escludere gli altri in blocco.

    Criterio dell’attestazione multipla: È da considerare probabilmente storico ciò che è attestato unanimemente da più tradizioni neotestamentarie (e/o non neotestamentarie) o che si può ritrovare presente in più forme differenti (narrazioni, controversie, discorsi, ecc.); anche se l’attestazione di una singola fonte non è un motivo sufficiente per escludere un racconto.

    Criterio della coerenza o concordanza: Sono considerati probabilmente autentici i detti o le azioni conformi all'ambiente o all'epoca di Gesù e coerenti con il suo insegnamento, la sua prassi e la sua immagine in generale. Questo criterio interviene dopo che una certa quantità di materiale storico è stato isolato dai criteri precedenti.

    Criterio di spiegazione necessaria: Sono probabilmente storici quegli elementi la cui autenticità è necessario riconoscere per comprendere altri elementi storicamente accertati. Questo criterio può avere una duplice funzione: da una parte, utilizzando dati già certi, esso cerca di individuare una spiegazione necessaria dei fatti, che sia coerente e sufficiente, la quale illumini e disponga armoniosamente tutti questi elementi (che altrimenti rimarrebbero inspiegabili); dall'altra, quando l'interpretazione necessaria è nota, può essere di aiuto nell'isolare gesti e parole che la supportino. È il caso della spiegazione del perché Gesù fu sottoposto al supplizio capitale (qualcuno parla di un apposito "criterio del rifiuto e dell'esecuzione"): c'è già un dato di fatto (ovvero la condanna a morte di Gesù da parte delle autorità): il compito diviene quello di cercare gli elementi nei testi che la giustificano. Allo stesso modo, quei dati storici la cui autenticità è già stata verificata servono a spiegarci il motivo della sua condanna, e ne confermano indirettamente la storicità. Non può in questo senso essere storico un Gesù blando, semplice creatore di simboli che parlava per enigmi e non minava alle radici le persone, specie le autorità giudaiche e romane che ne decretarono la morte; la sua esecuzione, infatti, risulterebbe incomprensibile.

    Occorre comunque ricordare che l'applicazione di questi criteri, i quali hanno un valore diverso tra loro, non è assolutamente meccanica, ma tiene conto di diversi fattori e gradi di probabilità. Essi, inoltre, vengono utilizzati in modo convergente: cum plurima cuncurrunt, maiora sunt indicia.

    NOTE AL TESTO

    1 Per la documentazione, J. H. CHARLESWORTH, The Historical Jesus in Light of Writings Contemporaneous to Him, in «Aufstieg und Niedergang der römischen Welt» II,25/1 (1982), pp. 451-456; Gesù nel giudaismo del suo tempo alla luce delle più recenti scoperte, Torino, Claudiana, 19982 (ediz. orig. 1988); Jesus’ Jewishness. Exploring the Place of Jesus in Early Judaism, Philadelphia, American Interfaith Institute, 1991; Gesù e la comunità di Qumràn, Casale, Piemme, 1997 (ediz. orig. 1992).
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    AmarDio
    00 23/02/2010 18:13
    Andrea Nicolotti
    OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

    È evidente che la Ricerca su Gesù (Jesus research), o Indagine sul Gesù storico (Quest for the Historical Jesus) ha assunto da cinquant’anni un andamento diverso dal passato, assai produttivo.

    È senz'altro esatto che non si può pensare di poter scrivere una precisa biografia di Gesù nel senso moderno del termine; tuttavia è possibile risalire in una certa misura al Gesù della storia (non al Gesù degli storici!) ed alla sua predicazione. In primo luogo, sono le fonti che ci vietano di limitarci al kérygma della Chiesa primitiva: ogni versetto del Vangelo ci attesta che l'origine del cristianesimo non è la predicazione della Chiesa, né l’esperienza pasquale dei discepoli, né un’idea del Cristo. L'origine del cristianesimo è un avvenimento storico, e precisamente la comparsa dell'uomo Gesù di Nazareth, crocifisso sotto Ponzio Pilato, ed il suo messaggio.

    Scrive in proposito James H. Charlesworth:

    È evidente che gli evangelisti non erano interessati in via prioritaria a far sapere chi era stato il Gesù storico e che cosa aveva detto e fatto; ma sostenere che gli autori del Nuovo Testamento non s'interessavano affatto alle parole e alle azioni di Gesù anteriori alla sua morte sul Calvario, non esprime la loro posizione. Alcuni aspetti particolari della vita di Gesù erano essenziali alla vita quotidiana e alla riflessione dei suoi primi seguaci. Dalla vita di Gesù - come dalle antiche tradizioni formative - essi appresero come pensare, predicare, insegnare, sopportare sofferenze e perfino il martirio. Racconti su quello che Gesù aveva detto e fatto erano condivisi dai testimoni oculari, i quali ovviamente tendevano ad abbellire il racconto, ma dobbiamo ricordare che avevano anche una memoria eccezionale. Oggi noi studiosi passiamo così tanto tempo a leggere le fonti storiche primarie e la bibliografia secondaria da non possedere più la fertile memoria degli antichi, o di quelle persone che ancora oggi, nel Medio Oriente, sono in grado di recitare a memoria la Torah, il Corano o l'Iliade parola per parola1.

    NOTE AL TESTO

    1 Jesus within Judaism. New Light from Exciting Archaeological Discoveries, Garden City, Doubleday, 1988; trad. ital. Gesù nel giudaismo del suo tempo alla luce delle più recenti scoperte, Torino, Claudiana, 1994, p. 27.

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    AmarDio
    00 23/02/2010 18:20
    FONTI EXTRABIBLICHE DELLA STORICITA' DI GESU'

    Andrea Nicolotti

    INTRODUZIONE

      Natività

    Natività - Bassorilievo di Jacopo della Quercia, Portale della Chiesa di S. Petronio, Bologna

    Il presente capitolo si prefigge di raccogliere tutte le testimonianze storiche e tutte le reminiscenze sulla persona di Gesù di Nazareth e sui primi Cristiani, quali rinvenibili negli scritti di autori non cristiani dei primi due secoli dell’era volgare.

    Certamente tali testimonianze sono assai poche di fronte all’abbondanza delle fonti cristiane che trattano delle origini del cristianesimo; tuttavia, ciò non genera stupore nello storico, il quale è ben avvezzo a simili “penurie” di fonti. Gli scrittori non direttamente interessati a questa nuova fede, infatti, tendono a disinteressarsi di un fenomeno che per i primi tempi viene visto semplicemente come una questione religiosa interna al popolo ebraico. L’attenzione per il fenomeno cristiano nascerà solamente quando esso acquisterà una certa rilevanza sociale, tale da farlo balzare innanzi agli occhi di tutti.

    Per questo motivo, vedremo che le prime testimonianze non cristiane entrarono a far parte degli scritti dell’epoca per necessità pratiche e per motivi spesso contingenti; gli accenni a Gesù ed ai suoi seguaci, quando vengono inseriti in opere redatte in questi primi due secoli, sono digressioni che hanno la funzione di completare la narrazione di altri avvenimenti storici (Tacito, Svetonio), o sono parte di libri storici che trattano specificamente della Giudea (Giuseppe), o ancora sono contenuti all’interno di corrispondenza tra il potere romano centrale e le sue ramificazioni provinciali (Plinio, Adriano) oppure sono spunti polemici o satirici di pagani, Ebrei e filosofi contro i Cristiani (Petronio, Trifone, Apuleio, Marco Aurelio, Luciano, Galeno, Epitteto e Celso). Pertanto, le notizie storiche più interessanti riguardo al cristianesimo antico andranno successivamente ricercate tra gli scritti cristiani.

    Ecco, in ordine cronologico, queste testimonianze, di importanza e valore storico più o meno degno di nota.

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    AmarDio
    00 23/02/2010 18:21

    Andrea Nicolotti

    GIUSEPPE FLAVIO

      Giuseppe  Flavio

    Giuseppe Flavio

    Le prime chiare testimonianze storiche sulla persona di Gesù, ci sono tramandate dallo storico giudeo-romano Giuseppe Flavio (37-103 circa), che fu prima legato del Sinedrio, governatore della Galilea e comandante dell’esercito giudaico nella rivolta antiromana, ed in seguito consigliere al servizio dell’imperatore Vespasiano e di suo figlio Tito.

    Nella sua opera Antichità giudaiche (93-94), nella quale narra la storia ebraica da Abramo sino ai suoi tempi, egli fa un accenno indiretto a Gesù; l’occasione gli è fornita dal racconto della illegale lapidazione dell’apostolo Giacomo (detto tradizionalmente il Minore), che era a capo della comunità cristiana di Gerusalemme, avvenuta nel 62, descritto come un atto sconsiderato del sommo sacerdote nei confronti di un uomo virtuoso:

    “Anano […] convocò il sinedrio a giudizio e vi condusse il fratello di Gesù, detto il Cristo, di nome Giacomo, e alcuni altri, accusandoli di trasgressione della legge e condannandoli alla lapidazione” (Ant. XX, 200)1.

    In un altro passo, invece, egli fa menzione della figura di Giovanni Battista; Erode Antipa, per sposare Erodiade moglie del proprio fratello aveva ripudiato la figlia di Arete, re di Nabatene, la quale si rifugiò dal proprio padre. Ne sorse una guerra nel 36 in cui Erode fu sconfitto, e questo è il commento di Giuseppe:

    “Ad alcuni dei Giudei parve che l’esercito di Erode fosse stato annientato da Dio, il quale giustamente aveva vendicato l’uccisione di Giovanni soprannominato il Battista. Erode infatti mise a morte quel buon uomo che spingeva i Giudei che praticavano la virtù e osservavano la giustizia fra di loro e la pietà verso Dio a venire insieme al battesimo; così infatti sembrava a lui accettabile il battesimo, non già per il perdono di certi peccati commessi, ma per la purificazione del corpo, in quanto certamente l’anima è già purificata in anticipo per mezzo della giustizia. Ma quando si aggiunsero altre persone - infatti provarono il massimo piacere nell’ascoltare i suoi sermoni - temendo Erode la sua grandissima capacità di persuadere la gente, che non portasse a qualche sedizione - parevano infatti pronti a fare qualsiasi cosa dietro sua esortazione - ritenne molto meglio, prima che ne sorgesse qualche novità, sbarazzarsene prendendo l’iniziativa per primo, piuttosto che pentirsi dopo, messo alle strette in seguito ad un subbuglio. Ed egli per questo sospetto di Erode fu mandato in catene alla già citata fortezza di Macheronte, e colà fu ucciso”. (Ant. XVIII, 116-119)2.

    È interessante il motivo politico che Giuseppe aggiunge a quello addotto dai vangeli, ovvero le continue rampogne del battista ad Erode per la sua situazione adultera.

    Ma la testimonianza di gran lunga più interessante è contenuta nel capitolo decimottavo della medesima opera, ed è nota tra gli storici come Testimonium flavianum. Essa, a causa della difficoltà di alcune sue affermazioni, fu oggetto di un lungo dibattito fra gli studiosi. Così infatti si presenta nella forma a noi tramandata:

    “Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio, se pure bisogna chiamarlo uomo: era infatti autore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità, ed attirò a sé molti Giudei, e anche molti dei greci. Questi era il Cristo. E quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi, lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunziato i divini profeti queste e migliaia d’altre meraviglie riguardo a lui. Ancor oggi non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati Cristiani” (Ant. XVIII, 63-64)3.

    E’ evidente che le affermazioni evidenziate dal carattere corsivo, presentate in tal modo, sono di uno scrittore che crede alla divinità di Gesù, alla sua risurrezione, alla sua qualità di Messia (Cristo) predetto dai profeti; un giudeo non convertito al cristianesimo, qual era Giuseppe, non avrebbe mai potuto scrivere tali cose.

    Per questo motivo, a partire dal secolo XVI con Gifanio e Osiandro, l’autenticità del passo è stata messa in dubbio da un numero sempre crescente di commentatori, pur non mancando coloro che la difendevano anche tra autori di larga fama, quali F. K. Burkitt4, A. von Harnack5, C. G. Bretschneider e R. H. J. Schutt. Una gran parte di studiosi, invece, non giudicava il Testimonium come totalmente apocrifo, opera di getto d’un cristiano che l’ha inserito in quel punto della storia di Giuseppe, bensì lo riteneva un passo interpolato, scoprendovi il lavorio di una mano cristiana che avrebbe ritoccato volontariamente o involontariamente un tratto autentico delle Antichità6 (per ritocco involontario si allude ad un errore non così raro dei copisti, i quali talora inserivano inopportunamente nel testo alcune annotazioni o glosse marginali, apposte da qualche lettore; della possibilità di tale errore ci informano già gli antichi)7.

    Si è notato che se il passo su Gesù fosse stato costruito a tavolino da un interpolatore cristiano, sarebbe stato verosimilmente inserito subito dopo il resoconto di Giuseppe su Giovanni Battista, mentre in Giuseppe l’accenno a Gesù non segue il racconto di Giovanni. D’altra parte, sarebbe strano che Giuseppe abbia omesso di registrare qualche informazione su Gesù, dato che si occupa del Battista, di Giacomo e di altri personaggi del genere; né il cristianesimo, da storico qual era, gli poteva essere ignoto, essendo a quei tempi penetrato fin nella famiglia imperiale. Quando poi Giuseppe più avanti tratta di Giacomo, invece di indicare come si faceva di solito il nome del padre per identificarlo (Giacomo figlio di …), lo chiama “fratello di Gesù detto il Cristo”, senza aggiungere altro, lasciando intendere che questa figura era già nota ai suoi lettori. Se a ciò si aggiunge che Flavio Giuseppe parla già di altri “profeti” (come appunto Giovanni, oppure Teuda), è perfettamente plausibile che si sia occupato anche di Cristo.

    Esaminando il problema, notiamo che:

    1. Tutti i manoscritti greci delle opere di Giuseppe che noi possediamo dal secolo XI in giù, contengono questo passo nella medesima forma; esso è pure citato due volte dallo storico Eusebio di Cesarea nei primi decenni del IV secolo8. Quindi, a questo proposito, la tradizione testuale è forte.

    2. Origene, alla metà del secolo III, attribuisce al nostro Giuseppe l’affermazione che Gerusalemme fu distrutta per castigo divino in punizione del martirio dell’apostolo Giacomo, aggiungendo: “E la cosa sorprendente è che egli, pur non ammettendo il nostro Gesù essere il Cristo, ciò nondimeno rese a Giacomo attestazione di tanta giustizia” (Commentarium in Matthaeum X,17)9. Questa notizia pare essere in contraddizione con quanto si legge nel nostro Testimonium. In un’altra opera riprende il medesimo concetto, facendo egualmente rilevare come Giuseppe dica queste cose “sebbene non credente in Gesù come il Cristo” (Contra Celsum I,47)10. Di qui si ha la conferma di quanto ipotizzato riguardo alla fede non cristiana di Giuseppe. È invece discutibile la conoscenza che Origine mostra delle Antichità: vero è che Giuseppe considera iniqua la condanna sommaria di Giacomo, e la indica come la causa della deposizione del sommo sacerdote Anano da parte dell’autorità romana; egli infatti aveva convocato il sinedrio e pronunciato una condanna a morte senza il permesso del procuratore della Giudea, approfittando del periodo che incorse tra la morte di Festo e l’insediamento del successore Albino. Purtuttavia, Giuseppe Flavio in nessun passo afferma che per il martirio di Giacomo Gerusalemme si attirò la punizione divina, come ci dà ad intendere Origene. Nello stesso errore incorre Eusebio, che attribuisce a Giuseppe la medesima sentenza11. Secondo taluni12, poiché il medesimo Eusebio per i fatti di Giacomo utilizza ampiamente l’antico storico Egesippo13, vi fu una confusione tra le notizie di Egesippo e Giuseppe, forse anche favorita da una certa somiglianza dei nomi (pronunciati in greco rispettivamente Ighìsippos e Iòsipos). Questo ci può far pensare che Origene ed Eusebio non conoscessero a fondo le opere di Giuseppe, per lo meno in questi punti.

    3. Dal lato della critica interna, il linguaggio del Testimonium non è dissonante dallo stile di Giuseppe. Tra i tanti commentatori, è opportuno ricordare H. St. J. Thackeray, il quale trattò a lungo dell’argomento dal punto di vista stilistico e filologico, e da negatore assoluto della autenticità del passo divenne sostenitore della sua sostanziale autenticità, sposando la tesi della parziale interpolazione cristiana14.

    4. Il testo, se liberato dalle aggiunte evidenti, conserva un ottimo senso, sia grammaticalmente che storicamente; le aggiunte cristiane, che spezzano il fluire del discorso, sono tutte in forma parentetica, come se fossero state aggiunte in mezzo ad un testo preesistente. Se eliminate, rendono la narrazione più scorrevole. Alcune espressioni, inoltre, difficilmente appartengono ad un Cristiano (ad esempio, quando si dice che Pilato condannò a morte Cristo, si parla di "uomini notabili fra noi", come se l'autore fosse un Giudeo).

    5. Sono state proposte alcune correzioni che renderebbero il testo ancora meno “cristiano”. Ad esempio, la frase “maestro di uomini che accolgono con piacere la verità” potrebbe essere corretta in “maestro di uomini che accolgono con piacere le cose inconsuete” (a causa della somiglianza delle parole greche talêthê = la verità, e taêthê, le cose inconsuete). L’espressione taêthê è poco comune, e poteva essere più facilmente confusa con il più noto talêthê. In questo caso, la descrizione di Gesù come “autore di opere straordinarie” della riga precedente si attaglierebbe benissimo a questa osservazione. Più avanti, nella frase “E quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi, lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato”, se il kaí iniziale viene tradotto in senso avversativo (=ma) e non come semplice congiunzione (=e), si ha di fronte una considerazione sull’atteggiamento dei Cristiani, i quali avrebbero dovuto secondo l’autore abbandonare Gesù in seguito alla sua morte, ma invece continuarono a seguirlo.

    Una svolta decisiva nell’analisi del testo fu impressa nel 1971 dalla scoperta di una Storia universale scritta in Siria nel X secolo dal vescovo e storico cristiano Agapio di Ierapoli (in Frigia, Asia Minore), che riporta una traduzione araba del Testimonium. Essa rappresenta un testo migliore di quello greco tramandato, compatibile con il pensiero di Giuseppe e privo di quelle rielaborazioni cristiane che sono state contestate dai critici; in tal modo, parve confermare sia la sostanziale autenticità del passo, sia la teoria di coloro che già prima avevano ipotizzato un’interpolazione successiva con i soli metodi della critica interna15.

    Ecco il testo arabo:

    “Similmente dice Giuseppe l’ebreo, poiché egli racconta nei trattati che ha scritto sul governo dei Giudei: “Ci fu verso quel tempo un uomo saggio che era chiamato Gesù, che dimostrava una buona condotta di vita ed era considerato virtuoso (o: dotto), e aveva come allievi molta gente dei Giudei e degli altri popoli. Pilato lo condannò alla crocifissione e alla morte, ma coloro che erano stati suoi discepoli non rinunciarono al suo discepolato (o: dottrina) e raccontarono che egli era loro apparso tre giorni dopo la crocifissione ed era vivo, ed era probabilmente il Cristo del quale i profeti hanno detto meraviglie”16.

    Come è possibile notare da un semplice raffronto tra i due testi, siamo di fronte alle medesime informazioni: tuttavia, mentre nella recensione greca Giuseppe sembra riferire in prima persona le considerazioni “cristiane” nei riguardi di Gesù, quasi le condividesse, in quello arabo egli si limita esclusivamente a riportare quanto i discepoli di Gesù riferivano su di lui. Da parte sua, l’autore testimonia l’esistenza storica di quello che egli chiama in entrambi i testi un “uomo saggio”.

    L’importanza di questo testo più “puro” sta nel fatto che è opera di un vescovo cristiano: è difficile pensare che in uno scrittore cristiano il testo di Giuseppe sia stato modificato in senso minimizzante nei confronti di Gesù. Per cui, probabilmente, Agapio aveva di fronte una migliore recensione del testo di Giuseppe17. “Migliore recensione” non significa “originale”; egli infatti traduceva da una versione siriaca, forse anch’essa viziata da qualche intervento redazionale spurio.

    Alla luce di tutto ciò, i critici moderni sono ormai concordi nel ritenere il passo del Testimonium come sostanzialmente autentico nella sua testimonianza storica di Gesù, sebbene abbia subito prima del secolo IV delle interpolazioni cristiane18.

    Quanto ci interessa rilevare, in sostanza, è che Giuseppe Flavio cita nelle sue opere storiche tre personaggi evangelici, ovvero Giovanni Battista, Giacomo il Minore e Gesù medesimo, collocando intorno all’anno 30 d.C. l’attività e la morte di quest’ultimo, per mano di Ponzio Pilato su denuncia delle autorità giudaiche dell’epoca


    NOTE AL TESTO

    1 `O ”Ananoj [..] kaq…zei sunšdrion kritîn kaˆ paragagën e„j aÙtÕ tÕn ¢delfÕn 'Ihsoà toà legomšnou Cristoà, 'I£kwboj Ônoma aÙtù, ka… tinaj ˜tšrouj, æj paranomhs£ntwn kathgor…an poihs£menoj paršdwke leusqhsomšnouj. Ed. B. Niese, Berolini, 1885-1892.

    2 Tisˆ d tîn 'Iouda…wn ™dÒkei Ñlwlšnai tÕn `Hrèdou stratÕn ØpÕ toà qeoà kaˆ m£la dika…wj tinnumšnou kat¦ poin¾n 'Iw£nnou toà ™pikaloumšnou baptistoà. Kte…nei g¦r d¾ toàton `Hrèdhj ¢gaqÕn ¥ndra kaˆ to‹j 'Iouda…oij keleÚonta ¢ret¾n ™paskoàsin kaˆ t¦ prÕj ¢ll»louj dikaiosÚnV kaˆ prÕj tÕn qeÕn eÙsebe…v crwmšnoij baptismù sunišnai: oÛtw g¦r d¾ kaˆ t¾n b£ptisin ¢podekt¾n aÙtù fane‹sqai m¾ ™p… tinwn ¡mart£dwn parait»sei crwmšnwn, ¢ll' ™f' ¡gne…v toà sèmatoj, ¤te d¾ kaˆ tÁj yucÁj dikaiosÚnV proekkekaqarmšnhj. Kaˆ tîn ¥llwn sustrefomšnwn, kaˆ g¦r ¼sqhsan ™pˆ ple‹ston tÍ ¢kro£sei tîn lÒgwn, de…saj `Hrèdhj tÕ ™pˆ tosÒnde piqanÕn aÙtoà to‹j ¢nqrèpoij m¾ ™pˆ ¢post£sei tinˆ fšroi, p£nta g¦r ™ókesan sumboulÍ tÍ ™ke…nou pr£xontej, polÝ kre‹tton ¹ge‹tai pr…n ti neèteron ™x aÙtoà genšsqai prolabën ¢nele‹n toà metabolÁj genomšnhj [m¾] e„j pr£gmata ™mpesën metanoe‹n. Kaˆ Ð mn Øpoy…v tÍ `Hrèdou dšsmioj e„j tÕn Macairoànta pemfqeˆj tÕ proeirhmšnon froÚrion taÚtV kt…nnutai.

    3 G…netai d kat¦ toàton tÕn crÒnon 'Ihsoàj sofÕj ¢n»r, e‡ge ¥ndra aÙtÕn lšgein cr»· Ãn g¦r paradÒxwn œrgwn poiht»j, did£skaloj ¢nqrèpwn tîn ¹donÍ t¢lhqÁ decomšnwn, kaˆ polloÝj mn 'Iouda…ouj, polloÝj d kaˆ toà `Ellhnikoà ™phg£geto· `O CristÕj oátoj Ãn. Kaˆ aÙtÕn ™nde…xei tîn prètwn ¢ndrîn par' ¹m‹n staurù ™pitetimhkÒtoj Pil£tou oÙk ™paÚsanto oƒ tÕ prîton ¢gap»santej· ™f£nh g¦r aÙto‹j tr…thn œcwn ¹mšran p£lin zîn tîn qe…wn profhtîn taàt£ te kaˆ ¥lla mur…a perˆ aÙtoà qaum£sia e„rhkÒtwn. E„j œti te nàn tîn Cristianîn ¢pÕ toàde çnomasmšnon oÙk ™pšlipe tÕ fàlon.

    4 In «Theologisch Tijdschrift» (1913), p. 135 ss.

    5 Der jüdisch Geschichtsschreiber Josephus und Jesus Christus, in «Internationale Monatsschrift für Wissenschaft, Kunst und Technik» VII (1913), coll. 1037-1068. Ma la posizione dell'autore non fu sempre coerente.

    6 Già alla fine del XIX secolo T. REINACH sosteneva questa tesi; cfr. in «Revue des Études juives» XXXV (1897), p. 1 ss. Egli fu uno di coloro che tentarono di recuperare i testo originale espungendo quei passi che parevano inaccettabili. Più recentemente E. Bammel ha tentato anch’egli una ricostruzione, ottenendo il massimo mutamento di significato con minime alterazioni testuali (poche lettere all’interno delle parole); cfr. O. BETZ et alii (a cura di), Josephus Studien, Göttingen, 1974, pp. 9-22. In generale sulle posizioni degli studiosi, cfr. A. M. DUBARLE, L’originalité du témoignage de Flavius Josèphe sur Jésus, in «Recherches des Sciences Religieuses» LII (1964), pp. 177-203, e É. NODET, Jesus et Jean Baptiste selon Josèphe, in «Revue Biblique» XCII (1985), pp. 76-103.

    7 HIERONYMUS, Epistula CVI, 46: "Mi stupisco del fatto che non so qual temerario ha pensato di dover incorporare nel testo una nostra annotazione marginale, che abbiamo scritto per istruzione del lettore [...] Perciò se è stato aggiunto qualcosa a lato per studio, non deve essere incorporato al testo"; ed. J. Labourt, Paris, 1995, pp. 124-125. Vedi anche per lo stesso problema le osservazioni di Galeno (Claudii Galeni opera omnia, ed. C. G. Kühn, Leipzig, 1824, XVI, 202; XVII, 634). Cfr. R. DEVREESSE, Introduction à l'étude des manuscrits grecs, Paris, Imprimerie National, 1954, p. 81.

    8 Historia ecclesiastica I, 11; Demonstratio evangelica III, 3, 105-106.

    9 Kaˆ «tÕ qaumastÒn ™stin» Óti, tÕn 'Ihsoàn ¹mîn oÙ katadex£menoj enai CristÒn, oÙdn Âtton 'IakèbJ dikaiosÚnhn ™martÚrhse tosaÚthn. Ed. E. Klostermann, Leipzig, 1933.

    10 Ka…toi ge ¢pistîn tù 'Ihsoà æj Cristù. Ed. M. Borret, Paris, 1967.

    11 Historia ecclesiastica II, 23, 20.

    12 Ad esempio si veda G. RICCIOTTI, in Flavio Giuseppe, lo storico Giudeo-romano, vol. I, Torino, 19492, p. 157.

    13 Ivi, II, 23, 4-18. Egesippo era uno storico attivo all’epoca dell’imperatore Marco Aurelio (161-180), noto per i suoi cinque libri di Memorie, di cui conserviamo qualche frammento.

    14 L’analisi minuziosa del passo si trova in Josephus: the Man and the Historian, New York, 1929, pp. 136-149. A p. 137 Thackeray afferma: “L’evidenza del linguaggio, che da un lato mostra segni dello stile dell’autore, e dall’altro non è quello che avrebbe usato un cristiano, mi appare decisiva”, e ancora, a p. 142: “Il criterio dello stile fa pendere la bilancia in favore dell’autenticità del passaggio considerato nel suo complesso, se non in ogni dettaglio. Se il testo fu mutilato e modificato, lo fu almeno su una base di Giuseppe”.

    15 Cfr. S. PINÈS, An arabic version of the Testimonium Flavianum and its implications, Jerusalem, 1971.

    16 Traduzione tratta da J. MAIER, Gesù Cristo e il cristianesimo nella tradizione giudaica antica, Brescia 1994, p. 65.

    17 In un recente articolo Pier Angelo Gramaglia, col metodo dell’analisi linguistica e tramite una retroversione greca del testo arabo, sminuisce l’importanza della recensione araba del testo come testimonianza di un testo puro di Giuseppe (Il Testimonium Flavianum. Analisi linguistica, in «Henoch» XX (1998), pp. 153-177). Come si può vedere, la questione è ancora aperta.

    18 Per una ricognizione delle interpretazioni del passo nei secoli, si veda A. WHEALEY, Josephus on Jesus: The Testimoniun Flavianum from Antiquity all'indirizzo http://www.josephus.yorku.ca/pdf/whealey2000.pdf. In genere, sul sito http://www.josephus.yorku.ca/ si trova una buona bibliografia.

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    AmarDio
    00 23/02/2010 18:22

    Andrea Nicolotti


    CORNELIO TACITO



    Tacito

    Tacito



    Il grande storico romano Tacito (54-119), pretore, oratore, consul suffectus e proconsole in Asia, scrisse attorno al 112 i suoi 16 libri di Annali, che narrano la storia romana dalla fine del principato di Augusto (14 d.C.) alla morte dell’imperatore Nerone (68).


    Nel 64 scoppiò il grande e ben noto incendio della città di Roma, del quale il medesimo imperatore fu accusato dall’opinione pubblica; il nostro storico ci narra che Nerone cercò in tutti i modi di favorire le vittime del disastro e di stornare da sé l’accusa che pendeva sul suo capo, con vari provvedimenti1



    “Tuttavia né con sforzo umano, né per le munificenze del principe o cerimonie propiziatorie agli dei perdeva credito l’infamante accusa secondo la quale si credeva che l’incendio fosse stato comandato”



    A questo punto si inserisce il riferimento a Cristo ed ai suoi seguaci:



    Perciò, per far cessare tale diceria, Nerone si inventò dei colpevoli e sottomise a pene raffinatissime coloro che la plebaglia, detestandoli a causa delle loro nefandezze, denominava cristiani. Origine di questo nome era Cristo, il quale sotto l'impero di Tiberio era stato condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato; e, momentaneamente sopita, questa esiziale superstizione di nuovo si diffondeva, non solo per la Giudea, focolare di quel morbo, ma anche a Roma, dove da ogni parte confluisce e viene tenuto in onore tutto ciò che vi è di turpe e di vergognoso. Perciò, da principio vennero arrestati coloro che confessavano, quindi, dietro denuncia di questi, fu condannata una ingente moltitudine, non tanto per l’accusa dell'incendio, quanto per odio del genere umano. Inoltre, a quelli che andavano a morire si aggiungevano beffe: coperti di pelli ferine, perivano dilaniati dai cani, o venivano crocifissi oppure arsi vivi in guisa di torce, per servire da illuminazione notturna al calare della notte. Nerone aveva offerto i suoi giardini e celebrava giochi circensi, mescolato alla plebe in veste d’auriga o ritto sul cocchio. Perciò, benché si trattasse di rei, meritevoli di pene severissime, nasceva un senso di pietà, in quanto venivano uccisi non per il bene comune, ma per la ferocia di un solo uomo (Ann. XV, 44)2



    La descrizione di Tacito ci informa innanzitutto che a quell’epoca la comunità cristiana di Roma disponeva di un considerevole numero di membri, poiché una ingens multitudo rappresenta certo un numero considerevole. Poi, ci fornisce qualche spunto anche per comprendere quale fosse l’idea della Roma pagana riguardo a questa nuova fede.


    Tacito ci fa notare che i cristiani erano invisi al popolo “a causa delle loro nefandezze”, e che la loro fede era una “esiziale superstizione”; essi sono definiti “rei” e “meritevoli di pene severissime”, accusati di “odio del genere umano”.


    Il cristianesimo era agli occhi dei pagani una superstitio nova, e i cristiani erano dei molitores rerum novarum, perché introducevano un culto e uno stile di vita assai diverso da quello tradizionale. Superstitio non è più, nel linguaggio romano, un sinonimo di religio, ma ne è l’opposto; superstitiones sono quei culti stranieri o innovatori che non corrispondono alla tradizione degli antenati (mos maiorum) e non hanno ricevuto pubblico riconoscimento. Così, fin dall’epoca antica, stabiliva la prescrizione attribuita al re Numa e riportata da Cicerone: “Nessuno abbia proprie divinità nuove o straniere, non riconosciute pubblicamente”3. Superstitiones sono definiti quindi tutti i culti orientali, il cui carattere a lor modo di vedere smodato (immodicus) non può non suscitare una istintiva diffidenza agli occhi del romano colto; non sono esenti da questa accusa il giudaismo e la religione egiziana.


    Il cristianesimo è dunque una superstizione straniera, e per di più dotata dell’eccesso comune ai culti orientali; è una “superstizione nuova”, per cui non gode neppure della caratteristica dell’antichità, che dai Romani veniva sempre guardata con grande rispetto4.


    La colpa dei cristiani è quella riassunta dall’espressione “odio del genere umano”: essi costituivano nella società imperiale un gruppo a sé, estraniato dalla vita pubblica e dalla religiosità comune, che era un elemento di coesione sociale. Il rifiuto di adesione alla religione dello stato era visto come un atto di sovversione politica, esattamente come la tendenza a rifiutare costumi ed istituzioni tradizionali e ad estraniarsi dalla vita pubblica. La stessa accusa era stata rivolta dagli scrittori greci ai Giudei, e il medesimo Tacito la aveva già affibbiata a loro, come ora fa con i Cristiani, tacciandoli di “ostile odio verso tutti gli altri”5. Ma mentre gli Ebrei potevano vantare l’antichità del loro culto, i Cristiani non erano visti altrimenti che come una pianta avulsa dal ceppo giudaico. Negli stessi anni, Plinio il Giovane pare essersi parzialmente ricreduto circa i pregiudizi che derivavano da tal giudizio, come ci indica la lettera che esamineremo più avanti.


    Le poche parole di Tacito riferite a Gesù Cristo, mostrano che egli è ben informato a riguardo, e che la fonte a cui attinse dovette su questo punto essere ottima. Invero si sa che Tacito raccoglie le notizie con molta circospezione, al punto che talora si è potuto con buon esito riconoscere i documenti preesistenti di cui egli si è valso, e in qualche modo stabilire le derivazioni delle notizie riferite. Il fatto che Tacito non usi le classiche espressioni del “sentito dire”, quali ferunt, tradunt (si dice, si racconta) ci fa pensare che egli attingesse a notizie di prima mano.


    Il problema delle fonti delle quali Tacito si è avvalso è un tema ancora aperto, ma la critica ha oramai raggiunto dei risultati assodati6. Innanzitutto Tacito, per la sua posizione politica, aveva accesso agli acta senatus, ovvero i verbali delle sedute del senato romano, e gli acta diurna populi Romani, ovvero gli atti governativi e le notizie su ciò che accadeva giorno per giorno. Egli è comunemente riconosciuto come storico tra i più scrupolosi, come ci attesta anche l’antica testimonianza di Plinio il Giovane che ne loda la diligentia7; Tacito si dedicò infatti con gran diligenza e scrupolo alla raccolta di informazioni e notizie, utilizzando non solo fonti letterarie, ma anche documentarie. Certo anch’egli, come era costume, seguì pure i lavori degli storici precedenti: egli stesso cita le opere di quattro autori, ovvero Plinio il Vecchio, Vipsiano Messalla, Cluvio Rufo e Fabio Rustico. Difficile è però la ricostruzione precisa delle fonti (tutte perdute) usate per ogni singola sezione della sua opera, che erano probabilmente le stesse cui attinsero anche i contemporanei Svetonio e Plutarco, come dimostrano certe concordanze assai precise su alcuni argomenti comuni.


    Gli annali di Tacito

    Cominciamo con il famoso storico latino Tacito Publio Cornelio, vissuto all’incirca tra gli anni 55 e 120 d.C., quindi appena dopo la morte di Gesù. Egli, riportando nei suoi scritti la decisione dell'imperatore Nerone di riversare sui cristiani la colpa dell'incendio che distrusse Roma nel 64 d.C., tra gli anni 112 e 117 scrisse: «Perciò, per far cessare tale diceria (la diceria è quella che accusava Nerone di aver comandato l’incendiato di Roma), Nerone si inventò dei colpevoli e sottomise a pene raffinatissime coloro che la plebaglia, detestandoli a causa delle loro nefandezze, denominava cristiani. Origine di questo nome era Cristo, il quale sotto l'impero di Tiberio (imperatore dal 14 al 37 d.C.), era stato condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato; …».  (Tacito, Annali XV).

    In questo passo della racconto storico di Tacito troviamo tre conferme chiare e precise che riguardano Gesù e il racconto della sua morte che troviamo nei Vangeli. Come i Vangeli anche Tacito afferma che: Cristo è morto crocifisso (“condannato al supplizio”) “durante il regno di Tiberio” per decisione del procuratore romano Ponzio Pilato, e che il titolo di Cristiani dato ai discepoli di questo Cristo, deriva dal nome di costui. Il chè dimostra che Gesù è un uomo realmente esistito.

    In questo scritto di Tacito troviamo anche un’altra conferma molto importante per il Cristianesimo, e cioè: nell'anno 64 d.C. a Roma viveva un grosso numero di seguaci di quel Gesù che era morto poco più di 30 anni prima. Gruppo formatosi negli anni. Questo lo si desume dal fatto storicamente accertato che Nerone nel 64 d.C. diede la colpa dell’incendio di Roma ai cristiani, perché siccome essi disprezzati dalla “plebaglia”, cioè dal popolo, erano un perfetto “capro espiatorio”. Difatti, per poter essere odiati dalla maggioranza della gente comune, non basta un piccolo numero di persone e nemmeno basta qualche anno affinché cresca un disprezzo e un odio di tale portata, ma è necessario che vi sia stato un tempo abbastanza lungo e un numero di persone sempre maggiore, per alimentare il crescere e il diffondersi di questo sentimento. Quindi, come afferma la Bibbia nella Lettera ai Romani, a Roma il Cristianesimo è nato subito dopo la morte di Gesù (Romani 1,7-15).

    Questo è un altro tassello extra-biblico che conferma pienamente che la Bibbia dice il vero.

    A riguardo delle molte calunnie fatte contro i Cristiani (su cui aveva anche fatto leva Nerone per accusarli dell'incendio di Roma), il cartaginese Quinto Settimio Fiorente Tertulliano, avvocato e letterato, vissuto all’incirca tra gli anni 160-222 d.C., dichiarò espressamente che esse (le calunnie e le condanne contro i cristiani) non avevano nulla a che fare con i motivi delle sentenze di morte. Egli scrive: «Le vostre sentenze muovono da un solo delitto: la confessione dell’essere cristiano. Nessun crimine è ricordato, se non il crimine del nome»; e al riguardo della formula di queste sentenze, aggiunge: «In fin dei conti, che cosa leggete dalla tavoletta? 'Egli è cristiano'. Perché non aggiungete anche omicida?».
    -------------------------------------

    Si è detto che Plinio il Vecchio (23-79, deceduto mentre osservava l’eruzione del Vesuvio) è una delle fonti esplicitamente citate da Tacito; egli, inoltre, era amico del nipote di lui, Plinio il Giovane, il cui grande legame ci è testimoniato dall’epistolario incorso tra i due.

    Prima di parlare delle guerre giudaiche Tacito ha una digressione sulla Giudea che, nell’insieme, riproduce una descrizione fatta da Plinio il Vecchio nel libro V della sua Naturalis historia8. Ora, sappiamo che Plinio conosceva la Palestina direttamente, in quanto si era colà recato e forse aveva preso parte alla guerra del 70; sappiamo anche che la sua opera più importante ed ambiziosa, alla quale certamente Tacito attinse, fu la perduta A fine Aufidi Bassi, che trattava il periodo tra la fine dell’impero di Claudio e l’ascesa di Vespasiano, e che fu pubblicata postuma dal nipote. Per questo, si è avanzata da alcuni l’ipotesi che Tacito, nel riferire notizie su Gesù, abbia seguito una qualche citazione di Plinio, oggi perduta9; questa congettura, pur essendo assai seducente, deve ancora essere sottoposta a verifica.

    Una analisi di questo passaggio di Tacito da parte dei Proff. Marius Lavency e Ludovic Wankenne dell'università di Lovanio è reperibile in rete, in lingua francese, ai seguenti indirizzi: http://bcs.fltr.ucl.ac.be/FE/02/TacitLav.html, http://bcs.fltr.ucl.ac.be/FE/02/TacitWank.html


    NOTE AL TESTO

    1 Cfr. J: BEAUJEU, L’incende de Rome en 64 et les Chrétiens, Bruxelles, 1960.

    2 Sed non ope humana, non largitionibus principis aut deum placamentis decedebat infamia quin iussum incendium crederetur. Ergo abolendo rumori Nero subdidit reos et quaesitissimis poenis adfecit, quos per flagitia invisos vulgus Christianos appellabat. Auctor nominis eius Christus Tiberio imperitante per procuratorem Pontium Pilatum supplicio adfectus erat; repressaque in praesens exitiabilis superstitio rursum erumpebat, non modo per Iudaeam, originem eius mali, sed per urbem etiam quo cuncta undique atrocia aut pudenda confluunt celebranturque. Igitur primum correpti qui fatebantur, deinde indicio eorum multitudo ingens haud proinde in crimine incendii quam odio humani generis convicti sunt. Et pereuntibus addita ludibria, ut ferarum tergis contecti laniatu canum interirent, aut crucibus adfixi aut flammandi, atque ubi defecisset dies in usum nocturni luminis urerentur. Hortos suos ei spectaculo Nero obtulerat et circense ludicrum edebat, habitu aurigae permixtus plebi vel curriculo insistens. Unde quamquam adversus sontis et novissima exempla meritos miseratio oriebatur, tamquam non utilitate publica sed in saevitiam unius absumerentur. Ed. E. Koestermann, Lipsiae 1965.

    3 De legibus II, 8, 19.

    4 I riti dei Giudei, ad esempio, per quanto diversi da quelli di tutti gli altri popoli, vanno difesi per la loro antichità. Cfr. TACITO, Historiae, V, 5, 1. Sui rapporti tra Roma e il cristianesimo, si vedano P. DE LABRIOLLE, La réaction païenne, Paris, 1934; M. SORDI, I Cristiani e l’impero romano, Milano, 1984; G. JOSSA, I Cristiani e l’impero romano da Tiberio a Marco Aurelio, Napoli, 1991.

    5 Historiae V, 5.

    6 Cfr. G. GARBARINO (a cura di), Letteratura latina, Torino, 1992, vol. III, p. 392-393; G. B. CONTE – E. PIANEZZOLA, Storia e testi della letteratura latina, Firenze, 1989, vol. III, p. 326.

    7 Epistulae VII,33.

    8 Historiae V, 2-13; Naturalis historia V,15.

    9 Ipotesi suggerita da P. BATIFFOL, Il valore storico dei vangeli, Firenze, 1913, p. 45.


    [Modificato da Credente 24/08/2020 11:55]
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    AmarDio
    00 23/02/2010 18:23

    Andrea Nicolotti


    PLINIO IL GIOVANE



      Plinio il Giovane

    Plinio il Giovane, statua dall'edicola dei fratelli Rodari (Como, lunetta del portale mediano della cattedrale)

    Gaio Cecilio Plinio Secondo (61-112/113), nipote dello storiografo Plinio il Vecchio, fu allievo del famoso retore Quintiliano, avvocato, consul suffectus e governatore della Bitinia e del Ponto. Egli ci ha lasciato una raccolta di epistole contenute in 10 libri, l’ultimo dei quali contiene il carteggio ufficiale tra lui e l’imperatore Traiano. Queste lettere risalgono per lo più al periodo del governatorato di Plinio in Bitinia, ovvero agli anni 111-113, e sono una fonte documentaria di eccezionale importanza.

    In una di queste lettere - scritta nello stesso periodo in cui l’amico Tacito redigeva il suo racconto sulla persecuzione cristiana del 64 - egli si rivolge a Traiano per ottenere istruzioni da seguirsi nel trattare con i cristiani della Bitinia e del Ponto, ove, come detto, ricopriva la carica di legato con potere consolare.

    Eccone il testo:

    “E’ per me un dovere, o signore, deferire a te tutte le questioni in merito alle quali sono incerto. Chi infatti può meglio dirigere la mia titubanza o istruire la mia incompetenza?
    Non ho mai preso parte ad istruttorie a carico dei Cristiani; pertanto, non so che cosa e fino a qual punto si sia soliti punire o inquisire. Ho anche assai dubitato se si debba tener conto di qualche differenza di anni; se anche i fanciulli della più tenera età vadano trattati diversamente dagli uomini nel pieno del vigore; se si conceda grazia in seguito al pentimento, o se a colui che sia stato comunque cristiano non giovi affatto l’aver cessato di esserlo; se vada punito il nome di per se stesso, pur se esente da colpe, oppure le colpe connesse al nome.

    Nel frattempo, con coloro che mi venivano deferiti quali Cristiani, ho seguito questa procedura: chiedevo loro se fossero Cristiani. Se confessavano, li interrogavo una seconda e una terza volta, minacciandoli di pena capitale; quelli che perseveravano, li ho mandati a morte. Infatti non dubitavo che, qualunque cosa confessassero, dovesse essere punita la loro pertinacia e la loro cocciuta ostinazione. Ve ne furono altri affetti dalla medesima follia, i quali, poiché erano cittadini romani, ordinai che fossero rimandati a Roma. Ben presto, poiché si accrebbero le imputazioni, come avviene di solito per il fatto stesso di trattare tali questioni, mi capitarono innanzi diversi casi.

    Venne messo in circolazione un libello anonimo che conteneva molti nomi. Coloro che negavano di essere cristiani, o di esserlo stati, ritenni di doverli rimettere in libertà, quando, dopo aver ripetuto quanto io formulavo, invocavano gli dei e veneravano la tua immagine, che a questo scopo avevo fatto portare assieme ai simulacri dei numi, e quando imprecavano contro Cristo, cosa che si dice sia impossibile ad ottenersi da coloro che siano veramente Cristiani.

    Altri, denunciati da un delatore, dissero di essere cristiani, ma subito dopo lo negarono; lo erano stati, ma avevano cessato di esserlo, chi da tre anni, chi da molti anni prima, alcuni persino da vent’anni. Anche tutti costoro venerarono la tua immagine e i simulacri degli dei, e imprecarono contro Cristo.

    Affermavano inoltre che tutta la loro colpa o errore consisteva nell’esser soliti riunirsi prima dell’alba e intonare a cori alterni un inno a Cristo come se fosse un dio, e obbligarsi con giuramento non a perpetrare qualche delitto, ma a non commettere né furti, né frodi, né adulteri, a non mancare alla parola data e a non rifiutare la restituzione di un deposito, qualora ne fossero richiesti. Fatto ciò, avevano la consuetudine di ritirarsi e riunirsi poi nuovamente per prendere un cibo, ad ogni modo comune e innocente, cosa che cessarono di fare dopo il mio editto nel quale, secondo le tue disposizioni, avevo proibito l’esistenza di sodalizi. Per questo, ancor più ritenni necessario l’interrogare due ancelle, che erano dette ministre, per sapere quale sfondo di verità ci fosse, ricorrendo pure alla tortura. Non ho trovato null’altro al di fuori di una superstizione balorda e smodata.

    Perciò, differita l’istruttoria, mi sono affrettato a richiedere il tuo parere. Mi parve infatti cosa degna di consultazione, soprattutto per il numero di coloro che sono coinvolti in questo pericolo; molte persone di ogni età, ceto sociale e di entrambi i sessi, vengono trascinati, e ancora lo saranno, in questo pericolo. Né soltanto la città, ma anche i borghi e le campagne sono pervase dal contagio di questa superstizione; credo però che possa esser ancora fermata e riportata nella norma” (Epist. X, 96, 1-9)1

    Segue la concisa risposta dell’imperatore Traiano:

    Traiano imperatore
    Traiano imperatore

    “Mio caro Plinio, nell’istruttoria dei processi di coloro che ti sono stati denunciati come Cristiani, hai seguito la procedura alla quale dovevi attenerti. Non può essere stabilita infatti una regola generale che abbia, per così dire, un carattere rigido. Non li si deve ricercare; qualora vengano denunciati e riconosciuti colpevoli, li si deve punire, ma in modo tale che colui che avrà negato di essere cristiano e lo avrà dimostrato con i fatti, cioè rivolgendo suppliche ai nostri dei, quantunque abbia suscitato sospetti in passato, ottenga il perdono per il suo ravvedimento. Quanto ai libelli anonimi messi in circolazione, non devono godere di considerazione in alcun processo; infatti è prassi di pessimo esempio, indegna dei nostri tempi” (Epist. X, 97)2

    Plinio, da quanto si ricava da questa epistola, ma in genere da tutto il carteggio, ci appare come un funzionario scrupoloso e leale, ma anche alquanto indeciso, in balia alla costante preoccupazione di non prendere iniziative personali che rischino di essere disapprovate dal suo superiore. A ciò, da quanto trapela dalle risposte, fa riscontro l’energica e sbrigativa sicurezza dell’imperatore, che talora appare perfino infastidito dai continui quesiti di Plinio; lo stile di tali risposte rispecchia, specie nel lessico, il linguaggio tecnico-amministrativo della cancelleria imperiale.

    Plinio, nella sua epistola, ci informa di non aver mai “preso parte ad istruttorie a carico dei Cristiani”; l’uso del termine cognitiones ci informa che doveva trattarsi di veri e propri processi, e non solo di comuni operazioni di polizia. Per questo motivo, egli non sa come deve comportarsi, ed eventualmente quanto deve tenere in conto l’età, l’eventuale precedente apostasia dalla fede e il ravvedimento. Soprattutto, egli non sa se deve processare il cristiano semplicemente come tale, o per i delitti che una tale qualifica supponeva. Rispondendo, Traiano non scioglie espressamente questo dubbio; ma dalla sua risposta risulta nettamente che era il solo nome di cristiano ad essere processato, ciò che del resto risulta anche da altri documenti, apologie, atti dei martiri, etc.

    In effetti, non sono oggetto di inquisizione le consuete accuse che il volgo rivolgeva ai cristiani, le nefandezze che registrava Tacito3. Né Plinio avvalora tali accuse di crimina occulta; anzi, descrivendo il pasto comune dei cristiani come semplice ed innocente, rigetta implicitamente le dicerie di infanticidio, riunioni edipodee e cene tiestee in cui ci si cibava di infanti (cattiva comprensione dell’eucarestia, in cui ci si cibava del corpo di Cristo?), e non ritiene i cristiani pericolosi membri di eterìe, sodalizi sovversivi. Ugualmente, egli ritiene che “qualunque cosa confessassero, dovesse essere punita la loro pertinacia e la loro cocciuta ostinazione”.

    Il cartaginese Quinto Settimio Fiorente Tertulliano (160-222 circa), avvocato e letterato, assieme agli altri apologisti si è ampiamente diffuso su queste calunnie che circolavano tra il popolino (su cui aveva già fatto leva Nerone per accusare i cristiani dell’incendio di Roma), dichiarando espressamente che comunque non avevano nulla a vedere con i motivi delle sentenze di morte: “Le vostre sentenze”, scrive, “muovono da un solo delitto: la confessione dell’essere cristiano. Nessun crimine è ricordato, se non il crimine del nome”4. Egli anzi cita la formula di queste sentenze: “In fin dei conti, che cosa leggete dalla tavoletta? Egli è cristiano. Perché non aggiungete anche omicida?”5

    Il procedimento di Plinio è il seguente: egli interroga i presunti cristiani, e se essi risultano tali, e non ritrattano entro il terzo interrogatorio, li manda a morte. Per coloro che neghino di essere cristiani, o dicano di esserlo stato in passato, anche vent’anni prima (allusione alle apostasie dovute alla persecuzione di Domiziano?), egli pretende la dimostrazione di quanto affermano, inducendoli a sacrificare agli dei, a venerare l’effigie dell’imperatore e a imprecare contro Cristo.

    Traiano approva la procedura del suo subordinato, aggiungendo che i cristiani non vanno ricercati, ma quando vengano denunciati debbono essere mandati al patibolo.

    Tale curiosa istruzione sarà criticata ferocemente dagli apologisti cristiani successivi: i cristiani non vanno ricercati; se denunciati, vanno puniti, a meno che non ritrattino la loro fede. Evidentemente, se i cristiani fossero stati accusati di delitti veri e propri, non si vede perché non avrebbero dovuto essere giudicati per quanto avevano fatto; e se fossero stati individui colpevoli e pericolosi, avrebbero dovuto essere ricercati, per rendere conto dei loro misfatti.

    Così Tertulliano commenta tali disposizioni imperiali:

    “Scopriamo pure che nei nostri confronti è persino proibita l’indagine. […] Traiano rispose che non si doveva ricercare questa gente, però la si doveva punire se veniva denunciata. O sentenza apertamente contraddittoria! Dice che non vanno ricercati, come se fossero innocenti, e comanda che siano puniti, come se fossero colpevoli. Risparmia ed infierisce, sorvola e punisce. Per qual motivo esponi te stesso alla censura? Se li condanni, perché allora non li fai ricercare? Se non li ricerchi, perché allora non li assolvi? […] Dunque voi condannate un accusato che nessuno volle si ricercasse, il quale, mi pare, non ha meritato la pena perché colpevole, ma perché, non dovendo essere ricercato, si è fatto prendere” (Apolog. II, 6-11)6.

    Il rescritto di Traiano è un documento della incerta situazione in cui il governo si trovava di fronte al successo della propaganda cristiana, e della mancanza di una precisa e coerente legislazione in merito; ma l’epistola di Plinio ci procura anche una descrizione della vita religiosa di quei cristiani della Bitinia e del Ponto. Essi “sono soliti riunirsi prima dell’alba e intonare a cori alterni un inno a Cristo come se fosse un dio, e obbligarsi con giuramento non a perpetrare qualche delitto, ma a non commettere né furti, né frodi, né adulteri, a non mancare alla parola data e a non rifiutare la restituzione di un deposito, qualora ne fossero richiesti. Fatto ciò, avevano la consuetudine di ritirarsi e riunirsi poi nuovamente per prendere un cibo, ad ogni modo comune e innocente”. Oltre al riferimento a Cristo, ed al suo culto, abbiamo il primo accenno alla celebrazione dell’eucarestia.


    NOTE AL TESTO

    1 Sollemne est mihi, domine, omnia de quibus dubito ad te referre. Quis enim potest melius vel cunctationem meam regere vel ignorantiam instruere? Cognitionibus de Christianis interfui numquam: ideo nescio quid et quatenus aut puniri soleat aut quaeri. Nec mediocriter haesitavi, sitne aliquod discrimen aetatum, an quamlibet teneri nihil a robustioribus differant; detur paenitentiae venia, an ei, qui omnino Christianus fuit, desisse non prosit; nomen ipsum, si flagitiis careat, an flagitia cohaerentia nomini puniantur. Interim, <in> iis qui ad me tamquam Christiani deferebantur, hunc sum secutus modum. Interrogavi ipsos an essent Christiani. Confitentes iterum ac tertio interrogavi supplicium minatus: perseverantes duci iussi. Neque enim dubitabam, qualecumque esset quod faterentur, pertinaciam certe et inflexibilem obstinationem debere puniri. Fuerunt alii similis amentiae, quos, quia cives Romani erant, adnotavi in urbem remittendos. Mox ipso tractatu, ut fieri solet, diffundente se crimine plures species inciderunt. Propositus est libellus sine auctore multorum nomina continens. Qui negabant esse se Christianos aut fuisse, cum praeeunte me deos adpellarent et imagini tuae, quam propter hoc iusseram cum simulacris numinum adferri, ture ac vino supplicarent, praeterea male dicerent Christo, quorum nihil cogi posse dicuntur qui sunt re vera Christiani, dimittendos putavi. Alii ab indice nominati esse se Christianos dixerunt et mox negaverunt; fuisse quidem sed desisse, quidam ante triennium, quidam ante plures annos, non nemo etiam ante viginti. <Hi> quoque omnes et imaginem tuam deorumque simulacra venerati sunt et Christo male dixerunt. Adfirmabant autem hanc fuisse summam vel culpae suae vel erroris, quod essent soliti stato die ante lucem convenire, carmenque Christo quasi deo dicere secum invicem seque sacramento non in scelus aliquod obstringere, sed ne furta ne latrocinia ne adulteria committerent, ne fidem fallerent, ne depositum adpellati abnegarent. Quibus peractis morem sibi discedendi fuisse rursusque coeundi ad capiendum cibum, promiscuum tamen et innoxium; quod ipsum facere desisse post edictum meum, quo secundum mandata tua hetaerias esse vetueram. Quo magis necessarium credidi ex duabus ancillis, quae ministrae dicebantur, quid esset veri, et per tormenta quaerere. Nihil aliud inveni quam superstitionem pravam et immodicam. Ideo dilata cognitione ad consulendum te decucurri. Visa est enim mihi res digna consultatione, maxime propter periclitantium numerum. Multi enim omnis aetatis, omnis ordinis, utriusque sexus etiam vocantur in periculum et vocabuntur. Neque civitates tantum, sed vicos etiam atque agros superstitionis istius contagio pervagata est; quae videtur sisti et corrigi posse. Ed. M. Schuster – R. Hanslik, Leipzig, 1958.

    2 Actum quem debuisti, mi Secunde, in excutiendis causis eorum, qui Christiani ad te delati fuerant, secutus es. Neque enim in universum aliquid, quod quasi certam formam habeat, constitui potest. Conquirendi non sunt; si deferantur et arguantur, puniendi sunt, ita tamen ut, qui negaverit se Christianum esse idque re ipsa manifestum fecerit, id est supplicando dis nostris, quamvis suspectus in praeteritum, veniam ex paenitentia impetret. Sine auctore vero propositi libelli <in> nullo crimine locum habere debent. Nam et pessimi exempli nec nostri saeculi est.

    3 Si vedano in proposito le indicazioni degli apologeti del II e III secolo, come Tertulliano (Apologeticum VII-IX), Minucio Felice (Octavius IX, XXVIII, XXX-XXXII), Giustino (I Apologia XII,2; XXVI,7; Dialogus cum Tryphone Iudaeo X,1) e altri.

    4 Sententiae vestrae nihil nisi christianum confessum; nullum criminis nomen extat, nisi nominis crimen est (Ad nationes I, 3).

    5 Denique quid de tabella recitatis? Illum christianum. Cur non et homicidam? (Apologeticum II)

    6 Atquin invenimus inquisitionem quoque in nos prohibitam. […] Tunc Traianus rescripsit, hoc genus inquirendos quidem non esse, oblatos vero puniri oportere. O sententiam necessitate confusam! Negat inquirendos ut innocentes et mandat puniendos ut nocentes. Parcit et saevit, dissimulat et animadvertit. Quid temetipsam censura circumuenis? Si damnas, cur non et inquiris? Si non inquiris, cur non et absolvis? […] Damnatis itaque oblatum, quem nemo voluit requisitum; qui, puto, iam non ideo meruit poenam, quia nocens est, sed quia non requirendus inventus est. Ed. E. Waltzing, Paris, 1961.


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    00 23/02/2010 18:24

    Andrea Nicolotti


    SVETONIO



    Gaio Svetonio Tranquillo (70-126 circa), amico di Plinio e forse suo compagno in Bitinia, ricoprì l’importante incarico di archivista (procurator a studiis), segretario (ab epistulis) e bibliotecario (a bibliothecis) dell’imperatore Adriano, fino all’anno 122, quando assieme al prefetto del pretorio Setticio Claro venne destituito ed allontanato dalla corte imperiale.


      Claudio Imperatore


    Claudio Imperatore

    Nella sua opera Vita dei dodici Cesari, una raccolta di dodici biografie degli imperatori da Cesare a Domiziano scritta intorno al 120, ci lascia due accenni ai cristiani. Il primo si trova nella vita di Claudio:

    Espulse da Roma i Giudei che per istigazione di Cresto erano continua causa di disordine” (Vita Claudii XXIII, 4)1

    Non ci si deve stupire del fatto che Svetonio scriva Chrestus in luogo di Christus; basti notare che le parole greche Chrestòs (buono, eccellente) e Christòs (unto, Messia) erano pronunciate allo stesso modo, e potevano essere facilmente confuse, specie da chi non fosse ben informato sui fatti2 ; a riprova di ciò, vediamo che Svetonio parla di Giudei, ancora incapace come tanti suoi connazionali di avvertire le differenze tra quest’ultimi ed il cristianesimo nascente, che da essi ormai si differenziava e sempre più si allontanava. Per Svetonio, che probabilmente ricavò questa notizia dagli archivi imperiali cui aveva libero accesso, si tratta semplicemente di un provvedimento imperiale atto ad eliminare focolai di turbolenza, e non ancora di una reazione mirata al cristianesimo; è facile pensare che la predicazione del Cristo tra i Giudei romani da parte di altri Giudei, abbia generato qualche reazione del genere di quelle narrate negli Atti degli Apostoli, che agli occhi dell’autorità romana poteva turbare l’ordine pubblico.

    La notizia di Svetonio concorda perfettamente con quanto è riportato negli Atti degli Apostoli riguardo all’arrivo di Paolo a Corinto:

    “Dopo di ciò, partito da Atene [Paolo] andò a Corinto. E trovato un giudeo di nome Aquila, pontico di nascita, da poco giunto dall’Italia, e la moglie sua Priscilla, per il fatto che Claudio aveva ordinato che tutti i Giudei partissero da Roma, andò da loro” (Act. XVIII, 1-2)3

    Secondo lo storico Paolo Orosio, che riprende la notizia di Svetonio e cita anche Giuseppe Flavio, tale espulsione avvenne nel nono anno dell’impero di Claudio, ovvero tra il gennaio del 49 e il gennaio del 50 d.C.; poiché Paolo probabilmente arrivò a Corinto nel dicembre del 49, il tutto coincide4.

    Il secondo accenno ai Cristiani, Svetonio lo colloca nella vita di Nerone; esso in poche parole ci riassume quanto già narrato più diffusamente da Tacito, con il quale condivide anche le consuete accuse di superstitio nova ac malefica:

    “Sottopose a supplizi i Cristiani, una razza di uomini di una superstizione nuova e malefica” (Vita Neronis XVI, 2)5.


    NOTE AL TESTO

    1 Iudaeos impulsore Chresto assidue tumultuantes Roma expulit. Ed. H. Ailloud, Paris, 1931.

    2 Ci sono molti esempi nei manoscritti della confusione tra i due termini, sia in greco che in latino. Lo stesso vale per alcune iscrizioni asiatiche e siciliane: Corpus Incriptionum Graecarum II, add. 2883d; 3857g.p., e Inscriptiones Graecae XIV 78.154.191.196.

    3 Met¦ taàta cwrisqeˆj ™k tîn 'Aqhnîn Ãlqen e„j KÒrinqon. Kaˆ eØrèn tina 'Iouda‹on ÑnÒmati 'AkÚlan, PontikÕn tù gšnei, prosf£twj ™lhluqÒta ¢pÕ tÁj 'Ital…aj kaˆ Pr…skillan guna‹ka aÙtoà di¦ tÕ diatetacšnai KlaÚdion cwr…zesqai p£ntaj toÝj 'Iouda…ouj ¢pÕ tÁj `Rèmhj, prosÁlqen aÙto‹j.

    4 Anno eiusdem nono expulsos per Claudium Urbe Iudaeos Iosephus refert; sed me magis Svetonius movet qui ait hoc modo: “Claudius Iudaeos inpulsore Christo adsidue tumultuantes Roma expulit”; Historiarum adversos paganos libri septem, VII, 6, 15, ed. Arnaud-Lindet, Paris, 1991

    5 Afflicti supliciis Christiani, genus hominum superstitionis novae ac maleficae.


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    00 23/02/2010 18:25

    Andrea Nicolotti


    ADRIANO IMPERATORE



      Adriano

    L'imperatore Publio Adriano in un ritratto ufficiale.
    (Roma, Museo Nazionale Romano)

    Publio Adriano, successore di Traiano, imperatore dal 117 al 138, ricevette una lettera da Quinto licinio Silvano Graniano, proconsole d’Asia nel 120 circa, nella quale si richiedevano istruzioni riguardo al comportamento da tenersi con i Cristiani, spesso oggetto di delazioni anonime e accuse ingiustificate. Egli rispose con un rescritto, che ci è pervenuto nella Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea, indirizzato al successore di Graniano, Caio Minucio Fundano, in carica nel 122-123.

    In esso si legge:

    Se pertanto i provinciali sono in grado di sostenere chiaramente questa petizione contro i Cristiani, in modo che possano anche replicare in tribunale, ricorrano solo a questa procedura, e non ad opinioni o clamori. E’ infatti assai più opportuno che tu istituisca un processo, se qualcuno vuole formalizzare un’accusa. Allora, se qualcuno li accusa e dimostra che essi stanno agendo contro le leggi, decidi secondo la gravità del reato; ma, per Ercole, se qualcuno sporge denuncia per calunnia, stabiliscine la gravità e abbi cura di punirlo” (Hist. Eccl. IV, 9, 2-3)1.

    Gli apologisti, a partire da Giustino, che riporta il testo di questo rescritto in appendice alla sua prima Apologia, hanno interpretato favorevolmente questa disposizione, vedendo nella richiesta di Adriano il primo tentativo di distinguere tra l’accusa di nomen christianus e i suoi presunti flagitia; il semplice nome cristiano non doveva essere perseguito, e gli eventuali reati dovevano essere prima dimostrati tramite regolare processo, come per qualsiasi cittadino. In tal guisa interpretano anche molti studiosi moderni; tuttavia, ancora sotto Antonino Pio i Cristiani erano oggetto di persecuzione solamente in quanto tali. Nonostante la contraddittorietà dei provvedimenti, ci si avvia lentamente ad un progressivo riconoscimento della nuova fede.


    NOTE AL TESTO

    1 E„ oân safîj e„j taÚthn t¾n ¢x…wsin oƒ ™parciîtai dÚnantai diiscur…zesqai kat¦ tîn Cristianîn, æj kaˆ prÕ b»matoj ¢pokr…nasqai, ™pˆ toàto mÒnon trapîsin, ¢ll' oÙk ¢xièsesin oÙd mÒnaij boa‹j. Pollù g¦r m©llon prosÁken, e‡ tij kathgore‹n boÚloito, toàtÒ se diaginèskein. E‡ tij oân kathgore‹ kaˆ de…knus…n ti par¦ toÝj nÒmouj pr£ttontaj, oÛtwj Órize kat¦ t¾n dÚnamin toà ¡mart»matoj· æj m¦ tÕn `Hraklša e‡ tij sukofant…aj c£rin toàto prote…noi, dial£mbane Øpr tÁj deinÒthtoj kaˆ frÒntize Ópwj ¨n ™kdik»seiaj. Ed. G. Bardy, Paris, 1952.


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    00 23/02/2010 18:26

    Andrea Nicolotti


    TRIFONE GIUDEO



    Il martire e filosofo cristiano Giustino intorno all’anno 160 scrisse un Dialogo col giudeo Trifone, con il quale perseguiva lo scopo di dimostrare che il cristianesimo era la naturale continuazione dell’ebraismo. L’opera è strutturata in forma di un dialogo tra l’autore e l’ebreo Trifone, nel quale secondo alcuni, probabilmente a torto, è ravvisabile il noto Rabbi Tarphon1 ; in tal caso, la finzione letteraria del dialogo sarebbe forse l’eco di una reale discussione avvenuta tra i due ad Efeso nel 135.


    Nel racconto, Giustino ricorda un avvertimento che sarebbe stato inviato dagli Ebrei palestinesi ai Giudei della diaspora, che contiene un giudizio su Gesù:



    “E’ sorta un’eresia senza Dio e senza Legge da un certo Gesù, impostore Galileo; dopo che noi lo avevamo crocifisso, i suoi discepoli lo trafugarono nottetempo dalla tomba ove lo si era sepolto dopo averlo calato dalla croce, ed ingannano gli uomini dicendo che è risorto dai morti e asceso al cielo” (Tryph. CVIII, 2)2.



    Il passo ci riporta un’accusa che avrà una certa fortuna, quella dell’inganno ordito dai discepoli di Gesù e del trafugamento del suo corpo dal sepolcro. La stessa accusa è ricordata da Tertulliano nel XXX capitolo del De spectaculis.


    Per il resto, il passo non è di grande interesse storico, anche perché la sua provenienza e la sua autenticità sono alquanto incerte; certo esso testimonia un giudizio di alcuni Giudei del tempo di Giustino su Gesù.




    NOTE AL TESTO



    1 Si veda ad esempio il parere di J. MAIER in Gesù Cristo e il cristianesimo nella tradizione giudaica antica, Brescia 1994, p. 219-220.




    2 A†res…j tij ¥qeoj kaˆ ¥nomoj ™g»gertai ¢pÕ 'Ihsoà tinoj Galila…ou pl£nou Ön staurws£ntwn ¹mîn, oƒ maqhtaˆ aÙtoà klšyantej aÙtÕn ¢pÕ toà mn»matoj nuktÒj, ÐpÒqen katetšqh ¢fhlwqeˆj ¢pÕ toà stauroà, planîsi toÝj ¢nqrèpouj lšgontej ™ghgšrqai aÙtÕn ™k nekrîn kaˆ e„j oÙranÕn ¢nelhluqšnai. Ed. G. Archambault, Paris, 1909.



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    AmarDio
    00 23/02/2010 18:27

    Andrea Nicolotti


    MARCO AURELIO



      Marco Aurelio Imperatore

    Marco Aurelio Imperatore, statua equestre in bronzo.
    (piazza Campidoglio, Roma)

    Il successore di Antonino Pio, Marco Aurelio Antonino, imperatore dal 161 al 180, scrisse intorno al 170, in lingua greca, un’opera in 12 libri, intitolata A se stesso, nella quale raccolse massime, pensieri, ricordi e meditazioni di contenuto filosofico.

    In essa trova spazio un accenno al martirio dei Cristiani:

    “Oh, come è bella l’anima che si tiene pronta, quando ormai deve sciogliersi dal corpo, o estinguersi, o dissolversi o sopravvivere! Ma tale disposizione derivi dal personale giudizio, e non da una mera opposizione, come per i Cristiani; sia invece ponderata e dignitosa, in modo che anche altri possano esserne persuasi, senza teatralità” (Ad sem. XI, 3)1.

    Come già Plinio il Giovane, così anche Marco Aurelio pare essere infastidito dalla ostinazione dei cristiani, che vanno incontro al martirio pur di non rinnegare la propria fede. Per l’imperatore, questo tipo di morte non è frutto di un giudizio interno, sano e ponderato, ma è un segno di fanatismo, frutto di una “ una mera opposizione”. Ed è proprio sotto l’impero di questo sovrano saggio e filosofo, che prende forma la grande persecuzione che porterà alla morte, tra gli altri, di Giustino, Policarpo di Smirne, Carpo, Papilo, Agatonice, e dei cosiddetti Martiri di Lione.


    NOTE AL TESTO

    1 O†a ™stˆn ¹ yuc¾ ¹ ›toimoj, ™¦n ½dh ¢poluqÁnai dšV toà sèmatoj, kaˆ ½toi sbesqÁnai À skedasqÁnai À summe‹nai. TÕ d ›toimon toàto †na ¢pÕ „dikÁj kr…sewj œrchtai, m¾ kat¦ yil¾n par£taxin æj oƒ Cristiano…, ¢ll¦ lelogismšnwj kaˆ semnîj kaˆ éste kaˆ ¥llon pe‹sai, ¢tragódwj. Ed. A. S. L. Farquharson, Oxford, 1944.


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    00 23/02/2010 18:28

    Andrea Nicolotti

    EPITTETO

      Epitteto

    Epitteto

    Nato verso la metà del I secolo, a Gerapoli, il filosofo stoico Epitteto fu maestro a Roma e fu tra i filosofi che subirono la cacciata dalla capitale voluta dall’imperatore Domiziano. Raccolta una cerchia di discepoli a Nicopoli in Epiro, vi fondò una scuola, attiva nel periodo del principato di Adriano (117-138); alcune testimonianze del suo insegnamento ci sono pervenute tramite la raccolta di Dissertazioni del discepolo Arriano (95-175 circa).

    In un passo di quest’opera, trattando di un tema assai caro allo stoicismo, ovvero la mancanza di paura di fronte alla morte, Epitteto enumera vari categorie di persone che hanno questo atteggiamento, come i bambini e i pazzi (incoscienti), coloro che per qualche motivo desiderano la morte, oppure coloro che accettano la morte con serenità, come i filosofi.

    Tra coloro che invece non hanno paura della morte solo per abitudine (ethos), egli enumera i “Galilei”.

    “Anche per follia uno può resistere a quelle cose, o per ostinazione, come i Galilei” (Diss. Ab Arriano digestae IV, 6, 6)1.

    Con l’espressione “quelle cose” il filosofo intende gli atti compiuti dai tiranni, e chiamando i Cristiani “Galilei” usa un titolo comune.

    Egli ha forse davanti agli occhi alcuni casi di persecuzione (la lettera di Paolo a Tito presume una comunità cristiana a Nicopoli, ove Epitteto insegnò a lungo), e non riesce a spiegarsi l’atteggiamento di ostinazione dei Cristiani, al quale egli reagisce invocando nelle righe successive “il ragionamento e la dimostrazione”. Come già per Plinio, i cristiani sono degli irrimediabili cocciuti; il motivo della fede per lui è completamente ignoto o incompreso.


    NOTE AL TESTO

    1 Eta ØpÕ man…aj mn dÚnata… tij oÛtwj diateqÁnai prÕj taàta kaˆ ØpÕ œqouj oƒ Galila‹oi. Ed. H. Schenkl, Leipzig, 1916.

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    00 23/02/2010 18:29

    Andrea Nicolotti


    GALENO



       

    Claudio Galeno (129-200 circa), il noto medico-filosofo di Pergamo, fu medico personale degli imperatori Marco Aurelio e Commodo. A differenza di Epitteto e Luciano, egli ha un’opinione realmente positiva sulla tenuta morale dei Cristiani1.


    Attraverso la Historia anteislamica di Abulfida ci è pervenuto questo passo:



    “I più tra gli uomini non sono in grado di comprendere con la mente un discorso dimostrativo consequenziale, per cui hanno bisogno, per essere educati, di miti. Così vediamo nel nostro tempo quegli uomini chiamati Cristiani trarre la propria fede dai miti. Essi, tuttavia, compiono le medesime azioni dei veri filosofi. Infatti, che disprezzino la morte e che, spinti da una sorta di ritegno, aborriscano i piaceri carnali, lo abbiamo tutti davanti agli occhi. Vi sono infatti tra loro sia uomini che donne i quali per tutta la vita si sono astenuti dai rapporti; e vi sono anche coloro che sono a tal punto progrediti nel dominare e dirigere gli animi, e nella più tenace ricerca della virtù, da non cedere in nulla ai veri filosofi” (De sentent. Pol. Plat)2.



    Non è più soltanto il disprezzo della morte che colpisce Galeno, ma anche tutta la vita morale dei Cristiani. Giustino testimonia che alcuni Cristiani si astenevano interamente dal matrimonio, e tale costume era proposto ai pagani come esempio di virtù; si riteneva infatti che un tal genere di vita trovasse assentimento e ammirazione anche presso gli avversari. Invero, la filosofia del tempo inclinava all’ascetismo, e le attestazioni in favore della loro moralità non mancano. La Chiesa, tuttavia, metterà ben presto freno all’eccesso di questo rigetto della normale vita matrimoniale; esemplare è la condanna dell’apologista siro Taziano nel 172, il fondatore della setta degli Encratiti3.


    Certamente, al di là di questo, Galeno condanna la fede dei cristiani come affermazione ostinata di cose affatto indimostrate; essa non è fondata sulla ragione (logos), per cui essa non è saggezza, bensì credulità.



    Nessuno subito da principio, come se fosse pervenuto alla dottrina di Mosè o Cristo, ascolti leggi indimostrate, nelle quali non si deve per nulla credere”. (De differentia pulsuum libri quattuor II, 4)4.


    Infatti si potrebbero dissuadere prima quelli che provengono da Mosé e Cristo, che non i medici o i filosofi, i quali si sono consumati sui loro principi”. (Ivi, III, 3)5.



    Per Galeno, sarebbe molto più difficile far cambiare idea ad un filosofo o ad un medico, con alle spalle la sua scienza, che a un cristiano, aggrappato solo alla sua fede.




    NOTE AL TESTO



    1 Cfr. R. WALZER, Galen on Jews and Christians, Oxford, 1949.




    2 Hominum plerique orationem demonstrativam continuam mente assequi nequeunt, quare indigent, ut instituantur, parabolis. Veluti nostro tempore videmus homines illos, qui Christiani vocantur, fidem suam e parabolis petiisse. Hi tamen interdum talia faciunt, qualia qui vere philosophantur. Nam quod mortem contemnunt, id quidem omnes ante oculos habemus; item quod verecundia quadam ducti ab usu rerum venerearum abhorrent. Sunt enim inter eos et feminae et viri, qui per totam vitam a concubitu abstinuerint; sunt etiam qui in animis regendis coercendisque et in acerrimo honestatis studio eo progressi sint, ut nihil cedant vere philosophantibus. Ed. Fleischer, Leipzig, 1831, p. 109.




    3 Cfr. R. M. GRANT, The heresy of Tatian, in «Journal of theological Studies» n.s. V (1954), pp. 62-68.




    4 […]†na m» tij eÙqÝj kat' ¢rc¦j, æj e„j Mwãsoà kaˆ Cristoà diatrib¾n ¢figmšnoj, nÒmwn ¢napode…ktwn ¢koÚV, kaˆ taàta ™n oŒj ¼kista cr». Ed. C.G. Kühn, Leipzig, 1824.




    5 Q©tton g¦r ¥n tij toÝj ¢pÕ Mwãsoà kaˆ Cristoà metadid£xeien À toÝj ta‹j aƒršsesi prostethkÒtaj „atroÚj te kaˆ filosÒfouj.



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    00 23/02/2010 18:30

    Andrea Nicolotti


    FRONTONE



    Marco Cornelio Frontone, di origine di Cirta, in Africa, visse a Roma, ove fu avvocato e retore a tal punto apprezzato da ottenere l’incarico di curare l’educazione retorica dei futuri imperatori Marco Aurelio e Lucio Vero. Nel 143 fu consul suffectus, e godette di tale fama da essere considerato dai suoi contemporanei un novello Cicerone; egli fu il rappresentante del cosiddetto movimento arcaicizzante che dominò la prosa del secolo II.


    Di una sua Orazione contro i Cristiani, pronunciata tra il 162 e il 166, ci fa menzione l’apologista Minucio Felice nel suo Octavius (ultimo quarto II secolo); egli definisce Frontone: “non un teste diretto che arrechi la sua testimonianza, ma solo un declamatore che volle scagliare un’ingiuria”1, a causa delle sue accuse infamanti verso i Cristiani.


    L’interlocutore pagano Cecilio, rifacendosi all’orazione suddetta che è ricostruibile per lo meno a grandi linee dalle citazioni2, affermava tra l’altro:



    Essi, raccogliendo dalla feccia più ignobile i più ignoranti e le donnicciuole, facili ad abboccare per la debolezza del loro sesso, formano una banda di empia congiura, che si raduna in congreghe notturne per celebrare le sacre vigilie o per banchetti inumani, non con lo scopo di compiere un rito, ma per scelleraggine; una razza di gente che ama nascondersi e rifugge la luce, tace in pubblico ed è garrula in segreto. Disprezzano ugualmente gli altari e le tombe, irridono gli dei, scherniscono i sacri riti; miseri, commiserano i sacerdoti (se è lecito dirlo), disprezzano le dignità e le porpore, essi che sono quasi nudi! […] Regna tra loro la licenza sfrenata, quasi come un culto, e si chiamano indistintamente fratelli e sorelle, cosicché, col manto di un nome sacro, anche la consueta impudicizia diventi incesto. […] Ho sentito dire che venerano, dopo averla consacrata, una testa d’asino, non saprei per quale futile credenza […] Altri raccontano che venerano e adorano le parti genitali del medesimo celebrante e sacerdote […] E chi ci parla di un uomo punito per un delitto con il sommo supplizio e il legno della croce, che costituiscono le lugubri sostanze della loro liturgia, attribuisce in fondo a quei malfattori rotti ad ogni vizio l’altare che più ad essi conviene […] Un bambino cosparso di farina, per ingannare gli inesperti, viene posto innanzi al neofita, […] viene ucciso. Orribile a dirsi, ne succhiano poi con avidità il sangue, se ne spartiscono a gara le membra, e con questa vittima stringono un sacro patto […] Il loro banchetto, è ben conosciuto: tutti ne parlano variamente, e lo attesta chiaramente una orazione del nostro retore di Cirta […] Si avvinghiano assieme nella complicità del buio, a sorte” (Octavius VIII,4-IX,7)3.




     


    A risposta di questo armamentario di accuse infamanti e di seconda mano (Ho sentito dire…), possono valere le parole che il cristiano Giustino rivolgeva in quegli stessi anni ad un altro accusatore del cristianesimo, il filosofo cinico Crescente: “Veramente è ingiusto ritenere per filosofo colui che, a nostro danno, rende pubblicamente testimonianza di cose che non conosce, dicendo che i Cristiani sono atei e scellerati; e dice ciò per ricavarne grazia e favore presso la folla, che resta ingannata”4.


    Si noti che questo intervento raccoglie tutte assieme accuse che già circolavano dal secolo precedente, sottintese fin dalle parole di Tacito; ma se alcuni storici si prendevano la briga di verificarne la veridicità, come fece Plinio il Giovane, altri contribuivano a diffonderle.


    Interessante il riferimento al culto della testa d’asino, una vecchia accusa già usata da Tacito contro gli Ebrei, dalla quale si era già difeso Giuseppe Flavio5; di essa abbiamo anche una rappresentazione figurativa, un graffito di età severiana ritrovato sul Palatino, e ora conservato nell’antiquarium, raffigurante la caricatura di un uomo crocifisso con testa d’asino, con ai suoi piedi un altro uomo in atto di adorazione, il tutto accompagnato dalla scritta: “Alessameno adora il suo Dio”6.




    NOTE AL TESTO



    1 Octavius XXXI, 2.




    2 Il problema storico e letterario del testo è affrontato da P. FRASSINETTI, L’orazione di Frontone contro i Cristiani, in «Giornale italiano di Filologia» II (1949), pp. 238-254.




    3 Qui de ultima faece collectis imperitioribus et mulieribus credulis sexus sui facilitate labentibus plebem profanae coniurationis instituunt, quae nocturnis congregationibus et ieiuniis sollemnibus et inhumanis cibis non sacro quodam, sed piaculo foederatur, latebrosa et lucifuga natio, in publicum muta, in angulis garrula, templa ut busta despiciunt, deos despuunt, rident sacra, miserentur miseri (si fas est) sacerdotum, honores et purpuras despiciunt, ipsi seminudi! […] Inter eos velut quaedam libidinum religio miscetur, ac se promisce appellant fratres et sorores, ut etiam non insolens stuprum intercessione sacri nominis fiat incestum. […] Audio eos turpissimae pecudis caput asini consecratum inepta nescio qua persuasione venerari […] Alii eos ferunt ipsius antistitis ac sacerdotis colere genitalia […] Et qui hominem summo supplicio pro facinore punitum et crucis ligna feralia eorum caerimonias fabulatur, congruentia perditis sceleratisque tribuit altaria, ut id colant quod merentur. […] Infans farre contectus, ut decipiat incautos, adponitur ei qui sacris inbuatur […] occiditur. Huius, pro nefas! sitienter sanguinem lambunt, huius certatim membra dispertiunt, hac foederantur hostia […] Et de convivio notum est; passim omnes locuntur, id etiam Cirtensis nostri testatur oratio. […] infandae cupiditatis involvunt per incertum sortis, etsi non omnes opera, conscientia tamen pariter incesti, quoniam voto universorum adpetitur quicquid accidere potest in actu singulorum. Ed. J. P. Waltzing, Louvain, 1903.




    4 II Apologia VIII.




    5 Historiae V, 3-4; Contra Apionem, II, 80.




    6 La prima descrizione è quella di R. GARRUCCI, Un crocifisso graffito da mano pagana nella casa dei Cesari sul Palatino, Roma, 1856.



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    00 23/02/2010 18:31

    Andrea Nicolotti


    SAMOSATA



    Il retore scettico Luciano, nato a Samosata intorno al 120 e morto dopo il 180, attivo nell’età degli Antonini, ci ha lasciato un’opera intitolata La morte di Peregrino, nella quale l’autore, un decennio dopo lo svolgimento dei fatti, narra del teatrale suicidio del fanatico Peregrino Proteo, sul rogo che si era eretto a Olimpia nel 165 o 167.


    Questa singolare figura di filosofo, che per Luciano è certo un ciarlatano, era stato per un certo periodo cristiano, per poi passare alla filosofia cinica. Per mostrare il suo disprezzo per la morte, che Luciano invece definisce “amor di gloria”, egli si gettò tra le fiamme del rogo.


    Durante il periodo di adesione al cristianesimo, nel quale era stato anche in carcere, veniva visitato continuamente dai suoi fratelli cristiani, che da ogni dove si affrettavano a venire per consolarlo, assisterlo, aiutarlo; secondo Luciano essi erano degli sciocchi, ingannati da quell’impostore:



    Allora Proteo venne a conoscenza della portentosa dottrina dei cristiani, frequentando in Palestina i loro sacerdoti e scribi. E che dunque? In un batter d’occhio li fece apparire tutti bambini, poiché egli tutto da solo era profeta, maestro del culto e guida delle loro adunanze, interpretava e spiegava i loro libri, e ne compose egli stesso molti, ed essi lo veneravano come un dio, se ne servivano come legislatore e lo avevano elevato a loro protettore a somiglianza di colui che essi venerano tuttora, l’uomo che fu crocifisso in Palestina per aver dato vita a questa nuova religione.


    […] Si sono persuasi infatti quei poveretti di essere affatto immortali e di vivere per l’eternità, per cui disprezzano la morte e i più si consegnano di buon grado. Inoltre il primo legislatore li ha convinti di essere tutti fratelli gli uni degli altri, dopoché abbandonarono gli dei greci, avendo trasgredito tutto in una volta, ed adorano quel medesimo sofista che era stato crocifisso e vivono secondo le sue leggi. Disprezzano dunque ogni bene indiscriminatamente e lo considerano comune, seguendo tali usanze senza alcuna precisa prova. Se dunque viene presso di loro qualche uomo ciarlatano e imbroglione, capace di sfruttare le circostanze, può subito diventare assai ricco, facendosi beffe di quegli uomini sciocchi” (De morte Per. XI-XIII)1.



    Interessante il riferimento al Cristo, che viene considerato un sofista, ed il “primo legislatore” dei Cristiani, le cui leggi sono da essi seguite; l’unica notizia storica su Gesù è il ricordo della sua crocifissione.




    NOTE AL TESTO



    1 “Oteper kaˆ t¾n qaumast¾n sof…an tîn Cristianîn ™xšmaqen, perˆ t¾n Palaist…nhn to‹j ƒereàsin kaˆ grammateàsin aÙtîn xuggenÒmenoj. Kaˆ t… g£r; ™n brace‹ pa‹daj aÙtoÝj ¢pšfhne, prof»thj kaˆ qias£rchj kaˆ xunagwgeÝj kaˆ p£nta mÒnoj aÙtÕj ên, kaˆ tîn b…blwn t¦j mn ™xhge‹to kaˆ dies£fei, poll¦j d aÙtÕj kaˆ sunšgrafen, kaˆ æj qeÕn aÙtÕn ™ke‹noi Ædoànto kaˆ nomoqštV ™crînto kaˆ prost£thn ™pegr£fonto, met¦ goàn ™ke‹non Ön œti sšbousi, tÕn ¥nqrwpon tÕn ™n tÍ Palaist…nV ¢naskolopisqšnta, Óti kain¾n taÚthn telet¾n e„sÁgen ™j tÕn b…on. [...] Pepe…kasi g¦r aØtoÝj oƒ kakoda…monej tÕ mn Ólon ¢q£natoi œsesqai kaˆ bièsesqai tÕn ¢eˆ crÒnon, par' Ö kaˆ katafronoàsin toà qan£tou kaˆ ˜kÒntej aØtoÝj ™pididÒasin oƒ pollo…. ”Epeita d Ð nomoqšthj Ð prîtoj œpeisen aÙtoÝj æj ¢delfoˆ p£ntej een ¢ll»lwn, ™peid¦n ¤pax parab£ntej


    qeoÝj mn toÝj `EllhnikoÝj ¢parn»swntai, tÕn d ¢neskolopismšnon ™ke‹non sofist¾n aÙtÕn proskunîsin kaˆ kat¦ toÝj ™ke…nou nÒmouj biîsin. Katafronoàsin oân ¡p£ntwn ™x ‡shj kaˆ koin¦ ¹goàntai, ¥neu tinÕj ¢kriboàj p…stewj t¦ toiaàta paradex£menoi. Àn to…nun paršlqV tij e„j aÙtoÝj gÒhj kaˆ tecn…thj ¥nqrwpoj kaˆ pr£gmasin crÁsqai dun£menoj, aÙt…ka m£la ploÚsioj ™n brace‹ ™gšneto „diètaij ¢nqrèpoij ™gcanèn. Ed. A.M. Harmon, Cambridge, 1936.



    [Modificato da Credente 08/12/2020 21:19]
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    00 23/02/2010 18:32

    Andrea Nicolotti


    CELSO



       

    Chiude l’elenco delle testimonianze non cristiane del II secolo quella uscita dalla penna dell’oscura figura del filosofo Celso; di lui sappiamo solamente che fu un intellettuale seguace di quel medio platonismo che a quel tempo conobbe una notevole fioritura con Plutarco, Attico, Albino, Massimo di Tiro ed altri ancora.


    Tra tutti coloro che si occuparono dell’attacco verso i Cristiani (ci sono rimasti i nomi e talora alcune accuse poco significative del cinico Crescente, di Cecilio, di Frontone, dell’oratore Aristide e di Ierocle), egli è, assieme a Porfirio nel secolo successivo, l’unico veramente degno di nota.


    Sappiamo che Celso scrisse un’opera dedicata interamente alla polemica contro i Cristiani, dal titolo Discorso veritiero (Alethès lógos); esso è comunemente datato tra il 177 e il 180, gli ultimi anni della correggenza di Marco Aurelio col figlio Commodo (171-180). Ma quest’opera, ignorata a quel che sembra dai contemporanei e trascurata dalle generazioni successive, ci è giunta parzialmente solo perché Origene nel 248 decise di farne una dettagliata confutazione (il Contra Celsum); per ribatterne una ad una le argomentazioni, egli riportò letteralmente gran parte dei passi.


    Celso pare non voler riconoscere nulla di buono ai Cristiani: pur sdegnando le volgari calunnie che ancora circolavano al suo tempo, che in parte abbiamo già ricordato e su cui gli apologisti ci hanno lasciato numerose attestazioni (incesto e banchetti tiestei, ma anche accuse di adorare un idolo con testa d’asino, la croce, il sole, i genitali dei sacerdoti, di suscitare venti e tempeste, di invocare fame e pestilenze, di compiere sortilegi), egli rappresenta l’atteggiamento degli avversari del II secolo. Il filosofo mostra di conoscere almeno in parte la Bibbia (certamente qualcosa del vangelo di Matteo) e le sette fuoriuscite dalla “grande Chiesa”; egli accusa il cristianesimo di essere il figlio bastardo della più abbietta religione nazionale, il giudaismo. Solamente l’etica di Cristo pare talora resistere alla sua disapprovazione, ed anche la dottrina del Logos gli aggrada.


    In ultima analisi, tuttavia, il Discorso veritiero è uno scritto politico e pratico: Celso è preoccupato dal fatto che i Cristiani non partecipino alle feste pagane, non prestino servizio militare, non ricoprano cariche pubbliche, collocandosi al margine della società civile (l’odio del genere umano già descritto ottant’anni prima da Tacito). Questo rifiuto di partecipare alla vita pubblica è per lui un “grido di rivolta”1. L’appello con cui si concludeva l’opera di Celso, affinché i Cristiani non si sottraggano più all’ordine civile e religioso generale, servendo così al bene dello stato già tanto debilitato e in pericolo a causa di nemici interni ed esterni, mette in luce questa preoccupazione politica che attraversa tutto il suo scritto.


    Da quanto Origene ci ha conservato, possiamo trarre alcuni giudizi su Gesù Cristo:


    Ad un certo punto si parla della “madre di Gesù, scacciata dall’artigiano che l’aveva maritata, accusata di adulterio, messa incinta da un certo soldato di nome Panthera” (Contra Celsum, I, 322).      ....“Spinto dalla miseria andò in Egitto a lavorare a mercede, ed avendo quindi appreso alcune di quelle discipline occulte per cui gli Egizi son celebri, tornò dai suoi tutto fiero per le arti apprese, e si proclamò da solo Dio a motivo di esse” (Ivi, I, 28)3......“Gesù raccolse attorno a sé dieci o undici uomini sciagurati, i peggiori dei pubblicani e dei marinai, e con loro se la svignava qua e là, vergognosamente e sordidamente raccattando provviste” (Ivi, I, 62)4.


    L’accusa di illegittimità e la figura del soldato Panthera sono state rinvenute anche in ambiente giudaico5: in tal senso, l’origine del nome Gesù figlio di Panthera (Jesûa‘ ben Pandera), testimoniato con piccole varianti grafiche, sarebbe una corruzione del greco parthénos (=vergine), una qualifica di Maria che sarebbe stata grossolanamente mal interpretata dai Giudei, fino a farne il nome di un presunto violentatore di lei; diversamente, altri ritengono queste accuse provenienti dai Giudei come tardive rispetto alla testimonianza di Celso. Panthera allora potrebbe essere un vero nome di persona, diffuso tra le truppe romane, come anche testimoniato da alcune iscrizioni.


    È interessante vedere come Origene risponde alle accuse di Celso, specie quando mostra una perfetta ignoranza dei fatti (ad esempio quando parla di dieci o undici discepoli, quando è ben noto che erano dodici).




    NOTE AL TESTO



    1 Contra Celsum VIII, 2.




    2 [...] ™n Î ¢nagšgraptai ¹ toà 'Ihsoà m»thr æj ™xwsqe‹sa ¢pÕ toà mnhsteusamšnou aÙt¾n tšktonoj, ™legcqe‹sa ™pˆ moice…v kaˆ kÚousa ¢pÒ tinoj stratiètou Panq»ra toÜnoma. Ed. M. Borret, Paris, 1967-1969.




    3 Kaˆ Óti oátoj di¦ pen…an e„j A‡gupton misqarn»saj k¢ke‹ dun£meèn tinwn peiraqe…j, ™f' aŒj A„gÚptioi semnÚnontai, ™panÁlqen ™n ta‹j dun£mesi mšga fronîn, kaˆ di' aÙt¦j qeÕn aØtÕn ¢nhgÒreuse.




    4 [...] dška epen À ›ndek£ tinaj ™xarths£menon tÕn 'Ihsoàn ˜autù ™pirr»touj ¢nqrèpouj, telènaj kaˆ naÚtaj toÝj ponhrot£touj, met¦ toÚtwn tÍde k¢ke‹se aÙtÕn ¢podedrakšnai, a„scrîj kaˆ gl…scrwj trof¦j sun£gonta.




    5 Cfr. Hullin 2, 22-23; Aboda Zara 40d; Shabbat 14d. Cfr. M. GOLDSTEIN, Jesus in the Jewish tradition, New York, 1950, pp. 32-39.



    [Modificato da Credente 08/12/2020 21:25]
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    Credente
    00 19/04/2010 22:13
    l Timone a Radio Maria
    di Gianpaolo Barra GESÙ E'
    VERAMENTE ESISTITO
    Pubblichiamo il testo della conversazione che Gianpaolo Barra, direttore de "// Timone” ha tenuto a Radio Maria il 7 dicembre 2000, duran­te la "Serata Sacerdotale", condotta da don Tino Rolfi. Conserviamo lo stile colloquiale e la divi­sione in paragrafi numerati, utilizzata per i suoi appunti dall'autore.
    1. In questa conversazione ci inter­roghiamo sulla esistenza storica di Gesù Cristo
    2. Si tratta di un tema importante per la credibilità storica del Cri­stianesimo. Infatti, se Gesù non fosse esistito, la nostra fede sarebbe co­struita su un mito, senza basi stonche
    3- Noi non abbiamo dubbi sull'esi­stenza di Gesù, ma ci chiediamo se questa certezza vale anche per chi non crede in Dio È vero che la Sacra Scrittura e esplicita in proposito, e non mancheremo di interrogarla, ma chi non crede chiede di esaminare altri documenti Documenti che non nascono, per esempio, in ambiente cristiano.
    4- è vero che fino al XVIII secolo nessuno, nemmeno i nemici più agguerriti del Cristianesimo, aveva mai negato l'esistenza di Gesù. Ma in tempi recenti essa e stata ritenuta mitologica e fantastica. Dalla Grande Enciclopedia sovietica, per esempio.
    5. Oggi le cose sono mutate e la caduta di quel Muro di Berlino, ver­gogna del nostro tempo perche sim­bolo di quel regime comunista che ha tentato di costruire una civiltà senza Dio, ha trascinato con se anche le sicurezze di quella Enciclopedia.
    6- Veniamo alla nostra riflessione e ricordiamo la prima fonte di caratte­re storico sulla esistenza di Gesù Cristo.
    7- Se diamo retta da un ex esattore delle tasse (Matteo), ad un medico (Luca), ad un giovane segretario dell'Apostolo Pietro (Marco) e ad un altro testimone oculare di Gesù (Giovanni), tutti vissuti in Palestina nel primo secolo, l'esistenza di Gesù di Nazareth deve considerarsi un dato di fatto incontestabile.
    8. Questi testimoni hanno messo per iscritto nei Vangeli la storia di ciò che e accaduto 2000 anni orsono in Palestina, lasciandoci cosi le testimo­nianze più preziose, più ricche di dati e più attendibili riguardo l'esistenza storica di Gesù.
    9. Ma qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di testimonianze in qual­che modo interessate.
    10- E allora vogliamo concentrare la nostra attenzione sulle tracce che provengono da ambienti non cristia­ni.
    11- I riferimenti a Gesù nelle fonti documentane non cristiane dei primi secoli sono rari II mondo romano lo ha sostanzialmente ignorato e quello ebraico lo ricorda raramente e lo fa con disprezzo e con offese.
    12. Questa scarsità di informazioni storiche che provengono da ambien­ti non cristiani e comprensibile Ricordiamo che 2000 anni fa nessu­no immaginava a quale straordinario sviluppo sarebbe andato incontro il Cristianesimo In effetti, la fine inglo­riosa del Fondatore del Cristianesimo non suscitava l'interesse degli storici pagani di quell'epoca.
    13. Tuttavia, alcuni dei cronisti dell'Impero, sebbene solo con cenni e spesso con intenzioni non benevo­le, di Cristo e dei Cristiani qualche cosa dicono I loro ricordi, pochi e tal­volta superficiali, mentano attenzio­ne.
    14- Una prima traccia non cristiana della esistenza di Gesù la troviamo in Flavio Giuseppe. Nato a Gerusa­lemme verso il 37\39, quindi pochis­simi anni dopo la morte di Gesù, questo storico ebreo mostra di cono­scere bene i fatti di cui parla, per averli vissuti in prima persona.
    15- Alla fine del primo secolo Flavio Giuseppe scrive le Antichità giudai-che, cioè la storia del popolo ebraico dalle origini fino al 66 d C In questa opera, troviamo tré riferimenti importanti a Gesù e ai Cristiani il primo riguarda la morte di Giovanni Battista (XVIII, 116-119), il secondo la morte di Giacomo, che Flavio Giuseppe qualifica come "fratello di Gesù chiamato il Cristo' (XX, 200), il terzo, il più noto, e conosciuto come " Testimonium Flavianum " e ci interessa particolarmente .
    16- Sentiamo che cosa ha scritto Flavio Giuseppe "Ora, ci fu verso questo tempo Gesù, un uomo sapiente, seppure bisogna chiamarlo uomo era infatti facitore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la venta E attirò a se molti Giudei, e anche molti dei Greci Costui era il Cristo. E avendo Pilato, per denuncia degli uomini principali fra noi, punito lui di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato Egli infatti comparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già detto i divini profeti queste e migliala d'altre cose mirabili riguardo a lui E ancora adesso non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati i Cristiani" (Antichità giudaiche, XVIII, 63-64).
    17. Se stiamo a questa testimonian­za antichissima, Flavio Giuseppe sarebbe stato a conoscenza non solo della esistenza di Gesù, ma anche dei suoi poteri, della sua funzione mes­sianica e della sua risurrezione dai morti.
    18. Va detto che tutto questo e apparso eccessivo a molti studiosi, che considerano improbabile anche il tono elogiativo nei confronti di Gesù usato da un ebreo Per questa ragio­ne, si pensa che questo passo sia stato manipolato da una ignota mano cristiana prima di giungere a Eusebio di Cesarea, il grande stori­co della Chiesa del IV secolo, che lo riporta nella sua celeberrima Histona Ecclesiastica (1, II).
    19. In ogni caso, quello che a noi interessa, per ora, è un dato. questo ebreo del primo secolo ha sentito parlare di Gesù e, da storico, non mette in dubbio la sua esistenza. E tutto questo - ricordiamolo - in am­biente non cristiano.
    20. C'è un'altra notizia interessante Qualche anno fa, uno studioso ebreo è riuscito a scoprire la probabile ver­sione originale del Testimonium Flavianum Ce ne ha dato notizia Vit­torio Messori, nel suo capolavoro intitolato "Ipotesi su Gesù"
    21- Ne! 1972. il prof Shiomo Pinès, professore all'Università Ebraica di Gerusalemme, ha scritto un articolo sul quotidiano International Heratd Tribune intitolato significativamente "Gli ebrei portano le prove dell'esi­stenza di Gesù".
    22- Pines aveva scoperto per primo che del testo di Giuseppe Flavio c'era un'altra versione, diversa da quella giudicata inquinata dagli storici Questa versione è contenuta in un'o­pera araba del X secolo, la Storia Universale di Agapio, vescovo di Hierapolis in Siria Agapio riporta il Testimonium Flavianum senza quelle espressioni elogiative che lo facevano rifiutare dagli studiosi.
    23. Ora, il professore Pinès osserva che sembra impossibile che un vesco­vo cristiano abbia minimizzato volon­tariamente il testo di Flavio Giuseppe, togliendogli (se c'erano) i termini elo­giativi su Gesù Allora, possiamo pen­sale che il professore ebreo contem­poraneo ha davvero scoperto la ver­sione originale della testimonianza di Flavio Se è così, dice Pinès, "abbia­mo qui la più antica testimonianza scritta, di origine non cristiana, che riguardi Gesù".
    24. Ecco il brano di Flavio Giuseppe, così com'e riportato da Agapio, nella versione dell'Università Ebraica di Gerusalemme "A quell'epoca viveva un saggio di nome Gesù La sua con­dotta era buona, ed era stimato per la sua virtù Numerosi furono quelli che, tra i Giudei e le altre nazioni, divennero suoi discepoli Piiate lo condanno ad essere crocifisso e a morire. Ma coloro che erano divenu­ti suoi discepoli non smisero di segui­re il suo insegnamento Essi racconta­rono che era apparso loro tré giorni dopo la sua crocifissione e che era vivo Forse era il Messia di cui i profe­ti hanno raccontato tante meraviglie" (V Messori, Ipotesi su Gesù, XV edi­zione, SEI, Tonno 1977, pp 238-239).
    25. Anche in questa versione, non manipolata da mano cristiana, risulta che l'ebreo Flavio Giuseppe dava per scontato l'esistenza storica di Gesù.
    26. Il dato è di fondamentale impor­tanza, perché ci è offerto da uno sto­rico quasi contemporaneo a Gesù e proviene da un ambiente che è sicuro dell'esistenza di Cristo, anche se non ne accoglie il messaggio è'quindi un ambiente non interessato a mentire, inventandosi l'esistenza di Cristo.
    27. Proseguiamo la ricerca e giungia­mo ad un documento antichissimo, datato verso il 112 d C. Proviene da Plinio il Giovane, console e gover­natore della Bitinia, in Turchia, il quale è autore di una lettera indirizzata all'imperatore Tralano.
    28. in questa lettera non si parla direttamente di Gesù, ma dei cristiani i quali, scrive Plinio il Giovane erano "abituati a radunarsi prima del levare del sole, per cantare un carme a Cristo come a un Dio" (X, 96).
    29. Plinio chiede consigli su come deve comportarsi con i cristiani. Ci informa che sono numerosi nelle città e nelle campagne, ritiene innocue le loro riunioni, sa che con giuramento si obbligano a non commettere furti, a non commettere adulterio, a resti­tuire i prestiti e a non tradire la Fede.
    30. La lettera di Plinio all'imperatore Tralano "è la più antica testimonianza pagana sulle assemblee liturgiche dei Cristiani primitivi e sull'Eucaristia" (Marta Sordi, / cristiani e l'impero romano, Jaca Book, Milano 1984, p 67).
    31. La risposta di Tralano non si fa attendere e costituisce il "più antico documento ufficiale sui rapporti fra il Cristianesimo e lo stato romano" (Marta Sordi, op cit, p 67).
    32. Tralano dispone che i Cristiani non devono essere ricercati dalle autorità, ma possono essere perse­guitati solo se denunciati da qualcu­no, purché non anonimo, salvo che, sacrificando agli dei dell'impero, non rinneghino la loro fede.
    33. La lettera di Plinio impone una riflessione Nei primi anni del II seco­lo vi erano Cristiani che si radunava­no per rendere gloria a Cristo come a Dio Riflettiamo se anche l'esistenza di Gesù fosse stata inventata, tale invenzione doveva risalire almeno al 1° secolo, quindi in epoca assai vicina alla presunta esistenza terrena del Nazareno, quando potevano insorge­re molti testimoni in grado di sma­scherare l'inganno.
    34- Invece, di questi non abbiamo notizia Plinio dà per scontato quello che ai suoi tempi era pacificamente accettato un certo Gesù era real­mente esistito qualche decennio prima e aveva lasciato dei discepoli e seguaci.
    35. La storia ci offre un'altra antichis­sima traccia della esistenza di Gesù Cinque anni dopo, ne! 117, lo storico Tacito scrive nei suoi Annali che Nerone, per evitare di essere accusa­to dell'incendio di Roma del 64 d C , "ne presento come rei e colpi con supplizi raffmatissimi coloro che il volgo, odiandoli per i loro delitti, chiamava Crestiani. L'autore di que­sta denominazione, Cristo, sotto l'impero di Tibeno (imperatore dal 14 al 37 d C ), era stato condannato al supplizio dal Procuratore Ponzio Pilato, ma, repressa per il momento, l'esiziale superstizione erompeva di nuovo, non solo per fa Giudea, origi­ne di quel male, ma anche per l'Urbe, ove da ogni parte confluiscono tutte le cose atroci e vergognose" (Annales, XV, 44).
    36. è una testimonianza straordina­ria Tacito e uno storico, e aveva nei confronti dei Cristiani e della loro reli­gione una pessima opinione Ma que­sto non e sufficiente per accusare i Cristiani di essersi inventati l'esistenza di Cristo Eppure, ricordiamolo, que­sta accusa sarebbe valsa a screditare definitivamente quella "esiziale su­perstizione".
    37- Tacito offre un altro dato interes­sante già nell'anno 64 a Roma vive­vano seguaci di quel Gesù che era morto poco più di 30 anni prima.
    38- Riflettiamo se l'esistenza di Cristo fosse stata inventata, qualcuno ('avrebbe contestata e a Tacito di tale inganno sarebbe giunto reco Invece, significativamente, lo storico non ne fa notizia.
    39. Un altro storico, Svetonio, verso ranno 120, ci lascia una indicazione sui Cristiani i quali, a suo dire, come aveva rilevato Tacito, sotto Nerone furono "sottoposti a supplizi ( ), razza di uomini d'una superstizione nuova e malefica" (Nero, 16) .
    40Il giudizio di Svetonio e negativo e sprezzante Avrebbe avuto buon gioco a svergognare quella "supersti­zione nuova e malefica" se avesse saputo che era fondata su un perso­naggio mai esistito Invece, non tro­viamo accuse siffatte.
    41, Svetonio ci informa che durante l'impero di Claudio (41-54), predeces­sore di Nerone, furono "espulsi da Roma i Giudei i quali, ad impulso di Creste, facevano frequenti tumulti" (Claudius, 25) Con tutta probabilità, l'espulsione citata da Svetonio avven­ne tra il 49 e il 50 d C
    42. A noi, qui, interessa la conferma di un dato storico meno di 20 anni dopo la morte di Gesù, a Roma vi e già una comunità di suoi seguaci È passato troppo poco tempo per inventare l'esistenza di un Messia senza rischiare di essere scoperti e de­nunciati.
    43, Andiamo avanti Qualche tempo fa e emerso un altro documento è una lettera che uno storico siriaco, di nome Mara Bar Sarapion, indirizza a suo figlio nell'anno 73 d C In essa viene ricordato come i Giudei avreb­bero messo a morte il loro "saggio rè", dove il riferimento a Gesù, del quale non si fa il nome, sembra esse­re di una evidenza lampante.
    44. Anche gli avversar! più accaniti del Cristianesimo antico non conte­starono l'esistenza storica di Gesù Ricordiamo il filosofo Celso.
    45. Tra il 178 e il 180, Celso mise mano ad uno scritto polemico nei confronti del Cristianesimo Egli accu­sa i cristiani di ignoranza, di fanati­smo, di superstizione e Gesù di essere stato un ciarlatano, in possesso di arti magiche con le quali si spiegherebbe­ro i miracoli che gli vengono accredi­tati.
    46. Nonostante questa avversione, Celso non mette in dubbio l'esistenza storica di Cristo.
    47. Per attaccare i Cristiani, egli si avvale di tutti gli argomenti a sua disposizione, ma non dell'unico che avrebbe avuto valore ultimamente definitivo l'invenzione dell'esistenza di Cristo.
    La storia quindi conferma che due­mila anni fa e vissuto un uomo chia­mato Gesù.
    Per noi è il Figlio di Dio, nato, vissuto, morto in croce per sal­varci e risuscitato.


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    00 25/04/2010 22:36

    CRONOLOGIA DELLA VITA DI GESÙ CRISTO

    La ricostruzione cronologica della vita di Gesù presterà sempre il fianco a delle obiezioni, in quanto gli evangelisti, unica fonte autentica, non si sono preoccupati di fornirci dati cronologici con in criteri che l'uomo moderno - particolarmente scettico - pretende: date incontrovertibili, magari con riscontri in autori pagani, in manoscritti antichissimi ecc.; e anche se ci fossero tali prove, ugualmente sorgerebbero numerosi dubbi.

    Gli Evangelisti, benché sapessero che il mistero dell'iniquità avrebbe negato che il Cristo fosse venuto nella carne (2 Gv 1,7: "Poiché molti sono i seduttori che sono apparsi nel mondo, i quali non riconoscono Gesù venuto nella carne. Ecco il seduttore e l'anticristo!"), non potevano anticipare le obiezioni dei vari razionalisti degli ultimi secoli e mai si sarebbero potuti immaginare il giro mentale di certi esegeti moderni (anche se cominciavano a meditare sul fatto che i negatori della realtà storica di Gesù non sarebbero sorti solo dall'ambiente pagano: cf. 1 Gv 2,19: "Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri").

    Tuttavia le indicazioni cronologiche - poche e incomplete per le esigenze del pensiero moderno - assumono una particolare importanza; proprio una certa scarsità di questo tipo di indicazioni e il fatto che siano stati lasciati alcuni vuoti rendono gli evangelisti più credibili. Si vede chiaramente che questi non costruiscono "a tavolino" una cronologia della vita di Gesù: si preoccupano però di darne una collocazione spazio-temporale, proprio perché il Verbo si è fatto carne nello spazio e nel tempo, cioè in un ben preciso momento della storia. Queste poche indicazioni cronologiche - particolarmente credibili proprio per il fatto che si vede che non fanno parte di un sistema artificiale -, ci permettono di dedurre con grande verosimiglianza un'impalcatura cronologica esatta della vita di Gesù.

    Riporto qui l'ottimo schema pubblicato in Il Vangelo unificato e tradotto dai testi originali, a c. del P. Pietro Vanetti S.J. e altri, con presentazione del P. Alberto Vaccari, Venezia 1961/8, pp. 363-369. Il testo è stato modificato leggermente (Don Alfredo Morselli)

    *  *  *

    1) L'inizio dell'era cristiana fu ritardato di quattro anni per un errore di calcolo attribuito al monaco scita Dionigi il Piccolo, morto nel 556, il quale datò al 754 di Roma la morte di Erode il Grande. Si sa invece con certezza che il re Erode morì a Gerico ai primi di aprile del 750, dopo sei mesi di atroce malattia. Certo non era malato quando diede le dovute indicazioni ai magi e ordinò la strage dei bambini al di sotto dei due anni, allorché i magi non ritornarono da lui per dargli notizie intorno al bambino Gesù.

    Bisogna perciò concludere che la nascita di Gesù avvenne almeno un anno e mezzo prima della morte di Erode, cioè o nei 748 di Roma o nel 747 (6-7 a. C.). Questa data coincide approssimativamente con l'editto di Augusto e il censimento di Quirino, ricordati da Luca (Lc 2, 1-2). In forza di altri documenti si sa che sotto Quirino, che governò, come legato imperiale in Siria, dall'11 all'8 a. C., ebbe inizio il censimento, le cui operazioni poterono durare uno o due anni.

    2) Un altro cenno cronologico ci è offerto da Luca all'inizio del ministero di Gesù: "Era l'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio" (3, 1). Nel gennaio del 765 di Roma (12 d. C.), Tiberio veniva associato da Augusto al governo dell'impero. Due anni dopo, il 19 agosto 767 di Roma (14 d. C.), Augusto moriva. Da quale di queste due date si deve computare il quindicesimo anno? Nel primo caso si arriva al 779 di Roma (26 d. C.), nel secondo al 781 di Roma (28 d. C.).

    Probabilmente Luca computò secondo il metodo orientale, cioè dalla morte di Augusto, e calcolò come un anno l'intervallo fra la morte dell'imperatore e l'inizio del nuovo anno civile, fissato, come per noi, al io gennaio. Allora il quindicesimo anno di Tiberio inizia dal 10 ottobre del 780 di Roma (27 d. C.).

    Gesù, nato nel 6 o 7 a. C., avrebbe ricevuto il battesimo da Giovanni Battista negli ultimi mesi del 27 d. C. e avrebbe dato inizio al suo ministero ai primi mesi del 28, avendo circa trent'anni (Lc 3, 23), frase assai elastica, che permette di arrivare sino ai 33 o 34 anni.

    3) Giovanni ricorda tre Pasque: la prima all'inizio dei ministero, poco dopo il battesimo (2, 13); la seconda a metà della predicazione (6, 4); la terza in occasione della morte (12, 1); da ciò si deduce che il ministero di Gesù dovette durare due anni completi, indicati dalle tre Pasque, più qualche mese, quanti ne passarono tra il battesimo e la prima Pasqua.

    4) Tenendo dunque conto di quanto abbiamo detto sopra, proponiamo il seguente quadro cronologico:

    Nascita di Gesù: 747-748 di Roma (= 7-6 a. C.).

    Preparazione del Battista: dall'ottobre del 780 di Roma (= 27 d. C.) al gennaio del 781 di Roma (= 28 d. C.).

    Battesimo e inizio del ministero: gennaio del 28 d.C.

    Prima Pasqua: 31 marzo del 28 d.C.

    Seconda Pasqua: 19 aprile del 29 d. C.

    Terza Pasqua e morte di Gesù: 7 aprile del 30 d. C.

    *  *  *

    TAVOLA CRONOLOGICA

    Quando dall'anno si passa a precisare il mese, il giorno, l'ora, generalmente bisogna sempre più attenersi ad una probabile approssimazione, fondata però su serie congetture.

    Anno 11-8 a. C - 743-746 di Roma

    Publio Sulpicio Quirino tiene la carica di legato in Siria - Iniziano le operazioni del censimento di tutto l'impero.

    Anno 7-6 a. C - 747-748 di Roma

    L'angelo Gabriele annuncia a Zaccaria la nascita di Giovanni Battista e alla Vergine Maria l'incarnazione dei Verbo -Visita di Maria SS. a Elisabetta - Nasce Giovanni Battista - A Betlemme nasce Gesù

    Anno 6-5 a. C - 748-749 di Roma

    Gesù è presentato al tempio - I magi lo adorano - Fugge in Egitto - Erode ordina la strage dei bambini

    Anno 4 a. C - 750 di Roma

    Aprile: Muore Erode il Grande - Gesù ritorna dall'Egitto a Nazareth

    Anno 6 d. C - 759 di Roma

    Archelao viene deposto - La Giudea diventa provincia romana.

    Anno 7 d. C - 760 di Roma

    Gesù va a Gerusalemme e resta tre giorni nel tempio

    Anno 12 d. C - 765 di Roma

    Gennaio

    Augusto associa al suo governo Tiberio.

    Anno 14 d. C - 767 di Roma

    Agosto

    Augusto muore - Subentra imperatore Tiberio.

    Anno 17 d. C - 770 di Roma

    Caifa eletto Sommo Sacerdote.

    Anno 26 d. C - 779 di Roma

    Ponzio Pilato nominato procuratore in Palestina.

    Anno 27 d. C - 780 di Roma

    Ottobre

    Giovanni Battista inizia la sua predicazione (Mt 3, 1-6; Mc 1, 1-6; Lc 3, 1-6; Mt 3, 7-10; Lc 3, 7-9; Lc 3,10-14; Mt 3, 11-12; Mc 1, 7-8; Lc 3, 15-18).

    Anno 28 d. C - 781 di Roma

    Gennaio

    Gesù riceve il battesimo (Mt 3, 11-12; Mc 1, 9-11; Lc 3, 21-23a).

    Gennaio-Febbraio

    Gesù nel deserto digiuna ed è tentato (Mt 4, 1-11; Mc 1, 12-13; Lc 4, 1-13).

    Marzo

    Gesù chiama i primi discepoli - Partecipa alle nozze di Cana

    (Gv 1, 35-51; Gv 2, 1-12).

    31: Prima Pasqua - Gesù scaccia i mercanti dal tempio (Gv 2, 13-25).

    Aprile

    Gesù riceve la visita di Nicodemo (Gv 3, 1-21).

    Estate

    Erode incarcera Giovanni Battista (Mt 4,12; Mc 1,14; Lc 3, 19-20; Gv 4, 1-3)

    Gesù lascia la Giudea - Incontra la samaritana(Gv 4, 4-42)

    Sceglie Cafarnao come sua città - Inizia la sua predicazione (Mt 4, 13-17; Mc 1, 14-15; Lc 4, 14-15).

    Compie numerosi miracoli - Chiama definitivamente i primi discepoli. (Mt 4, 18-22; Mc 1, 16-20; Lc 5, 1-11)

    Viene in urto con i farisei.

    Pronuncia il suo discorso programmatico (Mt 5, 1-12; Lc 6, 17. 20-26)

    Novembre

    Gesù pronuncia le parabole del regno

    Dicembre

    Gesù seda la tempesta sul lago(Mt 8, 18. 23-27; Mc 4, 35-41; Lc 8, 22-25)

    Libera gli indemoniati di Gerasa (Mt 8, 28-34; Mc 5, 1-20; Lc 8, 26-39)

    Anno 29 d. C - 782 di Roma

    Gennaio

    Gesù guarisce l'emorroissa - Risuscita la figlia di Giairo - Viene scacciato da Nazareth

    Febbraio

    Gesù istruisce i discepoli e li manda a predicare

    Marzo

    I discepoli ritornano dalla predicazione - Erode fa decapitare Giovanni Battista - Gesù moltiplica i pani per cinquemila uomini - Cammina sulle acque - Pronuncia a Cafarnao il discorso sul pane di vita

    Aprile

    19: Seconda Pasqua.

    Gesù risana il paralitico della piscina di Betesda - Fa la sua apologia contro i farisei - Lascia la Giudea per andare verso la Galilea

    Giugno

    Gesù attraversa la Fenicia e la Decapoli - Esaudisce la donna cananea - Moltiplica una seconda volta i pani

    Luglio

    A Cesarea di Filippo, Pietro proclama Gesù figlio di Dio e Gesù gli promette il primato - Dirigendosi poi verso la Galilea Gesù annuncia la sua passione (nn. 126-128).

    Agosto

    Gesù si trasfigura davanti a Pietro Giacomo e Giovanni - Ritornato a Cafarnao dà alcune istruzioni

    Ottobre

    Gesù passa per la Perea - Manda a predicare settantadue discepoli - Racconta la parabola del buon samaritano - Fa visita a Marta e Maria - Insegna il "Padre nostro" e parla della preghiera

    15: Festa dei tabernacoli.

    Gesù nel tempio proclama la sua missione divina - I giudei cercano di impadronirsi di lui - Decisioni del Sinedrio nei suoi riguardi - Assolve una donna adultera

    Dicembre

    Festa delle encenie - Gesù ridona la vista a un cieco dalla nascita - Proclama apertamente la sua divinità - Lascia la Giudea per la Perea

    Anno 30 d. C - 782 di Roma

    Gennaio-Febbraio

    Gesù attorniato dai bambini. Pranza in casa d'un fariseo - Compie numerose guarigioni. Narra la parabola dei convitati, della pecorella smarrita, della dramma ritrovata, del figlio prodigo, del fattore disonesto, di Lazzaro e il ricco epulone, degli operai dell'undecima ora - Guarisce dieci lebbrosi - Annuncia la sua parusia - Parla della preghiera umile e fiduciosa

    Marzo

    Gesù risuscita l'amico Lazzaro - Si ritira ad Efraim - Si fa invitare in casa del pubblicano Zaccheo

    Aprile

    1-8: Ultima settimana.

    SABATO 1

    A Betania, durante un banchetto, Maria profuma con aromi il capo e i piedi di Gesù

    DOMENICA 2

    Gesù entra trionfalmente a Gerusalemme e piange sulla sorte della città - Di notte ritorna a Betania

    LUNEDì 3

    Gesù ritorna a Gerusalemme - Maledice il fico - Scaccia i mercanti dal tempio - Pernotta a Betania

    MARTEDI 4

    Gesù ritorna a Gerusalemme - Confonde farisei, scribi e sadducei - Narra le parabole dei due figli mandati a lavorare nella vigna, dei vignaioli omicidi, del convito nuziale - Pronuncia il discorso escatologico e preannuncia il giudizio universale

    MERCOLEDÌ 5

    Il Sinedrio cospira per impadronirsi di Gesù - Giuda offre la sua collaborazione - Gesù denuncia il mistero dell'incredulità dei giudei

    GIOVEDÌ 6 (14 nisan)

    Gesù manda Pietro e Giovanni in città perché preparino la cena pasquale

    Ore 18-19 circa: Gesù celebra la cena pasquale

    Ore 19-20 circa: Gesù istituisce l'Eucaristia e s'intrattiene a lungo con gli apostoli, dando le ultime raccomandazioni e pregando il Padre per sé e per i suoi

    Ore 21 circa: Gesù con gli apostoli lascia il cenacolo e va al Getsemani

    Ore 22 circa: Gesù inizia la sua agonia nell'orto e suda sangue

    Ore 23 circa: Gesù è tradito da Giuda, arrestato e tradotto al palazzo dei sommi sacerdoti (nn. 283-288).

    VENERDÌ 7

    Ore 0-3 circa: Gesù compare davanti ad Anna e Caifa - È giudicato e condannato a morte - Pietro lo rinnega

    Ore 6 circa: Gesù compare nuovamente davanti al Sinedrio - Giuda muore disperato (nn. 294-295).

    Ore 7-8 circa: Gesù è condotto al tribunale di Pilato per la prima volta

    Ore 8-9 circa: Pilato manda Gesù da Erode che lo deride

    Ore 9-11 circa: Gesù compare per la seconda volta al tribunale di Pilato - È flagellato e coronato di spine

    Ore 11 circa: Gesù è condannato e si avvia al Calvario

    Ore 12 circa: Gesù viene crocifisso

    Ore 15 circa: Gesù, emesso un grido, reclina il capo e spira

    Ore 17 circa: Gesù morto viene tolto dalla croce e posto nel sepolcro

    SABATO 8

    Tutti osservano il riposo sabbatico.

    DOMENICA 9

    Gesù risorge glorioso - Appare a Maria Maddalena, alle pie donne, a Pietro, ai discepoli di Emmaus, agli apostoli nel cenacolo

    DOMENICA 16

    Gesù ricompare nel cenacolo per l'incredulo Tommaso

    Maggio

    GIOVEDÌ 18

    Gesù ascende al Padre

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    Credente
    00 24/07/2010 23:51
    Oltre alle testimonianze bibliche sulla esistenza di Gesù vi sono anche gli scritti dei primi cristiani e riconducibili alla fine del primo secolo; questi scritti non sono nel canone biblico ma godono di altissima considerazione nella Chiesa perchè nati e conservati nel suo alveo:
    In tutti questi scritti, l'esistenza storica di Gesù è un dato di fatto incontrovertibile.
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    Coordin.
    00 07/01/2012 09:38
    [Modificato da Credente 08/12/2020 21:29]
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    Credente
    00 26/01/2012 23:55

    Ecco perché i Vangeli sono un’opera di grande attendibilità storica


    di Marco Fasol*
    *docente di storia e filosofia

     

    La rivelazione cristiana ha portato la più radicale rivoluzione etica della storia. L’amore è diventato il sentimento fondamentale. Le discriminazioni sono state superate, perchè ad ogni persona è stata riconosciuta la dignità di un figlio di Dio. Si è aperto per tutti noi un orizzonte di risurrezione, un senso per cui vivere. E’ dunque molto importante conoscere criticamente le fonti storiche di questa rivoluzione, che non si può ridurre solo ad un messaggio morale. Se gli adulti non sanno rispondere ai giovani quando chiedono: “Il Vangelo non è un mito? Una leggenda?” “La Chiesa ci ha imbrogliato?”, diventano responsabili, almeno in parte, delle loro crisi di fede. E’ chiaro che dobbiamo tenerdistinta la ricerca storica dalla scelta di fede. La fede nel Risorto non è subordinata alle ricerche storiche che saranno sempre approssimative e parziali. Milioni di persone hanno avuto una fede profonda pur senza conoscere niente delle documentazioni storiche che esamineremo. Tuttavia nella società contemporanea è indispensabile confortare la fede anche con una conoscenza razionale, capace di rispondere alle obiezioni ed alle critiche. Il fideismo, cioè una fede senza ragione, è il grande pericolo del nostro tempo. Un credente adulto deve conoscere almeno in sintesi quello che le scienze storiche ci dicono sulla sorgente della fede, che risulterà così purificata, non inquinata dal sospetto di falsificazioni o imbrogli.

    Quali sono le fonti storiche su Gesù di Nazareth? Da due millenni i quattro vangeli canonici di Matteo, Marco, Luca e Giovanni sono stati considerati le fonti principali. Solo recentemente è sorta la questione dei vangeli apocrifi. Tuttavia ormai tutti gli storici competenti confermano l’attendibilità dei soli quattro vangeli canonici ed ora vedremo in base a quali criteri oggettivi, laici. Esamineremo in seguito invece i vangeli apocrifi. Un criterio importante è l’antichità delle fonti. La critica storica ottocentesca tendeva a collocare la stesura scritta dei vangeli canonici anche dopo duecento anni dagli eventi. Sembrava che i vangeli fossero “favole popolari”, amplificate e deformate dalla fantasia. Ma le recenti scoperte papirologiche e l’analisi linguistica del greco dei vangeli hanno imposto una datazione anteriore, molto vicina agli eventi, di origine ebraica. Cerchiamo dunque di ricostruire i fatti.

    La morte di Gesù è avvenuta intorno all’anno trenta. Dopo di allora, gli apostoli sono rimasti a Gerusalemme circa trent’anni, per costituire la prima comunità cristiana, fedele agli insegnamenti del maestro. E’ la fase della predicazione orale. Nel giudaismo dell’epoca la tradizione orale veniva tramandata seguendo regole precise e rigide di fedeltà, parola per parola. Nelle scuole rabbiniche gli insegnamenti venivano imparati a memoria, con il controllo e l’autorità del maestro. E’ quindi verosimile che anche la prima comunità cristiana, costituita da ebrei, abbia seguito questa prassi di trasmissione fedele delle parole del maestro, fissate dall’autorità degli Apostoli. Fu raccolto così il materiale della cosiddetta Fonte Q, probabilmente scritta in ebraico, anteriore alla redazione scritta dei vangeli. Un passo ulteriore fu la traduzione dall’ebraico o aramaico in greco, la lingua parlata in tutto il mondo antico. A partire dagli anni Cinquanta presero dunque forma scritta i primi tre vangeli, detti sinottici, di Matteo, Marco e Luca. Il lavoro di redazione, in cui venivano collegate insieme le varie raccolte orali per arrivare alla versione definitiva, si colloca tra il 50 e il 70 d. C. Mentre il quarto vangelo, di Giovanni, venne redatto alla fine del primo secolo. Vediamone ora il perché.

    Gli scritti evangelici si distinguono rispetto a tutti gli altri testi dell’antichità classica per una straordinaria ricchezza di manoscritti. Tutti i testi dell’antichità sono stati copiati a mano dagli amanuensi lungo i secoli, fino all’invenzione della stampa (nel 1450 circa). Questi manoscritti prendono il nome di papiri, codici, pergamene, rotoli, ecc. Quanto maggiore è il numero di manoscritti, tanto più si dice che l’opera è ben documentata. Ad esempio, dell’Iliade edOdissea ci sono rimasti circa 600 manoscritti. Si tratta di un record. Infatti tutti gli altri capolavori antichi hanno un numero inferiore di manoscritti. Virgilio ne ha poco più di 100, Platone ne ha solo undici e così la maggior parte dei grandi autori dell’antichità. Tacito ne ha solo un paio e talora un unicum. Quando lo storico si domanda invece quanti siano i manoscritti del Nuovo Testamento (quattro Vangeli, Atti degli Apostoli, lettere paoline, lettere di Giovanni, Pietro, Giacomo, Giuda Taddeo, Apocalisse) rimane stupito dalla loro quantità. Abbiamo infatti circa 5.300 manoscritti greci, 8 mila latini, migliaia di traduzioni in lingue antiche quali armeno, siriaco, copto…! Complessivamente più diquindicimila manoscritti (l’elenco completo dei cinquemila manoscritti greci si può trovare in Nestle – Aland, “Novum Testamentum graece”, 27^ ed. Stuttgart, 1993, oppure nel testo di K. e B. Aland sotto citato). Il fatto più importante è che queste migliaia di manoscritti sono concordanti! Riportano cioè tutti lo stesso testo, parola per parola. Ovviamente ci sono errori ortografici o di trascrizione, come in ogni opera umana, ma questi errori non intaccano maii contenuti fondamentali. Gli amanuensi hanno voluto rispettare con la massima fedeltà il testo originale, senza aggiungervi niente. Se nessuno dunque ha mai dubitato sull’autenticità di Platone o di Tacito, a maggior ragionenessuno dovrebbe dubitare sulla fedeltà di trasmissione dei testi evangelici che hanno migliaia di copie manoscritte. Si noti inoltre che ai più di 15 mila manoscritti bisogna aggiungere tutto il materiale delle citazioni degli scrittori cristiani dei primi tre secoli (i “Padri della Chiesa”) diffuse in tutto il mondo antico, dall’Europa, al nord Africa all’Asia: circa 20 mila citazioni!

    E’ chiaro che i manoscritti sono tanto più preziosi, quanto più sono antichi. Anche qui il confronto con gli autori dell’antichità classica è impressionante. Si deve premettere che i manoscritti originali, autografi, scritti di propria mano dagli autori antichi, sono andati tutti perduti. Per lo stesso Dante non abbiamo il manoscritto autografo completo della Divina Commedia. L’autore classico che ha il manoscritto più antico è Virgilio; si tratta di una testo copiato circa350 anni dopo la morte del poeta. Per tutti gli altri autori classici la distanza tra l’originale e il manoscritto più antico pervenutoci è molto superiore. Per Cesare, ad esempio, il codice più antico risale a 900 anni dall’originale. Per Platoneci sono 1300 anni tra originale e codice più antico. Quando invece gli storici studiano i manoscritti del Nuovo Testamento rimangono stupiti di fronte alla loro antichità. Possediamo centinaia di manoscritti che risalgono ai primi secoli. Per numerosi papiri la distanza tra testo autografo e manoscritto più antico si riduce a poche decine di anni. La datazione viene formulata in base a criteri paleografici (si conoscono le tipologie di scrittura nelle varie epoche), comparativi, archeologici e chimici. Per i manoscritti dei vangeli la documentazione risulta dunque estremamente più attendibile rispetto agli autori classici. I manoscritti più antichi sono: Papiro Rylands (P 52): forse il più antico documento dei Vangeli. Risale al 125 d. C. Fu ritrovato in Egitto e venne datato in base a criteri paleografici nel 1950 dal prof. Roberts. La datazione venne confermata dai maggiori filologi successivi. Quindi il Vangelo di Giovanni non poteva esser stato scritto, come dicevano alcuni studiosi, nel 150 o nel 200 d. C. ma fu scritto tra il 90 e il 100, perché per arrivare da Efeso (dove fu scritto l’originale) all’Egitto dovette intercorrere circa una generazione. Il papiro misura 9 x 6 cm, contiene 114 lettere greche. Papiro Bodmer II (P 66): venne pubblicato nel 1956. Contiene quasi per intero il vangelo di Giovanni. La pubblicazione suscitò grande scalpore tra gli studiosi; il papiro risale infatti a non oltre la metà del secondo secolo. E’ stato datato dal prof. H. Hunger di Vienna nel 1960. Questo manoscritto concorda perfettamente con i manoscritti maggiori del quarto secolo (Cod. Vaticano, Sinaitico, Alessandrino…). Dimostra così una fedeltà rigorosa nella copiatura degli amanuensi. Bodmer XIV, XV. (P. 75) del 200 d. C., papiro Chester Beatty II, (P 46, Bibl. di Dublino): 86 fogli, contiene 7 lettere di S. Paolo e risale al 70 circa ma potrebbe anche essere del II secolo. Vi sono poi i “codici maggiori” che contengono quasi per intero il Nuovo Testamento. Fra questi: il Codice Vaticano (B 03, Roma, Biblioteca Vaticana), 759 fogli; metà del quarto secolo. Il Codice Sinaitico, (01, Londra, Brit. Libr.) 346 fogli. Il Codice Alessandrino (A 02, Londra, Brit. Libr.) 773 pagine, metà quinto secolo. 15 manoscritti del III sec. 40 del IV sec. 43 del V sec.

    Le ricerche filologiche degli ultimi anni hanno convinto numerosi scienziati che il frammento più antico in assoluto sia il Papiro P. 7 Q 5 (Rockfeller Lib. Gerusalemme), scoperto a Qumram, studiato da O’ Callaghan dal 1972 in poi. Contiene solo 11 lettere alfabetiche complete ed altre 8 parziali, disposte su 5 righe. Dallo studio di tutte le combinazioni possibili (una ricerca computerizzata ha analizzato tutte le combinazioni della letteratura greca del Thesaurus Linguae Graece dell’Università di California Irvine: 3.700 autori, 91 milioni di lettere) risulta che l’unica compatibile è quella di Mc 6, 52-53. Questo papiro risale al 50 d. C. (a soli 20 anni dai fatti), in base allo stile paleografico, che è il cosiddetto ornato erodiano, utilizzato fino al 50 d.C. In ogni caso tutti i manoscritti di Qumramnon possono essere posteriori al 68 d. C., anno in cui la comunità essena venne massacrata dalla legione romana Fretensis, per cui le grotte con i testi vennero sigillate per evitare la distruzione dei codici. La decifrazione proposta da O’ Callaghan è stata però contestata da studiosi che non conoscevano ancora la prova informatica.

    I manoscritti neotestamentari si trovano sparsi nelle più prestigiose Biblioteche tutto il mondo. Raccolte di particolare importanza si trovano nel monastero del Monte Athos (900 manoscritti), nel monastero di Santa Caterina nel Sinai, (300), a Roma (367), Parigi (373) Atene (419), Londra, San Pietroburgo, Gerusalemme, Oxford, Cambridge, Mosca e in molte altre località. Queste migliaia di manoscritti riportano tutti lo stesso testo evangelico, con una concordanza ammirevole. Essi garantiscono che ci troviamo di fronte al testo di gran lunga più controllato e documentato nella storia. Come ha scritto il celebre biblista card. Carlo Maria Martini“Lo studio dei manoscritti è una vera e propria avventura scientifica condotta col sussidio di un’immensa e puntuale documentazione. E la scoperta fondamentale è sempre quella sorprendente di un testo che, nonostante il fluire dei secoli e le molteplici trascrizioni, si è conservato fedelmente, permettendo così agli studiosi e ai traduttori di farlo risuonare, intatto nelle nostre comunità e per i singoli lettori, credenti e no” (Kurt e Barbara Aland, “Il testo del Nuovo Testamento”, Marietti 1987, p. XII).

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    00 01/05/2013 18:59
    Inchiesta sulla nascita di Gesù. Le ultime scoperte rivelano che...

    di Antonio Socci


    Le tracce anagrafiche di Gesù ci portano sul Campidoglio di Roma, da dove si gode una veduta mozzafiato dei Fori imperiali. Il fazzoletto di terra tra il Tabularium – che sta alle fondamenta dell’attuale municipio – e l’Aerarium del Tempio di Saturno, duemila anni fa era il centro del mondo. In quel punto erano custoditi i documenti del censimento di Augusto, secondo Tertulliano “teste fedelissimo della natività di Nostro Signore”. 

    Era lì dunque la registrazione anagrafica della nascita – fatta da due giovani ebrei – di un bambino chiamato Yehòshua’, Gesù, che significava “Dio salvatore”. Incendi e distruzioni hanno perduto quei documenti. Sempre lì dovette trovarsi anche la relazione a Tiberio che Ponzio Pilato scrisse verso il 35 d.C. per giustificare processo ed esecuzione dello stesso Gesù. Da cui venne la proposta di Tiberio al Senato di riconoscere quel Gesù come dio, ossia di legittimare il culto di Cristo che si stava diffondendo. Il Senato rispose di no. La notizia è contenuta in un passo dell’Apologetico (V,2) di Tertulliano ed è stata recentemente dimostrata attendibile da un’autorevole storica, Marta Sordi. 

    Ma torniamo a quel censimento. Negli studi della “Scuola di Madrid” – sintetizzati nel libro “La vita di Gesù” di Josè Miguel Garcia - trova soluzione anche il problema cronologico del censimento che finora non si sapeva quando collocare e pareva storicamente dubbio.
     
    Perché Giuseppe e Maria devono andare a Betlemme il cui nome, beth-lehem, in ebraico significa “città del pane”? Perché Erode, per conto dei romani, ha imposto un giuramento-censimento. Le autorità di Betlemme pretendono che della famiglia di Davide non manchi nessuno: Giuseppe è un discendente dell’antico casato reale che è tenuto particolarmente d’occhio. Soprattutto in questi anni nei quali – a causa di alcune profezie e di alcuni segni - si è fatta fortissima l’idea che il Messia stia per arrivare. Si sa infatti che il “liberatore” che gli ebrei aspettano è di sangue reale. E dunque quelli della famiglia di Re David sono tutti “sospetti”. 

    E’ per queste origini che la famiglia di Gesù, pur essendo diventata modesta e umile, custodisce gelosamente le genealogie che non a caso si trovano riportate nei vangeli. Genealogie che raccontano storie terribili, su cui i vangeli non sorvolano affatto. Tanto da stupire quel poeta cattolico che fu Charles Péguy: “bisogna riconoscerlo, la genealogia carnale di Gesù è spaventosa… E’ in parte ciò che dà al mistero dell’Incarnazione tutto il suo valore, tutta la sua profondità, tutto il suo impeto, il suo carico di umanità. Di carnale”. Secondo uno studio recente nelle origini familiari di Gesù troviamo la stessa tribù discendente da Caino, il primo omicida della storia. In Numeri 24, 21 si dice che i Qeniti sono i discendenti di Caino, verranno assorbiti dal popolo ebraico e la loro terra è dove poi sorgerà Betlemme. 

    In un passo successivo (34,19) con Giosuè sono raccolti, per la spartizione della terra conquistata, i capi delle dodici tribù d’Israele. A capo della tribù di Giuda sta Kaleb detto il Qenizita, a cui Giosuè assegna una porzione della terra di Giuda. I Qeniti, spiega Tommaso Federici, sono dunque “una sottotribù di Giuda, la loro terra sta nella ‘parte montagnosa’, con capitale Hebron. Essa comprendeva la Betlemme di Kaleb, attraverso la sua sposa Efrata”. Dunque “i Davididi sono i Qeniti o Cainiti”. 

    Ecco – commenta Federici “sopra quale abisso è disceso l’Immortale Eterno per assumere la carne dei peccatori. Cristo Signore così riassume in sé ogni Caino d’ogni tempo, per salvarlo”. Gesù dunque è “il segno” che Dio aveva posto sopra Caino “per cui questi ha salva la vita”. Nel profeta Isaia leggiamo infatti: “Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori… è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti”. Nello stesso ceppo familiare di Gesù sono riassunti “sia Israele, sia Giuda, sia i pagani ed i peccatori più lontani. Di fatto” spiega Federici “a Betlemme, Booz, antenato di David, sposando Rut la Moabita, dunque pagana e idolatra, l’inserisce a pieno titolo nel popolo di Dio, tanto che diventa antenata di David”. 

    La predilezione di Dio non è caduta sui migliori, ma su dei peccatori. Fra i figli di Giacobbe viene scelto Giuda, il quartogenito, uno dei fratelli che avevano venduto Giuseppe. Uno la cui moralità crolla platealmente nell’unione con la nuora, Tamar, unione da cui discende legalmente Gesù. Della sua genealogia fanno parte poi dei re idolatri, immorali e qualcuno criminale. Lo stesso Davide, il più grande dei re e il più amato da Dio, commette peccati e delitti spaventosi. Le donne della genealogia di Gesù scriveva il cardinale Van Thuan “colpiscono per le loro storie, sono donne che si trovano tutte in una situazione irregolare e di disordine morale: Tamar è una peccatrice, che con l’inganno ha avuto una unione incestuosa col suocero Giuda; Raab è la prostituta di Gerico che accoglie e nasconde le due spie israelite inviate da Giosuè e viene ammessa nel popolo ebraico; Rut è una straniera; della quarta donna… ‘quella che era stata moglie di Urìa’, si tratta di Betsabea, la compagna di adulterio di David”. 

    Sembra una storia terribile, eppure è la storia della salvezza. La storia da cui è nato Gesù che ha voluto riservarsi – totalmente puri e santi – solo gli ultimi rampolli di quei clan familiari: Maria e Giuseppe. Che dunque arrivano a Betlemme dove nasce Gesù. A lungo si è ritenuto che il 25 dicembre fosse una data convenzionale, scelta per contrastare le feste pagane del Natale Solis invicti (da identificare forse con Mitra, forse con l’imperatore romano). Ma recentemente una scoperta archeologica fatta tra i papiri di Qumran ha clamorosamente suggerito la possibile esattezza di quella data. Dal “Libro dei Giubilei” uno studioso israeliano, Shemarjahu Talmon ha ricostruito la successione dei 24 turni sacerdotali relativi al servizio nel Tempio di Gerusalemme e ha scoperto che “il turno di Abia” corrispondeva all’ultima settimana di settembre. 

    Notizia importante perché si lega a una informazione cronologica del Vangelo di Luca (1,5) secondo cui Zaccaria, il padre di Giovanni Battista e marito di Elisabetta, appartenente alla tribù sacerdotale di Abia, vide l’angelo, che annunciava il concepimento di Giovanni, proprio mentre “officiava davanti al Signore nel turno della sua classe”. Quindi a fine settembre. 

    Il rito bizantino che da secoli fa memoria dell’annuncio a Zaccaria il 23 settembre deriva dunque da un’antica memoria, forse una tradizione orale. La Chiesa tutta poi celebra nove mesi dopo la nascita del Battista e tutta la liturgia cristiana è impostata su questa data giacché Luca (1, 26) spiega che l’annuncio a Maria avviene quando Elisabetta era al sesto mese di gravidanza. In effetti la Chiesa celebra l’Annunciazione il 25 marzo e il Natale del Signore nove mesi dopo, il 25 dicembre (lo attesta già un calendario liturgico del 326 d.C.). Ne discende che se ha fondatezza storica l’annuncio a Zaccaria il 23 settembre, a catena – come ha dimostrato Antonio Ammassari - acquisiscono storicità anche la data dell’Annunciazione e quella del Natale. 

    Dal recente libro di Garcia si apprende pure la verità sul luogo della nascita di Gesù. Il contesto deve essere non una grotta, ma la grande casa paterna di Giuseppe a Betlemme. “Tali case erano costituite da un’unica grande stanza, dove le persone occupavano una specie di piattaforma rialzata, mentre in un’estremità si trovavano gli animali di cui la famiglia aveva bisogno per lavorare. E per questi animali era ovvio che ci fosse una mangiatoia”. 

    Probabilmente Giuseppe e la giovane partoriente, per avere un po’ di riservatezza e più caldo, furono alloggiati in questa parte della casa e il bambino fu posto in quella mangiatoia. E’ con una storia così ordinaria, così normale, che Dio – per i cristiani – è venuto nel mondo. E con lui la bellezza, la bontà e la salvezza. Incontrarlo è il senso della vita. Scrive Péguy: “Felici coloro che bevevano lo sguardo dei tuoi occhi”.

    * * *

    Così dormiva il bambino il suo primo sonno profondo. 
    Stava per cominciare l’immenso evento. 
    Stava per cominciare l’immenso avvento. 
    L’avvento dell’ordine e della salvezza dell’uomo. 

    Assorto, il bambino dormiva un sonno profondo. 
    Stava per cominciare il grande comando. 
    Stava per cominciare il grande avvento, 
    l’avvento di Dio nel cuore dell’uomo. 

    Charles Péguy
     
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    00 20/02/2015 22:01

    Gesù non era un esseno,
    nessun legame con la comunità di Qumran

    I cosiddetti Manoscritti del Mar Morto sono dei testi, casualmente ritrovati a Qumran nel 1947 in una piccola grotta dentro ad antiche giare di terracotta, che comprendono anche brani della Bibbia ebraica. I manoscritti datano tra il 150 a.C. e il 70 d.C. e sono associati all’antica setta ebraica detta degli Esseni. Per anni sono stati al centro dell’attenzione dopo che il papirologo spagnolo José O’Callaghan ha identificato il papiro 7Q5 come un frammento contenente i versetti 6,52-53 del Vangelo secondo Marco,retrodatando così la data della composizione ad al massimo 20 anni dopo la morte di Gesù (le grotte di Qumran vennero sicuramente abbandonate dal 60 d.C.). Nessuno è mai riuscito a negare questa identificazione anzi, la maggior parte degli studiosi oggi concordano con il papirologo spagnolo. Ne parleremo sicuramente, ma non oggi.

    Ci preme invece chiarire i dubbi citati dallo scrittore nel suo articolo, dove si chiede: «Gesù era forse un settario di Qumran? È lui il Maestro che secondo i manoscritti le forze d’occupazione imperialromane hanno giustiziato dopo uno dei tanti moti rivoluzionari dell’epoca? E quando nei manoscritti s’accenna a certe rivalità interne al gruppuscolo non si starà parlando per caso in realtà delle beghe documentate anche negli Atti degli apostoli tra seguaci della chiesa di Gerusalemme e il cristianesimo in salsa grecoplatonica ad usum gentili di Paolo e dell’Apocalisse giovannea? Quando si decideranno a pubblicarli tutti i manoscritti? Cosa c’è da nascondere?».

    Essendo un dubbio di molti, vorremmo rassicurare che non c’è nulla da temere e abbiamo sufficiente materiale per rispondere definitivamente a queste domande. Tanto che non c’è alcuno studioso serio che risponda da esse positivamente, essendo notetalmente tante differenze tra il comportamento e le convinzioni degli esseni e quello di Gesù. L’unica similitudine su cui potremmo ragionare è che entrambi (Gesù e la comunità essena) vennero soppressi per mano delle autorità romane.

    Il prof. John P. Meier, docente di Nuovo Testamento alla Notre Dame University, nonché il più eminente studioso biblico vivente, ha parlato di questo nel terzo volume del suo magistrale “Un ebreo marginale”, criticando la «letteratura popolare» che «su questo tema tende a esaltare le somiglianze tra Gesù e Qumran, se non la loro presunta identità». Ma, ha proseguito, «esistono differenze fondamentali tra i due fenomeni storici» che vengono da lui trattati dettagliatamente per quasi dieci pagine (e che non stiamo a riportare). Neppure si può paragonare Gesù al Maestro di giustizia, il personaggio anonimo che fondò la comunità di Qumran: l’unico punto in comune tra i due è la condanna a morte da parte del prefetto romano Ponzio Pilato, anche se «a mio parere non c’è una prova chiara e convincente che il Maestro di giustizia abbia subito una morte violenta per mano delle autorità di Gerusalemme». In ogni caso «sarebbe avvenuta per motivi molto diversi: da una parte [il Maestro di giusitizia, nda] un sommo sacerdote che propugnava norme rituali alternative al tempio, e dall’altra [Gesù, nda] un profeta laico sovvertitore e sedicente messia». La conclusione del prof. Meier dopo la lunga trattazione delle differenze, è che «le differenze tra Gesù e Qumran/gli essenifurono numerose e profonde. Non c’è da meravigliarsi, quindi, che i due non abbiano avuto rapporti durante il ministero pubblico di Gesù» (p.541-555).

    Come sempre citiamo anche la visione dell’eminente studioso agnostico Bart D. Ehrman, professore di Nuovo Testamento e direttore del dipartimento di studi religiosi dell’Università del North Carlina: «Gesù non era un esseno. Non c’è nulla che colleghi lui o Giovanni Battista al gruppo. Proprio il contrario […]. Gesù, per parte sua, scandalizzò i devoti ebrei dediti alla conservazione di una vita pura, lontana dal sudiciume del mondo circostante comportandosi in modo diametralmente opposto agli esseni di Qumran». E ancora: «la comunità di Qumran non può non aver aborrito le opinioni di Gesù» (B.D. Ehrman, “Did Jesus Exist”, HarperCollins Publisher 2013, pp. 285-287 e 326).


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    00 04/04/2015 23:03

    Gesù in croceLa Pasqua è la festività più importante per i cristiani: senza risurrezione Gesù sarebbe stato soltanto uno dei tanti saggi profeti apparsi nella storia, forse il più ammirabile, forse ispirato dallo Spirito Santo, ma senza la capacità di sconvolgere l’umanità e la vita di miliardi di persone.

    Risorgendo è restato nel mondo, si è reso incontrabile da chiunque, ha espresso la volontà del Padre di mischiarsi tra gli uomini, donando loro il senso ultimo della vita: l’attesa di infinito che ognuno di noi vive dentro di sé non è un inganno della natura, ma è una promessa che verrà certamente mantenuta. La vita è il percorso della libertà dell’uomo, chiamato a riconoscere questo, a testimoniarlo e ad attendere il mantenimento di tale promessa vivendo già un anticipo, qui e ora, di compimento.

    Ma cosa dice la storia di quei tre giorni che sconvolsero l’umanità? La passione, la morte e la risurrezione di Gesù hanno lasciato tracce storiche? Per rispondere a questa domanda ci affidiamo principalmente a due autorità internazionali: John P. Meier, docente di Nuovo Testamento alla Notre Dame University e unanimamente riconosciuto il più eminente studioso vivente della storicità del cristianesimo, e Bart D. Ehrman, direttore del dipartimento di studi religiosi dell’Università del North Carolina e studioso di Nuovo Testamento. Quest’ultimo è una figura di secondo piano rispetto ai più importanti esperti del tema ma ha la particolarità di essere un non credente, molto spesso onesto e oggettivo. In realtà la posizione personale non dovrebbe contare nulla in quanto il metodo scientifico non si basa sul principio di autorità e, sia il cattolico Meier che l’agnostico Ehrman, sono chiamati a dimostrare le loro tesi in modo oggettivo alla comunità scientifica e solo su questo si basa la loro autorevolezza. Tuttavia, preferiamo considerare anche il suo punto di vista essendo, per molti che non fanno questo ragionamento, una fonte imparziale in quanto non cristiano e non credente.

     

    Consideriamo i principali eventi che hanno caratterizzato gli ultimi giorni della vita pubblica di Gesù:

    ULTIMA CENA. L’ultima cena tra Gesù i suoi discepoli non è oggetto di discussione tra gli studiosi, si accetta la sua storicità ma solitamente ci si divide sul fatto se sia stata o meno un banchetto pasquale. Questo perché i sinottici sembrano apparentemente affermare che Gesù volle celebrare la pasqua ebraica, al contrario di quanto riporta il Vangelo di Giovanni. Il prof. Meier, nel suo celebre “Un ebreo marginale”, ha tuttavia evidenziato che non c’è nessuna contraddizione tra le due fonti perché «se si separano dai racconti sinottici della passione i riferimenti, posteriori o redazionali, alla pasqua presenti attualmente, comprendiamo che l’ultima cena nella tradizione sinottica soggiacente non è un banchetto pasquale analogamente a quanto avviene per l’ultima cena nel vangelo secondo Giovanni» (p. 397). Gesù, infatti, non celebrò la Pasqua ebraica con i suoi discepoli durante l’ultima cena ma, sentendosi braccato dalle autorità ebraiche e romane, «organizzò un solenne banchetto d’addio con la cerchia più intima dei suoi discepoli immediatamente prima della pasqua […] nella casa di qualche sostenitori benestante di Gerusalemme il giovedì verso il tramonto, quando cominciava il quattordicesimo giorno di nisan […]. Se ammettiamo la fondamentale storicità del racconto eucaristico, dobbiamo ammettere che Gesù nell’ultima cena disse alcune cose sorprendenti e senza precedenti che non possono essere spiegate semplicemente ipotizzando il contesto di un banchetto rituale giudaico […], non sorprende che quanto fece durante il suo ultimo banchetto con la cerchia più intima dei suoi discepoli non coincida esattamente con nessuno rito religioso convenzionale del tempo». Questo è uno dei diversi casi con i quali solitamente si dimostra che il Vangelo di Giovanni, seppur scritto posteriormente e basato su altre fonti indipendenti, spesso risulta essere più affidabile storicamente rispetto ai sinottici.

    TRADIMENTO DI GIUDA. Il processo a Gesù inizia in seguito al tradimento da parte di Giuda, secondo il prof. Ehrman«ci sonoottime ragioni per credere che Gesù sia stato tradito da uno dei suoi discepoli, Giuda Iscariota. Ovviamente, il dato è attestato da una molteplicità di tradizioni indipendenti: il Vangelo di Marco, la Fonte M, il Vangelo di Giovanni e il libro degli Atti. Inoltre, la tradizione sembra soddisfare il criterio della dissomiglianza e non dà l’idea di essere un’invenzione cristiana successiva» (B.D. Ehrman, “Did Jesus Exist?”, HarperCollins Publishers 2012 p. 335).

    PROCESSO A GESU’. Per quanto riguarda la descrizione analitica del processo, il prof. Ehrman fatica a trovarlo storicamente affidabile in quanto non c’è nessun testimone nei Vangeli che affermi di aver assistito in prima persona agli eventi descritti (non la pensano così celebri studiosi, come N.T. Wright). Quello su cui può pronunciarsi, tuttavia, è il motivo per cui venne messo in croce:«Un elemento anomalo dei racconti evangelici che narrano la morte di Gesù è che Pilato l’abbia condannato alla crocifissione per essersi definito “re dei giudei”. L’attestazione è multipla e presente in tutte le tradizioni, inoltre soddisfa il criterio della dissomiglianza, perché, da quanto ne sappiamo, è un appellativo che i primi cristiani non usarono mai per riferirsi a Gesù. Non possono aver fabbricato ad arte l’accusa che gli fu effettivamente rivolta, e sembra probabile sia stato quello il suo crimine» (p. 336).

    EPISODIO DI BARABBA. Pilato, indeciso sul da farsi, domanda alla folla se preferisce liberare Gesù o Barabba, noto malfattore della città. E’ un episodio molto conosciuto, soddisfa il criterio della molteplice attestazione e, secondo il prof. Meier e molti altri studiosi, «è uno dei più antichi strati del primitivo racconto della passione» (p. 399). E’ giusto per questo considerare la sua alta probabilità storica, sopratutto dopo che numerosi studiosi -come Richard L. Merritt- hanno rilevato che nel mondo antico era abbastanza diffuso l’uso di liberare qualche prigioniero in occasione delle feste. Il prof. N.T. Wright, tra i principali studiosi del Nuovo Testamento del mondo anglosassone, ha sostenuto -tramite i testi dello storico romano Tito Livio- la certezza storica dell’uso di liberare prigionieri a Pasqua. I governatori romani si comportavano così per accontentare le folle e mostrare rispetto verso le feste ebraiche (N.T. Wright, “Gli ultimi giorni di Gesù”, San Paolo 2010, p.28).

    CROCIFISSIONE. Nessuno studioso serio nega la storicità della crocifissione di Cristo, il prof. Ehrman ha infatti spiegato che «è assai improbabile che i primi seguaci di Gesù, essendo ebrei palestinesi, abbiano inventato di sana pianta l’idea del messia crocifisso, il criterio della dissomiglianza è perciò soddisfatto. L’asserzione trova molteplici attestazioni in tutte le nostre tradizioni (Vangelo di Marco, Fonti M e L, Vangelo di Giovanni, epistole paoline, testi di Giovanni Flavio e di Tacito). Se ciò di cui siamo alla ricerca sono solide probabilità, questa è una tradizione che vanta un alto grado di probabilità. Gesù è stato crocifisso!» (p. 191).

    MORTE E SEPOLTURA. Per quanto riguarda la datazione, possiamo dire che la data più probabile della morte di Gesù secondo la maggioranza degli studiosi è il 7 aprile del 30 d.C., i motivi sono diversi e accenniamo soltanto al fatto che si è arrivati a questa conclusione sopratutto scartando le ipotesi meno probabili (il confronto solitamente avviene tra il 29, il 30, il 32 e il 33 d.C.). Il prof. Ehrman ha riconosciuto che, grazie alle lettere paoline scritte verso la metà degli anni Trenta, le notizie sui fatti che hanno caratterizzato la morte e la sepoltura di Gesù così come li conosciamo oggi, «risalgono probabilmente a un paio di anni circa dopola morte di Gesù» (p. 132), ovvero vicinissime agli eventi. Secondo il prof. Jacob Kremer, ritenuto il più importante biblista del 20° secolo, «la maggior parte degli esegeti considera saldamente affidabili le dichiarazioni bibliche relative al sepolcro vuoto» (J. Kremer, “Die OsterevangelienGeschichten um Geschichte”, Katholisches Bibelwerk 1977, pp. 49-50). Il prof. Raymond Brown, docente emerito presso l’Union Theological Seminary di New York, ha più volte mostrato l’alta probabilità storica della sepoltura organizzata da Giuseppe d’Arimatea«dal momento che una creazione cristiana immaginata dal nulla sul fatto che un membro Sinedrio ebraico abbia fatto una cosa così onorevole è quasi inspiegabile, conoscendo l’ostilità nei primi scritti cristiani verso le autorità ebraiche, responsabili della morte di Gesù. Mentre l’alta probabilità non corrisponde a certezza, non vi è nulla nelle fonti pre-evangeliche sulla sepoltura di Gesù da parte di Giuseppe d’Arimatea che potrebbe non farla considerare storica» (R. Brown, “The Death of the Messiah”, 2 vols. Garden City 1994, 1240-1241).

    RISURREZIONE. Abbiamo mostrato qualche tempo fa che c’è la possibilità di avanzare prove indirette a conferma della storicità della risurrezione di Gesù, mentre per quanto riguarda le prove dirette occorre riconoscere che in linea generale i miracoli possono essere affermati con certezza per sola fede. «Benché sia un avvenimento reale avvenuto a Gesù Cristo», ha spiegato il prof. Meier, l’evento della risurrezione «non è avvenuto nel tempo e nello spazio e perciò non dovrebbe essere chiamato storico» (p.186). Possiamo però approcciarci ad esso indirettamente attraverso vari argomenti: è noto agli storici, ad esempio, che quello della risurrezione di Cristo è un racconto molto antico, come spiegato dal prof. Ehrman quando ha ammesso la testimonianza di esso nelle lettere di San Paolo, scritte prima dei Vangeli. Lo studioso americano ha inoltre usato numerose pagine contro i negatori della storicità dei Vangeli, spiegando che l’evento della risurrezione da loro descritto è unico e originale in tutta la storia della letteratura precedente: «La morte e la resurrezione di Gesù sono un evento unico, tra le antiche divinità del Vicino Oriente non si riscontra nulla di simile. Chiunque pensi che Gesù si stato plasmato prendendo a modello tali divinità deve portare qualche prova -di qualunque genere- che gli ebrei palestinesi furono influenzati» da quei racconti. In ogni caso, «le differenze tra Gesù e gli dei di morte e rinascita dimostrano che Gesù non fu plasmato con le loro caratteristiche, persino nel caso che ai suoi tempi ci fossero persone che parlavano di quelle divinità» (p. 234,235). Uno studioso, ben poco cristiano come il teologo Hans Küng, ha riconosciuto che «non fu la fede dei discepoli a risuscitare Gesù ma fu il resuscitato a condurli alla fede» (H. Küng, “Essere cristiani”, Rizzoli 2012, p.421).

     

    Arrivati alla fine di questo piccolo resoconto possiamo concludere che gli eventi che ricordIamo e celebriamo, sono il cardine della fede cristiana e contemporaneamente fatti documentati e incarnati nella storia (per la risurrezione parliamo di documentazione storica indiretta), sostenuti da un ampio grado di attendibilità e probabilità.


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    00 19/04/2015 17:44

    le testimonianze extrabibliche
    su Gesù di Nazareth

    Abbiamo infatti affrontato il tema della sua esistenza nelle fonti non cristiane (extra-cristiane), ovvero quelle pagane greco-romane, quelle pagane siro-palestinesi e quelle ebraiche. Allo stesso tempo, abbiamo sinteticamente valutato la testimonianza delle fonti cristiane al di fuori dei vangeli (extra-canoniche) e al di fuori del Nuovo Testamento (extra-testamentarie). Il tutto è stato premesso da un approfondimento sulla (presunta) scarsità dei dati che abbiamo a disposizione nei confronti di Gesù.

    E’ una tematica che è stata al centro del dibattito negli ultimi due secoli ma che, tuttavia, oggi ha perso di attenzione in quanto ritenuta non così necessaria. Dalla seconda fase (postbultmaniana) e, sopratutto, dalla terza fase dello studio sul Gesù storico (dagli anni ’90 in poi), i vangeli hanno infatti aumentato sempre più, agli occhi degli storici, la loro attendibilità sui dati che presentano. Molti pregiudizi sono stati in parte abbandonati e l’onestà intellettuale è stata abbastanza riguadagnata, anche grazie al contributo delle scoperte archeologiche e dei convincenti argomenti sulla retrodatazione della loro composizione. Parallelamente, si è quindi sentita meno l’esigenza di vagliare le tracce di Gesù al di fuori dei quattro vangeli canonici, ritenendo comunque sufficiente l’autorità evangelica.

    E’ rimato comunque un argomento molto utile, semmai per confermare l’attendibilità dei vangeli in quanto tutte le fonti extraevangeliche indipendenti non fanno altro che ribadire le informazioni offerte dai quattro evangelisti (mai alcuna contraddizione o smentita, nemmeno negli autori pagani satirici). In questo dossier abbiamo presentato direttamente il pensiero di diversi principali studiosi del Nuovo Testamento, di fede protestante, cattolica e non credenti, come B.D. Ehrman della North Carolina University. Proprio quest’ultimo ha riconosciuto che i numerosi documenti che parlano di Gesù di Nazareth al di fuori dei vangeli«forniscono allo storico una dovizia di materiali su cui lavorare, un fatto piuttosto insolito per le testimonianze sulla vita di chiunque, letteralmente chiunque, sia vissuto nel mondo antico» (B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012, p. 79).

    Oltre ai quattro vangeli canonici, infatti, gli studiosi sostengono la storicità di Gesù basandosi anche sulle rispettive fonti-presinottiche (la cosiddetta fonte Q, la fonte M, L e altre ), su 8 testimonianze non cristiane, indipendenti e riconosciute come autentiche (Tacito, Plinio il Giovane, Svetonio, Marco Cornelio Frontone, Luciano di Samosata, Tallo, Mara Bar Serapion e Flavio Giuseppe), e su 10 testimonianze cristiane, anch’esse ovviamente indipendenti (e addirittura alcune precedenti) ai vangeli canonici (Atti degli Apostoli, Tredici lettere di Paolo, Lettera agli Ebrei, Due lettere di Pietro, l’Apocalisse, la Lettera di Giuda, la Didaché, gli scritti di Papia, Ignazio di Antiochia e la Prima lettera di Clemente Romano ai Corinzi).

    Dopo aver presentato l’opinione maggioritaria della comunità scientifica su ognuna di queste fonti, abbiamo concluso che oggi non solo non è più possibile mettere in dubbio la storicità di Gesù (e nessuno più lo fa), ma -come è stato scritto poco sopra- è anche d’obbligo ritenere le fonti più complete che abbiamo sulla vita di Gesù, cioè i vangeli, dei documenti storici, la cui attendibilità è confermata da quasi 20 documenti indipendenti, cristiani e non cristiani, risalenti ai primi due secoli dell’era cristiana.


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    00 09/11/2015 18:48

    Passione, morte e risurrezione di Gesù:
    fatti accreditati anche dalla storia

    Gesù in croceLa Pasqua è la festività più importante per i cristiani: senza risurrezione Gesù sarebbe stato soltanto uno dei tanti saggi profeti apparsi nella storia, forse il più ammirabile, forse ispirato dallo Spirito Santo, ma senza la capacità di sconvolgere l’umanità e la vita di miliardi di persone.

    Risorgendo è restato nel mondo, si è reso incontrabile da chiunque, ha espresso la volontà del Padre di mischiarsi tra gli uomini, donando loro il senso ultimo della vita: l’attesa di infinito che ognuno di noi vive dentro di sé non è un inganno della natura, ma è una promessa che verrà certamente mantenuta. La vita è il percorso della libertà dell’uomo, chiamato a riconoscere questo, a testimoniarlo e ad attendere il mantenimento di tale promessa vivendo già un anticipo, qui e ora, di compimento.

    Ma cosa dice la storia di quei tre giorni che sconvolsero l’umanità? La passione, la morte e la risurrezione di Gesù hanno lasciato tracce storiche? Per rispondere a questa domanda ci affidiamo principalmente a due autorità internazionali: John P. Meier, docente di Nuovo Testamento alla Notre Dame University e unanimamente riconosciuto il più eminente studioso vivente della storicità del cristianesimo, e Bart D. Ehrman, direttore del dipartimento di studi religiosi dell’Università del North Carolina e studioso di Nuovo Testamento. Quest’ultimo è una figura di secondo piano rispetto ai più importanti esperti del tema ma ha la particolarità di essere un non credente, molto spesso onesto e oggettivo. In realtà la posizione personale non dovrebbe contare nulla in quanto il metodo scientifico non si basa sul principio di autorità e, sia il cattolico Meier che l’agnostico Ehrman, sono chiamati a dimostrare le loro tesi in modo oggettivo alla comunità scientifica e solo su questo si basa la loro autorevolezza. Tuttavia, preferiamo considerare anche il suo punto di vista essendo, per molti che non fanno questo ragionamento, una fonte imparziale in quanto non cristiano e non credente.

     

    Consideriamo i principali eventi che hanno caratterizzato gli ultimi giorni della vita pubblica di Gesù:

    ULTIMA CENA. L’ultima cena tra Gesù i suoi discepoli non è oggetto di discussione tra gli studiosi, si accetta la sua storicità ma solitamente ci si divide sul fatto se sia stata o meno un banchetto pasquale. Questo perché i sinottici sembrano apparentemente affermare che Gesù volle celebrare la pasqua ebraica, al contrario di quanto riporta il Vangelo di Giovanni. Il prof. Meier, nel suo celebre “Un ebreo marginale”, ha tuttavia evidenziato che non c’è nessuna contraddizione tra le due fonti perché «se si separano dai racconti sinottici della passione i riferimenti, posteriori o redazionali, alla pasqua presenti attualmente, comprendiamo che l’ultima cena nella tradizione sinottica soggiacente non è un banchetto pasquale analogamente a quanto avviene per l’ultima cena nel vangelo secondo Giovanni» (p. 397). Gesù, infatti, non celebrò la Pasqua ebraica con i suoi discepoli durante l’ultima cena ma, sentendosi braccato dalle autorità ebraiche e romane, «organizzò un solenne banchetto d’addiocon la cerchia più intima dei suoi discepoli immediatamente prima della pasqua […] nella casa di qualche sostenitori benestante di Gerusalemme il giovedì verso il tramonto, quando cominciava il quattordicesimo giorno di nisan […]. Se ammettiamo la fondamentale storicità del racconto eucaristico, dobbiamo ammettere che Gesù nell’ultima cena disse alcune cose sorprendenti e senza precedenti che non possono essere spiegatesemplicemente ipotizzando il contesto di un banchetto rituale giudaico […], non sorprende che quanto fece durante il suo ultimo banchetto con la cerchia più intima dei suoi discepoli non coincida esattamente con nessuno rito religioso convenzionale del tempo». Questo è uno dei diversi casi con i quali solitamente si dimostra che il Vangelo di Giovanni, seppur scritto posteriormente e basato su altre fonti indipendenti, spesso risulta essere più affidabile storicamente rispetto ai sinottici.

    TRADIMENTO DI GIUDA. Il processo a Gesù inizia in seguito al tradimento da parte di Giuda, secondo il prof. Ehrman«ci sono ottime ragioni per credere che Gesù sia stato tradito da uno dei suoi discepoli, Giuda Iscariota. Ovviamente, il dato è attestato da una molteplicità di tradizioni indipendenti: il Vangelo di Marco, la Fonte M, il Vangelo di Giovanni e il libro degli Atti. Inoltre, la tradizione sembra soddisfare il criterio della dissomiglianza e non dà l’idea di essere un’invenzione cristiana successiva» (B.D. Ehrman, “Did Jesus Exist?”, HarperCollins Publishers 2012 p. 335).

    PROCESSO A GESU’. Per quanto riguarda la descrizione analitica del processo, il prof. Ehrman fatica a trovarlo storicamente affidabile in quanto non c’è nessun testimone nei Vangeli che affermi di aver assistito in prima persona agli eventi descritti (non la pensano così celebri studiosi, come N.T. Wright). Quello su cui può pronunciarsi, tuttavia, è il motivo per cui venne messo in croce: «Un elemento anomalo dei racconti evangelici che narrano la morte di Gesù è che Pilato l’abbia condannato alla crocifissione per essersi definito “re dei giudei”. L’attestazione è multipla e presente in tutte le tradizioni, inoltre soddisfa il criterio della dissomiglianza, perché, da quanto ne sappiamo, è un appellativo che i primi cristiani non usarono mai per riferirsi a Gesù. Non possono aver fabbricato ad arte l’accusa che gli fu effettivamente rivolta, e sembra probabile sia stato quello il suo crimine» (p. 336).

    EPISODIO DI BARABBA. Pilato, indeciso sul da farsi, domanda alla folla se preferisce liberare Gesù o Barabba, noto malfattore della città. E’ un episodio molto conosciuto, soddisfa il criterio della molteplice attestazione e, secondo il prof. Meier e molti altri studiosi, «è uno dei più antichi strati del primitivo racconto della passione» (p. 399). E’ giusto per questo considerare la sua alta probabilità storica, sopratutto dopo che numerosi studiosi -come Richard L. Merritt– hanno rilevato che nel mondo antico era abbastanza diffuso l’uso di liberare qualche prigioniero in occasione delle feste. Il prof. N.T. Wright, tra i principali studiosi del Nuovo Testamento del mondo anglosassone, ha sostenuto -tramite i testi dello storico romano Tito Livio- la certezza storica dell’uso di liberare prigionieri a Pasqua. I governatori romani si comportavano così per accontentare le folle e mostrare rispetto verso le feste ebraiche (N.T. Wright, “Gli ultimi giorni di Gesù”, San Paolo 2010, p.28).

    CROCIFISSIONE. Nessuno studioso serio nega la storicità della crocifissione di Cristo, il prof. Ehrman ha infatti spiegato che «è assai improbabile che i primi seguaci di Gesù, essendo ebrei palestinesi, abbiano inventato di sana pianta l’idea del messia crocifisso, il criterio della dissomiglianza è perciò soddisfatto. L’asserzione trova molteplici attestazioni in tutte le nostre tradizioni (Vangelo di Marco, Fonti M e L, Vangelo di Giovanni, epistole paoline, testi di Giovanni Flavio e di Tacito). Se ciò di cui siamo alla ricerca sono solide probabilità, questa è una tradizione che vantaun alto grado di probabilità. Gesù è stato crocifisso!» (p. 191).

    MORTE E SEPOLTURA. Per quanto riguarda la datazione, possiamo dire che la data più probabile della morte di Gesù secondo la maggioranza degli studiosi è il 7 aprile del 30 d.C., i motivi sono diversi e accenniamo soltanto al fatto che si è arrivati a questa conclusione sopratutto scartando le ipotesi meno probabili (il confronto solitamente avviene tra il 29, il 30, il 32 e il 33 d.C.). Il prof. Ehrman ha riconosciuto che, grazie alle lettere paoline scritte verso la metà degli anni Trenta, le notizie sui fatti che hanno caratterizzato la morte e la sepoltura di Gesù così come li conosciamo oggi, «risalgono probabilmente a un paio di anni circa dopo la morte di Gesù» (p. 132), ovvero vicinissime agli eventi. Secondo il prof. Jacob Kremer, ritenuto il più importante biblista del 20° secolo, «la maggior parte degli esegeti considerasaldamente affidabili le dichiarazioni bibliche relative al sepolcro vuoto» (J. Kremer, “Die OsterevangelienGeschichten um Geschichte”, Katholisches Bibelwerk 1977, pp. 49-50). Il prof. Raymond Brown, docente emerito presso l’Union Theological Seminary di New York, ha più volte mostrato l’alta probabilità storica della sepoltura organizzata da Giuseppe d’Arimatea«dal momento che una creazione cristiana immaginata dal nulla sul fatto che un membro Sinedrio ebraico abbia fatto una cosa così onorevole è quasi inspiegabile, conoscendo l’ostilità nei primi scritti cristiani verso le autorità ebraiche, responsabili della morte di Gesù. Mentre l’alta probabilità non corrisponde a certezza, non vi è nulla nelle fonti pre-evangeliche sulla sepoltura di Gesù da parte di Giuseppe d’Arimatea che potrebbe non farla considerare storica» (R. Brown, “The Death of the Messiah”, 2 vols. Garden City 1994, 1240-1241).

    RISURREZIONE. Abbiamo mostrato qualche tempo fa che c’è la possibilità di avanzare prove indirette a conferma della storicità della risurrezione di Gesù, mentre per quanto riguarda le prove dirette occorre riconoscere che in linea generale i miracoli possono essere affermati con certezza per sola fede. «Benché sia un avvenimento reale avvenuto a Gesù Cristo», ha spiegato il prof. Meier, l’evento della risurrezione«non è avvenuto nel tempo e nello spazio e perciò non dovrebbe essere chiamato storico» (p.186). Possiamo però approcciarci ad esso indirettamente attraverso vari argomenti: è noto agli storici, ad esempio, che quello della risurrezione di Cristo è un racconto molto antico, come spiegato dal prof. Ehrman quando ha ammesso la testimonianza di esso nelle lettere di San Paolo, scritte prima dei Vangeli. Lo studioso americano ha inoltre usato numerose pagine contro i negatori della storicità dei Vangeli, spiegando che l’evento della risurrezione da loro descritto è unico e originale in tutta la storia della letteratura precedente: «La morte e la resurrezione di Gesù sono un evento unico, tra le antiche divinità del Vicino Oriente non si riscontra nulla di simile. Chiunque pensi che Gesù si stato plasmato prendendo a modello tali divinità deve portare qualche prova -di qualunque genere- che gli ebrei palestinesi furono influenzati» da quei racconti. In ogni caso, «le differenze tra Gesù e gli dei di morte e rinascita dimostrano che Gesù non fu plasmato con le loro caratteristiche, persino nel caso che ai suoi tempi ci fossero persone che parlavano di quelle divinità» (p. 234,235). Uno studioso, ben poco cristiano come il teologo Hans Küng, ha riconosciuto che «non fu la fede dei discepoli a risuscitare Gesù ma fu il resuscitato a condurli alla fede» (H. Küng, “Essere cristiani”, Rizzoli 2012, p.421).

     

    Arrivati alla fine di questo piccolo resoconto possiamo concludere che gli eventi che ricorderemo e celebreremo questa settimana sono ilcardine della fede cristiana e contemporaneamente fatti documentati e incarnati nella storia (per la risurrezione parliamo di documentazione storica indiretta), sostenuti da un ampio grado di attendibilità e probabilità.


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